Elogio a Umberto Bartocci

 

MATEMATICA DENTRO

 

 

 

"Chi ha paura della storia?". Così incomincia la Prefazione del libro di Umberto Bartocci "La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di Stato?". Bartocci è anche uno storico e sono arrivato a lui attraverso un volume curato da Marco Mamone Capria intitolato "La costruzione dell'immagine scientifica del mondo. Mutamenti nella concezione dell'uomo e del cosmo dalla scoperta dell'America alla Meccanica quantistica" (Ed. La città del Sole, Napoli 1999). In questo volume vi è appunto un importante scritto di Bartocci intitolato "Alle origini della costruzione dell’immagine scientifica del mondo: un problema storiografico".

Tutto sommato, sia in Marco Mamone Capria che in Umberto Bartocci si parla della costruzione del MITO EINSTEIN, il nuovo mito, ad uso e consumo del New Word Order, cioè del Nuovo ordine mondiale, promosso tutt’ora dai vari papi, dalle varie chiese, dai vari governi e dall’attuale scientismo imperante nelle coscienze.

Questo potrà anche non essere creduto. E non è neanche da credere, se non si vuole cadere nel complottismo. Dico solo che è l'attuale tendenza anti-intuitiva o anti-logica dell'uomo del terzo millennio che, perdendo la sindéresi, cioè la propria facoltà di distinguere il bene dal male, in ultima analisi perdendo la propria umanità, non trova altra soluzione che combattere i propri simili in quanto terrestri senza terra come lui...

Si diventa sempre più deficienti di pensare.

E forse così deve essere perché tutto si ricicli in bene, anche se costerà caro.

Il nuovo ordine mondiale, quello reale, quello vero, non verrà imposto da politiche coercitive ma fluirà liberamente dal sano pensare, e da una sana fiducia nell'umano. Lo vediamo già nell'economia digitale che, grazie alla rete internet, si sta liberando dal capitalismo partitocratico in putrefazione.

Comunque voglio cominciare questo video col dire che LA MATEMATICA È DENTRO E NON FUORI DELL’UOMO e partirò dalla domanda di Bartocci: "Chi ha paura della storia?".

Chi ha paura dei documenti della storia? Chi ha paura della carta? La risposta è: l’ECONOMICISMO!, l’economicismo satanico contemporaneo, detto Arimane da Alessandro Manzoni, e detto Belial da Paolo di Tarso. Ci furono e ci sono infatti PROFONDE TRACCE DI ECONOMICISMO in tutta la storia, anzi in tutte le varie storie di sottomissioni, imperi, guerre, ecc. Queste tracce rimarranno finché l'uomo non imparerà a sottomettere a sé l'economicismo stesso, cioè lo stesso Arimane. E ci riuscirà.

L’economicismo ha paura della storia perché attraverso gli incartamenti vuole estromettere l'uomo terrestre dalla sua terra; vuole estromettere l'io dall'uomo e vuole estromettere lo spirito scientifico dalla scienza. Arimane vuole sottomettere l'uomo a sé: l'economicismo vuole sottomettere l'uomo a sé attraverso la carta, attraverso la burocrazia. Ecco perché le rivoluzioni armate non servono…

Dunque partirò da due libri storici. Chi ha paura della storia?

Sì, perché il vero significato della scienza compare in due pubblicazioni distanti circa un secolo una dall'altra. La prima fu il "Docta ignorantia", 1440, del cardinale Nicolò Cusano (1401-1464), e la seconda il "De revolutionibus orbium coelestium", 1543, di Copernico (1473-1543).

Nella prima pubblicazione si prendeva atto che la conoscenza non era più in grado di raggiungere in modo diretto lo spirito, cioè il santo NUME della ragione, e che solo col NUMERO, cioè con la più certa fra le scienze - la matematica - sarebbe stato ancora possibile sperare di avvicinarlo mediante figure simboliche.

Nella seconda pubblicazione (quella di Copernico), il sapere matematico era già applicato, appunto, da Copernico alla descrizione dell'universo.

Da allora si incominciò a vedere tutto in modo meccanico e ciò che per gli antichi saggi era spiritualità universale ("ANTROPOCOSMO" si diceva anticamente: Dio stesso come organismo concreto che riempiva l’universo, tutto questo) incominciava a diventare ciò che appare ancora oggi: un meccanismo (alla Piero Angela per intenderci, il quale vede perfino l’uomo come una macchina).

Anticamente l'uomo sentiva che tutto era NUME e non vi era contrasto fra soggetto interno e oggetto esterno. Oggi sente che tutto è NUMERO (o quanto, o quantità, REGNO DELLA QUANTITÀ) e sperimenta il contrasto.

Tipico di oggi è infatti il contrasto fra il soggetto che sta dentro di noi come NUME o LUME della ragione e l'oggetto che sta fuori come NUMERO o LUCE esteriore. Questo avviene quando la natura, che è sempre uguale a se stessa, incomincia ad essere avvertita come OGGETTO, oggetto da conoscere, e la conoscenza esige come meta l'OGGETTIVO. Ma il cosiddetto oggettivo degli scienziati attuali non è più il santo NUME degli antichi. Oggi "oggettivo" è solo ciò che è dotato di corpo materiale, e che può essere NUMERATO. Oggettiva è la quantità. Insomma LA QUANTITÀ DIVENTA L’OGGETTIVITÀ: LA QUANTITÀ È DIVENTATA L’OGGETTIVITÀ.

Ecco dunque come la natura, che deve essere compresa da me (soggetto) come qualcosa di "oggettivo" che sta fuori di me, diventa priva di "me", cioè priva di "io", PRIVA DI SPIRITO: l'uomo si mette alla ricerca di una scienza naturale esteriore nella misura in cui perde il proprio nesso interiore con la natura e con se stesso.

E lo abbiamo perso questo nesso interiore!

Quindi va ritrovato.

Perfino lo spirito del linguaggio testimonia questa perdita ma nessuno l'ascolta.

Eppure l'incongruenza che tale spirito mostra è notevole: già nella parola "natura" vi è un rapporto etimologico col "nascere" vitale, mentre quel che oggi si intende per "natura" è solo e soprattutto un mondo che abbraccia - "scientificamente" - solo ciò che è morto (quindi niente vitale). Per esempio, la conoscenza della natura del corpo umano è oggi ritenuta scientificamente valida in misura di autopsia, cioè si acquista dal sezionamento di cadaveri. La kultura del cadavere impera (ovviamente la kultura con la kappa)...

Anche la posizione attualmente assunta nei confronti della matematica e del suo rapporto con la realtà è significativa per la comprensione del pensiero scientifico di oggi. Per un matematico di oggi esporre la geometria significa prendere le mosse dalle tre dimensioni dello spazio. E nello spazio tridimensionale distingue tre direzioni.

Ma non sarebbe mai giunto a concepirle, se non avesse già in sé la possibilità di sperimentare quel triplice orientamento. TRIPLICE, dunque:

- 1ª possibilità di orientamento: dall'avanti all'indietro, per esempio nella funzione dell'alimentazione: già il semplice succhiare il latte materno fa sperimentare il direzionale senso rettilineo da fuori (avanti) a dentro (indietro);
- 2ª possibilità di orientamento: simmetrico bilaterale, per esempio nel movimento del braccio destro e in quello simmetrico del sinistro;
- 3ª possibilità di orientamento: dal basso all'alto, nel cambiamento di direzionalità dell'infante che a poco a poco si erge in piedi, terminando la fase dello strisciare per terra o di camminare a quattro gambe.

Questi tre orientamenti dell'uomo sono invece considerati oggi come qualcosa di esterno: i processi che nell'organismo si svolgono essenzialmente dall'avanti all'indietro, da destra a sinistra (o da sinistra a destra) e dall'alto in basso, non sono più sperimentati nella loro QUALITÀ interiore, ma solo osservati esteriormente: lo schema spaziale escogitato dalla geometria analitica che pone un punto in uno spazio astratto e traccia tre coordinate ortogonali. Questo è sentito come VUOTO, e separato da qualsiasi sua esperienza.

È anche per questo motivo che la matematica insegnata a scuola è quasi sempre vissuta dagli scolari come qualcosa di ostile. Non si tratta di antipatia immotivata verso questa materia, bensì del fatto che la matematica nel corso di questi ultimi quattro o cinque secoli è stata sempre più "disumanizzata" e inaridita, cioè del tutto astrattizzata dal proprio umano contesto.

La differenza fra l'antica concezione di matematica, legata all'esperienza umana, e quella moderna, asetticamente estrapolata dalla vita interiore, appare caratterizzata anche dal fatto che oggi si perde sempre più confidenza già con lo spirito stesso del nostro linguaggio: ci si allontana talmente da questo spirito che è sempre più difficile essere consapevoli della differenza, per esempio, fra "concetto" (che è un contenuto interiore, concettuale; il contenuto concettuale è immateriale o spirituale) e "parola" (materializzazione, sonora o scritta, del concetto).

I nomi dei numeri sono esempi illuminanti di tale allontanamento. Si pensi per esempio alla parola "due", etimologicamente formatrice della parola "dubbio", che è uno stato d'animo incerto fra pensieri diversi o contrari ondeggiante quasi fra "due" pensieri. "Due", in tedesco si dice "zwei", e questa parola esprime distintamente ancora un processo concreto: il verbo "entzweien" significa infatti "spaccare in due", "separare", ed ha anch'esso un'affinità con il dubitare, che si dice "zweifeln". Se poi si tiene presente che la lettera U in latino si scrive V, si ritrova ancora un nesso con le lettere "dv" della parola italiana "dividere". Ciò dovrebbe bastare per prendere coscienza (o meglio riprendere coscienza) del rapporto fra matematica e interiorità. Per esempio, che il numero due sia espresso dalla radice di "entzweien" o di "dividere", non è per nulla attribuibile a qualcosa di esteriore - come è avvenuto per lo schema spaziale tridimensionale - bensì proprio a un'esperienza interiore di schema, così come era per gli antichi.

Molte cose del nostro comune parlare sono tenute insieme da un vero e proprio ORGANISMO logico continuamente rivivificato dallo spirito del linguaggio.

Grazie all'osservazione del linguaggio si può prendere atto di come sia profondamente radicato nella cultura contemporanea tutto questo "dilemma attuale" della nostra civiltà, di cui si può mostrare un ulteriore e importante aspetto: l'idea di "mistica" ha assunto sempre più un senso di morbosità dovuto all'uso ideologico-confessionale del termine (nel concetto antico della perfezione dei numeri infatti - scrive Arturo Reghini nella sua opera sui numeri pitagorici - non c'è «nulla di "mistico" nel senso moderno, morboso e deteriore della parola; e del resto - continua - tutta l'arcaica aritmetica mistica [...] di cui si occuparono il cardinale Niccolò Cusano [...] e Giordano Bruno, sebbene poco accessibile e poco conforme alla mentalità occidentale odierna, è una cosa assai più seria di quella "mistica dei numeri perfetti" di cui Pareto si è fatto facile beffa»: A. Reghini, "Dei numeri pitagorici", Ed. Ignis, p. 16; Vilfredo Pareto, "Trattato di Sociologia Generale, Firenze, 1916, 2 ed., Vol. I, p. 497).

Nei primi secoli cristiani però mistica e matematica erano importanti entrambe e la matematica non aveva più importanza della mistica. Era mistica, MISTICA OGGETTIVA: LA MISTICA SI SPERIMENTAVA NELL'ATTIVITÀ INTERIORE; LA MATEMATICA ERA UNA MISTICA CHE SI SPERIMENTAVA ANCHE COL CORPO. E non vi era ancora la SEPARAZIONE che vi è oggi fra mistica e matematica.

E Giordano Bruno, che fu messo al rogo nel 1600 era ancora uno che non faceva questa SEPARAZIONE. Ne parlerò ancora: nel prossimo video.