Diotru
Naturalmente, il primo componimento è dedicato al simbolo della nostra città, ossia il Diotru (o Liotru), l’elefante di pietra lavica che domina Piazza Duomo. Si ignora a quale periodo risalga questa singolare scultura e quale fosse la sua funzione originaria. Probabilmente, essa fu realizzata in età bizantina ed era un talismano che assolveva al compito di stornare le minacce dell’Etna: a questo scopo, fu collocata al di fuori delle mura. Questa ipotesi, in genere considerata la più attendibile, appartiene al geografo arabo Idrisi, il quale fu incaricato dal re normanno Ruggero II di intraprendere un viaggio attraverso la Sicilia e di stendere un resoconto (1145-1154). Le prime notizie concernenti il Diotru si riallacciano alla leggenda del mago Eliodoro, cui la fantasia popolare attribuiva numerosi prodigi, tra i quali anche quello di cavalcare l’elefantino di basalto recandosi in volo perfino a Costantinopoli. Un giorno, correndo l’anno 778, il vescovo di Catania Leone (il futuro Papa Leone II, detto il Taumaturgo) esorcizzò lo stregone lanciandogli addosso il suo mantello e facendolo così cadere in una fornace accesa dove trovò la morte. Dalla progressiva corruzione del nome Eliodoro (Liodoru, Liodru, Liotru, Diotru) deriva quello con cui comunemente viene indicato il nostro pachiderma. Per circa un millennio non si seppe quasi più niente del Diotru, eccettuata la notizia che, nel 1508, sarebbe stato posto sotto un arco della loggia dell’antico Senato. In seguito al terremoto del 1693, l’elefantino subì la mutilazione delle gambe anteriori e rimase in queste condizioni finché l’architetto palermitano Giambattista Vaccarini (1702-1768), figura di rilievo per quanto riguarda la ricostruzione di Catania, non provvide a restaurarlo e ad assegnargli la sistemazione attuale di fronte al Duomo, collocando sulla sua groppa un obelisco egizio fregiato di geroglifici riconducibili al culto di Iside, e ai suoi piedi una fontana raffigurante i due fiumi catanesi, ossia l’Amenano e il Simeto (1735-37). Com’è noto, Vaccarini si ispirò alla fontana della Minerva a Roma, opera di Bernini. In cima all’obelisco vi è una croce contrassegnata dalla sigla M.S.S.H.D.E.P.L., cioè Mens (scl. Sanctae Agatae) sana sinceraque honore Dei et Patriae libertate, o qualcosa del genere: il santo segno a cui fa cenno la mia ultima strofe si riferisce a questo particolare. Da allora l'Elefante è rimasto a far la guardia alla nostra Cattedrale e, permettendolo i rugbisti inglesi ubriachi a cui si deve l'ultimo restauro (1997-1999), speriamo che vi resti per sempre intatto. A chi desiderasse saperne di più consiglio le seguenti opere:
Santi Correnti, La città semprerifiorente, Catania 1976, pp.118-122; 154-155;
Salvatore Lo Presti, Fatti e leggende catanesi, S. Giovanni La Punta 1995, pp. 93-105;
Salvator Quattrocchi, Catania e il suo settecento vaccariniano, Acireale 1987, pp. 21-29.
Diotru
Protesa la proboscide,
indomito Elefante,
nella tua posa rigida
fissi un eterno istante.
Assecondando l’impeto,
tu spiccheresti un salto,
ma fatto di basalto
immoto te ne stai.
Chi la tua prima origine
può dire con certezza,
quando te viva immagine
trasse da lava grezza
mano d’ignoto artefice,
vinto da morte oscura?
Ma l’opera sua dura
e non perisca mai!
Narra un’antica cronaca
del mago Elïodoro,
che volteggiando in aria
fino al celeste coro
l’aurea Costantinopoli
raggiunse sul tuo dorso
ed invertito il corso
indietro ritornò.
Un dì con il suo pallio
il vescovo Leone
l’esorcizzò spingendolo
tra vampe di carbone:
d’allor non più ti gravano
il mago e le sue some,
ma dal suo guasto nome
il volgo ti chiamò.
Quindi per un millennio
fosti dimenticato:
forse l’antica loggia
t’accolse del Senato,
fino a quel dì terribile,
tinto di luce rossa,
quando un’orrenda scossa
il suolo rintronò.
Case e palazzi caddero
in un momento a terra,
il tempio che la Martire
nei penetrali serra,
nello scoccar d’un attimo,
quasi ne fu distrutto
ed il comune lutto
intorno risuonò.
Venne da Roma un giovane
abate panormita
che ridestò Catania
ad una nuova vita:
egli dell’edificio
rifatto alla Beata
eresse la facciata
augusta e l’adornò.
Risorto dalla polvere
avevi monchi gli arti;
egli ti vide mutilo
e volle restaurarti:
un obelisco egizio
d’età remota, arcana
in groppa e una fontana
ai piedi collocò.
Sulla città tu vigili,
potente talismano,
ed ogni malefizio
tieni da lei lontano.
Lo sguardo hai tu da secoli,
o magico animale,
fisso alla Cattedrale
e non lo storni mai.
Protesa la proboscide,
indomito Elefante,
non badi dal tuo zoccolo
al traffico assordante,
ma della nostra storia
tu sei per sempre il pegno,
finché col santo segno
a noi ti mostrerai.
Marco
Tullio Messina
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