SOPRA LA PORTRA DELLA SAGRESTIA

 

Tela: POMPONIO AMALTEO
(Motta di Livenza 1505 - San Vito al Tagliamento 1588)
Risurrezione di Cristo (1546)
. Olio su tela, cm 220 x 153
Restauri: Donadon 1926

Pomponio Amalteo nacque a Motta di Livenza nel 1505, ma fin da giovane si trasferì a San Vito al Tagliamento, dove si spense il 9 marzo 1588; fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo. Fu indubbiamente il maggiorpittore friulano post pordenonesco ed a lui guardarono, più o meno scopertamente, tutti gli artisti friulani della seconda metà del Cinquecento o dell’inizio del Seicento, soprattutto quelli operanti nella Destra Tagliamento. Dal suocero e maestro Giovanni Antonio de Sacchis, detto il Pordenone (con il quale spesso opera in collaborazione), trasse l’amore per la grandiosità delle forme, per l’esasperato movimento, per l’affollamento delle composizioni: le quali particolarità, com’è di ogni seguace, esaltò ed accrebbe. Gli mancarono però la forza, la potenza e la fervida fantasia del Pordenone, così che spesso ripeté, quasi meccanicamente, situazione ed immagini. Per quanto riguarda la tecnica a fresco (fu abilissimo e sveltissimo pittore), questa è solitamente mista, nel senso che frequenti sono i ritocchi a tempera quando, addirittura, a tempera non sia l’intero dipinto. L’Amalteo cominciò ad attendere prestissimo all’esecuzione di opere ad olio e di cicli d’affreschi. Delle prime val la pena ricordare, oltre a queste del nostro Duomo, almeno il soffitto della chiesa di S. Maria delle Grazie a Gemona e le pale d’altare del Duomo di Udine, di quello di Pordenone, delle chiese parrocchiali di Valvasone, Maniago e San Martino al Tagliamento. Tra i cicli di affreschi si annoverano, oltre a scene nella Cappella Malchiostro di Treviso, in cui pare abbia collaborato con il Pordenone, la decorazione del Palazzo dei Notari a Belluno nel 1529, putroppo distrutta, e della Loggia di Ceneda. Un gigantismo esasperato, un’articolazione audace del dilatato spazio, un movimento portato ai limiti del manierismo, sono le componenti principali del complesso ciclo di affreschi che eseguì dal 1535 al 1545 per la Chiesa dei Battuti a San Vito al Tagliamento (Scene della vita della Vergine e della fanciullezza di Cristo): i colori sono più sfatti, meno robusti di quelli del Pordenone; le figure, gonfie ed esageratamente mosse, paiono come vuote di vita interiore; nella cupola, con la Vergine in gloria circondata da una folla di personaggi e nell’Adorazione dei Magi, vi è un richiamo al Pordenone di Piacenza. Ancora alla maniera del maestro si riallaccia negli affreschi del coro della Chiesa di S. Maria delle Grazie a Prodolone (1538), ove lo spazio viene dilatato in senso orizzontale. Notevole l’architettura della volta, divisa in vele nelle quali sono campiti quattro ovali sostenuti da angeli che contengono l’Incoronazione della Vergine, Profeti e Sibille. Molte altre opere a fresco eseguì l’Amalteo per Casarsa (1536-1539, Chiesa di S. Croce: continua l’opera iniziata dal Pordenone), Portogruaro (1532, Chiesa di S. Cristoforo, ora S. Luigi), Gleris (vecchia Parrocchiale), Baseglia, Lestans, Bagnarola, Udine (interno Casa Tinghi e Castello), Maniago, Corbolone, Sequals, Tricesimo, Venzone. Continuò nel frattempo a produrre anche notevoli pale d’altare, nelle quali raggiunse risultati sotto certi aspetti più alti, in quanto il poco spazio a disposizione gli consentì di calibrare meglio i rapporti tra figure, paesaggio e piano di fondo. I più notevoli tra gli affreschi ricordati sono quelli  di Baseglia e di Lestans. I primi, iniziati nel 1544, oltre che al Pordenone sirichiamano alla maniera di Michelangelo e del Correggio (di cui si era avuta una anticipazione nella cupola di Prodolone), i secondi (1535-1551) riflettono un momento più propriamente pordenonesco, tanto che sono stati assegnati anche al maestro, il quale forse eseguì il disegno per la decorazione: così che per essi si ripete la polemica, già sorta per gli affreschi di S. Croce a Casarsa e per i dipinti dell’organo di Valvasone, tendente a distinguere quanto di tali opere spetti al Pordenone e quanto all’Amalteo. L’esistenza di tale polemica sta a dimostrare come il migliore Amalteo possa essere confuso con il Pordenone: il che non è da poco. Non va sottovalutata, tuttavia, una profonda conoscenza da parte del pittore dell’arte veneta e romana, grazie alla quale poté pervenire, specie nelle opere tarde, a soluzioni decisamente personali. All’Amalteo guardò una larga schiera di pittori minori, in gran parte operanti nella Destra Tagliamento, quali Pietro Politio, Giuseppe Moretto (che gli fu genero), Giuseppe Furnio, Cristoforo Diana, Girolamo de’ Stefanelli, Girolamo del Zocco, G.B. Grandonio, Leonardo Fuluto.
(Cfr. Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, pag. 1629 ss.).Ma torniamo alla Risurrezione di Cristo. Quest’opera, definita dal Cavalcaselle “molto alterata dai ritocchi e dalle pessime vernici”, ora, dopo la pulitura eseguita nel 1926 dal Donadon, risulta leggibile “in modo soddisfacente” (Menegazzi). La figura di Cristo risorto domina la composizione, impostata su un quadrato formato dalle figure dei soldati e sul bianco parallelepipedo della pietra tombale al centro. Sullo sfondo appare un paesaggio boscoso con alcune figure e a sinistra in alto, sopra il Calvario, si stagliano nel cielo rischiarato dal sorgere del sole le tre croci. Nel quadro, un po’ annerito, spicca l’incarnato chiaro della figura del Cristo, dal manto bianco rosato. La figura del Cristo ricorda quella affrescata a Baseglia e a Lestans (Querini), ma, come dice Menegazzi, il comune prototipo deve essere considerato il Cristo del Noli me tangere del Pordenone nel duomo di Cividale. Come queste composizioni, anche la nostra Risurrezione è un po’ “manierista”, tanto nella figura del Cristo, quanto in quella del soldato a destra, che verrà ripresa una trentina d’anni dopo, con qualche variante, nel Martirio di S. Pietro della chiesa di S. Pietro martire a Udine, firmato e datato 1578 (Menegazzi). Il Cohen riferisce alla Risurrezione di San Vito il disegno n. 10.179 del Louvre, uno dei più tipici dell’Amalteo, che con modeste varianti ne ripete il soggetto. Il Cesarino, nel suo Dialogo scritto verso il 1580, indica quest’opera come inserita nell’altare dei Cesarini e il Degani parla di una pala dell’Amalteo, non bene identificata, pagata a saldo dal rev. Gio.Batta Cesarino il 22 ottobre 1546, per la cappella di S. Nicolò del nostro Duomo. Il Bampo pubblicò poi nel 1962 un documento in cui risulta che il 22 ottobre 1546 viene pagato il residuo per una pala dell’Amalteo raffigurante Gesù risorto, per la cappella di S. Nicolò, giuspatronato dei Cesarini. La pala era stata commessa al pittore da Caterina del nob. Bernardo Cesarini. E’ quindi provato che si tratta proprio della nostra Risurrezione, che perciò viene datata con certezza 1546.

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