CAPITOLO 26

Don Abbondio tace e nulla sa ribattere agli argomenti del cardinale, così pieni di realtà divina e di fervore; egli ha scolpite in mente, ed in modo incancellabile, le minacce di don Rodrigo; il prelato allora, interpretando il silenzio di don Abbondio come una colpa evidente, non esita a dirgli che ha ubbidito alla iniquità, senza badare a ciò che il dovere prescrive, che se la paura gli ha impedito di fare quanto era suo dovere, poteva almeno avvertire il suo superiore. E mentre prosegue dicendo che « l’iniquità non sempre si fonda sulle sue forze, ma anche sulla credulità e sullo spavento altrui,» a don Abbondio viene in mente Perpetua, di cui non ha accettato il consiglio di riferire l’incontro con i bravi al cardinale. Intanto il cardinale accusa don Abbondio di essere colpevole del traviamento di Renzo e delle tribolazioni di Lucia; il curato allora, pur non riuscendo a scacciare la paura, promette che se si presenterà qualche altra occasione, non verrà meno al suo ministero.

Il giorno seguente, come stabilito, Lucia è costretta per la seconda volta abbandonare il paese con tanta amarezza e rifugiarsi in casa di donna Prassede. L’innominato frattanto, tramite il cardinale, fa pervenire alla madre di Lucia cento scudi d’oro, «per servir di dote alla giovine, o per quell’uso che ad esse sarebbe parso migliore;» e comunica anche che per qualunque servizio per lui sarebbe una fortuna mettersi a loro disposizione.

All’alba del giorno seguente Agnese, mantenendo la promessa, si avvia verso la villa di donna Prassede, a visitar la figlia. Quando le due donne sono sole, Agnese informa a figlia del gesto generoso dell’innominato e dei suoi progetti, ora che hanno tanto denaro. Speriamo — dice la madre — che non sia successo nulla a Renzo, che ho « sempre riguar­dato come un mio figliolo,» e quando avrà dato notizie, « ti vengo a prendere io a Milano. ». Ma ve­dendo che la figlia l’ascolta con freddezza, con una « tenerezza senz’allegria,» e che è accorata, ne chiede il motivo. Allora Lucia, alle domande pressanti della madre, pentita di non averla informata prima, risponde che non può divenire più moglie di Renzo, e, « col petto ansante,» rivela il voto, descrivendo quella notte infernale, in cui si è decisa di pronunciarlo. La madre si amareggia, ma non si arrabbia, parendole «che sarebbe un prendersela col cielo. ». Madre e figlia parlano anche di Renzo, solo e lontano, e pensano alle sue sofferenze. Ma a Lucia interessa soltanto che egli sia salvo, per il resto non deve « pensar più a quel poverino, » anzi vuole che gli si invii una lettera, ma che la scriva una persona prudente e fidata, (il cugino Alessio) e lo informi che ha fatto voto « e che metta il cuore in pace,» e in pari tempo propone alla madre, che accetta liberamente  e senza difficoltà, poiché a Renzo « hanno troncato il suo avviamento, gli hanno portano via la sua roba,quei risparmi che aveva fatti, » di mandargli metà della somma avuta dall’innominato. Lucia ringrazia la madre, per aver esaudito il suo desiderio, e con affetto profondo e sincero, le confida che ella sarà felice quando potrà viver            accanto a lei. Con queste attestazioni di reciproco affetto le due donne si separarono.

E’ passato gran tempo, e malgrado si fosse interessato segretamente anche il cardinale, di Renzo non si sa nulla di preciso; corrono delle voci, ma non hanno alcun fondamento di verità.

Lo stesso governatore di Milano, don Gonzalo Fernandez aveva protestato col residente di Venezia, per avere accolto un « ladrone pubblico, » Lorenzo Tramaglino, nel territorio bergamasco. Tutto questo fracasso intorno al nome di Renzo indusse Bortolo a trasferire il cugino in un altro filatoio, presentandolo col nome di Antonio Rivolta.


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