La minna di Sant’Agata
Il mio ventiduesimo carme è dedicato
anch’esso a mia figlia Agata Concetta ed ha per oggetto un episodio del
racconto della Traslazione delle spoglie di Sant’Agata da Costantinopoli a
Catania, avvenuta nel 1126. Narra il vescovo Maurizio nella sua celebre
epistola, riportata negli Atti della Santa, che quando Goselmo e Gisliberto
durante il loro avventuroso viaggio fecero tappa a Taranto, sulla spiaggia
controllarono che il loro prezioso carico fosse in ordine e, al momento di ripartire,
nella fretta dimenticarono una mammella della Santa presso un torrente che
scorreva nelle vicinanze. Una vedova di costumi onorati vi si recò insieme con
la figlioletta ancora lattante per sciacquare i suoi panni. Dopo il bucato, la
donna si addormentò profondamente, mentre la bimba, desiderosa del seno
materno, si aggirò gattoni per terra, finché non trovò la mammella di Agata e
se la portò istintivamente alla bocca. Dal seno secco stillò per miracolo un
latte di meravigliosa dolcezza. Intanto alla madre comparve in sogno la Santa,
che le disse: «Tua figlia ha in bocca un mio seno». La donna si svegliò
immediatamente e colse la figlia nell’atto di succhiare la mammella. Lasciando
la piccola dov’era, corse in città a narrare l’evento prodigioso al vescovo, il
quale convocò l’intera diocesi per metterla a parte di quanto era successo. Si
decise di andare in processione fino al luogo in cui si trovava la bambina, che
stava ancora suggendo il latte. Nessuno riuscì a strapparle il seno di bocca né
con la forza né con le moine. Uno dei sacerdoti presenti, la cui vita era
moralmente irreprensibile, propose di portarla in processione alla vicina
chiesa di San Cataldo. La proposta venne accolta e i presenti, con il prelato
in testa, si misero in via recitando la litania dei Santi. Quando fu il momento
di supplicare Sant’Agata dicendo: “Sant’Agata, prega per noi”, la bimba, che
stava in braccio al sacerdote sopra menzionato, aprì la bocca e gli lasciò
cadere la mammella sul petto. Il prete, afferratala, con somma riverenza la
consegnò al vescovo. Tutti compresero che quello era un seno di Sant’Agata. Il
sacerdote chiese ed ottenne dal vescovo di trasformare la propria casa in una
chiesa consacrata alla Santa e vi trascorse l’intera vita in abito monastico. A
ragione Vito Amico (pp. 381-382) sospetta che in realtà il luogo in cui
avvennero questi fatti non sia Taranto, dove non è attestato il culto di
Sant’Agata, ma Gallipoli, città affacciata sullo stesso golfo, la cui
cattedrale è dedicata alla Santa e deriva da un piccolo santuario
precedentemente consacrato al suo nome. Quanto alla reliquia, adesso si trova
nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. Per chi voglia
saperne di più,
Vito Maria Amico, Catana
illustrata sive sacra et civilis urbis Catanae historia, traduzione di Vincenzo di Maria, vol. I, Catania 1989, pp. 377-378;
381-382;
Francesco Ferrara, Storia
di Catania sino alla fine del secolo XVIII,
Catania 1829, pp. 38-9;
Giovanni Battista Palma,
Istoria di Sant’Agata, poema in lingua siciliana del secolo XV con
illustrazioni, Milano 1940, pp. 25-31.
La minna di Sant’Agata
Suggi, mia dolce piccola,
suggi, piccina bella,
da te via non respingere
la candida mammella;
attendi, o tu che d’Agata
l’augusto nome porti,
che mamma ti conforti
col latte che ti dà.
A suggere continua
dall’uno all’altro seno
ed un sorriso illumini
il tuo facciotto pieno;
della tua grande omonima
venera il nume santo,
prestando ascolto al canto
sommesso di papà.
Al tempo che da Taranto
Goselmo e Gisliberto
partirono e si misero
di nuovo in mare aperto
col divo corpo d’Agata
riposto nella stiva,
un santo seno a riva
dimenticato fu.
Venne una fresca vedova,
buona e di modi onesti,
con la poppante figlia
per risciacquar le vesti;
dopo il bucato un empito
di sonno la sorprese,
pertanto ella si stese,
messa la bimba giù.
E quando poi la pargola
bramosa fu del seno,
con piedi e mani rapida
vagò per il terreno,
finché la poppa d’Agata
trovò su quella costa
e, tra le labbra postala,
subito succhiò.
Più dolce dell’ambrosia
stillò dal seno il latte
con flusso inesauribile,
come da poppe intatte
di prosperosa balia,
ed alla madre intanto
in sogno il volto santo
d’Agata si mostrò.
Alla pia donna: «Destati»
disse «perché tua figlia
sugge un mio seno»; subito
sorta, con meraviglia
scorse la propria piccola
con la mammella in bocca
e, dal prodigio tocca,
partì per la città.
Qui, giunta innanzi al vescovo,
narrò l’arcano evento
e tutta la dïocesi
riseppe del portento:
sul posto allora Taranto
accorse in processione
né s’ebbe distinzione
di casta, sesso, età.
Si volle il seno togliere
di bocca alla bambina,
a nulla però valsero
la forza e la moina:
con presa ferma e stabile,
giunte le gambe al petto,
la bimba tenne stretto
il santo resto a sé.
C’era tra gli altri un parroco
dal cuore in Cristo saldo,
che disse: «Andiamo, un tempio
qui sorge a San Cataldo».
E tutti, dietro al vescovo,
si misero per via,
cantando: «Ave, o Maria,
l’Altissimo è con Te».
I nomi della Vergine
s’udirono e dei santi
e quando poi quel parroco
disse con gli altri astanti:
«Prega per noi, Sant’Agata»,
lasciò l’infante il pegno
a lui, che suo sostegno
lungo il tragitto fu.
Allora il prete in estasi
capì che la mammella
apparteneva ad Agata,
di Dio fedele ancella,
e per la Santa Martire
mutò la casa in tempio,
per farne a tutti esempio
d’ascetica virtù.
Si trova la reliquia
adesso a Galatina
in grembo alla basilica
di Santa Caterina
e qui, come a Catania,
ai nostri giorni ancora
Sant’Agata si onora
con fervida pietà.
Suggi, mia dolce piccola,
dal seno il bianco umore,
perché tu possa crescere
d’altezza e di vigore,
ma, cibo per lo spirito,
assieme al latte assumi
leggende, usi e costumi
di mamma e di papà.
Marco Tullio Messina