L'intelletto di Gottlieb

e degli antroposofi di Stato

 

- dal video L'intelletto di  Gottlieb -

 

Il desiderio di arrivare ad una comprensione collettiva della realtà è il massimo pregiudizio che da sempre limita l’autostima e come risoluzione pone il “noi” (del crocchio, del gruppo, del partito, della coalizione, della fazione, dello Stato, ecc.,) al posto dell’”io”. Ieri come oggi, questo “porre”, il famoso “Setzen”, assolutizzato come facoltà della ragione da Johann Gottlieb Fichte, è ancora il massimo impedimento all’individualismo etico che Rudolf Steiner disseminò in tutta la sua opera, in vista di questo terzo millennio, da lui chiamato “i tempi nuovi”. L’istanza individuale odierna è in genere così formulata: “Se io faccio così fatica a discernere le informazioni corrette da quelle errate significa che per una comprensione collettiva e per muovermi di conseguenza in modo giusto ho bisogno del collettivo”. La tanto facile quanto illusoria e massonica risposta a questa aberrazione è purtroppo, ancora una volta, un’altra aberrazione, quella di Fichte, il quale al contrario di Steiner, tende in tutta la sua opera ad accentuare la missione “educatrice” dello Stato e a risolvere l’io empirico nel “Noi spirituale” della Nazione. Per Fichte “la forma dell’opporre è così poco contenuta nella forma del porre, che anzi le è addirittura contrapposta” (Fichte, “Fondamenti dell’intera dottrina della scienza”, [265]), e con ciò Fichte costruisce la base per chiamare ogni cosa percepibile “urto” [“Anstoß”]. Certamente il fichtianesimo, cioè questa filosofia di Stato è complicata come uno dei tanti uffici del nostro Stato, insomma un vero e proprio UCAS (Ufficio Complicazioni Affari Semplici). E poiché le cose avvengono “in alto come in basso” come diceva Ermete Trismegisto, le cose che avvengono nello Stato sono identiche a quelle che avvengono nel collettivo.

 

Nello Stato abbiamo per esempio a che fare con la complicazione fra tre articoli della Costituzione - 1) l’art. 65 che prevede che sia la legge a stabilire le cause di ineleggibilità e incompatibilità dei parlamentari; 2) l’art. 66 che riserva alla Camera il giudizio su cause sopraggiunte; e 3) l’art. 25 che vieta la retroattività delle pene - e la legge Severino (d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235) in merito alla funzione del parlamentare. Tale funzione è disciplinata dalla Costituzione. Una funzione disciplinata dalla Costituzione si modifica soltanto con una legge costituzionale. La legge Severino non è una legge costituzionale ma è una legge ordinaria. E con una legge ordinaria non si può modificare il contenuto della Costituzione. Dunque poiché in base all’art. 25 della Costituzione, secondo comma, nessuno può essere punito con una legge che è stata fatta successivamente al fatto da cui deriva la condanna e la legge Severino è del 2012 mentre il reato del Berlusca riguarda il 2001, il problema da risolvere non è un cavillo, ma è il risultato dell’opera di cretini che il collettivo ha votato per farli operare; a ciò si può aggiungere il fatto normativo UE, per il quale in tutta Europa vige il principio che nessun cittadino può essere sanzionato da una norma successiva al fatto commesso. Insomma, dando il via alla legge Severino il Pdl ha dato il via al mandare in galera Berlusconi. E qui siamo nell’imbecillità.

 

Nel collettivo abbiamo la medesima imbecillità: la società antroposofica predica “La filosofia della libertà” di Steiner non in base a Steiner ma in base all’idea fichtiana di intuizione, con tutte le folli formule che ne derivano, come da un puzzle di castronerie. In base a tale filosofismo ciarliero, i sedicenti antroposofi del fichtiano delirio del comunismo giuridico proibizionista, hanno addirittura proposto la creazione di gruppi di studio per aggiustare la terminologia de “La filosofia della libertà” in quanto, a loro parere, Steiner sarebbe uno che va “a spanne generando confusioni e fraintendimenti filosofici che mai un filosofo come Rosmini avrebbe generato” (cfr. il seguente mp3 dal 16° minuto in poi)!

 

Per Rudolf Steiner l’intuizione è il contenuto interno del pensare rispetto a quello esterno della percezione (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 5°).

 

Per Johann Gottlieb Fichte, l’attività dell’intuire è qualcosa di molto complesso e massimamente contraddittorio, che sembra uscito, appunto da un UCAS di Stato, o da regolamentazioni costruite dai nostri parlamentari odierni, le cui leggi e commi, copiosamente inseriti gli uni negli altri come in scatole cinesi sono vere e proprie insidie per l’umana comprensione. Insomma per il massone Fichte, l’attività dell’intuire è possibile esclusivamente tramite passività, a sua volta possibile solo per attività, vale a dire tramite una “passività” (“Leiden”, vedi sotto) contemporaneamente resa possibile soltanto da un’attività: l’intuizione [“Anschauung”] è la dinamica in cui opera l’”immaginazione” (“Einbildungskrafr”, vedi sotto) determinata dallo spontaneo porsi dell’io come attivo e dal suo incontrare un ostacolo contro cui urta (“Anstoß”, “urto”, vedi sotto) e rispetto al quale la direzione della sua attività subisce un’inversione che lo rende passivo.

 

Ecco i principali termini fichtiani usati dagli odierni predicatori della scienza della libertà di Steiner: 1) “Leiden”, la “passività”, è il patire: l’opposto dell’attività (“Tätigkeit”, vedi sotto), vale a dire la negazione positiva e quantitativa della sua realtà; 2) “Anstoß”, l’”urto” è ciò che “accade” all’io inceppandone e invertendone l’attività altrimenti procedente linearmente all’infinito. Anstoß ricopre, nei testi di Fichte, un’area semantica plurivoca, sfumando con “ostacolo” [Hemmung], “impedimento” [Hindernis], “resistenza” [Widerstand], sin quasi a identificarsi con il confine [Grenze], il non-io, e la cosa-in-sé kantiana; 3) “Tätigkeit”, l’”attività” coincide con la realtà, anzi i due concetti sono identici: attività è realtà, realtà è attività; 4) “Einbildungskrafr”, l’”immaginazione è la facoltà teoretica e produttiva per eccellenza che, oscillando tra determinazione e indeterminazione, tra finito e infinito, colti come termini che non sono immediatamente riducibili o conciliabili, rende possibile l’io stesso nella misura in cui è “intelligenza” (“io teoretico”); 5) “theoretisches Ich”, l’”io teoretico”, è l’io nella misura in cui qualcosa di esterno ad esso lo rende “rappresentante”, cioè lo fa “intelligenza”: dunque, soltanto nella misura in cui è dipendente da un indeterminato non-io che ne frena ed ostacola l’attività.

 

Nella sua “Deduktion der Vostellung” (“Deduzione della rappresentazione” in Fichte, “Fondamento dell’intera dottrina della scienza” [370]) ,Fichte è assolutamente convinto di spiegare l’io ordinario illuminandone il “sistema operativo” come se esso fosse uno schema di parole incrociate della Settimana enigmistica: partendo dalla propria idea di intuizione, egli inferisce una serie di altre idee, che dovrebbero valere per le facoltà interagenti dell’io: la ragione, l’intelletto, e la capacità di giudizio. Ma sono in ugual modo idee altrettanto aberranti. Per Fichte, l’intuire, “convenendo” al librarsi dell’immaginazione oscillante tra direzioni contrastanti, dev’essere “fissato” affinché possa prendere corpo il prodotto, cioè qualcosa di composto in cui si mantenga la “traccia” (Spur) concreta dei termini contrapposti. Il ruolo di “fissare” l’intuizione spetta a due altre facoltà, la ragione (Vernunft) e l’intelletto (Verstand). Per Fichte il prodotto dell’immaginazione è reale solo dopo esser stato fissato nell’intelletto. La ragione, facoltà del porre assoluto, è attiva ed opera la fissazione del prodotto, cioè determinare oggettivamente tale realtà, che prima era solo fluttuante nell’oscillazione immaginativa. L’oggetto determinato è fissato dalla spontaneità della ragione in vista dell’attività riflessiva. Ma l’oggetto è pensato, cioè è concepito e compreso, nell’intelletto. Diversamente dalla ragione, l’intelletto non è attività, tuttavia esplica la funzione decisiva di condurre la riflessione naturale a persuadersi fermamente della realtà delle cose esterne (sic!). L’intelletto (Verstand) non fissa, ma ciò che è fissato è fissato soltanto nell’intelletto e qui ridotto a stare immobile (verständigt). Esso è “l’inattiva, quiescente facoltà dell’animo, il mero recipiente di ciò che è prodotto dall’immaginazione e determinato e ancora da determinare dalla ragione”! È una sorta di facoltà di contenimento, recipiente di ciò che è realmente effettivo: in esso soltanto vi è realtà, e realtà concepita e compresa. Esso immobilizza, “fissa” il muoversi della circolarità di determinazione dell’attività immaginativa, lo mette in condizione di produrre la grandezza reale di quanto è opposto all’attività spontanea (in termini conoscitivi, dell’oggetto sensibile della conoscenza) e che così soltanto può causare un influsso su di essa (un’impressione sul soggetto conoscente).

 

Chiaro no?

 

Eppure i cretini continuano “in alto come in basso” a starnazzare filosofismi e legalismi ciarlieri da ogni parte. Questo non può avere che un significato: la trasformazione dell’io nel noi è il pregiudizio dei pregiudizi, e va fatto fuori. Il desiderio di arrivare ad una comprensione collettiva della realtà è un desiderio sbagliato che considera il collettivo come se fosse un individuo. E ciò è ancora una volta un misticismo, e con i misticismi, le mistiche , le ideologie, e le teologie, si va solo in guerra gli uni contro gli altri, secondo il solito stile romano del “divide et impera”. È segno che dobbiamo cambiare strada.

 

Nereo Villa, Castell’Arquato, 28 settembre 2013