Pii Fratres

 Il quinto componimento è una nenia dedicata a Flavia, una nuova Catanese, figlia dell’amico Massimo Licari, nata in questi giorni di Pasqua 2002; esso ha per oggetto la più antica leggenda del folclore catanese: i Pii Fratres. La storia è nota attraverso le testimonianze di diversi autori classici: Silio Italico XIV, 197; Pausania X, 38, 4; Valerio Massimo V, 4; Seneca De beneficiis III, 37, 2; Strabone VI, 2, 3; Ausonio Ordo urbium nobilium 91, 92; Claudiano, Carmina minora XIII, 1, 48. Si racconta che nel corso di un’eruzione dell’Etna, probabilmente nel 475 a. C., due fratelli catanesi, Anfinomo ed Anapia, al contrario dei loro concittadini, intenti a salvare soltanto i propri beni materiali, si preoccuparono di portar via i genitori infermi, caricandoseli sulle spalle: avendo sollevato l’uno il padre e l’altro la madre, i due fuggirono in gran fretta, con lo sguardo rivolto in su per controllare i moti dell’Etna. Inseguiti dalla lava e spossati dalla corsa, erano già sul punto di essere sopraffatti, quando prodigiosamente il magma, ormai prossimo, si divise in due fiumi lavici divergenti: i fratelli passarono in mezzo, nella zona non occupata dal fuoco, raggiungendo la salvezza per sé e per i genitori. Il loro esempio di devozione filiale diede di riflesso lustro a Catania, città “celebre per la pietà dei fratelli” (Quid Catinam memorem fratrum pietate celebrem? Ausonio). Per chi voglia saperne di più,

Tino Giuffrida, Catania, dalle origini alla dominazione normanna, Catania 1979, pp. 59-61;

Santi Correnti, La città semprerifiorente, Catania 1976, p. 163.

 

Pii Fratres

Dormi. Di fuori tacciono

i venti e la tempesta

né dentro alcuno strepito

improvvido ti desta

e dolcemente rulla

intanto la tua culla

per mano di papà.

 

La mamma con benevolo

sorriso il tutto mira,

mentre sull’asse un abito

minuscolo ti stira

che nonna fece a maglia,

e scherza sulla taglia

che presto non ti andrà.

 

Nascesti appena e t’amano

ormai più di se stessi

i due, che ti sorridono

e sempre nei tuoi pressi

s’aggirano contenti,

al tuo visino intenti,

se gli occhi apristi o no.

 

Cresci e di cuore, o piccola,

rïamali a tua volta,

secondo i loro meriti;

se puoi, frattanto ascolta

ed il più vecchio mito

del tuo retaggio avito

or io t’insegnerò.

 

Un dì che l’Etna fumido

sputò lapilli e lava

con un boato insolito,

l’incandescente bava

sommerse ogni paese

e minacciosa scese

verso la tua città.

 

I Catanesi, attoniti

al fragoroso botto,

dei propri beni fecero

un unico fagotto

e con quel peso in mano

fuggirono lontano

a gran velocità.

 

Ma due fratelli accorsero

d’anima schietta e pia -

i loro nomi Anfinomo

erano ed Anapia -

che di monili ed ori

i vecchi genitori

amavano di più.

 

Con impeto magnanimo

levò l’infermo padre

Anfinomo sugli omeri

ed Anapia la madre;

ciascuno, al caro pegno

fornito il suo sostegno,

scappò guardando in su.

 

Fino allo stremo corsero

e quasi già li cinse

la vampa inesorabile,

quand’ecco si distinse

in due roventi fiumi,

per la pietà dei numi

attenti alla virtù.

 

Nel mezzo i due passarono,

con sé le dolci some

traendo in salvo, e n’ebbero

imperituro nome:

sul loro esempio devi

l’amore che ricevi

renderlo un giorno tu.

 

Marco Tullio Messina