Peppa la Cannoniera
Il mio
ventesimo componimento è dedicato ad una singolare figura femminile, una
popolana che diede il suo contributo all’insurrezione dei Catanesi ai Borboni al
tempo dei Mille: Giuseppa Bolognara, conosciuta meglio come Peppa la
Cannoniera. In realtà era nata a Barcellona Pozzo di Gotto, ma risiedette a
Catania per quasi tutta la vita e pertanto possiamo ritenerla Catanese a tutti
gli effetti. Non era certo una gran bellezza, con la sua faccia butterata dal
vaiolo, anzi aveva dei tratti decisamente mascolini, ma ciò non toglie che sia
uno dei personaggi più cari alla memoria dei Catanesi. Il suo momento di gloria
ebbe luogo nella giornata del 31 maggio 1860, quando gli insorti, su
suggerimento di Peppa, collocarono un cannone nella Piazzetta Ogninella alle
spalle dell’esercito borbonico e spararono costringendo i nemici a fuggire e
lasciare un cannone sulla via. Nondimeno non fu possibile per i patrioti impadronirsi
del pezzo d’artiglieria, poiché i soldati vigilavano a distanza su di esso,
tirando colpi d’archibugio dalla Piazza degli Studi, in cui s’erano rifugiati.
Allora Peppa, con un cappio ed un po’ di ingegno, riuscì a recuperare il
cannone senza doversi esporre al pericolo. In seguito, mentre trasportava con
alcuni compagni l’arma conquistata, fu sorpresa da due squadroni di lancieri
che si prepararono alla carica. Peppa fu l’unica che non fuggì e rimase in
attesa dietro l’affusto simulando una cilecca per indurre i borbonici a
slanciarsi su di lei senza sospetti: quando furono vicini, la donna fece fuoco
causando gravi perdite agli assalitori. Dopo l’Unità, il Comune di Catania
concesse un premio di 216 ducati all’eroismo di Peppa, la quale smise gli abiti
femminili e trascorse il resto della propria vita vestita da uomo, contenta di
fumare la pipa e giocare a carte nelle bettole catanesi. Per chi voglia saperne
di più,
Salvatore Lo Presti, Fatti e leggende catanesi, San Giovanni La punta 1995, pp. 73-79.
Peppa la Cannoniera
Giocando a carte nell’osteria
e con indosso vesti maschili,
Peppa ricorda con nostalgia
le sue passate gesta virili;
col viso sfatto per il vaiolo,
ella una rozza pipa di legno
fuma e ripete con voce fiera
sempre un racconto, sempre uno solo:
perché si chiami “la Cannoniera”
dacché l’Italia divenne un regno.
Ferveva intorno l’aspra battaglia
in quel 31 maggio ’60,
quando col fuoco la soldataglia
sperò che fosse Catania infranta;
allora Peppa tenne concione
tra gente ignara d’ogni difesa,
tra pianti e grida, strepiti e spari
e trasportare fece un cannone
dietro le spalle degli avversari,
da questa mossa colti a sorpresa.
«Abbasso il giglio del re Borbone!
Su la bandiera dei tre colori!»
ed allo scoppio cupo un cannone
fu abbandonato dagli invasori
lungo la strada, ma da lontano
vegliava il fuoco dell’archibugio
sopra quel pezzo d’artiglieria:
pertanto Peppa, di propria mano
lanciato un laccio con valentia,
a sé lo trasse nel suo rifugio.
Mentre portava con altri insorti
l’arma perduta dai forestieri,
all’improvviso furono scorti
da due squadroni d’alti lancieri:
scappano tutti, ma Peppa resta
ed all’assalto già si prepara,
ferma e sicura dietro l’affusto;
quindi la terra trema calpesta
ed ella, scelto l’attimo giusto,
sugli accorrenti nemici spara.
In quel lontano giorno di maggio
per gli oppressori fu la sconfitta
e mostrò Peppa forza e coraggio
più che Giaele, più che Giuditta,
perché nell’ora della contesa
ebbe il nemico ritto davanti,
eppure colse pari successo:
della sua patria corse in difesa,
né fu da meno dell’altro sesso,
contro l’attacco degli occupanti.
Concesse a Peppa grato il Comune
la ricompensa d’una pensione
per la destrezza sua con la fune
quando a sé trasse l’altrui cannone,
ma più per l’uso che fece d’esso,
dai suoi quartieri, dalle sue piazze
mettendo in rotta l’avversa schiera:
ora, il femmineo vestito smesso,
vive di gloria “la Cannoniera”
tra spade, coppe, denari e mazze.
Marco Tullio Messina