Discorso
tenuto da Giovanni Paolo II il - 15 Novembre 2002 - Montecitorio
"Signor Presidente della Repubblica Italiana, Onorevoli Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato, Signor Presidente del Consiglio dei Ministri, Onorevoli Deputati e Senatori! Mi sento profondamente onorato per la solenne accoglienza che mi viene oggi tributata in questa sede prestigiosa, nella quale l'intero popolo italiano è da voi degnamente rappresentato. A tutti ed a ciascuno rivolgo il mio saluto deferente e cordiale, ben consapevole del forte significato della presenza del Successore di Pietro nel Parlamento Italiano.
Ringrazio il Signor
Presidente della Camera dei Deputati ed il Signor Presidente del Senato della
Repubblica per le nobili parole con cui hanno interpretato i comuni sentimenti,
dando voce anche ai milioni di cittadini del cui affetto ho quotidiane
attestazioni nelle molte occasioni in cui mi è dato di incontrarli. E' un
affetto che mi ha accompagnato sempre, fin dai primi mesi della mia elezione
alla sede di Pietro. Per esso voglio esprimere a tutti gli italiani, anche in
questa circostanza, la mia viva gratitudine.
Già negli anni degli studi a Roma
e poi nelle periodiche visite che facevo in Italia come vescovo, specialmente
durante il Concilio ecumenico Vaticano II, è venuta crescendo nel mio animo
l'ammirazione per un Paese in cui l'annuncio evangelico, qui giunto fin dai
tempi apostolici, ha suscitato una civiltà ricca di valori universali ed una
fioritura di mirabili opere d'arte, nelle quali i misteri della fede hanno
trovato espressione in immagini di bellezza incomparabile.
Quante volte ho toccato, per
così dire, con mano le tracce gloriose che la religione cristiana ha impresso
nel costume e nella cultura del popolo italiano, concretandosi anche in tante
figure di Santi e di Sante il cui carisma ha esercitato un influsso
straordinario sulle popolazioni d'Europa e del mondo. Basti pensare a San
Francesco d'Assisi ed a Santa Caterina da Siena, Patroni d'Italia.
Davvero profondo è il legame
esistente fra la Santa Sede e l'Italia! Ben sappiamo che esso è passato
attraverso fasi e vicende tra loro assai diverse, non sfuggendo alle
vicissitudini e alle contraddizioni della storia. Ma dobbiamo al tempo stesso
riconoscere che, proprio nel susseguirsi a volte tumultuoso degli eventi, esso
ha suscitato impulsi altamente positivi sia per la Chiesa di Roma, e quindi per
la Chiesa Cattolica, sia per la diletta Nazione italiana.
A quest'opera di
avvicinamento e di collaborazione, nel rispetto della reciproca indipendenza e
autonomia, hanno molto contribuito i grandi Papi che l'Italia ha dato alla
Chiesa ed al mondo nel secolo scorso: basti pensare a Pio XI, il Papa della
Conciliazione, ed a Pio XII, il Papa della salvezza di Roma, e, più vicini a
noi, ai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, dei quali io stesso, come Giovanni Paolo
I, ho voluto assumere il nome.
Tentando di gettare uno
sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l'identità
sociale e culturale dell'Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto
ed adempie in Europa e nel mondo ben difficilmente si potrebbero comprendere al
di fuori di quella linfa vitale che è costituita dal cristianesimo. Mi sia
pertanto consentito di invitare rispettosamente voi, eletti Rappresentanti di
questa Nazione, e con voi tutto il popolo italiano, a nutrire una convinta e
meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dagli avi.
E' sulla base di una simile
fiducia che si possono affrontare con lucidità i problemi, pur complessi e
difficili, del momento presente, e spingere anzi audacemente lo sguardo verso il
futuro, interrogandosi sul contributo che l'Italia può dare agli sviluppi della
civiltà umana.
Alla luce della straordinaria
esperienza giuridica maturata nel corso dei secoli a partire dalla Roma pagana,
come non sentire l'impegno, ad esempio, di continuare ad offrire al mondo il
fondamentale messaggio secondo cui, al centro di ogni giusto ordine civile, deve
esservi il rispetto per l'uomo, per la sua dignità e per i suoi inalienabili
diritti? A ragione già l'antico adagio sentenziava: Hominum causa omne ius
constitutum est. E' implicita, in tale affermazione, la convinzione che esista
una 'verita' sull'uomo, che si impone al di là delle barriere di lingue e
culture diverse.
In questa prospettiva, parlando
davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite nel 50esimo anniversario di
fondazione, ho ricordato che vi sono diritti umani universali, radicati nella
natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze oggettive di una
legge morale universale. Ed aggiungevo: 'Ben lungi dall'essere affermazioni
astratte, questi diritti ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla
vita concreta di ogni uomo e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano che non
viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario, vi è
una logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo
tra gli uomini e tra i popoli' (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVIII/2,
1995, p. 732).
Seguendo con attenzione amica il
cammino di questa grande Nazione, sono indotto inoltre a ritenere che, per
meglio esprimere le sue doti caratteristiche, essa abbia bisogno di incrementare
la sua solidarietà e coesione interna. Per le ricchezze della sua lunga storia,
come per la molteplicità e vivacità delle presenze e iniziative sociali,
culturali ed economiche che variamente configurano le sue genti e il suo
territorio, la realtà dell'Italia è certamente assai complessa e sarebbe
impoverita e mortificata da forzate uniformità.
La via che consente di mantenere e
valorizzare le differenze, senza che queste diventino motivi di contrapposizione
ed ostacoli al comune progresso è quella di una sincera e leale solidarietà.
Essa ha profonde radici nell'animo e nei costumi del popolo italiano e
attualmente si esprime, tra l'altro, in numerose e benemerite forme di
volontariato. Ma di essa si avverte il bisogno anche nei rapporti tra le
molteplici componenti sociali della popolazione e le diverse aree geografiche in
cui essa è distribuita.
Voi stessi, come responsabili
politici e rappresentanti delle Istituzioni, potete dare su questo terreno un
esempio particolarmente importante ed efficace, tanto più significativo quanto
più la dialettica dei rapporti politici spinge invece ad evidenziare i
contrasti. La vostra attività, infatti, si qualifica in tutta la sua nobiltà
nella misura in cui si rivela mossa da un autentico spirito di servizio ai
cittadini. Decisiva è, in questa prospettiva, la presenza nell'animo di
ciascuno di una viva sensibilità per il bene comune.
L'insegnamento del Concilio
Vaticano II in materia è molto chiaro: "La comunità politica esiste (...)
in funzione di quel bene comune nel quale essa trova significato e piena
giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e
proprio" (Gaudium et spes, 74).
Le sfide che stanno davanti
ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà,
indipendentemente dall'opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e
generosa all'edificazione del bene comune della Nazione. Tale cooperazione,
peraltro, non può prescindere dal riferimento ai fondamentali valori etici
iscritti nella natura stessa dell'essere umano.
Al riguardo, nella Lettera
enciclica Veritatis splendor mettevo in guardia dal "rischio dell'alleanza
fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni
sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del
riconoscimento della verità" (n. 101). Infatti, se non esiste nessuna
verità ultima che guidi e orienti l'azione politica, annotavo in un'altra
Lettera enciclica, la Centesimus annus, "le idee e le convinzioni possono
essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza
valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come
dimostra la storia" (n. 46).
Non posso sottacere, in una così
solenne circostanza, un'altra grave minaccia che pesa sul futuro di questo
Paese, condizionando già oggi la sua vita e le sue possibilità di sviluppo. Mi
riferisco alla crisi delle nascite, al declino demografico e all'invecchiamento
della popolazione. La cruda evidenza delle cifre costringe a prendere atto dei
problemi umani, sociali ed economici che questa crisi inevitabilmente porrà
all'Italia nei prossimi decenni, ma soprattutto stimola - anzi, oso dire,
obbliga - i cittadini ad un impegno responsabile e convergente, per favorire una
netta inversione di tendenza.
L'azione pastorale a favore
della famiglia e dell'accoglienza della vita, e più in generale di un'esistenza
aperta alla logica del dono di sé, sono il contributo che la Chiesa offre alla
costruzione di una mentalità e di una cultura all'interno delle quali questa
inversione di tendenza diventi possibile. Ma sono grandi anche gli spazi per
un'iniziativa politica che, mantenendo fermo il riconoscimento dei diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, secondo il dettato della
stessa Costituzione della Repubblica Italiana (cfr art. 29), renda socialmente
ed economicamente meno onerose la generazione e l'educazione dei figli.
In un tempo di cambiamenti
spesso radicali, nel quale sembrano diventare irrilevanti le esperienze del
passato, aumenta la necessità di una solida formazione della persona. Anche
questo, illustri Rappresentanti del popolo italiano, è un campo nel quale è
richiesta la più ampia collaborazione, affinché le responsabilità primarie
dei genitori trovino adeguati sostegni. La formazione intellettuale e
l'educazione morale dei giovani rimangono le due vie fondamentali attraverso le
quali, negli anni decisivi della crescita, ciascuno può mettere alla prova se
stesso, allargare gli orizzonti della mente e prepararsi ad affrontare la realtà
della vita.
L'uomo vive di un'esistenza
autenticamente umana grazie alla cultura. E' mediante la cultura che l'uomo
diventa più uomo, accede più intensamente all' 'essere' che gli è proprio. E'
chiaro, peraltro, all'occhio del saggio che l'uomo conta come uomo per ciò che
è più che per ciò che ha. Il valore umano della persona è in diretta ed
essenziale relazione con l'essere, non con l'avere. Proprio per questo una
Nazione sollecita del proprio futuro favorisce lo sviluppo della scuola in un
sano clima di libertà, e non lesina gli sforzi per migliorarne la qualità, in
stretta connessione con le famiglie e con tutte le componenti sociali, così
come del resto avviene nella maggior parte dei Paesi europei.
Non meno importante, per la
formazione della persona, è poi il clima morale che predomina nei rapporti
sociali e che attualmente trova una massiccia e condizionante espressione nei
mezzi di comunicazione: è questa una sfida che chiama in causa ogni persona e
famiglia, ma che interpella a titolo peculiare chi ha maggiori responsabilità
politiche e istituzionali. La Chiesa, per parte sua, non si stancherà di
svolgere, anche in questo campo, quella missione educativa che appartiene alla
sua stessa natura.
Il carattere realmente umanistico
di un corpo sociale si manifesta particolarmente nell'attenzione che esso riesce
ad esprimere verso le sue membra più deboli. Guardando al cammino percorso
dall'Italia in questi quasi sessant'anni dalle rovine della seconda guerra
mondiale, non si possono non ammirare gli ingenti progressi compiuti verso una
società nella quale siano assicurate a tutti accettabili condizioni di vita. Ma
è altrettanto inevitabile riconoscere la tuttora grave crisi dell'occupazione
soprattutto giovanile e le molte povertà, miserie ed emarginazioni, antiche e
nuove, che affliggono numerose persone e famiglie italiane o immigrate in questo
Paese. E' grande, quindi, il bisogno di una solidarietà spontanea e capillare,
alla quale la Chiesa è con ogni impegno protesa a dare di cuore il proprio
contributo.
Tale solidarietà, tuttavia, non
può non contare soprattutto sulla costante sollecitudine delle pubbliche
Istituzioni. In questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela
della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri,
nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento.
Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena
costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di
stimolarne l'impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento
nella società.
Un'Italia fiduciosa di sé e
internamente coesa costituisce una grande ricchezza per le altre Nazioni
d'Europa e del mondo. Desidero condividere con voi questa convinzione nel
momento in cui si stanno definendo i profili istituzionali dell'Unione Europea e
sembra ormai alle porte il suo allargamento a molti Paesi dell'Europa
centro-orientale, quasi a suggellare il superamento di una innaturale divisione.
Coltivo la fiducia che, anche per merito dell'Italia, alle nuove fondamenta
della 'casa comune' europea non manchi il 'cemento' di quella straordinaria
eredità religiosa, culturale e civile che ha reso grande l'Europa nei secoli.
E' quindi necessario stare
in guardia da una visione del Continente che ne consideri soltanto gli aspetti
economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati
ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito.
Se si vuole dare durevole stabilità
alla nuova unità europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei
fondamenti etici che ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso
spazio alla ricchezza e alla diversità delle culture e delle tradizioni che
caratterizzano le singole nazioni. Vorrei anche in questo nobile Consesso
rinnovare l'appello che in questi anni ho rivolto ai vari Popoli del Continente:
"Europa, all'inizio di un nuovo millennio, apri ancora le tue porte a
Cristo!".
Il nuovo secolo da poco iniziato
porta con sé un crescente bisogno di concordia, di solidarietà e di pace tra
le Nazioni: è questa infatti l'esigenza ineludibile di un mondo sempre più
interdipendente e tenuto insieme da una rete globale di scambi e di
comunicazioni, in cui tuttavia spaventose disuguaglianze continuano a
sussistere.
Purtroppo le speranze di pace sono
brutalmente contraddette dall'inasprirsi di cronici conflitti, a cominciare da
quello che insanguina la Terra Santa. A ciò s'aggiunge il terrorismo
internazionale con la nuova e terribile dimensione che ha assunto, chiamando in
causa in maniera totalmente distorta anche le grandi religioni. Proprio in una
tale situazione le religioni sono invece stimolate a far emergere tutto il loro
potenziale di pace, orientando e quasi "convertendo" verso la
reciproca comprensione le culture e le civiltà che da esse traggono
ispirazione.
Per questa grande impresa,
dai cui esiti dipenderanno nei prossimi decenni le sorti del genere umano, il
cristianesimo ha un'attitudine e una responsabilità del tutto peculiari:
annunciando il Dio dell'amore, esso si propone come la religione del reciproco
rispetto, del perdono e della riconciliazione.
L'Italia e le altre Nazioni
che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono quasi
intrinsecamente preparate ad aprire all'umanità nuovi cammini di pace, non
ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi
imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni.
Illustri Rappresentanti del
Popolo italiano, dal mio cuore sgorga spontanea una preghiera: da questa
antichissima e gloriosa Città - da questa "Roma onde Cristo è
Romano", secondo la ben nota definizione di Dante (Purg. 32, 102) -chiedo
al Redentore dell'uomo di far sì che l'amata Nazione italiana possa continuare,
nel presente e nel futuro, a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo
ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso
materiale e spirituale del mondo intero. Dio benedica l'Italia! ".