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Martinique

cap. 6

Warning!!!

 

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Le distanze sono fatte per osservare meglio, dicono. E lei non avrebbe potuto essere più d’accordo. Del suo legame con André, vivendolo, non aveva capito un piffero.

Per la prima volta lontani, i dubbi sulla partenza, i sensi di colpa in sospeso e non ultime ipotesi stravaganti di loro due come coppia, la tormentavano; persino il sonno ne subiva le conseguenze. Ed anche oggi all’alba si trovava al bompresso e fissava il punto indicato da quest’albero: l’ovest e lì la notte in fuga. Se il vascello avesse viaggiato con più velocità, immaginò, con molta più velocità, avrebbe potuto raggiungerla. Le avrebbe chiesto di non portarle più quei sogni amari, in cui si ritrovavano, ma lui non la riconosceva.

Anche da sveglia, l'idea aveva il potere di farla rabbrividire.

Era possibile? Per quanto poteva immaginare, nella migliore delle ipotesi sarebbero trascorsi anni prima di potersi rivedere. E lui, in questo tempo… l'avrebbe dimenticata?

 

 

Cap.6

Nodi

 

 

Étienne sbucò inatteso sul ponte di coperta e cercò attorno con lo sguardo, prima di puntare soddisfatto verso di lei.

“Con questo vostro continuare a mettervi alla prua farete sfigurare la nostra polena!” le buttò lì con un sorriso.

Non le piaceva quando la costringeva a pensare che la stesse corteggiando. Ancora meno le piaceva che conoscesse le sue abitudini, l’angolo di nave che aveva scelto come rifugio nelle sue ore insonni. “Ascoltatemi,” continuò Étienne: “da un paio di giorni il vento è calato e devo pregarvi di prestare maggiore attenzione; gli uomini diventano insofferenti quando la navigazione va a rilento. Rimanete sola il meno possibile e portate questo sempre con voi” le porse un pugnale dalla lama serpentina e l’impugnatura appesantita da ametiste incastonate; uno dei tanti tesori che ornavano le pareti della sua cabina. “E’ un piccolo kriss malese. Più veloce di una spada e meno prevedibile.”

“Non posso accettare un…”

“Non ve lo sto chiedendo.” La interruppe brusco. “Questo è un ordine del vostro superiore.”

Negli spazi ristretti del vascello, la spada era diventata scomoda abbastanza in fretta e aveva smesso di indossarla, al mattino. Legò al suo posto il fodero del pugnale, molto bello ad essere sinceri, e abbastanza corto da non infastidirla.

“Allora, grazie… ammiraglio?” usò il grado, sì, ma solo per prendere in giro quella dimostrazione di autorità che sconfinava nella galanteria. E l’altro a sentire il suo tono di scherno tornò immediatamente bonario.

“Sapete, il kriss ha una forte componente simbolica nelle popolazioni indonesiane. Questo ha la lama a cinque curve, quindi il portatore sarà un uomo colto, un sapiente. Sono certo che non avrebbero nulla da ridire, conoscendovi.”

“Vi restituirò il pugnale quando potrò tornare a usare la spada, appena attraccheremo.”

“Ne discuteremo quando il momento arriverà. Per ora lasciatemi nell’illusione di avervi potuto fare un dono.” Fece una pausa, osservando quel viso a cui donava anche la malinconia. “Se servisse a farvi sorridere un po’ di più vi regalerei l’intera collezione che è in camera, Oscar.” Aggiunse sospirando. Lei rimase indecifrabile, muta e distante proprio come la polena lignea nei colori dell’alba.

Il nostromo interruppe il loro silenzio, chiamando dal cassero: “Ammiraglio! C’è da ricalcolare la rotta!”

Étienne si ripromise di insegnarle a ricevere in modo più femminile i complimenti, quando, come non dubitava, sarebbero entrati in confidenza. “Allora, siamo intesi, Oscar: occhi aperti!”

Già. Occhi aperti. Specie se il tuo superiore alterna momenti di assoluto rigore alle moine di un cicisbeo, pensò lei, alquanto disorientata, ma senza la minima voglia di darsene pensiero.

Era ancora abbastanza presto per qualsiasi cosa, anche per tornare a dormire, se lei avesse voluto; invece scelse di concedersi del tempo per fare un bagno e cominciò a trasportare secchi su secchi d’acqua (di mare, ovviamente: altra non se ne aveva) nella sua camera; riempì il catino e ci si infilò quasi ad incastro, ripiegando le gambe lunghissime al petto. L’acqua era fredda, ma lei era un vero militare e si impose di resistere. Almeno grazie al gelo avrebbe smesso di pensare, pensò, pensando, a lui.

Maledizione!

Osservò le proprie mani, il colorito ambrato che avevano preso e la differenza dal resto del braccio, latteo, la pelle d’oca. Immaginò che anche il viso, nonostante il cappello, dovesse aver preso colore e ricordò un André piccolo-piccolo che le puntava l’indice sul naso, un’estate di chissà quanti anni prima, scoprendo con la meraviglia di un esploratore il nuovo mondo delle sue efelidi. Poche. Chiare. Ma ricordava benissimo lo stupore in quegli occhi verdi incantati a percorrerle il viso. A quell’immagine ne sovrappose tante, del suo volto più maturo, la voce calda attuale a sostituire quella del bimbo nella sua memoria che commentava: “Che carine!”, invece dell’indice sul naso una carezza, prolungata; una richiesta della pelle alla pelle, l’istante in cui, lo sa, pur non avendolo mai vissuto, non si può far finta che quel contatto non sia voluto, ricercato. Chissà come sarebbe stato baciarlo…

Prese a strofinare rabbiosamente i capelli col sapone, per pulire quell’ossessione e in poco tempo ottenne una testa gonfia di schiuma degna delle migliori acconciature di Maria Antonietta. Quando cominciò a sciacquarli, attorno al bacile si era ormai formato un lago, ma il problema con cui dovette confrontarsi nell’immediato furono i nodi. Immensi. Molti dovuti al vento dei giorni precedenti, (no, non aveva ascoltato il saggio consiglio di Étienne di portare i capelli legati) altri alla sua carenza di delicatezza di poco prima. Cominciò a districare l’intreccio selvaggio dalle punte, usando le dita, ed ebbe risultati incoraggianti. Con un pettine di legno a denti larghi risalì sulla lunghezza e si rese conto della portata dell’impresa: alla base del suo collo un unico groviglio cespuglioso teneva assieme la chioma, così compatto che non sapeva neppure da che parte cominciare ad intervenire per scioglierlo. Nanny usava dell’olio per non farle sentire dolore spazzolandola, e la sgridava affettuosamente per non aver mai imparato a trattare con più garbo i suoi capelli ribelli e bellissimi.

Di olio qui non ne aveva. E non aveva neppure la nonna.

Continuò a provare, frustrata, fino a che i polpastrelli somigliarono a prugne secche e i denti presero a batterle per il freddo prolungato; ma nulla.

E nonostante tutto continuava a pensare a lui.

Mise il pettine dal lato delle radici e lo spinse verso il basso, ignorando il dolore con tutte le sue forze, continuando a tirare, decisa. Ma a cedere non furono i capelli e si ritrovò a stringere nel palmo solo un manico spezzato.

“I nodi vengono al pettine, Oscar…” disse con tono beffardo la voce di André nella sua testa.

 

ADESSO BASTA!

 

Si alzò decisa a servirsi della spada, del pugnale, quel che era, ma doveva dare un taglio a quella situazione ridicola. Allagò la stanza per raggiungere il kriss appena ricevuto e stava per usarne la lama quando si fermò. Il pettine ancora incastrato, l’acqua ovunque sulle assi del pavimento, lei nuda e gelata su di un vascello per la Martinica a lottare con i suoi capelli e con l’idea di essersi innamorata di André.

L’assurdo e la realtà si fusero in un’unica lista di problemi, da affrontare uno per volta.

Asciugò frettolosamente se stessa e la camera, tamponò alla buona i capelli, si rivestì e con lo specchio minuscolo che aveva si aiutò a pianificare la traiettoria da seguire nel taglio. Non li aveva mai portati così corti, ma pazienza. Certo che con un paio di forbici sarebbe stato più semplice non fare disastri, pensò.

Camille, che aveva scoperto essere l’occupante della camera accanto, avrebbe potuto prestargliele… anzi… quest’ultimo come chirurgo poteva aiutarla nell’intervento!

Le sembrò un’idea così buona che non si preoccupò neppure delle occhiate curiose che si sarebbe beccata andando a bussare al dottore così scarmigliata e gocciolante, che era sì a non più di sei passi di distanza, ma la Mistral era ormai sveglia e non c’era angolo che non fosse pubblica piazza.

Il dottor d’Orsay la accolse ridendo; aveva due adorabili fossette nelle guance e quando rideva diventavano ancora più profonde. Qualche sghignazzo attutito giunse anche dalle sue spalle, dove le sue reclute stavano sistemando le brande e le amache. Doveva proprio avere un aspetto pietoso, considerò Oscar.

“Camille, non sta bene che un medico prenda in giro i suoi pazienti.” Disse, meno in imbarazzo di quanto si aspettasse, sentendosi nonostante tutto di umore più leggero, come se quelle risate avessero ridimensionato i suoi problemi. Gli mostrò il gomitolo barbarico alla base del suo collo. “Ecco, vedete questi? Vengo a chiedervi aiuto, stavo per usare la spada, ma immagino voi abbiate strumenti più adatti allo scopo. Potreste aiutarmi a tagliarli?”

Il dottore inorridì e si portò lentamente una mano al cuore.

“Vorreste… vorreste tagliare i vostri meravigliosi capelli???”

“Non è una mia precisa volontà, è che non ho alternative. Le ho provate tutte e non c’è verso di scioglierli.”

“Calma. Calma, Oscar, non scherzate. Datemi solo un istante.”

Rovistò nel suo baule e ne estrasse un vasetto di porcellana dal coperchio di legno. “Ecco, questo è un unguento che uso per le screpolature e per le ustioni; funzionerà anche per districare i nodi, vedrete!”

“Vi ringrazio, ma non posso permettervi di sprecare qualcosa di così utile per degli sciocchi capelli. Non preoccupatevi e usiamo le forbici.”

Camille si impuntò: “Per decapitare quella chioma rinascimentale dovrete passare sul mio cadavere.” Faceva effetto sentire la voce solitamente quasi melensa del dottore diventare minacciosa, anche solo per un attimo. Si addolcì continuando: “… quindi mettiamola in questi termini: usando il balsamo salverete una vita; la mia. Non lo fate per i vostri capelli, ma per me. Volete?”

Non le venne voglia di obiettare. Dopotutto, neppure lei voleva tagliarli.

 

Dopo l’agonia dello scioglimento, Camille continuò a spazzolarla con dolcezza; non l’aveva mai vista così rilassata e non voleva interrompere la magia del momento. Cominciò a raccontarle di sé, del giorno in cui conobbe Étienne, in cui quest’ultimo lo recuperò dalle acque del mar dei Caraibi.

“Avevamo appena perso di vista le coste della Martinica. Ero diretto a New Orleans con i miei genitori, quando fummo assaliti dai pirati di Ash Cardinal, non so se l’abbiate mai sentito nominare, è abbastanza famoso dalle mie parti.” Lei era troppo impegnata a godersi il momento di pace e la sensazione estatica della spazzola sulla nuca, per replicare con qualcosa in più del debole gesto della testa che stava per un ‘no, mai sentito’.

“Comunque, nello scontro morirono i miei genitori e quasi tutto l’equipaggio del vascello.” A sentire questo, Oscar si risvegliò. Provò a girarsi, ma lui le tenne la testa ferma con un movimento deciso, anche se gentile. “Io e gli altri superstiti ci buttammo in mare, non ci avrebbero certo risparmiato. Dopo un giorno a mollo, però, rimasi solo. Mi tenevo a galla con le ultime energie rimaste, avevo smesso di sentire persino la paura. Ricordo di aver visto la nave avvicinarsi e di aver provato a urlare, ma non di quando Étienne si tuffò a salvarmi; ero mezzo affogato. Lui mi ha sempre raccontato che ero sveglio e che non la finivo di ripetere ‘grazie’, ma l’ho rimosso. Magari è una delle sue frottole, non credete?” Oscar annuì silenziosa, sempre senza poterlo guardare.

“Ad ogni modo ero vivo, ma distrutto. Avevo perduto i miei genitori, a cui ero molto legato, e già prima dell’assalto alla nave… stavo vivendo un momento di crisi personale molto profonda. Mentirei se dicessi di non aver pensato di mollare il pezzo di legno a cui mi ero aggrappato e di lasciarmi morire, così; come se il destino mi avesse servito una scusa bella e pronta per arrendermi. Ma non potevo più. E’ difficile da spiegare.” Lasciò riposare un istante le mani sui suoi capelli.

“Per i miei. Perché continuassero a vivere in me, dovevo almeno provare a sopravvivere.” Ricominciò a spazzolarla; concedendo più passaggi, lenti, ad ogni ciocca che veniva man mano  sollevata dalla massa di onde luminose. E continuò: “Così, Étienne riuscì a salvarmi due volte. La prima dal mare. La seconda… da me stesso. Mi rimase vicino nei giorni più difficili e la sua presenza nel viaggio su quella nave, che all’epoca non era ancora la Mistral, per me fu la svolta. Fu un incontro fondamentale.”

Oscar ascoltava immobile, profondamente colpita da simili confidenze, ma senza commentare. Così come il narratore sembrava volere.

Camille riprese: “Allora decisi che l’avrei seguito in capo al mondo se necessario. Fu un momento straordinario: pianificai il mio intero futuro con molta chiarezza, mantenendo come unico punto imprescindibile il voler essere al suo fianco. Tornai in Francia, dove conclusi e affinai gli studi di medicina, aggiungendo la pratica con un chirurgo, sempre prezioso a bordo. Avevo paura di essere respinto. Di non essere abbastanza bravo per venire arruolato con Étienne, che stava diventando ammiraglio. Però, adesso che lo conosco meglio e so quanto ami le inutilità, penso che mi avrebbe accolto con lo stesso calore se mi fossi presentato con un turbante colorato sulla testa!”

Oscar sorrise. Sì, poteva immaginarselo.

“Camille, è davvero una storia bellissima… grazie per avermi confidato tutto questo.”

Stavolta non le impedì di girarsi, e lei gli rivolse uno sguardo ammirato; da persona leale a persona leale.

Forse avrei fatto lo stesso anche io, si disse.

Fu come una rivelazione: in un istante seppe che cosa fare.

 

 

 

 

(1) Libera rigenerazione dei concetti nei versi 1-5 della poesia Ex Voto, di  Eugenio Montale

 

pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

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