Le varie modifiche e migliorie apportate nel corso degli anni

La MX-5 Miata si rivelò fin da subito un'auto di indubbio successo, frutto di un progetto ben riuscito. Ovviamente però, col passare del tempo, esigenze tecniche e commerciali ne richiesero un'evoluzione; la vettura fu quindi sottoposta ad un costante lavoro di affinamento e modifica per tutto il corso della produzione.

 

La prima "variazione sul tema" fu concepita ancor prima di presentare la vettura. Al momento del lancio infatti, al Salone di Chicago del 1989, la Mazda volle sottolineare le potenzialità della nuova spider nell'ambito delle competizioni SCCA (negli USA) esponendo il prototipo Club Racer. Si trattava di una Miata modificata nella carrozzeria con parafanghi allargati, paraurti anteriore e posteriore estesi verso il basso, specchi più piccoli, fari incassati e carenati in luogo di quelli a scomparsa, spoiler posteriore e copertura rigida della capote. Tom Matano (principale artefice del design della Miata) dirà in seguito che quest'ultima soluzione era stata proposta ai vertici aziendali per essere adottata in serie, ma era stata scartata per problemi di praticità d'uso.
L'assetto si avvaleva di ammortizzatori Bilstein e di pneumatici Yokohama 205/50 ZR 15 (sull'avantreno) e 225/45 ZR 15 (posteriormente), montati su cerchi Panasport di stile identico agli originali Minilite inglesi. Il tutto verniciato (cerchi inclusi) in giallo brillante.
All'interno spiccavano sedili leggermente diversi ed un volante sportivo Momo. Tutti i rivestimenti erano realizzati in pelle nera con cuciture rosse.
Indubbiamente un buon biglietto da visita, soprattutto considerando l'efficacia con cui, negli anni successivi, le Miata furono portate in pista.

 

Per quanto riguarda la produzione di serie, fin da subito fu disponibile un hard top (inizialmente però solo di colore rosso o nero opaco) e nel marzo del 1990 venne introdotta la possibilità di montare un cambio automatico a quattro rapporti, associato ad un motore leggermente rivisto per adattarsi meglio a questo tipo di trasmissione: la coppia massima era infatti invariata ma espressa a 4500 giri/min; modificato anche il rapporto al ponte, con l'adozione di un più corto 4,444:1. Il primo telaio a montare questo cambio fu quello siglato NA6CE-113858. La presenza del cambio automatico, che può apparire del tutto fuori luogo in una vettura come la MX-5 Miata, è giustificata dal fatto che i due mercati principali a cui era destinata (Giappone ed USA) hanno sempre mostrato di gradire molto questa soluzione, mai proposta ad altri tipi di clientela (ad esempio quella europea).

Nel frattempo la Miata cominciò ad essere venduta anche in Europa, con la sigla MX-5: il 14 marzo faceva la sua comparsa negli autosaloni britannici (il primo telaio fu quello siglato JMZNA18B200100001). Da notare il diverso disegno del portatarga posteriore, adattato alle misure europee, e l'aggiunta di un fanale retronebbia. In generale la vettura fu accolta da molti consensi ma anche da qualche critica: soprattutto ci si lamentava di una certa carenza di potenza.
La Mazda UK corse subito ai ripari lanciando, in novembre, una versione turbocompressa della MX-5.
Si trattava di un'elaborazione realizzata dalla Brodie Brittain Racing (BBR), una piccola factory con sede a Brackley, nel Northamptonshire, la cui proposta era stata preferita a quelle di Turbo Technics e TWR: la modifica principale riguardava appunto il montaggio di un turbocompressore a gas di scarico Garrett T25, che richiese un impianto di scarico del tutto nuovo, associato ad uno scambiatore di calore aria - aria, ad una centralina elettronica supplementare ed ad altre piccole modifiche di dettaglio (ad esempio un filtro aria K&N più permeabile in aspirazione).
La Mazda UK mise in vendita questo kit tramite la propria rete ufficiale, fornendo anche una garanzia di tre anni.
L'incremento prestazionale fu sensibile, con una potenza massima di 150 CV a 6500 giri/min e una coppia massima di 21,3 kgm a 5550 giri/min: questo consentiva una velocità massima di 209 km/h e un'accelerazione da 0 a 100 km/h pari a 7,8 s.
L'auto era disponibile, con sovrapprezzo, con un alettone posteriore e con cerchi in lega 7" x 15" a cinque razze (dell'italiana OZ) che ospitavano pneumatici Dunlop D40 M2 205/50 VR 15. Il differenziale autobloccante restava a richiesta.

Il kit BBR presentava delle peculiarità che lo distinguevano da analoghi prodotti concorrenti: lo sviluppo curato in collaborazione diretta con la Mazda UK lo rese molto più sicuro sul piano dell'affidabilità, frutto di collaudi particolarmente accurati: la potenza massima non era elevatissima anche per questo motivo. Dovendo infatti lasciare il propulsore in configurazione originale (mantenendo quindi il rapporto di compressione di 9,4:1 , piuttosto alto per un motore turbocompresso), i 150 CV vennero visti come limite per avere una assoluta affidabilità e poter quindi concedere la garanzia ufficiale. La BBR sviluppò poi per proprio conto soluzioni più esasperate (annunciando uno "step 2" da 230 CV) ed anche un assetto specifico con ammortizzatori speciali realizzati con la Koni e molle di propria produzione, associati a nuove barre antirollio.

Nel 1990 vennero anche deliberate le specifiche dei model year 91: l'unica modifica tecnica riguardò la possibilità di dotare l'auto, in opzione, dell'impianto ABS.
Intanto cominciavano a comparire le prime serie speciali, che si susseguiranno in gran numero per tutta la vita del modello: la prima fu comunque la V-special, riservata al mercato giapponese, lanciata nel luglio 1990 per festeggiare il primo anniversario della Eunos Roadster: era verniciata in verde (Neo Green, poi denominato British Racing Green per altri mercati) con interni in pelle color biscotto e volante e pomelli in legno, marchiati Nardi. Altre novità erano la presenza di serie del lettore CD e dei battitacco cromati alle porte: il tutto venduto a 2.122.000 yen (cambio manuale) e 2.162.000 yen (automatica). Il verde fu dunque il primo colore ad aggiungersi ai quattro originali: rosso (Classic Red), azzurro (Mariner Blue), bianco (Crystal White) e argento (Silver Stone Metallic).

Verso la fine dell'anno, in novembre, fu creato in Giappone un reparto speciale, destinato ad occuparsi dello sviluppo di elaborazioni e modifiche da trasferire poi su produzioni in piccola serie. Questo fatto è sintomatico dell'atmosfera di entusiasmo e fiducia che regnava in Giappone in quel periodo; tale entusiasmo sarebbe stato, di lì a poco, raffreddato dal repentino peggioramento della congiuntura economica.
Ad ogni modo la nuova Divisione M2 (questo il nome dato al reparto), facente capo ad Hirotaka Tachibana, si mise subito al lavoro: iniziava così un'avventura che avrebbe portato alla creazione delle MX-5 probabilmente più affascinanti tra tutte quelle prodotte.

 

Nell'agosto 1991, a partire dal telaio NA6CE-150212, arrivò il primo piccolo aggiornamento tecnico: fece la sua comparsa una barra trasversale congiungente i punti di ancoraggio inferiori delle sospensioni posteriori, a beneficio della rigidità dell'insieme e della precisione.
Contemporaneamente in Giappone venne presentata la versione limitata (800 esemplari) J-Limited che portò al debutto un nuovo colore destinato a riscuotere col tempo vasti consensi: si trattava di un vistoso giallo battezzato Sunburst Yellow.

Per il model year 92 inoltre venne deliberata l'adozione di barre di rinforzo laterali (a partire dal telaio NA6CE-200000), di un comando interno per l'apertura del bagagliaio e del lunotto termico per l'hard top; per alcuni mercati venne offerta l'antenna elettrica.

Sempre nel 1991 una nuova e spettacolare versione speciale vide la luce in Gran Bretagna: in quell'anno la Mazda riuscì (prima e finora unica marca giapponese) a conquistare la vittoria nella 24 ore di Le Mans con la 787B Wankel, sponsorizzata dalla Renown: per celebrare l'avvenimento la Mazda UK presentò la MX-5 Le Mans, decorata appunto con la livrea "Renown" e prodotta in appena 24 esemplari. La colorazione non si può certo definire sobria, caratterizzata dai grossi riquadri arancioni e verdi separati fra loro da linee tratteggiate bianche. Sul cofano motore vennero applicati una scritta commemorativa con il logo Mazda e un alloro celebrante la 24 ore.
Questa versione era equipaggiata con il kit turbo, l'alettone e le ruote dell'elaborazione BBR; in più veniva montato anche un kit estetico (Aero Parts) comprendente un nuovo paraurti e bandelle laterali. Sembra che poche di queste auto siano sopravvissute in condizioni originali fino ad oggi.

Nel dicembre del '91 comparve anche il primo frutto delle fatiche della Divisione M2: in Giappone venne infatti presentata la M2-1001, anche se la commercializzazione iniziò solo tre mesi dopo.

Nuovi pistoni, alberi a camme di diverso profilo, rapporto di compressione portato a 10,7:1, modifiche all'aspirazione e allo scarico permisero al 1597 cc di erogare 130 CV (96 kW) di potenza a 6500 giri/min e 15,2 kgm (149 Nm) di coppia massima a 5500 giri/min.
Nuovi ammortizzatori e molle più rigidi consentirono un abbassamento del corpo vettura di 25 mm; l'assetto poteva contare anche su nuovi cerchi Panasport da 6" x 15" con pneumatici Dunlop D40M2 (creati appositamente per questa vettura) nella misura 195/50 R15. La trasmissione si avvaleva di un differenziale Torsen.
La carrozzeria, verniciata in blu scuro, era modificata nella parte anteriore con l'adozione di due grossi fari circolari Cibie ai lati della presa d'aria; gli specchietti retrovisori di serie furono sostituiti da dei Talbot Mirrors cromati, fu aggiunto un roll bar e il tappo del serbatoio venne rimpiazzato da uno ispirato ai bocchettoni delle vecchie auto da corsa.
All'interno l'allestimento prevedeva una semplificazione del tunnel centrale e vari particolari di finitura in alluminio, fra cui pedali (forati), maniglie e pomelli. Nuovi anche la grafica della strumentazione e il volante a tre razze lucidate.
La 1001 era dunque l'espressione massima del concetto di pura vettura sportiva, leggera ed essenziale, realizzata senza dover tener conto delle esigenze della grande produzione e puntando ad una clientela di appassionati ed intenditori.
Il prezzo (3.400.000 yen) ne faceva comunque un'auto di elite rispetto al modello di serie: la 1001 costava infatti praticamente il doppio delle normali Eunos.
La produzione delle M2-1001 fu limitata a 300 esemplari, ciascuno con una targhetta posta accanto al retrovisore lato guida ad indicarne la numerazione progressiva.
Nonostante il costo molto elevato, la vettura ebbe un successo enorme; si dovette addirittura ricorrere ad una sorta di lotteria per assegnare le ultime 100, dato il gran numero di richieste.

 

Durante l'anno successivo (1992) la Mazda, nell'ambito di ricerche sui carburanti alternativi, iniziò la costruzione di tre prototipi di MX-5 in collaborazione con la Chugoku Electric Power Company: queste vetture erano spinte da un motore elettrico alimentato da 16 batterie stivate nel vano motore e nel bagagliaio, che fecero crescere il peso fino a ben 1410 kg. Lente e con poca autonomia, rappresentano però una curiosità nell'ambito della storia della Miata. Coeva alla versione elettrica e forse ancor più insolita è quella a idrogeno, dotata di motore rotativo di provenienza RX-7.

Tornando alla propulsione "tradizionale", interessante fu il prototipo (costruito in 2 esemplari, uno rosso ed uno nero) presentato verso la metà del 1992 dalla Divisione M2: la 1006 M Cobra.
Soprannominata "Cobraster", era un'interpretazione alquanto estrema della Roadster di partenza; era motorizzata con un V6 di tre litri (220 CV) con quattro alberi a camme, di provenienza Mazda 929, ed equipaggiata col ponte posteriore della RX-7. Molto appariscente esteticamente, grazie anche alla generosa gommatura da 16", non superò lo stadio di prototipo per gli ingenti costi richiesti.

Verso la fine dell'anno (8 novembre) venne prodotta la Miata n° 250.000, verniciata in Classic Red: esportata in Australia, è ora esposta nell' Australian National Motor Museum.

Sempre in novembre la Divisione M2 annunciò la realizzazione dell'erede della 1001. Siglata M2-1002 e programmata anch'essa in 300 esemplari numerati, riproponeva molte delle caratteristiche della precedente, apprezzatissima 1001. Andò però perso quello spirito "essenziale" della prima M2: la nuova special infatti, sempre di colore blu scuro, sfoggiava eleganti interni in pelle color avorio, finiture in legno, rivestimenti più pregiati e meccanica più semplice, senza il differenziale Torsen. Esteticamente sparirono il roll bar e i grossi fari tondi; lo scudo anteriore, seppur pronunciato, divenne quindi più discreto. Anche il tappo del serbatoio era quello di serie. Rimanevano però ruote e specchietti identici a quelli della 1001.
La realizzazione delle parti speciali era stata questa volta affidata alla Yamaha e non più alla Mazda Sangyo (società di proprietà Mazda).
Seppur imborghesita rispetto alla prima versione, era logico attendersi da questa nuova M2 lo stesso successo di vendita. La situazione economica completamente diversa rispetto all'anno precedente riservò invece un'amara sorpresa: le prime consegne iniziarono nel febbraio del 1993, ma nei successivi tre mesi solo 100 auto trovarono un acquirente. In maggio venne allora interrotta la produzione. Nonostante il prezzo inferiore alla 1001 (ma comunque molto elevato: 3 milioni di yen) la 1002 non ebbe dunque la stessa fortuna, vittima del difficile periodo che sconsigliava di spendere così tanti soldi in quello che alla fine risultava solo un costoso capriccio.
Alcune delle parti inutilizzate a causa della cessata produzione, come gli interni, trovarono comunque impiego nella splendida Tokyo Limited, versione speciale della fine del '93.
Il clamoroso insuccesso della M2-1002 e le sopraggiunte difficoltà economiche affossarono molti dei progetti in cantiere alla Divisione M2: la preventivata M2-1003, poco più che una delle tante versioni speciali proposte dalla Mazda, non vide mai la luce. Anche uno studio di trasformazione in coupè (siglato M2-1008) venne abbandonato dopo la realizzazione del prototipo. Quest'ultimo presentava un frontale molto simile a quello della Club Racer del 1989 ed una coda tronca ispirata alle più famose GT italiane, Ferrari in testa, con due piccoli fanalini circolari ed un accenno di spoiler.

 

Tornando alla produzione di serie, il 1993 portò l'eliminazione della decalcomania con il logo Mazda, posta lateralmente sul paraurti, in favore di un nuovo marchio cromato collocato al centro. Questo fu riportato anche sulle calotte copridadi delle ruote al posto del precedente logo Mazda: tale modifica non riguardò ovviamente le Eunos vendute sul mercato giapponese. Un'altra piccola variazione, riservata al volante delle versioni USA con airbag, fu la sostituzione del logo Mazda con la dicitura "SRS Airbag".

Nel luglio dello stesso anno la Mazda annunciò il primo grande cambiamento nella storia della MX-5, sotto la supervisione di Shiro Yoshioka, sostituto di Toshihiko Hirai (dedicatosi ad una nuova carriera di conferenziere universitario). A causa dell'aumento di peso dovuto agli accessori e soprattutto agli equipaggiamenti di sicurezza richiesti dal mercato e dalle varie legislazioni, si decise che occorreva un motore di cubatura superiore per mantenere le prestazioni originarie. Scartata l'idea di un due litri per mantenere bassi i costi di acquisto e gestione, la scelta cadde sul 1.8 litri della 323 Familia GT, che rappresentava un buon compromesso tra prestazioni e costi.

Derivato dall'originale propulsore serie BP, il nuovo motore venne affinato per adattarsi al meglio alle caratteristiche della MX-5, così come era già accaduto nella genesi dell'unità originaria di 1.6 litri (vedi la sezione TECNICA ).

L'alesaggio di 83 mm e la corsa di 85 mm davano origine ad una cilindrata di 1839 cc, con rapporto di compressione 9:1. Ne risultò un'unità erogante circa (il valore esatto dipendeva dal mercato specifico di destinazione) 130 CV (96 kW) a 6500 giri/min e 15,5 kgm (152Nm) a 5000 giri/min, siglata BP-ZE. Il nuovo motore era strettamente imparentato con il precedente, presentando un'analoga architettura DOHC 16V con basamento in ghisa e testata in lega leggera.
I miglioramenti rispetto al precedente 1.6 litri si ebbero un po' ovunque: vale la pena citare gli assi a camme cavi e la maggiore sofisticazione dell'elettronica e dei sensori. Ad esempio il debimetro era a filo caldo (più rapido ed efficace soprattutto nei transitori) anzichè a paletta e il sensore di posizione della valvola a farfalla si basava su un reostato che consentiva di monitorare in modo continuo la valvola; sul 1.6 c'era un più semplice sistema a due posizioni (tutto aperto - tutto chiuso). Il tutto governato da una centralina elettronica più sofisticata.

Il nuovo motore era riconoscibile anche esteticamente dal precedente per le scritte MAZDA e DOHC 16-VALVE impresse sulla testata: sul 1.8 erano in rilievo e non più incassate come sul 1.6.

La maggiore potenza a disposizione consentì anche di allungare il rapporto al ponte, in favore di un contenimento dei consumi: al posto quindi del precedente 4,3:1 le nuove 1.8 avevano un rapporto di 4,1:1. Lo stesso rapporto fu mantenuto, a differenza di prima, anche nel caso di scelta della trasmissione automatica. Quest'ultima, anch'essa rinnovata, poteva ora disporre di una gestione elettronica.
Anche il cambio manuale ricevette delle migliorie, con un nuovo sincronizzatore a doppio cono per la seconda marcia.

Telaisticamente la vettura venne irrobustita ed irrigidita con delle nuove barre inferiori longitudinali che formavano una struttura ad U con la barra posteriore già introdotta nel '91. Un'analoga barra fu montata anche anteriormente ed un'altra ancora fece la sua comparsa nell'abitacolo, ancorata alle torrette delle cinture di sicurezza dietro ai sedili, per aumentare la rigidità torsionale della vettura. La taratura delle sospensioni venne modificata in favore di una soluzione più soft, accompagnata da una riduzione del diametro della barra antirollio posteriore (da 12 a 11 mm).

Altre modifiche riguardarono il potenziamento dei freni: i dischi furono maggiorati ed avevano ora un diametro di 255 mm (anteriormente) e 251 mm (posteriormente). Le ruote, di nuovo disegno ma sempre a sette razze, erano di 1 kg più leggere delle precedenti nonostante l'aumento del canale da 5,5" a 6".

Un'altra importante novità fu la sostituzione del differenziale autobloccante a lamelle con uno meccanico di tipo Torsen, montato di serie.

La carrozzeria rimase praticamente immutata: le uniche differenze si rilevano nella forma dei paraspruzzi posteriori (presenti per alcuni mercati), ora in un sol pezzo, nei supporti degli specchi retrovisori più massicci per ospitare il meccanismo di comando elettrico (in alcuni mercati) e nel colore della scritta posteriore Miata (per gli USA) e Roadster (per il Giappone), con il rosso al posto del precedente nero.
All'interno leggere modifiche furono apportate ai pannelli porta (ora senza bracciolo e con una tasca flessibile) e ai sedili, con poggiatesta separato e regolabile in luogo del precedente integrato nello schienale (solo per alcune versioni o mercati), e rivestiti con tessuto di nuovo disegno.
Una grossa novità riguardò la possibilità di montare (per alcuni mercati, ad esempio quello USA) l'airbag lato passeggero: questo costrinse a ridisegnare la parte alta della plancia per poterlo ospitare.
L'antenna elettrica divenne standard, fu migliorato il rivestimento del bagagliaio e fu semplificato l'indicatore della pressione olio. Migliorata anche la capacità del serbatoio carburante, ora di 48 l in luogo dei precedenti 45.

Le vetture equipaggiate col nuovo 1.8 litri ebbero i telai contrassegnati dal codice NA8C in luogo della sigla NA6CE riservata alle 1.6.

La produzione iniziò in agosto, col numero di telaio NA8C-100016.

Il guadagno in prestazioni rispetto alla precedente versione fu alquanto modesto, confermando l'intenzione della Mazda di incrementare potenza e coppia solo allo scopo di controbilanciare l'aggravio di peso, (la massa era ora di 990 kg, secondo i dati Mazda). Ciononostante la casa dichiarava valori di velocità massima ed accelerazione sensibilmente superiori rispetto alla "vecchia" 1.6 (ad esempio 197 km/h contro 190): tali dichiarazioni furono però sempre smentite dalle prove effettuate dalla stampa specializzata, che rivelarono appunto un divario prestazionale minimo.

 

Nel 1994 non ci furono cambiamenti sostanziali nell'ambito della produzione di serie. Continuavano comunque ad essere introdotte con successo sui vari mercati molte serie speciali, come le M Edition negli USA e le RS Limited in Giappone: queste ultime in particolare, insieme alle successive R Limited, disponevano di un volano alleggerito e del rapporto al ponte corto (4,3:1).

Un discorso a parte merita l'ultima delle auto create dalla Divisione M2: la decisione di chiudere il reparto era nell'aria da tempo (la M2 scomparirà nell'aprile del '95), a causa delle difficoltà economiche e delle gravi conseguenze a livello di immagine provocate dall'insuccesso della 1002.
Guidata ora da Shigenori Fukuda, l'equipe M2 creò un'auto degna erede della favolosa 1001. La base fu ovviamente la rinnovata Roadster con motore 1.8 presentata l'anno precedente.
La scocca fu rinforzata ed irrigidita con un roll bar a gabbia a dieci punti di attacco; per ottenere la massima leggerezza venne eliminata la capote in favore di un nuovo hard top costruito appositamente e con lunotto in policarbonato. Sempre per risparmiare peso il cofano posteriore in acciaio lasciò il posto ad uno realizzato in alluminio con uno spoiler appena accennato. Anche le ruote, sebbene esteticamente identiche a quelle di serie, erano in realtà nuove, fuse ad alta pressione e molto più leggere. All'esterno erano poi presenti anche degli specchi retrovisori più piccoli e gli spoiler inferiori (sia anteriore che posteriore) presenti nel catalogo accessori Mazda.
Il motore fu portato a 140 CV (con rapporto di compressione di 10,6:1) grazie a modifiche ad aspirazione e scarico, ad un volano più leggero e ad adeguamenti alla centralina elettronica. L'assetto ricalcava quello della 1001, a parte la riduzione delle dimensioni di cerchi e pneumatici (185/60 R14).
Il risultato fu una vettura molto simile ad un'auto da corsa; a detta di molti la MX-5 più efficace mai creata, nella guida al limite.
La sigla ufficiale era M2-1028.
Proposta in due colori (bianco e blu) ad un prezzo di 2.800.000 yen, rinverdì ampiamente i fasti della prima M2, vendendo i consueti 300 esemplari (di cui 185 bianchi) in un paio di mesi, a partire dal marzo 1994.

Nello stesso anno, ed in soli 10 giorni (dal 10 al 25 agosto), alla MANA (vedi la sezione STORIA ) veniva approntata una speciale Miata in occasione delle Monterey Historic Automobile Races. In quell'edizione la manifestazione era dedicata espressamente alla Ferrari, e lo staff di Tom Matano volle celebrare il quinto anniversario della Miata con un omaggio alle vetture italiane.
Quella che venne poi battezzata Mi-ari (da Miata e Ferrari) era una rivisitazione stilistica della MX-5 ispirata alle celebri Ferrari del passato. Comparvero così dei cerchi a raggi e degli sfoghi d'aria cromati sui parafanghi; la presa d'aria anteriore presentava una griglia simile alle più classiche GT di Pininfarina e fu aggiunto un piccolo spoiler posteriore.
La parte bassa delle fiancate era dominata dagli scarichi esterni; il parabrezza venne tagliato ed abbassato, in omaggio alla 250 Testa Rossa, mentre dietro il poggiatesta lato guida comparve una carenatura ispirata alle vetture Sport degli anni Cinquanta. Anche il tappo del serbatoio era una replica dei bocchettoni usati anni addietro nelle corse.
Sul cofano motore furono installate due minuscole prese d'aria in plexiglass che richiamavano le analoghe della 250 GTO. Poche le modifiche all'interno: il volante era un classico Nardi in legno e il pomello del cambio era di alluminio, con gli innesti della leva definiti dalla griglia a pettine tipice delle Ferrari.
La carrozzeria, ovviamente rossa, venne decorata con due vistose strisce longitudinali bianche e con un grande logo sul cofano che celebrava i cinque anni di vita della Miata.
Il prototipo riscosse una buona accoglienza, e costituì la base per un altro prototipo di cui si parlerà in seguito.

 

Si arriva così al 1995: in Europa (prevalentemente in Gran Bretagna, che ha sempre rappresentato la maggior parte delle vendite continentali) si cominciò a chiedere la reintroduzione di una versione con il motore di 1.6 litri; accanto a chi si era lamentato per la non eccessiva potenza del motore originario vi era infatti chi lo rimpiangeva per motivi di costi d'acquisto e di gestione. Oltretutto questa iniziativa era ben vista dai vertici della Mazda UK, che si trovavano a dover fronteggiare le prime concorrenti dirette, prima fra tutte la nuova MG F.
Venne così posta di nuovo in vendita una MX-5 equipaggiata con il 1597 cc. Per ben differenziarla dalla 1.8 il motore venne depotenziato a 90 CV (66 kW) erogati a 6000 giri/min; la coppia massima era pari a 13,2 kgm (129 Nm) a 4000 giri/min. Un motore quindi dal carattere più docile rispetto all'unità da 115 CV.
La meccanica rimaneva quella delle prime 1.6, quindi non erano presenti le barre di rinforzo nel sottoscocca e nell'abitacolo, non c'era il differenziale Torsen (né poteva essere richiesto l'autobloccante tradizionale, come invece accadeva sulle 1.6 da 115 CV) ed i freni non beneficiavano dei dischi maggiorati introdotti con il motore di maggior cubatura.

Tutto ciò non riguardava minimamente gli USA, dove il team guidato da Tom Matano aveva realizzato un interessante prototipo, esposto al Salone di Chicago. Battezzata M Speedster, questa vettura traeva origine dalla Mi-ari dell'anno precedente: modificando quest'ultima infatti si ricavò un'auto spettacolare ed aggressiva. Caratterizzata dal parabrezza molto basso, eredità della Mi-ari, presentava un frontale con due grossi fari rotondi (molto simili a quelli della M2-1001) e una carenatura rigida e sagomata dietro ai poggiatesta, che poteva ospitare due caschi. I fari di serie erano stati sostituiti con dei gruppi più piccoli. All'interno furono montati sedili sportivi e cinture di sicurezza a quattro punti di ancoraggio.
La macchina, verniciata con una vistosa tinta rossa metallizzata, poteva contare sul motore di 1839 cc portato a 200 CV grazie alla sovralimentazione. L'assetto si avvaleva di ammortizzatori Koni e cerchi da 15" dal disegno a stella con pneumatici 215/50 ZR15. Adeguati anche i freni con dei nuovi dischi da 250 mm davanti e 225 mm dietro. Nonostante l'interesse suscitato, la Mazda si affrettò a dichiarare che il prototipo non avrebbe avuto sviluppi produttivi.

Sempre negli USA fece la sua apparizione un interessante prototipo costruito da Peter Farrell, uno dei numerosissimi preparatori che oltreoceano si occupavano della Miata: egli realizzò una vettura molto aggressiva, con carrozzeria allargata, fari incassati e carenati (prelevati dalla Chevrolet Camaro e dalla BMW M3) in luogo di quelli retrattili ed enormi ruote 225/50 R16 davanti (su cerchi con canale da 8") e 245/45 R16 dietro (su cerchi da 9"). Una curiosità: la carrozzeria (di un vistoso colore viola metallizzato) fu realizzata da Craig Neff, autore anche della street rod Cad-zilla che compariva nei video musicali degli ZZ Top.
Il motore 1.8 era sovralimentato mediante un compressore volumetrico con intercooler aria-aria ed erogava 185 CV (dichiarati, ma c'è chi dice che la stima fosse parecchio ottimistica) a 6800 giri/min, sufficienti per consentire uno scatto da 0 a 60 mph in 6,9 s.
Il ponte posteriore era dotato del differenziale Torsen e di un rapporto di trasmissione di 4,4:1; ovviamente adeguati anche freni e sospensioni. L'importanza di quest'auto nella storia della MX-5, rispetto alle tante altre proposte dei preparatori, risiede nel fatto che l'idea di Farrell era di farne una vettura di serie in collaborazione con la Mazda, che difatti la espose nel proprio stand al Salone di San Francisco come Miata SC. Le speranze di Farrell furono però disattese a causa dei costi e della titubanza della Mazda di gettarsi in quest'impresa.

Intanto in Giappone si continuava a lavorare sul motore di 1839 cc: per ottemperare alle sempre più restrittive norme anti-inquinamento venne sviluppata una nuova centralina elettronica e perfezionata quindi la gestione del motore: il risultato fu un incremento di potenza da 128 a 133 CV (i valori sono riferiti alle vetture giapponesi e USA). Per l'occasione vennero adottati anche un volano alleggerito ed il rapporto al ponte corto (4,3:1, solo sulle auto con cambio manuale).
Le vetture per il mercato europeo mantennero la loro potenza di 130 CV ed il rapporto più lungo 4,1:1.
Piccole novità anche internamente: eliminazione delle cornici cromate dai due strumenti principali, ricomparsa dei braccioli sui pannelli porta, spostamento della luce di cortesia sulla cornice del parabrezza, con retrovisore ora fissato direttamente al cristallo. Diverso anche il materiale di rivestimento del pianale.
Unica novità esterna (per le auto vendute in Giappone) il colore del logo Roadster (Giappone) che passò da rosso a verde.

La produzione della cosiddetta 1.8 Serie II cominciò col telaio NA8C-400007.

Le vendite comunque andavano assottigliandosi, soprattutto in Giappone e nei mercati secondari (ad esempio il Canada). In controtendenza le immatricolazioni europee, in netto aumento (probabilmente grazie alla spinta della più accessibile 1.6 da 90 CV), e stabili quelle americane. Gli USA rimanevano comunque, come sempre in tutti gli anni di produzione, il principale mercato della Miata.

 

Nel 1996, complice il periodo economico non felice in Giappone, le concessionarie Eunos vennero trasformate in strutture Mazda, Enfini o Ford. La Roadster, sempre comunque mantenendo il marchio originale, proseguì dunque la propria carriera negli autosaloni Enfini, accanto alla RX-7, alla MPV e alla Eunos Presso.

Negli USA intanto la MANA presentò, in occasione del Salone di New York di aprile, un interessante prototipo di coupè basato sulla Miata e battezzato M Coupè.
La vettura, gialla metallizzata, era indubbiamente riuscita, con una linea molto più affascinante e gradevole di quella, più goffa, della M2-1008.
La meccanica era identica a quella della spider di serie, eccezion fatta per l'impianto di scarico che sfoggiava un vistoso (e non certo silenzioso...) terminale Remus in fibra di carbonio.
Diversi rispetto alla sorella scoperta erano però i cerchi 7,5" x 16" con pneumatici Dunlop SP 8000 205/45 R16.
La reazione del pubblico fu molto positiva, ma anche in questo caso, come per la M Speedster, non ci fu alcun seguito produttivo. E' verosimile ipotizzare che se questo coupè fosse stato realizzato tre o quattro anni prima, quando la spider non era in vista di una sostituzione, le sue sorti avrebbero potuto essere ben diverse.

La vettura rimase invariata, eccezion fatta per l'introduzione di un volante Momo a quattro razze per le versioni dotate di airbag e di un antifurto immobilizzatore.

Alla fine del 1996 usciva dalle catene di montaggio la Miata n° 400.000, un esemplare nero (Brilliant Black) destinato agli USA; intanto si susseguivano, in ogni mercato, molte versioni speciali a tiratura limitata.
L'emorragia di vendite comunque proseguiva, coinvolgendo anche gli USA e vedendo come sola anomalia l'Europa, che continuava invece a registrare consistenti aumenti. Oltretutto le voci, che cominciavano a farsi sempre più insistenti, sullo studio da parte della Mazda di una MX-5 rinnovata contribuivano parecchio al declino commerciale.

La Miata rimaneva comunque molto apprezzata dalla stampa e dagli addetti ai lavori, che continuavano a tesserne le lodi dopo ben sette anni di presenza sul mercato.

 

Il 1997 fu l'ultimo anno di produzione della Miata nella sua forma originale, prima dell'avvento della seconda serie ristilizzata.

Per tenere comunque vivo l'interesse del mercato continuavano a susseguirsi le serie limitate: una delle più interessanti fu la M Edition negli USA, dotata di cerchi simili agli usuali, ma con sei razze anzichè sette e con finitura cromata. Questi cerchi sono i più ambiti da coloro che portano la propria Miata in pista (negli USA non sono pochi) perchè sono i più leggeri in assoluto tra quelli proposti di serie.

Le modifiche apportate a queste ultime MX-5 riguardarono solo pochi dettagli: nuovi cerchi Enkei a cinque razze con pneumatici 195/50 - 15 e adozione del cofano posteriore con terzo stop anche per le versioni vendute in Europa.
Per gli USA fu modificato il pannello interno delle portiere, che presentava una imbottitura di maggiori dimensioni in corrispondenza delle spalle degli occupanti.

Vale la pena ricordare le ultime serie speciali comparse nei mercati principali, che chiusero la carriera del modello.

In Giappone l'ultima Roadster in tiratura limitata fu la SR Limited, creata in agosto per festeggiare l'ottavo anniversario del debutto sul mercato. Disponibile in due colori, bianco (Chaste White) e verde-azzurro metallizzato (Sparkle Green), fu prodotta in 700 esemplari, in maggioranza (384) bianchi. Caratteristici di questa versione erano i cerchi (i classici sette razze) e i gusci dei retrovisori (manuali) cromati, i rivestimenti in pelle nera con inserti grigi, anelli cromati attorno agli strumenti, radio con lettore CD e pomello del cambio in pelle (firmato Nardi).

Negli USA, in luglio, fece la sua comparsa la splendida STO Edition (Special Touring Option). Verniciata in blu micalizzato (Twilight Blue) con interni in pelle beige (lo stesso colore della capote), aveva i nuovi cerchi a cinque razze, un piccolo spoiler posteriore, battitacco cromati, pomello del cambio Nardi in pelle, tappeti coordinati beige con logo STO, lettore CD. In opzione si potevano ottenere il condizionatore d'aria e il cambio automatico.
Ne furono prodotte 1500.

L'ultimissima versione messa in commercio fu comunque appannaggio dell'Europa: nel gennaio 1998 infatti comparve, in Gran Bretagna, la serie conclusiva Berkeley, venduta in 400 esemplari. Era molto simile alla SR Limited giapponese: il colore esterno era infatti lo Sparkle Green, abbinato ad interni (in pelle) bicolori, neri e grigi. Differenti erano però i cerchi, in questo caso a cinque razze (diversi comunque dagli Enkei introdotti nel '97) e non cromati, al pari degli specchietti. Di cromato c'era comunque la barra di irrigidimento dietro ai sedili.
Volante e pomelli erano in pelle (Momo) e gli interni erano decorati con inserti in legno. Il tutto in vendita a 17.600 sterline.

Fu il canto del cigno per la Miata nella sua prima versione.

Nell'ottobre 1997, al 32° Salone dell'Automobile di Tokyo, la Mazda presentò infatti la seconda generazione della MX-5 (che conservò il nome Miata negli USA; il marchio Eunos venne invece soppresso e la macchina fu venduta sul mercato interno come Mazda Roadster).
La commercializzazione negli USA cominciò nel gennaio 1998, in occasione del Salone di Detroit: curiosamente l'auto venne definita come Model Year 1999.
In Europa invece venne presentata al Salone di Ginevra, il 5 marzo 1998.

Più moderna, più aggressiva, più veloce. Eppure senza quell'alone di mito che continua ad accompagnare le versioni prodotte fino al 1997.

Comunque sempre una Miata. In Giappone lo slogan di lancio recitava: ROADSTER, Reborn.