La passeggiata del duca Lanza di Camastra

 Il mio quindicesimo componimento celebra un episodio che ha per contesto il terribile terremoto del 1693. Il viceré Uzeda, in quella triste circostanza, inviò nei territori investiti da quella calamità in veste di vicario Giuseppe Lanza duca di Camastra, un energico ex militare con discrete conoscenze di architettura, perché vi organizzasse la ripresa di tutte le attività e l’opera di riedificazione; il 4 febbraio, il duca entrò a Catania, ridotta allora ad un mucchio di macerie. Non appena egli fu avvistato, i superstiti, intravedendo un barlume di speranza, gli andarono incontro per narrargli i propri tristi casi e pregarlo di un sollecito intervento. Tra costoro era presente Giuseppe Cilestri, canonico della distrutta Cattedrale di Sant’Agata, una figura di spicco per le energie profuse nella ricostruzione di Catania, il quale peraltro mostrò al duca una mammella di Sant’Agata che egli era riuscito miracolosamente a trarre in salvo al momento del sisma. Inoltre, il duca apprese che non si riusciva a trovare in tutta la città un solo ostensorio con tutti i sacri oggetti che ne costituiscono il corredo: egli ordinò di scavare a Cifali, dove si vociferava che fossero nascosti dei sacri arredi; qui non disdegnò di prendere parte egli stesso agli scavi, impugnando un badile per dare l’esempio agli altri. La sera stessa fu recuperato il necessario per dire messa. Grande fu la commozione di tutti, compreso il duca che non lesinò ringraziamenti al cielo. In seguito, il Lanza si adoperò affinché i sopravvissuti avessero un riparo per proteggersi dal rigore del clima, giacché era pieno inverno: poiché la terra tremava ancora, non ritenne prudente costruire nulla in muratura e pertanto fece tirar su delle baracche; anch’egli si adattò a questo tipo di abitazione, malgrado il suo rango nobiliare e la propria carica di vicario. Dovette, inoltre, far fronte ai continui episodi di sciacallaggio che si erano verificati dopo il terremoto e che erano stati spesso accompagnati da brutali omicidi: il duca non esitò a prendere provvedimenti severi e a ricorrere alla forca. Un’altra misura adottata fu quella di dissotterrare i cadaveri sepolti sotto le macerie, i quali vennero alla luce nelle posture più svariate, a testimonianza dell’agonia precedente il decesso, e di bruciarli mediante un rogo comune per timore di un’epidemia. Ma la città aveva bisogno di segni concreti che attestassero che la vita doveva continuare come prima: perciò Camastra provvide all’elezione degli amministratori, un atto di rilievo nella forma, poiché nella pratica egli, in quella situazione straordinaria, ricopriva i pieni poteri; inoltre, ordinò ad una squadra di guastatori di aprire fra i cumuli di rovine un varco che collegasse Porta d’Aci alla piazza principale, cioè quella su cui erano situate la Cattedrale e la Loggia del Senato, allora distrutte dalla scossa. Questo passaggio, battezzato subito via Uzeda, sarebbe stato prolungato molto più in là e costituì il primo embrione dell’attuale via Etnea. Nei progetti del duca era presente l’idea di creare un asse principale composto appunto da via Uzeda e da un’altra strada perpendicolare, chiamata in suo onore via Lanza[1], l’odierna via Di San Giuliano: in queste due vie si ritrova lo schema fondamentale della rinascente Catania. Camastra ne era consapevole e decise per questa ragione di percorrere a cavallo, accompagnato dai magistrati appena eletti, il viottolone a cui diede il nome del viceré: questa passeggiata, che procurò al duca l’applauso dei presenti, i quali urlarono a più riprese: “Viva Camastra”, è l’atto fondativo della nuova città. Per chi voglia saperne di più,

Vito Maria Amico, Catana illustrata sive sacra et civilis urbis Catanae historia, traduzione di Vincenzo di Maria, vol. II, Catania 1989, p. 368;

Francesco Ferrara, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania 1829, pp. 208-218;

Salvatore Nicolosi, Apocalisse in Sicilia, il terremoto del 1693, Catania 1983, pp. 143-171

 

La passeggiata del duca Lanza di Camastra

Procede in sella rigido

il duca di Camastra,

scortato dai notabili,

per l’aspra via grigiastra,

la quale, dallo sgombero

delle rovine sorta,

principio ha dalla Porta

d’Aci ed al Piano va.

 

Ricorre alla memoria

l’immagine del giorno

che visitò Catania

dopo la scossa: intorno

cumuli di macerie

vedeva e dappertutto

pianto, miseria e lutto

lo mossero a pietà.

 

Accorsero i superstiti

allora incontro al Lanza,

scorgendo nel vicario

un segno di speranza:

ciascuno, senza lacrime,

i propri casi amari,

la perdita dei cari

al duca raccontò.

 

Per primo il pio canonico

Cilestri, tesoriere

del tempio di Sant’Agata,

facendogli vedere

un seno della Martire

con premuroso zelo

strappato allo sfacelo,

a lui s’avvicinò.

 

Il duca, non trovandosi

in tutto il territorio

attorno un solo calice,

soltanto un ostensorio,

«Si scavi» disse «a Cifali»

e non ritenne vile

per sé con un badile

battere qua e là.

 

La sera stessa emersero

dal suolo i sacri arredi

e tutti s’accalcarono

intorno: il duca in piedi

con fede, pianto e giubilo

rendeva grazie a Cristo

per il pregiato acquisto,

per l’alta carità.

 

Per sé, per ogni suddito

eresse poi baracche,

perché riparo avessero

dentro le membra fiacche

da gelo ed intemperie

né case in muratura

su terra non sicura

da crolli edificò.

 

Ed elevò patiboli

per ladri ed assassini,

che prima scorrazzavano

cogliendo ampi bottini;

disseppellì cadaveri

torti dall’agonia

ed un’epidemia

col rogo scongiurò.

 

Commise, inoltre, il compito

a guastatori audaci

di liberare un transito

che dalla Porta d’Aci

arrivi al Piano d’Agata

ed ora i magistrati

da poco nominati

conduce per di qua.

 

Al suo passaggio gridano

patrizi e popolani:

«Viva Camastra» e crepita

il loro battimani,

«Viva Catania» esultano

«che non conosce fine

e dalle sue rovine

presto risorgerà».

 

Marco Tullio Messina



[1] Probabilmente, l’iniziativa del nome appartiene ai suoi collaboratori.