La strana avventura del Visconte di Gagliano
Il mio terzo componimento riguarda un curioso episodio che si svolse il 12 marzo 1440: tutti i Catanesi erano accorsi alla Chiesa di Santa Maria La Grande (il nucleo originario dell’odierna Chiesa di San Domenico), presso la quale era stato allestito un teatro improvvisato per la rappresentazione di un dramma sacro. Mentre la folla avanzava in duplice processione, uomini con uomini e donne con donne, alcuni popolani, insospettiti dall’alta statura e dai modi mascolini di una singolare dama velata che chiudeva il seguito femminile, le si erano avvicinati furtivamente strappandole il velo ed il manto: scoprirono in questo modo che si trattava di un uomo travestito da femmina, niente meno che il Visconte di Gagliano. Invano questi aveva cercato di giustificarsi, facendo rilevare come egli non avesse compiuto nessun atto disonorevole nei confronti delle donne che gli procedevano accanto: il popolo furente, lamentando che si fosse rinnovato il tempo degli Angioini, allorché l'onestà delle donne siciliane era insidiata dalla soldataglia francese, cercò di linciarlo; soltanto a fatica il malcapitato riuscì a sottrarsi alla loro ira. Nei giorni seguenti si registrarono tumulti violenti: si chiedeva alla giustizia cittadina una punizione esemplare del Visconte, che nel frattempo si era dileguato senza lasciare traccia. Naturalmente, la rabbia generale sbollì a poco a poco e si esaurì ben presto. E' probabile, come ipotizza Salvatore Lo Presti, che nel travestimento del Gagliano si celasse un intrigo amoroso, oscuro nei suoi dettagli. Senonché, infervorato da questo racconto dai tratti novellistici, una sera che avevo mangiato una gustosa ma indigesta caponatina, ebbi la visita notturna del Visconte, assai adirato con il Lo Presti, che aveva relegato la sua persona ad un ruolo modesto nella vicenda (tant’è vero che il capitolo in cui essa è narrata s’intitola: “Un tumulto popolare nel Quattrocento”), ma anche con me, intenzionato a rivangare poeticamente l’avvenimento che egli avrebbe preferito rimanesse sepolto nel suo secolare oblio. Ma, giacché non intendevo desistere dal mio proposito, mi ha voluto raccontare la propria versione, che vi presento, seppure vi siano, come potrete facilmente ravvisare da soli, alcuni particolari poco verosimili e credibili. Pare che l’egregio Visconte si fosse perdutamente invaghito di una giovane di illustre casato, di cui non mi ha voluto, com'è comprensibile, rivelare il nome, e ardesse dal desiderio di avere con lei un abboccamento, benché ciò risultasse davvero difficile, dal momento che ella non usciva mai da sola; perciò egli si era rivolto ad una mezzana, la vedova di un certo Martino di Vincenzo, la quale godeva di molto credito presso la propria famiglia e quella dell’amata: la vecchia, fiduciosa in un matrimonio conveniente per le due parti, gli consigliò tuttavia di saggiare la sua compatibilità di carattere con la futura sposa. Gagliano si sarebbe vestito da donna per raggiungere la fatale fanciulla in occasione della recita a Santa Maria La Grande: una cameriera della vedova lo avrebbe accompagnato lungo il tragitto, segnalandogli la presenza della giovane nel bel mezzo della folla. A questo punto, egli avrebbe dovuto studiare il comportamento della diletta ed accertarsi che fosse tanto buona dentro quanto bella fuori. Ma questo piano aveva sortito l’esito di cui sopra. Possibile che il misero protagonista di questa storia avesse arrischiato il suo matrimonio con la donna amata, vale a dire l’opportunità di coronare il proprio sogno d'amore, solo per appurarsi della bontà della stessa? O è tutto un inganno della caponatina? Per chi voglia saperne di più, rimando a:
Salvatore Lo Presti, Fatti e leggende catanesi, S. Giovanni La Punta 1995, pp. 19-26.
La strana avventura del Visconte di Gagliano
Adorna d’ogni fregio,
Santa Maria La Grande
s’improvvisò proscenio
di storie venerande;
accorre a questa recita
una gran folla pia,
mettendosi per via
da tutta la città.
Per oggi si confondono
le caste nel corteo,
insieme ricco e povero,
col nobile il plebeo,
fraternamente avanzano
in duplice colonna:
uomo con uomo e donna
con altra donna va.
Chiude una dama il seguito
d’aspetto assai robusto:
ritte ha le spalle, rigido
il collo ed ampio il busto;
alterna senza grazia
all’uno l’altro piede
e goffamente incede,
tratta la gonna in su.
Questa virile femmina
dal portamento strano
nasconde in sé l’egregio
Visconte di Gagliano,
che fa, rampollo immemore
d’un inclito lignaggio,
con tale impresa oltraggio
alla natia virtù.
Arde per una giovane
di nobile casato,
tra pene irresistibili
del cuore innamorato,
né d’espugnarne l’animo
speranza lo consola,
perché non esce sola
dal suo palazzo mai.
Un dì scontrò la vedova
d’un tale fu Martino,
che la sua casa bazzica
da quando era bambino
e vanta uguale credito
in quella dell’amata:
la chiama e, salutata,
le narra i propri guai.
«Visconte, assai proficuo»
la vedova ribatte
«sarebbe il matrimonio
per ambedue le schiatte,
ma prima di concluderlo
scoprire vi conviene
se con il fasto Imene
prometta l’armonia.
A giorni allo spettacolo
verrà la vostra bella,
sotto la scorta vigile
d’una solerte ancella:
è l’attimo propizio
per esserle da presso,
se col gentile sesso
si mischierà Vossia.
Vestitevi da femmina
casta, pudica e retta,
celandovi la faccia
mediante una veletta;
cercate poi la vergine:
questa mia serva fida,
facendovi da guida,
a voi l’additerà.
Dapprima, intravedendola,
tenetevi a distanza;
in seguito, appressatevi
a lei con noncuranza,
e senza farvi scorgere
studiatene il contegno,
se sia l’aspetto un segno
dell’intima bontà».
Sul punto di respingere
l’invito, il buon Visconte
le nere sopracciglia
aggrotta e l’ampia fronte,
ma cede al desiderio
l’orgoglio di Gagliano,
che sempre da lontano
finora spasimò.
«Certo» si disse «agevole
sarà scrutarle il viso,
che sembra in terra immagine
del sommo paradiso,
e contemplarne i fulgidi
occhi, le gote, il crine,
le labbra, il collo fine,
a piacer mio, potrò».
Atteso il dì fatidico,
l’innamorato indossa
degli abiti muliebri
di taglia molto grossa,
quindi con varie polveri
cosmetiche si trucca,
infila una parrucca,
e subito s’avvia.
Sotto mendaci spoglie,
si reca in grande fretta
a casa della vedova,
che sulla soglia aspetta
e, come i due convennero,
con cenno muto impera
perché la cameriera
a lui compagna sia.
Gagliano e la domestica
alla femminea schiera
solleciti s’aggregano
e già la donna vera
un’ammantata sagoma
a quella falsa mostra:
«Ecco l’amata vostra
appena un passo in là».
A tale nuova, estatico
l’amante si protende
e poi, per accostarsele,
quasi l’abbrivio prende,
quando una mano rapida
gli strappa il fitto velo
e manifesta il pelo
la sua virilità.
«Cchi fai vistutu a fimmina?»
i fieri popolani
gli gridano e, ghermitolo,
fanno il suo manto a brani
«Ti sembra forse d’essere
al tempo dei Francesi,
quando i diritti offesi
erano e l’onestà?
Sapemmo, allora, insorgere
e ricacciammo via
da tutta la Sicilia
l’esterna tirannia;
ciascun fu pronto a battersi
per la sua cara moglie,
contro le impure voglie
e per la libertà».
Risponde affranto e pallido
il misero Visconte:
«Non feci male ad anima
né mai d’oltraggi ed onte
mi resi responsabile
verso fanciulla o donna:
è quest’infame gonna
la sola mia viltà».
La sua discolpa è sterile,
inutile il blasone:
è pronto per il nobile
un ruvido bastone.
Non valgono le suppliche:
i pianti e gli scongiuri
quegli intelletti duri
non muovono a pietà.
A tutti rivolgendosi,
benché nessuno ascolto
gli dia, tra ceffi estranei
ravvisa il caro volto,
che con distacco attonito
assiste a quanto avviene,
esso che tante pene
e danni gli causò.
«Dunque per tale premio
la vita coll’onore
ho posto a repentaglio,
spinto da folle amore?
Invano rango, titolo
e nome ho compromesso
per esserle da presso:
ed ora che cos’ho?»
Con forza liberatosi
da quelle rudi braccia,
di scatto prende a correre
tenendo giù la faccia;
alle sue spalle il popolo
esplode in un tumulto,
ma solo coll’insulto
raggiungere lo può.
Il povero patrizio
di buona lena fugge
lontano dai pericoli
e tuttavia si strugge
ancora per la giovane
e per il fato rio,
dicendo a lungo addio
al sogno che sfumò.
Marco Tullio Messina