VAI INDIETRO

VAI ALLA PAGINA INIZIALE


I MONUMENTI DI NAPOLI.

di Andrea Brancaleone.

 

CASTELNUOVO O MASCHIO ANGIOINO.

Uno dei simboli della città di Napoli è il Castelnuovo o Maschio Angioino: nel progetto di sviluppo di quest'area della città, a quel tempo ancora priva di costruzioni, gli Angioini inserirono la costruzione della nuova reggia.

La zona pianeggiante, ove sorse il Maschio Angioino, era conosciuta col nome di campus oppidi, la costruzione del castello, avviata nel 1279 da Pierre de Chaules, porterà quest'area ad essere il centro urbanistico della città.

La decisione di costruire la nuova reggia fu presa da re Carlo I, ma i lavori proseguirono anche durante i regni di Carlo II e di Roberto. Quest'ultimo fece costruire la Cappella Palatina e chiamò Giotto ad affrescarne le pareti; purtroppo oggi più nulla resta di quegli affreschi.

Con l'arrivo degli Aragonesi il castello subì una grande trasformazione, furono fatte venire a Napoli maestranze catalane che realizzarono, tra l'altro, le possenti torri in piperno e la maestosa Sala dei Baroni, opera, quest'ultima, di Guillermo Sagrera. La sala presenta una copertura a volta costolonata, con al centro un grande oculo. Il Sagrera prese a modello le coperture delle terme romane e le volte delle grandi cattedrali gotiche. Il nome di Sala dei Baroni deriva dall'episodio della cattura dei nobili che avevano congiurato contro Ferrante.

L'opera, però, che più di tutte testimonia il periodo aragonese è l'Arco di trionfo all'ingresso del castello: uno dei più importanti esempi di scultura rinascimentale, a imitazione degli archi di trionfo dell'antica Roma, raffigura l'ingresso di Alfonso nella capitale conquistata. L'Arco di trionfo è dovuto all'opera di vari scultori: Pietro di Martino e Francesco Laurana, innanzi tutto, ma anche altri artisti come Paolo Romano, Antonio di Chellino, Andrea dell'Aquila, Domenico Gagini, Isaia da Pisa, Pere Joan e Guillermo Sagrera.

PALAZZO REALE E PIAZZA DEL PLEBISCITO.

Un altro dei simboli della città di Napoli è il Palazzo Reale con la piazza del Plebiscito. Il palazzo, costruito durante il periodo vicereale, per volere del viceré conte di Lemos, in occasione di una visita a Napoli del re Filippo III, fu progettato dall'architetto Domenico Fontana. Al suo interno vi è un Teatrino di corte, di costruzione settecentesca, la cappella Reale e un monumentale scalone d'onore, costruito nel 1651 da Francesco Antonio Picchiatti. Nelle nicchie sulla facciata del palazzo, nel 1888, furono collocate le statue dei re di Napoli, al fine di giustificare la dinastia sabauda come continuatrice delle case regnanti a Napoli nei secoli precedenti. Le statue rappresentano Ruggero il Normanno, Federico II di Hohenstaufen, Carlo I d'Angiò, Alfonso I d'Aragona, Carlo V d'Asburgo, Carlo di Borbone, Gioacchino Murat e Vittorio Emanuele II di Savoia.

La piazza del Plebiscito incominciò ad assumere l'aspetto attuale solo nel 1809, quando, con l'abbattimento della chiesa e del convento di Santo Spirito, fu costruito il colonnato ad emiciclo che doveva essere il Foro murattiano. Con il ritorno di Ferdinando fu decisa la costruzione della chiesa di San Francesco di Paola, conservando, però, il già costruito colonnato. La chiesa fu costruita per adempiere ad un voto fatto da Ferdinando di Borbone dopo il suo ritorno dall'esilio di Palermo nel 1815. Il progetto della basilica è dovuto all'architetto Pietro Bianchi che disegnò un interno a pianta circolare, su cui si eleva una imponente cupola alta 53 metri, ad imitazione di quella del Pantheon.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE.

Il museo, sede della più importante raccolta di archeologia classica del mondo intero, sorge in quello che fu l'antico Palazzo degli Studi, sede dell'Università.

Fu Carlo di Borbone a costituire il primo nucleo del museo, con la raccolta di antichità della cosiddetta collezione Farnese, ereditata da sua madre Elisabetta Farnese. In seguito, con gli scavi a Ercolano, avviati nel 1738, vi fu la decisione, presa nel 1778, di riunire tutti i reperti delle collezioni reali, fino ad allora conservati a Portici e a Capodimonte, nel vecchio Palazzo degli Studi. Da allora il museo si è, via via, arricchito di opere provenienti dai siti archeologici vesuviani, così come da altre località campane e di tutto il meridione. Oggi vi si può ammirare, tra i tanti capolavori conservati nel museo, la colossale scultura del Toro Farnese, raffigurante il "supplizio di Dirce", ritenuto uno dei più imponenti gruppi statuari del mondo antico; la statua detta Ercole Farnese (entrambe le opere rinvenute a Roma nelle Terme di Caracalla); il celebre Grande Mosaico di Alessandro; infine gli oggetti raccolti negli scavi delle città vesuviane. Sarebbe, comunque, impossibile elencare in poche righe l'enorme ricchezza di opere d'arte riunite nelle sale del museo. 

LA REGGIA E IL MUSEO DI CAPODIMONTE.

Fu ancora Carlo di Borbone a volere la costruzione di una reggia sulla collina di Capodimonte. Egli amava la caccia e volle, così, un luogo ove praticare la sua attività preferita. La costruzione del palazzo fu iniziata nel 1738 ad opera di Antonio Medrano. In un primo tempo vi furono ospitate le collezioni di arte antica della raccolta Farnese, successivamente trasferite nel palazzo degli Studi. Lo spostamento delle raccolte di antichità fece diminuire l'interesse per la reggia di Capodimonte, che, in un primo tempo vide interrotti i lavori di completamento, e, successivamente, dovette subire il saccheggio, nel 1799, ad opera delle truppe francesi.

Proprio i francesi, però, durante il decennio della loro occupazione, favorirono la rinascita di Capodimonte, con la costruzione della grande strada di collegamento, voluta da Giuseppe Bonaparte e intitolata Corso Napoleone. Re Giuseppe Bonaparte fece ingrandire il parco della reggia e arricchì il palazzo di opere e arredi. Con la restaurazione borbonica furono recuperate molte delle opere d'arte trafugate e furono completati i saloni monumentali; successivamente fu trasferito nel palazzo il Salottino in porcellana della regina Maria Amalia di Sassonia e fu costituito il primo nucleo di quella galleria di sculture e dipinti ottocenteschi che sarebbe poi diventato il Museo di Capodimonte.

IL CASTEL SANT'ELMO E IL MUSEO DI SAN MARTINO.

Fu Roberto d'Angiò che, nel 1329, ordinò la costruzione del castello sulla sommità del colle di Sant'Erasmo, il castello, costruito da Tino di Camaino, fu terminato nel 1343. Il suo nome originario fu Belforte, per poi divenire Sant'Erasmo ed infine l'attuale Sant'Elmo, pare per corruzione del vecchio nome di Sant'Erasmo, poiché non sembra esistere un santo di nome Elmo; alcuni vorrebbero far derivare il nome attuale da Sant'Antelmo, altri da San Telmo: al di là delle ipotesi, non è possibile, comunque, conoscere l'etimologia del nome.

L'attuale costruzione, completamente rifatta rispetto a quella originaria del periodo angioino, fu voluta dal viceré don Pedro de Toledo nel 1537, su progetto dell'architetto Pirro Louis Escrivà di Valenza. Essa presenta una originale forma a stella a sei punte, che permetteva l'impiego di pochi uomini nella difesa del castello, e fu considerata un'opera di fortificazione unica per quei tempi. Nel 1587 un fulmine colpì la polveriera, distruggendo molti edifici, che furono, poi, ricostruiti da Domenico Fontana.

La Certosa di San Martino fu voluta da Carlo d'Angiò nel 1325, ma solo nel 1368, a causa della lentezza dei lavori, fu possibile consacrare la chiesa, dedicata a Maria Vergine e a San Martino. I lavori di ampliamento della certosa, iniziati nella seconda metà del Cinquecento e continuati sino al Settecento, videro all'opera, nei vari secoli, Giovanni Antonio Dosio, Giovan Giacomo Conforto e, infine, Cosimo Fanzago, che diede alla sua opera una netta impronta barocca.

Già dal 1866 la certosa era stata dichiarata Monumento Nazionale e destinata ad accogliere quello che sarebbe diventato il Museo di San Martino. E' da ricordare la raccolta di Presepi, la più importante collezione di questo genere di tipica forma d'arte napoletana. Il più noto è il cosiddetto Presepe Cuciniello, dal nome del collezionista che, nel 1878, donò al museo la sua raccolta di pastori.

IL CASTEL DELL'OVO.

Sorge su quello che fu detto isolotto di Megaride, approdo dei coloni greci che si stabilirono sul promontorio di Pizzofalcone. Secondo la leggenda il castello fu fondato da Virgilio, che nel medioevo era ritenuto dotato di poteri magici: egli avrebbe nascosto un uovo incantato nelle segrete del castello, e quest'uovo avrebbe avuto poteri miracolosi perché, finché non si fosse rotto, la città di Napoli e il castello sarebbero stati protetti da qualunque calamità. L'isolotto divenne, nel periodo romano, il Castrum Lucullanum, residenza del patrizio Lucio Licinio Lucullo. Tra il 492 e il 496 vi si stabilirono dei monaci basiliani, fondandovi il cenobio di San Severino. L'isolotto fu poi chiamato isola di San Salvatore.

Fu Ruggero il Normanno a volere l'isola come sede della sua residenza. Il castello nei secoli fu più volte rimaneggiato e fortificato: infatti sia nel periodo svevo, ad opera di Niccolò Pisano, che in quello angioino, ad opera di Pierre de Chaules, si lavorò sull'isolotto. E proprio in questo periodo esso diventa Castel dell'Ovo, con la diffusione della leggenda di Virgilio mago. Alfonso d'Aragona mise mano a dei lavori di ristrutturazione che cambiarono totalmente la forma del castello rispetto a quella angioina. In seguito il castello non fu più reggia, ma semplice fortezza militare.

IL CASTEL CAPUANO E PORTA CAPUANA.

Il castello è stato costruito al tempo di Guglielmo I il Malo e terminato nel 1154, anche se lo storico Bartolommeo Capasso lo faceva già presente al tempo del ducato. Fu certamente residenza reale con gli Angioini e poi con gli Aragonesi. Durante il viceregno di don Pedro de Toledo vi furono riunite tutte le corti di giustizia, fino ad allora sparse per la città: la Gran Corte della Vicaria, il Sacro Regio Consiglio, la Regia Camera della Sommaria, il Tribunale della Zecca e il Tribunale della Bagliva trovarono tutti sede nel castello, che fu ristrutturato dall'architetto Ferdinando Manlio.

La Porta Capuana ha rappresentato, nei secoli, il principale ingresso della città. Essa era parte integrante dell'ampliamento delle mura voluto da Ferrante d'Aragona. I lavori di costruzione della porta iniziarono nel 1484, essa sostituiva la preesistente porta, con la costruzione delle due torri dette Onore e Virtù, e fu opera di Giuliano da Maiano. Può essere considerato, senza alcun dubbio, una della più importanti opere del Rinascimento a Napoli.

PORTA SAN GENNARO.

Questa porta, tra le più antiche della città, fu l'unica via d'accesso da Napoli all'area a nord della città sino al Cinquecento. Da essa aveva inizio la strada che conduceva alle catacombe in cui era custodito il corpo del santo patrono, e per questo motivo prese il nome di Porta San Gennaro. Un'edicola, recante un affresco di Mattia Preti, sovrasta la porta. Vuole la tradizione che Mattia Preti, valente pittore calabrese, avesse ucciso un uomo a Roma, dove si trovava per affrescare una chiesa, fuggito a Napoli, dove imperversava la peste, forzò il cordone sanitario, che impediva a chiunque l'accesso alla città, uccidendo una guardia. Condannato a morte, fu graziato dal viceré, per i suoi meriti in campo artistico. Fu, però, condannato a dipingere delle immagini sacre, in ringraziamento per lo scampato pericolo della peste, su tutte le porte di accesso alla città. Storia o leggenda che sia, non vi è alcuna traccia degli affreschi di Mattia Preti su nessuna delle porte cittadine, ad esclusione, appunto, di quello della Porta San Gennaro.

LE CATACOMBE DI SAN GENNARO.

Tra il 413 ed il 431 Giovanni I, vescovo di Napoli, fece traslare le reliquie di San Gennaro dalla sua prima tomba, situata nell'agro Marciano, alle catacombe, che furono per questo motivo dette di San Gennaro. Esse, le più importanti di Napoli, risalgono al II secolo d.C. e, fino all'VIII secolo, vi furono sepolti i primi vescovi della città. Le catacombe sono formate da due piani sovrapposti. Quello inferiore, il più antico, in origine era una tomba gentilizia; vi si nota un fonte battesimale fatto costruire, nel 762, dal vescovo Paolo II, che aveva dovuto abbandonare, a causa degli iconoclasti, la sede vescovile all'interno della città; il fonte battesimale doveva sostituire quello di San Giovanni in Fonte, situato nel duomo. Nel piano superiore, anch'esso originariamente un antico sepolcro, si possono ammirare due sale quadrate e una cupola con affreschi, oltre a due chiese, dette basilica dei vescovi e basilica maior.

LE CATACOMBE DI SAN GAUDIOSO.

Queste catacombe si svilupparono attorno alla tomba di San Gaudioso eremita di origine africana, morto nel 452, e a quella di San Nostriano. Da ricordare i sedili in pietra dove nel Seicento, secondo un'usanza spagnola, venivano posti i cadaveri a disseccare, prima di murarli nella parete, lasciando fuori solo il teschio e dipingendo sul muro lo scheletro del defunto. 

PALAZZO GRAVINA.

Il palazzo, attualmente sede della facoltà di Architettura, rappresenta uno dei più alti esempi di architettura civile del Rinascimento a Napoli. Esso fu costruito, tra il 1513 ed il 1549, da Gabriele d'Angelo, allievo del Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, per Ferdinando Orsini, duca di Gravina. Tra il 1762 ed il 1782 fu costruito il portale d'ingresso.

PALAZZO COMO E IL MUSEO CIVICO GAETANO FILANGIERI.

Gaetano Filangieri, principe di Satriano, donò la sua raccolta alla città nel 1882. Il palazzo, costruito nella seconda metà del Quattocento per il mercante fiorentino Angelo Como, è stato attribuito, ma non è certo, a Giuliano da Maiano, altri lo vogliono costruito dagli architetti Rubino di Cioffo e Evaristo da San Severo. Invece si sa con sicurezza che i successivi lavori, tra il 1467 ed il 1490, videro all'opera gli artisti toscani Francesco di Filippo da Settignano, Ziattino di Benozzo da Settignano e Domenico Felice da Firenze, che realizzarono la bella facciata in bugnato e quattro finestroni. Il museo civico contiene raccolte di armi, porcellane, costumi, dipinti e sculture.

IL DUOMO.

La cattedrale, dedicata all'Assunta, sorge sulla attuale via Duomo, quello che, in epoca romana, era denominato vicus Radii Soliis. Sant'Aspreno, primo vescovo della città, aveva posto in questo luogo la sua sede vescovile. La costruzione della chiesa fu voluta da Carlo I d'Angiò; essa sorse sul luogo dove già vi erano le due basiliche di Santa Restituta e della Stefania. L'antica Santa Restituta era stata fondata nel IV secolo dall'imperatore Costantino, probabilmente sul luogo ove sorgeva un tempio dedicato ad Apollo. Alla destra dell'abside di Santa Restituta vi è il battistero di San Giovanni in Fonte, eretto dal vescovo Severo tra il IV ed il V secolo; esso è il più antico di tutta la cristianità occidentale ad avere il fonte battesimale ad immersione. Alla fine del V secolo il vescovo Stefano I costruì, accanto a Santa Restituta, un'altra basilica, che fu detta Stefania. Per costruire la nuova cattedrale la Stefania fu sacrificata e Santa Restituta, inglobata dalla nuova costruzione, ne divenne una cappella. Lungo la navata destra del duomo si apre la Cappella del Tesoro di San Gennaro: nel 1527, imperversando una epidemia di peste, la città fece voto di costruire una cappella dedicata al santo patrono. La costruzione fu avviata solo nel 1608 dall'architetto Francesco Grimaldi e nel 1646 l'arcivescovo Ascanio Filomarino benedirà l'opera completata. Sotto l'altare principale del duomo vi è la Cappella Carafa, detta anche del Succorpo, splendido esempio di arte rinascimentale. Essa fu voluta nel 1497 dal cardinale Oliviero Carafa per ospitare le reliquie delle ossa di San Gennaro, e fu realizzata da Tommaso Malvito e dal figlio Giovan Tommaso, forse su progetto del Bramante

LA CHIESA DI SANTA CHIARA.

Roberto d'Angiò e la consorte Sancia di Maiorca, particolarmente devoti all'Ordine francescano, vollero, nel 1310, la fondazione della chiesa e del monastero. La chiesa fu costruita da Gagliardo Primario, anche se si fanno pure i nomi di Leonardo di Vito e di Lando di Pietro. Il campanile, la cui costruzione fu iniziata nel 1328, fu completato nel XVI secolo. All'interno della chiesa vi sono il Sepolcro di Carlo di Calabria ed il Sepolcro di Maria di Valois, entrambi dello scultore senese Tino di Camaino e della sua bottega. Al centro della parete di fondo del presbiterio si trova il monumentale Sepolcro di Roberto d'Angiò, realizzato dai fiorentini Giovanni e Pacio Bertini tra il 1343 ed il 1345. Infine vi è il Sepolcro di Clemenza ed Agnese diDurazzo, opera di anonimo.

LA CHIESA DEL GESU' NUOVO.

Dove oggi sorge la chiesa era stato edificato, alla fine del Quattrocento, il palazzo di Roberto Sanseverino, principe di Salerno. L'architetto che lo progettò fu Novello da Sanlucano, egli realizzò la facciata di piperno in bugnato a punta di diamante. La facciata, molto simile a quella del Palazzo dei Diamanti a Ferrara, fu completata nel 1470, ed è quindi precedente a quella del palazzo ferrarese, la cui costruzione ebbe inizio solo a partire dal 1493. Roberto Sanseverino, molto devoto a re Ferrante d'Aragona, aveva ottenuto dal sovrano cariche ed onori; non così suo figlio, Antonello Sanseverino, che avendo partecipato alla Congiura dei Baroni, fu privato di tutti i suoi beni e perse, così, anche il magnifico palazzo ereditato dal padre. Durante il periodo vicereale il palazzo, per volontà diretta del re di Spagna, fu restituito a Roberto Sanseverino, figlio di quell'Antonello che ne era stato scacciato anni prima. Ferrante Sanseverino, figlio di Roberto, fu duramente perseguitato dal viceré don Pedro de Toledo, che nutriva un forte malanimo nei suoi confronti, e che fece nuovamente confiscare i beni dei Sanseverino; fu così che, nel 1584, i Gesuiti poterono venire in possesso dello storico edificio. La chiesa, progettata dal gesuita Giuseppe Valeriano, fu consacrata nel 1601. All'interno, nella controfacciata, si può ammirare un grande affresco, la Cacciata di Eliodoro dal tempio, eseguito nel 1725; capolavoro di Francesco Solimena. Gli affreschi della volta dell'altare maggiore, dipinti tra il 1639 ed il 1640 da Massimo Stanzione, narrano le Storie della vita della Madonna. La volta della navata maggiore, del 1609, fu affrescata da Belisario Corenzio.

LA CHIESA DI PIEDIGROTTA ED IL SEPOLCRO DI VIRGILIO.

La chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, in origine dedicata alla Natività di Maria, venne edificata nel 1352, sul luogo ove esisteva una cappella, dove si venerava un'immagine della Vergine del Serpente o dell'Idria, eretta dai pescatori di Mergellina. La leggenda vuole che la Vergine apparisse in sogno ad  un monaco, ad un eremita e ad una monaca chiedendo che venisse eretta una chiesa in quel luogo. Successivamente re Alfonso d'Aragona la fece ingrandire e ne affidò la cura ai Canonici Lateranensi. In origine l'ingresso della chiesa era dove oggi vi è l'altare maggiore, nel 1506 furono intrapresi lavori di restauro e l'entrata fu spostata sulla facciata rivolta verso la città. L'interno della chiesa fu nuovamente restaurato tra il 1809 ed il 1824 e l'attuale facciata, del 1853, fu realizzata da Enrico Alvino. Sull'altare maggiore vi è la Statua lignea della Madonna di Piedigrotta, opera di ignoto artista di scuola senese, scolpita, probabilmente, tra il 1320 ed il 1330. Nella prima cappella a sinistra dell'ingresso il soffitto è affrescato da Belisario Corenzio. Tra i dipinti situati nelle varie cappelle ricordiamo lo Sposalizio della Vergine, attribuito a Paolo Domenico Finoglia e la tavola raffigurante La Pietà, della metà del Quattrocento, di autore ignoto. Alle spalle della chiesa vi è quello che la tradizione ritiene essere il Sepolcro di Virgilio, situato a sinistra dell'antica Crypta Neapolitana o Grotta di Pozzuoli, quest'ultima attribuita all'architetto romano Cocceio e realizzata in epoca repubblicana per favorire le comunicazioni tra Napoli e Pozzuoli. La tomba di Virgilio è un antico colombario romano coperto da una volta a botte e la tradizione, già in epoca angioina, la indicava quale sepolcro del grande poeta latino. Nei pressi vi è anche la tomba di Giacomo Leopardi, morto a Napoli nel 1837 e seppellito nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta; nel 1939 i resti del poeta furono traslati nell'attuale sepolcro.

LA CHIESA DI SAN LORENZO MAGGIORE.

La piazza dove sorge la chiesa era già in epoca greco-romana il centro della città, prima agorà e poi foro romano. Qui vi era il Tempio dei Dioscuri (di cui oggi restano due colonne con capitello corinzio addossate alla facciata della chiesa di San Paolo Maggiore) ed il macellum, cioè il mercato di epoca romana. Nei pressi della piazza vi era il teatro e l'odeion, e ancora oggi si notano, lungo la vicina strada dell'Anticaglia, degli archi in laterizio, resti dell'antico teatro. I lavori di costruzione della chiesa ebbero inizio nel 1270, per volere di Carlo I d'Angiò, e furono affidati a valenti artisti francesi, che vollero l'abside in stile gotico francese. Successivamente i lavori furono interrotti, per essere ripresi solo molti anni dopo, ad opera di architetti locali. In questa chiesa Giovanni Boccaccio, a Napoli per far pratica presso un banco fiorentino, conobbe la sua Fiammetta. Alla destra della facciata vi è il campanile, terminato nel 1507. All'interno della chiesa vi è il Sepolcro di Caterina d'Austria, opera realizzata, tra il 1323 ed il 1325, da Tino di Camaino; il Sepolcro di Ludovico Aldomorisco, opera di Antonio Baboccio da Piperno; infine l'altare maggiore, realizzato da Giovanni da Nola verso il 1530. Vanno, infine, ricordati gli Scavi di San Lorenzo Maggiore: un complesso archeologico sotterraneo in cui si notano le stratificazioni delle costruzioni cittadine nei secoli. Infatti a costruzioni di epoca greca, risalenti al IV secolo a.C., si sovrappongono resti di edifici del I secolo d.C. e di età imperiale. Inoltre resti di epoca medievale corrispondono all'antica basilica paleocristiana, già dedicata a San Lorenzo, eretta alla metà del VI secolo.

Vai a inizio pagina