Billonia
Il settimo componimento è dedicato a Billonia, un’umile fioraia catanese vissuta tra XIX e XX secolo. Al contrario di quanto è avvenuto per gli altri carmi, l’oggetto di questa poesia non è ricavato da libri, ma da un’annotazione che ho consultato direttamente in rete sul sito www.asicilia.it/cultura/storie. Riporto integralmente la nota, che nella sua brevità rende in modo efficace lo spirito che io intendevo trasmettere al mio componimento poetico:
«Personaggio popolare e pittoresco della Catania a cavallo tra due secoli, il XIX e il XX. Era una donna minuta, tutt’altro che sgraziata, era “la fioraia della Villa, sfiorita per conto suo, ma con la camicetta ostinatamente sfavillante di dorati lustrini” (Domenico Magrì). Andava anche su e giù per via Etnea “con i fasci di fiori di campo, le margherite, le rose, che offriva alle coppiette di fidanzati sperando di ricevere una ricompensa, e di sera si piazzava davanti ai teatri” (Pietro Nicolosi). In fondo, era un’immagine gentile con i suoi coloratissimi costumi ricchi di nastri, un’immagine che sotto i lustrini tentava di nascondere un’immensa povertà. Ma c’era anche un pizzico di femminile civetteria in quello strano abbigliamento! Andava spesso in giro con la madre “ma gli stenti le avevano rese uguali e sarebbe stato difficile capire, a vederle, chi di esse fosse la più vecchia” (Giuseppe Toscano Tedeschi). D’inverno trascorrevano gran parte delle giornate sui gradini della chiesa di San Biagio, in piazza Stesicoro, ma d’estate si trasferivano al giardino Bellini, sempre popolato di catanesi che accorrevano ad ascoltare i concerti della banda: e lì Billonia poteva raggranellare qualche soldino in più. Poi la madre morì, e poco dopo scoppiò il primo conflitto mondiale: “e, mentre il mondo dava addio ai divertimenti e alle spensieratezze di un tempo, neanche Billonia, la semplice e inutile fioraia, travolta dai tempi e dalla guerra, ebbe più motivo di sopravvivere”(Pietro Nicolosi). Nessuno la vide più».
Billonia
In centro, o Billonia,
vendevi tu fiori
ed una camicia
vestivi a colori,
trapunta di lucidi
lustrini e bei nastri,
volendo competere
col raggio degli astri,
o tenue memoria
d’un tempo che fu
e d’una Catania
che ormai non c’è più.
«Un mazzo donatevi
che
pari non ha
di
rose o garofani
o
freschi lillà».
Così tu benevola
in viso e tranquilla
nel cuore, o Billonia,
gridavi alla Villa
e spesso per vendere
mazzetti di fiori
a giovani coppie,
a ricchi signori,
la Via del passeggio
facevi su e giù,
un paio di spiccioli
tirandone su.
«Un mazzo donatevi
che
pari non ha
di
rose o garofani
o
freschi lillà».
D’estate, o Billonia,
in Villa Bellini,
d’inverno a San Biagio
sui freddi gradini
con mamma eri solita
cercare un asilo:
ad occhio era identico
il vostro profilo
e rese più simili
da rea povertà
voi tanti credettero
eguali d’età.
«Un mazzo donatevi
che
pari non ha
di
rose o garofani
o freschi lillà».
Nei pressi del Massimo
passavi le sere
per vendere al pubblico,
accorso a vedere
l’atteso spettacolo,
dei fiori di campo:
poi giunse a Catania
la Guerra e d’un lampo
con essa disparvero
gli allegri viavai,
né alcuno, o Billonia,
ti vide più mai.
«Un mazzo donatevi
che
pari non ha
di
rose o garofani
o freschi lillà».
Marco Tullio Messina