CAPITOLO 17

Le parole udite all’osteria hanno agitato l’animo del povero Renzo, che è convinto di essere cercato ovunque, per essere sbattuto in prigione; pertanto, lasciando Gorgonzola, è combattuto da due diversi pensieri: correre per arrivare presto a Bergamo, o star nascosto. Fiducioso che l’oscurità non permetterà a nessuno di riconoscerlo, decide di proseguire verso Bergamo.

Imbocca subito « una stradicciola a mancina », sicuro di allontanarsi da Milano, e intanto, con tanta rabbia in corpo, pensa di essere vittima della malvagità altrui, che quanto ha riferito quel mercante è falso, che lui non ha commesso nulla di male, che lui ha rischiato d’esser travolto, per salvare il vicario, che quel fascio di lettere è pura e semplice fantasia dei malvagi, che si tratta di una sola lettera, scritta da un religioso ad un altro religioso. E intanto, mentre si allontana sempre più da Milano; la paura di essere inseguito o scoperto non gli dà più fastidio; lo infastidiscono, invece, « le tenebre, la solitudine, la stanchezza cresciuta », e il dover camminare di notte, come un malvivente o ladro, giacché di notte si trova in strada solo « un cavaliere in carrozza ».

Renzo, intanto, continua a brancolare nel buio, lontano dal consorzio umano; la campagna è incolta, selvaggia; la sua mente è tempestata da immagini orribili e da fantasmi: reminescenze infantili. Ha terrore, e recita delle preghiere, per sentirsi un po’ sollevato. Ora si addentra, anche se contro voglia, e con un certo ribrezzo, in un bosco; gli alberi si stagliano a guisa di mostri; il fruscìo delle foglie calpestate gli dà fastidio, la brezza pungente gli penetra sino alle ossa: per il povero Renzo è un momento drammatico, che l’autore descrive con sublimi accenti poetici. Sembra esser preda del terrore; quella solitudine in un mare d’oscurità lo atterrisce; si ferma un istante, ed è sul punto «di tornare tra gli uomini, e di cercar un ricovero, anche all’osteria ». Ma ecco, come per un prodigio divino, un gorgoglìo arrivare al suo orecchia, ascolta più attentamente: « è l’Adda ». Corre verso il rumore, e vede luccicare l’Adda, e in lontananza, al di là dell’altra riva, «una macchia biancastra »: è Bergamo. Quindi, rincuorato, passa la notte in una capanna, non molto lontana dal fiume, in attesa dell’alba.

Renzo nella capanna non fa un sonno tranquillo; appena ha chiuso gli occhi, immagini odiose affollano la sua mente (il notaio, l’avvocato Azzeccagarbugli, l’oste, don Rodrigo, ecc.), solo tre persone gli sono care e gli tornano gradite alla mente: padre Cristoforo, Lucia e Agnese.

All’alba, « con un cielo che prometteva una bella giornata », Renzo, data un’occhiata a destra e a manca, e non scorgendo alcuno, si avvia verso il fiume, e qui un pescatore dietro compenso di « una berlinga », lo trasporta a altra riva. Una volta messo piede a terra, senza più la cautela di prima, ma con naturale disinvoltura, si avvia verso Bergamo.

Mentre percorre l’ultimo tratto del suo viaggio, il suo animo si riempie di tristezza, nel vedere in quei luoghi tanta miseria e desolazione; ed è felice di privarsi di quei pochi spiccioli rimasti, per soccorrere dei disgraziati che soffrivano la fame; per quella buona azione si sente riconfortato. « La c’è la Provvidenza », pensava tra sé.

Sereno e fiducioso nel futuro, si abbandona a delle rosee previsioni, come la possibilità di trovar lavoro, di metter su casa, di chiamare Agnese e Lucia, e, finalmente, di sposare.

Ma, mentre Renzo con la fantasia anticipa il suo futuro, ecco che giunge a Bergamo! L’incontro con Bortolo è molto affettuoso; il cugino si dimostra cordiale e generoso; gli promette tutto il suo interessamento, farà in modo che potrà vivere tranquillamente, anche se è tempo di carestia.


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