CAPITOLO 15

Già Renzo è ubriaco fradicio, quando l’oste lo invita a mettersi a letto. Si regge malamente all’impiedi, e se non ci fosse stato il suo aiuto, da solo non sarebbe riuscito a salire al piano superiore. Tra Renzo, che vaneggia, e l’oste c’è uno scambio vivace di battute; poi, prima ancora che sia sopraffatto dal sonno, l’oste sottrae dalle tasche del suo cliente l’importo che onestamente gli spetta, senza approfittare della rimanente somma, cosa che non avrebbe fatto un uomo senza scrupoli.

In fondo l’oste non è perfido; di Renzo, poi, ha un buon concetto. Se è costretto a denunciarlo è perché è venuto alla sua osteria in compagnia di uno sbirro; se fosse venuto solo, avrebbe chiuso un occhio.

L’oste, così ben descritto dal Manzoni, pur occupando breve spazio nel romanzo, è un uomo di consumata esperienza. Alla moglie, che in sua assenza deve sostituirlo nell’osteria, fa un quadro con chiarezza scultorea degli avventori; e raccomanda prudenza, poiché quei clienti scapestrati, ne dicono di tutti i colori.

Quando l’oste si trova dinanzi al notaio criminale, rende un’esatta e onesta deposizione; non accumula accuse contro Renzo, anzi tenta di scagionarlo fin dove è possibile. Infatti, quando il notaio chiede se il suo avventore stia preparando altri tumulti per domani, egli non esita a dire che è andato a letto.

Il giorno dopo, di buon mattino, il povero Renzo è svegliato di soprassalto. Nella sua stanza vi sono due sbirri e il notaio per arrestano. Sorpreso d’esser chiamato per nome, poiché non ricorda d’averlo svelato, si svolge una schermaglia tra lui e il notaio. Quando a Renzo viene riferito che devono portarlo via, si oppone; gli sbirri, allora, vorrebbero usare la forza, ma il notaio fa cenno di aver pazienza, vuole condurre via Renzo « d’amore e d’accordo ». Egli infatti aveva notato per le strade un certo movimento e ciò lo preoccupava.

Quando sono in cammino, il notaio, come a volersi accattivare la simpatia, ordina ai due sbirri di non far male a Renzo, al quale consiglia di essere prudente, di non girar la testa di qua e di là, di andare, insomma, « raccolto e quieto ». Vedrete, continuava a dirgli il notaio: « di qui a un’ora voi siete in libertà: c’è tanto da fare che avranno fretta anche loro di sbrigarvi: e poi parlerò io ».

Naturalmente Renzo non crede all’aiuto che con tanta generosità dice di offrirgli il notaio; capisce benissimo che il suo interlocutore teme che per istrada si presenti «qualche buona occasione per scappargli di mano ».

D’altra parte non bisogna credere che il notaio fosse una persona incapace o inesperta; egli è « un furbo matricolato »; è solamente preoccupato per certi movimenti che ha visto e non desidera imbattersi in qualche crocchio di tumultuosi; sarebbe per lui una figura meschina.

Ma Renzo, rammentandosi dell’appuntamento fissato il giorno innanzi sulla piazza del duomo, spera in cuor suo di incontrare qualcuno dei suoi compagni; e si muove, si agita, guarda a destra e a manca, e il notaio alle spalle a sussurrargli: « Giudizio, giudizio! ». Ma Renzo, nel vedere tre persone inferocite che parlano di farina nascosta e di giustizia, incomincia a far loro dei cenni ed a tossire in modo non naturale. In poco tempo un gruppo di persone è a ridosso di Renzo e degli sbirri. E il notaio di dietro continua a sussurrare: « Badate a voi; giudizio, figliolo; peggio per voi, vedete, non guastate i fatti nostri; l’onore, la riputazione ».

Intanto gli sbirri, che avevano messo ai polsi di Renzo i manichini (specie di manette), pensando di far bene, danno una stretta che gli fa emettere un grido di dolore. A quel grido accorre altra gente, circonda la « comitiva », e vuol sapere cosa sia accaduto; e il notaio — le cui previsioni si sono avverate —bisbiglia che è un malvivente, un ladro colto sul fatto. (Ecco l’aiuto promesso). Ma Renzo, intuito che quello è il momento giusto, per essere liberato, incomincia a gridare: « figlioli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo. Aiutatemi, non m’abbandonate, figlioli! ».

Gli sbirri, all’incalzare della folla, incominciano a svignarsela. Anche il povero notaio, pallido e sbigottito, cerca di far la stessa cosa, e studia « tutte le maniere di comparire un estraneo ». Finalmente anche lui riesce nel suo intento.


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