Elogio a Umberto Bartocci

 

S E P A R A Z I O N E

 

 

 

 

Eravamo arrivati a Bruno ed al concetto di separazione (della matematica dall'uomo).

Il matematico Giordano Bruno era, sì, un copernicano ma era ancora uno, che riusciva a dire: state attenti, NON trasformate la scienza in dogmi o in formule perché, così facendo, non progredite, dato che emanciparsi dal vecchio (cioè dal modo vecchio di vedere le cose o dal vecchio testamento) al nuovo NON è possibile attraverso formule o dogmi.

Lo bruciarono vivo!

Eppure la sua IDEA NON DOGMATICA DI RELATIVITÀ, cioè poggiante su logica conforme alla realtà, NON era contraria al buon senso, come è invece quella dei relativisti di oggi, simili al medesimo tipo di "uomini in nero" che lo bruciarono, e che lui chiamava STUPIDI.

 

Costoro sono ancora tra noi oggi, anno 17° del nuovo millennio.

E chi sono? Sono gli einsteiniani, i ben pensanti, cioè i NON pensanti, i nuovi... credenti sempre più zeloti. Questi neo-credenti, pieni di zelo nella "scienza" delle scimmie, appartengono a una nuova religione: la religione di Stato, o di Arimane, o dell'economicismo, o del signoraggio bancario...: oggi, coi nostri soldi, "bisogna" salvare le banche, le quali poi salvano noi... allora chi è il "salvatore"...? Prima dell'euro, quando sulle lire c'era scritto "Pagabile a vista al portatore" mi sono interessato di economia ma vedendo che il pianeta delle scimmie era sempre più antilogico, ho cercato le ragioni di tutto ciò NON nell'economicismo, cioè nell'effetto, ma nelle cause di tale effetto, cioè in me stesso: nella partitocrazia degli "uomini in nero", che viveva anche in me. Da qui il mio interesse per Giordano Bruno. Ecco le parole di Bruno: "Tutte le cose determinate sono un minimo ed un niente se collocate nello spazio INFINITO, riducibili alla specie di atomi e punti. Da ciò deriva che solo l'uno è semplicemente grande, e chiaramente le altre cose, solo RELATIVAMENTE, sono grandi o minime" ("OPERE LATINE di Giordano Bruno, Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L'immenso e gli innumerevoli", Ed. UTET, Torino, 1980). E questo è come dire: sì, va bene, l'IMMENSO Dio è nell’uomo ma l’uomo che lo contiene, lo contiene solo come una goccia contiene il mare, perché di fronte all’INFINITO l'uomo non può che relativizzarsi se vuole determinare se stesso come vita entro l’infinito, nonostante la sua breve durata vitale o eterica dentro il corpo fisico.

Invece oggi, grazie alle formule matematiche, il relativista riesce a dire tutto e il contrario di tutto, ed ogni giorno scopre un nuovo fondamento al "bosone" di Dio... precedente. Questo è NON logico, né sano. Questa è la metastasi del tumore antilogico che ha invaso la gnoseologia del fondamento di un altro fondamento e ancora di un altro fondamento, cioè SOSTANZIALMENTE del fondamento all'ennesima potenza, o del fondamentalismo del terrore, secondo cui in definitiva i terrestri nascono NON SOLO senza terra ma indebitati di circa 50 mila euro a testa, solo per il fatto di esistere al fine di pagare imposte da mettere nelle tasche dei relativisti della comunità scientifica (e politica, ecc.), incapace perfino di distinguere la luce elettrica da quella solare...

Già la consapevolezza di questa differenza, anzi per essere precisi, della differenza tra la congettura di Einstein, detta velocità cinematica della luce, e l'altra, detta velocità elettromagnetica della luce (congetturabile da OGNUNO secondo i medesimi criteri) dovrebbe mettere in crisi tutta la "comunità scientifica" circa la relatività di Einstein, tragedia "scientifica" ("scientifica" fra virgolette) del 20° secolo, piombata come pesante giogo sul collo dei ben pensanti (anzi de NON pensanti, ripeto)...

 

Oggi questi NON pensanti, credono. Credono e basta. Io li chiamo "Gipiessini", dato che credono che il GPS (Global Positioning System) sia la prova del nove della relatività... Che poi, se vai a vedere, gli orologi atomici satellitari - che fanno capo ai vari GPS sulle varie automobili - programmati a loro tempo in modo da tener conto degli effetti relativistici, sono GIORNALMENTE, cioè CONTINUAMENTE RESETTATI dalle stazioni di controllo sulla Terra, proprio perché questo è l’unico modo per mantenerli precisi. Ebbene, di fronte a questo fatto che dovrebbe sconfermare la relatività, i relativisti dicono che proprio tale sconferma: conferma (perfino questo mi è capitato di sentire...) che non c'è nulla di assoluto neanche nella teoria della relatività, e che pertanto questa (la teoria della relatività) è assolutamente giusta!


Oggi si può dunque dire che una cosa è giusta grazie al fatto che è sbagliata... Qui allora NON vi è più sanità. Qui vi è malattia mentale...

Invece la RELATIVITÀ di Giordano Bruno era sana.

Ed è soprattutto sano rendersi conto che quando in una scienza (o in un calcolo o in una formula, come avviene per esempio con E=mc², dove "c" è la "celeritas" che sta per "velocità della luce") si introduce il concetto di INFINITO, TUTTA LA SCIENZA SI TRASFORMA IN FEDE perché allora si può dire TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO, o che Achille non raggiunge mai la tartaruga, o che il cerchio è un poligono di 360 lati, o che gli asini volano, e così via.

Perché tutti questi giochi di parole sono eristica, retorica, menzogne, giochetti alla Einstein o alla Mileva Maric (dato che la nascita della relatività - e questo lo sanno in pochi - è dovuta per lo più alla sua prima moglie Mileva Maric, "scienziata", dalla quale prese le idee per il suo giocare al "cronotopismo", cioè allo spaziotempo e all’INFINITO) (poi copiò anche altri, come Michelson, ecc., ma non voglio perdere tempo su queste cose).

Infatti nella teoria della relatività di Einstein, la velocità della luce riguarderebbe sostanzialmente, cioè fisicamente, una velocità INFINITA. E anche questo che dico non è un mio parere ma è scritto proprio da lui. Ecco le sue parole: "Nella mia Teoria (della Relatività) la Velocità della Luce gioca fisicamente il ruolo di una velocità infinita" (A. Einstein, "Zur Elektrodynamik Bewegter Korper", Annalen der Physik, 17, 1905, pp. 891- 921. Ed. italiana in: "Cinquant'anni di Relatività". Ed. Giuntine Sansoni, Firenze, 1955, pp. 479-504).

 

Quindi la luce... gioca! "La luce gioca"? Ma chi è che gioca qui?

Qui è Einstein a GIOCARE col concetto di infinito, NON la luce. A meno che la luce o l'infinito siano un dio e Einstein un altro dio che gioca col primo... come Krishna!

Ma che fa, signor Einstein, si mette a giocare con Dio? Magari a dadi... o a rubamazzo...?

Insomma, quando si gioca con l'INFINITO delle due l'una: o ci si crede padreterni oppure si è fuori di testa, dato che col concetto di infinito - scrive Bartocci - "la differenza fra un numero qualunque e l'infinito è sempre uguale perché è sempre infinita" (U. Bartocci Bartocci, "Albert Einstein e Olinto De Pretto - La vera storia della formula più famosa del mondo": http://digidownload.libero.it/VNereo/depretto-2006.pdf). Dunque bisognerebbe chiedersi: ma allora come fa una differenza ad essere uguale se è differente?

Per accorgerti di questa contraddizione, creduta come non contraddittoria o come superstizione o come oracolo (o come vuoi tu... chiamala come vuoi), immagina per esempio una sequenza di numeri, poniamo dall'uno al dieci, e un'altra sequenza contenente però soli numeri pari ma che vada anch'essa fino al dieci. Nella prima sequenza avrai in tutto 10 numeri. Nella seconda 5.
Dunque la metà.

 

1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 , 8, 9, 10 = 10 numeri

2, 4, 6, 8, 10 = 5 numeri = ½ di 10


Se ora introduci il concetto di infinito nelle due sequenze,

 

1, 2, 3, 4, ... ∞ = ∞ numeri

2, 4, 6, 8, ... ∞ = ∞ numeri

 

immaginandole cioè non più solo fino al 10 che è un numero finito ma fino all'infinito, cioè fino a un numero continuamente progressivo all'infinito, non avrai più a che fare con la metà di numeri della seconda sequenza contenente solo i numeri pari ma con la stessa quantità numerica della prima sequenza. La prima contiene anche i dispari, quindi ha il doppio di numeri della seconda, ma ha pure la stessa quantità di numeri della seconda...

Certamente le cose stanno così. Ma sarebbe giusto affermare che la metà è uguale a un intero o che una metà di qualcosa è relativa al sistema di calcolo usato per calcolarla? Secondo me sarebbe stupido come credere alle convergenze parallele che non si incontrano mai o ad Achille che non raggiunge mai la tartaruga... o ancora al fatto che il cielo stellato che stai vedendo non esiste a causa degli anni luce che impiegherebbe la luce per mostrartelo e quindi oramai potrebbe non esserci più... Si può estendere questa baggianata ad ogni percezione allora, perfino al fare l'amore: "Sai cara, quello che stai sperimentando non esiste... perché io sono morto..."!

Pensateci... Ma come fate a pensare se siete scimmie? Questo, sì, che è un problema...

Perché nella realtà, se di una mela ne mangi la metà, resti INCONTROVERTIBILMENTE con l'altra metà. Perfino una scimmia lo avvertirebbe...

Ma di scimmie del relativismo astratto che pensano il contrario il mondo è pieno da sempre. "Io rimango del tutto senza parole - scriveva Giordano Bruno - innanzi alla loro stupidità così poco opportuna, come davanti a quella di chi afferma che due linee che procedono all'infinito non si possono mai incontrare, sebbene si avvicinino tra loro sempre più" ("Opere Latine", op. cit).

Ma ritorniamo a noi. Come ho mostrato nel video precedente, geometria e matematica, generandosi nel sistema di movimento (metabolico) dell'organismo umano sono MISTICA OGGETTIVA. E questo è confermato anche dal linguaggio: "màthesis" significa in greco "dottrina", "oggetto di cognizione", "conoscenza". Da questo punto di vista, "mistica", "màthesis" e "matematica" sono, appunto, una cosa sola. Ecco perché la mathesis era per Giordano Bruno (ecco le sue parole:) "la miglior guida alla contemplazione del puro intelligibile" (ibid).

Invece in questi ultimi secoli, in cambio di costruzioni matematiche e di rapporti fra i movimenti esteriorizzati, abbiamo letteralmente strappato via la matematica dalla sua connessione con la nostra interiorità, perdendo gradualmente anche l'esperienza del movimento corporeo che prima avevamo.

Ciò che permise la nascita dell'astronomia copernicana fu un fatto storico determinante. La matematica (màthesis) era mistica oggettiva, e noi, vivendo dentro l'astronomia, sapevamo ancora misurare il cosmo mediante il nostro organismo in movimento.

Poi ponemmo nel cosmo un sistema di coordinate. Ma da quel neonato sistema di coordinate progressivamente uscimmo.


L'affermarsi del sistema copernicano è insomma la naturale conseguenza derivante dalla progressiva perdita in noi dell'antica facoltà di sperimentare le cose in noi stessi.

Certo ci sono anche oggi eccezioni come il matematico Umberto Bartocci, però in generale la regola è quella di una matematica o di una FISICA MATEMATICA escludente l'umano. Per cui, se fosse possibile, la "scienza oscura" di oggi farebbe di Bartocci e di tutti coloro che non si allineano a questa, ciò che in quell'oscuro periodo fece di Giordano Bruno. Sì, perché la scienza di oggi è esattamente come la chiesa di allora, quanto a scotomizzazione delle eccezioni. Per esempio anche Ettore Majorana fu un'altra eccezione. Louis Essen un'altra ancora. Roberto Monti un'altra...

Insomma i giusti ci sono ma danno fastidio come zanzare… alla scienza oscura.

In ogni caso questo punto, cioè l'estromissione progressiva dell'uomo dal nascente pensiero scientifico non è MINIMAMENTE considerato dalla nostra cultura contemporanea e questo è il vero elemento di sovversione presente soprattutto oggi nell'imbarbarimento della nostra civiltà.

Ecco perché fu proprio in questo stesso contesto che Giordano Bruno, pur essendo il glorificatore della concezione moderna del mondo e dell'idea copernicana, fu ammazzato: fu arso vivo perché aveva lasciato ancora spazio dentro di sé alla matematica mistica, cioè alla MISTICA OGGETTIVA.


Giordano Bruno fu ed è profetico in quanto si accorge che non è per nulla un miglioramento per l'uomo passare dal dogmatismo allo scientismo, cioè a un altro dogmatismo. Bruno aderisce a tutte le tesi di Copernico ma allo stesso tempo "vede con chiarezza il rischio che comporterebbe l'accettazione dell'eliocentrismo solo come ipotesi operativa di carattere matematico e reputa questo come un perpetuare gli errori tradizionali portandoli su scala maggiore" (A. Riccardi in G. Bruno, "La cena de le ceneri", Ed. Mondadori, Introduzione, pp. XIII-XIV).

Oggi invale l'asserto: "è scientificamente dimostrato". Ieri valeva: "è un dogma di fede".


Ma è la stessa cosa!
 

Ambedue queste espressioni chiudono ogni possibile apertura alla ricerca della Verità ed è questo che Giordano Bruno aveva presentito, tanto da non dare eccessivo spazio alla depurazione della matematica dalla mistica. Egli infatti, possedendo ancora l'esperienza interiore, si esprimeva sull'universo e sul sistema copernicano in modo più lirico che matematico, cioè in un modo diverso da come si espressero lo stesso Copernico, Galileo, Keplero, fino a Newton, vero fondatore della mentalità scientifica moderna, simile all'idiozia. Questo va detto con spirito NON di avversione ma semplicemente in modo spregiudicato: con Newton si costruisce proprio quel quid cosiddetto oggettivo, congetturato senza più nessuna relazione con un'esperienza diretta dei fatti; con Newton si afferma l'aspirazione alla totale SEPARAZIONE dall'esperienza fatta nel corpo fisico umano e ad oggettivare ciò che un tempo si era concepito come strettamente congiunto con quell'esperienza. Tramite questa SEPARAZIONE nasce la fisica moderna. E Steiner dirà: "solo per effetto di tale separazione" (R. Steiner, "Nascita e sviluppo storico della scienza", Ed. Antroposofica, VII conferenza).

Con questa separazione però è impossibile esprimere scientificamente l'idea di moto. Figuriamoci il moto della luce, la velocità della luce...

Questo è dunque il problema: senza la mia partecipazione al moto, in quanto osservatore mi è infatti completamente indifferente se sia quel dato oggetto a muoversi rispetto a un altro o se sia quell'altro ad essere in movimento. Si pensi per esempio all'attore che sta al volante di un auto ferma in uno studio cinematografico, e che sembra essere in corsa perché numerose immagini di una strada e di un paesaggio sfilano dietro di lui in velocità. Se io guardo queste immagini ho l'illusione del movimento di un oggetto che però nella realtà è fermo. Quel movimento è dunque qualcosa di RELATIVO. Ma se sono io a camminare, nessuno, neanche la "Scienza" può dirmi, neppure secondo la teoria della relatività di Einstein o di un altro "genio", o di un altro "dio", che è indifferente o relativo se sia io a muovermi o se sia il terreno a farlo in direzione opposta.

Eppure la scienza di oggi ha ancora questa pretesa, una pretesa "scientifica" costruita su concetti totalmente inattuabili. Einstein, nel suo scritto "Sulla teoria speciale e generale della relatività", Ed. Zanichelli, Bologna, 1921 ("Über die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie", Vieweg, Braunschweig 1917), esprime la sua teoria della relatività servendosi di astrazioni talmente astratte da essere totalmente inapplicabili al mondo reale. Einstein si serve di un esempio che può essere solo immaginato ma non realizzato. Si tratta dell'idea di un uomo che ha in mano una piuma e un legno da far cadere sperimentalmente. Questo uomo si trova all'interno di una cassa lontana da ogni campo gravitazionale e, ciò nonostante, attaccata a una fune. Già questo la dice lunga... Se manca la gravità a cosa serve la fune? Il ragionamento è comunque più o meno il seguente: se l'uomo lascia la presa della piuma e del legno, non è detto che il legno e la piuma cadano sul fondo; potrebbe darsi che sia l'intera cassa a venir sollevata verso l'alto...

 

Ecco, cose di questo genere sono state oggetto di dibattito scientifico e sono state prese per grandi scoperte.

In realtà non sono altro che la testimonianza di come si sia giunti a un'astrazione estrema, cioè di come il materialismo, proprio per quella via, tanto abbia fatto che oggi riusciamo a vivere in una costruzione di pensieri totalmente avulsi da ogni realtà (cfr. R. Steiner, "Corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo", Ed. Antroposofica, VIII Conferenza).

Se da una parte Newton era ancora del tutto certo di poter ammettere dei moti assoluti, con pensieri basati su una concezione della matematica totalmente quantitativa, dall'altra, pensatori come Einstein - dice Steiner - si accorgono che, assieme all'esperienza interiore, l'uomo si stava perdendo anche la conoscenza del moto. Cioè: dopo quattro secoli di copernicanesimo esclusivamente matematico-quantitativo, era dunque ora necessario avvertire gli uomini che le cose non erano giuste, che le proposizioni matematiche non erano giuste, che anche la matematica era un'opinione materialistica. Ecco dunque l'impegno di superare questa concezione materialistica, che farà dire ad Einstein frasi come la seguente (a Berlino, nella conferenza del 1921): "Nella misura in cui le si riferiscono alla realtà, esse [le proposizioni matematiche] non sono certe, e nella misura in cui sono certe, non si riferiscono alla realtà". Per me questo è un altro giochetto di parole nello stile solito di Einstein, un affabulatore [dato che, sì, la misura di quel palo non è quel palo; ma la misura SI RIFERISCE certamente ad esso, cioè alla SUA lunghezza; è chiaro che dicendo ciò della luce, e cioè della misura della della luce o della sua velocità, Einstein avrebbe dovuto dire che la realtà della luce è NON misurabile... ed allora ha furbescamente spostato il suo scardinamento concettuale sul "riferimento al reale", reale che comunque avrebbe dovuto precedentemente caratterizzare o definire... Che cosa infatti sia la realtà per Einstein è rimasto un mistero... anche per tutta la fisica contemporanea].

 

Ovviamente tali "proposizioni matematiche" non hanno più nulla della "màthesis" mistico-qualitativa di Giordano Bruno. E l'avvertimento di Einstein è pertanto tipico di un'umanità completamente già sottomessa al regno della quantità, dato che per Einstein e per la scienza contemporanea i numeri NON sono ritmo, né gli antichi Numi o Dei, ma mere convenzioni: NUMERI, non NUMI. Invece l'aritmetica ha ritmo in sé (anche etimologicamente), il quale - come un cuore umano - è in grado di generare unità aritmetiche che il cervello trasforma poi astrattamente in unità di misura convenzionali.

 

Invece le convenzioni [le unità di misura] non sono in grado di generare unità aritmetiche, né battiti cardiaci.

La teoria della relatività di Einstein è, da questo punto di vista, una necessità storica del sub-umano: dovrà esistere fino a quando si riuscirà a farne a meno.

 

E questo farne a meno incomincia appunto ad essere testimoniato nelle opere del matematico Umberto Bartocci e in quelle di Roberto Monti.

Insomma, la teoria della relatività esiste nella misura in cui l'uomo continua a valersi di concetti che prescindono del tutto dall'uomo. Infatti, "volendo conseguire conoscenza del moto o dello stato di quiete, occorre partecipare all'esperienza del moto o dello stato di quiete. Se non sono sperimentati, perfino moto e quiete sono reciprocamente soltanto relativi" (R. Steiner, "Nascita e sviluppo storico della scienza", VII conferenza, Ed. Antroposofica).

Il dilemma di oggi è appunto questo: superare la teoria della relatività... assieme al relativismo del pensiero odierno, sconfinante nel nichilismo.

Oggi con Einstein si arriva infatti a sostenere, in nome del "pluralismo" del pensiero o pluralismo kulturale, che TUTTO è relativo e che quindi anche il pensiero matematico è relativo ed è un'opinione, escludendo però da quel TUTTO la conclusione del relativismo, che si considera invece assoluta.

 

Per operazioni di relativizzazione come questa, ovviamente, l'intuizione non serve. Serve la creduloneria. Però senza intuizione non può esservi sviluppo, non solo in Fisica ma in ogni campo culturale... Ne parlerò nel prossimo video.