Don
Arcaloro Scammacca
Il secondo componimento si occupa di una leggenda di cui è protagonista un personaggio storico: Don Arcaloro Scammacca Perna, Barone della Bruca e Crisciunà. Questi, il 10 gennaio 1693, si trovava nel proprio palazzo, quando udì degli strepiti provenire dal cortile: accorse allora alla finestra da dove vide i suoi bravi litigare con qualcuno. Infastidito, comandò ai suoi uomini di bastonare il malcapitato e buttarlo in strada. Senonché l’intruso, scorgendo il Barone, lo chiamò per nome; Don Arcaloro osservò con maggiore attenzione lo sconosciuto e si ricordò di averlo già visto altrove: infatti non si trattava di un uomo, ma di una strega molto rinomata a quei tempi (e verosimilmente così brutta da essere scambiata per un maschio) che egli aveva incontrato spesso a casa dei signori di Biscari, suoi amici. La donna lo avvertiva che l’indomani ci sarebbe stato un potente terremoto e continuava a ripetere questi terribili versi:
«Don Arcaloru,
dumani a vintin’ura,
Catania abballa senza sonu».
Nel mio carme, essi costituiscono l’intercalare e si presentano nella seguente forma:
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu,
dumani a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
La megera narrò che Sant’Agata le era apparsa in sogno nell'atto di pregare il Signore perché non permettesse la funesta calamità, ma la sua supplica non era stata accolta. Don Arcaloro, udita la terrificante profezia, compensò generosamente la maga e si ritirò in gran fretta presso una sua casa nel Borgo, allora non compreso nei confini della città e popolato di recente, proprio su iniziativa del Barone, da coloni misterbianchesi scampati all’eruzione del 1669. Appena arrivato nel suo rifugio, si abbandonò su una poltrona e, tenendo un orologio a catena in mano, attese l’ora fatale che puntualmente arrivò il giorno dopo. Un quadro settecentesco ritrae appunto questa scena. In verità, ci sono alcuni particolari di questo racconto che lasciano perplessi. Anzitutto, le fonti raccontano che una prima scossa premonitrice aveva avuto luogo il 9 gennaio 1693, cioè il giorno precedente quello della presunta profezia, e che vi furono due ben più dannose repliche il 10 e l’11: pertanto, il terremoto non era giunto così improvviso come parrebbe dalla nostra leggenda. In secondo luogo, non è facile stabilire il significato di a vintin'ura: Lo Presti, per ragioni che francamente mi sfuggono, interpreta quest’espressione come alle "17:30"; Correnti, invece, come "alle 14:30". Che possa voler dire semplicemente “tra ventuno ore a partire da questo momento”? Per chi voglia qualche maggiore informazione, rimando a:
Santi Correnti, La città semprerifiorente, Catania 1976, p. 158
Salvatore Lo Presti, Fatti e leggende catanesi, S. Giovanni La Punta 1995, pp. 162-177
Don Arcaloro Scammacca
(Catania, 10-11 Gennaio 1693)
Fissando l’orologio
che pende dalla mano,
Don Arcaloro medita
sul vaticinio arcano
di quella strega, e rigido
sull’orlo del divano,
assunto un grave aspetto,
ripete il triste detto:
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Ieri un noioso strepito
fuori del suo palazzo
si udiva ed egli, subito
accorso allo schiamazzo,
vide i suoi sgherri spingere
nell’atrio un vecchio pazzo.
«Costui» gridò superbo
«cacciate a suon di nerbo».
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Così, divincolatosi,
gli profetò l’intruso,
mostrando meglio il ruvido
e corrugato muso,
e minaccioso un pollice
alzò nel pugno chiuso;
poi si sputò sul petto
riformulando il detto:
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Turbato dall’oracolo
Don Arcaloro guarda
quel volto e ricredendosi
vi scorge una maliarda
che vide a Casa Biscari
più volte, a notte tarda,
interpretare auspici
ai suoi potenti amici.
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Tutta di ruta e baccare
si sparse la megera
e, biascicate formule
da truce fattucchiera,
alla Beata Vergine
rivolse una preghiera
perché non la punisse
per ciò che poi predisse.
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Ammessa nella nobile
dimora del Barone,
narrò con sordi gemiti
la strana visïone
in cui le parve d’Agata
la santa orazïone
non dissuadere Cristo
da quanto era previsto.
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
«Domani pomeriggio»
gli disse «un terremoto
tramuterà Catania
in uno spiazzo vuoto
cosparso di macerie:
tu trovati un remoto
ricovero ed aspetta
che lo sconquasso smetta».
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Don Arcaloro attonito
all’uscio si avvicina
ed elargito un congruo
compenso all’indovina,
saltando in sella rapido
raggiunge una casina
nel Borgo ed in poltrona
inerte si abbandona.
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Ancora sotto l’incubo
di fantasie tremende
e tetre, l’orologio,
che fa tic tac, sospende
dinanzi agli occhi e trepido
l’ora fatale attende
che la Città destina
a tragica rovina.
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Le due lancette girano,
la piccola e la grossa,
e filtra dalle nuvole
bianche una luce rossa,
funerëo presagio
della futura scossa:
quand’ecco sul quadrante
scocca l’atteso istante.
«Don Arcaloru, a ccura,
ca zoccu t’aiu a diri è soddu bonu:
dumani, a vintin’ura,
Catania tutta abballa senza sonu».
Marco Tullio Messina