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Martinique

cap. 4

Warning!!!

 

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Non fermarti. Non guardare indietro, si disse, stringendo il libro nella mano mentre saliva la passerella della Mistral.

Sentiva che se se si fosse voltata a guardarlo, non avrebbe più trovato la forza di partire.

Era la scelta più dura che si fosse mai imposta, ogni passo verso la nave il più difficile che avesse mai compiuto e nessuna prospettiva di avventura, nessuno slancio di curiosità per il Nuovo Mondo poteva riuscire a colmare quella voragine che le si stava aprendo dentro, da qualche parte tra le viscere, lacerandola.

Ma… sarebbe stato poi così grave cambiare idea?

Rallentò fin quasi a fermarsi. Riusciva a sentire le vibrazioni delle onde trasmettersi dal  mare al legno e da questo alle sue gambe. Cambiare idea. Un nuovo mondo anche questo, a suo modo. La sola ipotesi aveva il potere di farla sentire infinitamente più leggera.

L’aria riprese ad entrare fino in fondo ai suoi polmoni ed il brivido della possibilità, così ovvia, a pensarci adesso, eppure così illuminante, le procurò quasi una vertigine.

Sradicarsi dall’amato suolo francese e dai suoi cari per dimostrare a se stessa di esserne in grado; di poterlo fare. Era davvero necessario?

Si bloccò del tutto. La nave era ad un passo da lei, ormai c’era arrivata. Ma fu proprio lì che la sua prova di forza le sembrò un atto di puro masochismo. Inutile.

Cosa voglio dimostrare e, soprattutto, a chi?

E se lo stessi facendo solo per orgoglio?

… E se non partissi?

Si girò a cercare André con quest’ultima domanda che le brillava negli occhi. Intravide solo la sua sagoma sul carro, allontanarsi a gran velocità e poi svoltare, al di fuori della portata del suo sguardo, in una traversa. Passò in rassegna il molo per assicurarsi di non averlo confuso con un altro, ma a poco a poco la situazione le parve evidente.

Adesso, era davvero sola.

Deglutì un paio di volte, a vuoto, finché non riuscì a mandar giù il boccone amaro di esitazione e di dolore.

“Era così che doveva andare”, si disse, sentendosi scema. E ritrovò il coraggio, ma non l’entusiasmo, di fare l’ultimo passo verso il destino che si era scelta e che aveva difeso contro tutti fino a poche ore prima.

 

Si era trattato solo di paura. Era questa la spiegazione. La versione che avrebbe raccontato a se stessa negli anni a venire, quando avrebbe ricordato quel momento, in bilico tra le sue due vite.

 

Cap. 4:

Comandante, non si comanda al cuore.

 

 

Oscar trovò la nave semideserta al suo arrivo. Non se ne stupì più di tanto: la sera della vigilia della partenza dovevano essere tutti a far baldoria, a salutare la terraferma prima di affrontare la lunga parentesi di mare. Per mettere a tacere la malinconia che la stava assalendo, decise di tenersi impegnata e di approfittarne per esplorare quella che sarebbe stata la sua casa nei mesi successivi, solcando l’Oceano.

Dopo due rampe di anguste scalette, che intuì immediatamente avrebbe odiato vista la facilità con cui si rischiava di battere la testa, si arrivava al secondo ponte di batteria, dove innumerevoli cannoni si alternavano alle amache, che penzolavano spettrali nell’oscurità della nave vuota, a perdita d’occhio. I marinai e le reclute si sarebbero spartiti questo spazio limitato per dormire. Anche i ponti superiore e inferiore a questo erano organizzati in questo modo, con la sola differenza che sul primo ponte di batteria, alla prua, si trovavano anche le tavolate per la mensa, e una rudimentale cucina che non lasciava molto di che sperare per i futuri pasti.

A poppa del ponte invece, stavano due porticine gemelle. Quella a sinistra era della sua cabina, che si era rivelata una piacevole sorpresa. Aveva immaginato che gli alloggi a bordo di un vascello dovessero essere dei loculi, invece come secondo ufficiale le spettava una stanza con uno spazio vitale dignitoso: oltre ad un letto più decente di una brandina, aveva anche una sedia, una mensola che fungesse da secrétaire e ancora spazio per il suo baule ed un catino. Si immaginò a contemplare il mare dalle due finestrone sul fondo, come un vero capitano di vascello e l’idea le piacque abbastanza, nonostante il suo umore del momento fosse agli antipodi della gioia.

La stanza accanto alla sua probabilmente era stata assegnata ad un altro ufficiale. Chissà.

Invece la cabina dell’ammiraglio era di certo al ponte superiore; ecco, risalendo, una grossa porta chiusa e decorata dalle insegne della marina reale e da uno stemma sconosciuto gliene diede la conferma. Doveva essere grande più del doppio degli ambienti sottostanti e fungere da luogo di riunione per gli ufficiali di cui l’ammiraglio era a capo. O almeno così aveva letto nei suoi libri, sui quali durante ogni battaglia c’era il momento in cui ci si radunava in questo luogo a discutere della strategia da adottare. Di certo c’era solo il fatto che l’ammiraglio fosse il comandante supremo, a bordo, e la reputazione di questo in particolare lo precedeva: per anni il secondo di de Grasse. Poi il comando della mitica Mistral, e con questa le numerose vittorie nella guerra di indipendenza americana. Aveva un curriculum impressionante, a pensarci, questo de Périgord.

Essere finita lì con un grado come il suo e senza aver mai messo piede su un’altra nave prima (eccezion fatta per le barchette a remi nel Grand Canal di Versailles, che immaginò non contassero), era abbastanza comico.

Le spettava il comando delle reclute e per la prima volta non si sarebbe trattato di nobili rampolli; era lì per addestrare uomini veri e non guardie reali, sembrava un gioco di parole. Li avrebbe preparati a diventare l’esercito di una terra a lei ancora sconosciuta, ma di cui aveva sentito parlare per i motivi peggiori: malattie, tempeste di potenza dieci volte superiore alle trombe d’aria, strascichi della guerra tra i proprietari terrieri che si mercanteggiavano le piantagioni, il potere sul territorio e le vite degli schiavi con una prepotenza che sapeva già le sarebbe riuscita intollerabile, ma che spesso era protetta dalla legge.

Poi, cos’altro? Oltre a qualche attrito da mettere in conto con i suoi stessi uomini potevano sorgere altri problemi non appena arrivati. La lingua, ad esempio. Nella Martinica, anche se il francese era parlato dalla totalità della popolazione colta, la maggioranza degli schiavi non parlava che il creolo: ovvero un miscuglio di lingue africane e retaggi aborigeni solo vagamente somigliante al francese.

Ah: i pirati! Quasi dimenticava i pirati.

Mancava ancora all’elenco la difficoltà più importante, quella che più di ogni altra non poteva riconoscere o nominare adesso. Faceva troppo male.

Voleva mettersi alla prova? Eccola servita.

Prese una delle lampade appese all’albero maestro per avventurarsi più in profondità; l’ultimo livello della nave si trovava al di sotto della superficie dell’acqua e di luce ne arrivava ben poca per un’esploratrice come lei: spilungona e senza la minima idea di ciò che avrebbe potuto trovare dietro l’angolo, andare a tentoni sarebbe stato troppo. I suoi passi scricchiolanti sulla scaletta riecheggiavano nel cuore umido e solitario del vascello e dovette ricordare a se stessa di non essere una persona suggestionabile, perché si sorprese a provare un vago senso di inquietudine a quel suono.

Quaggiù si sentiva forte l’odore salato del mare mischiarsi a quello delle corde stagnanti delle ancore; era tutto così ammassato… intuiva un disordine preciso, che pure non comprendeva a pieno, non sapendo come si utilizzassero la maggior parte delle componenti che vedeva. Riusciva a distinguere i portelloni della stiva nella luce tremolante della lampada ad olio e le paratie le rimandavano suoni ed ombre a cui non era preparata facendola scattare, di tanto in tanto.

Arrivò infine nel punto più nascosto della Mistral, dove si trovava l’infermeria. Bisognava davvero possedere nervi saldi per starsene quaggiù mentre imperversava il fuoco nemico, pensò; lei, almeno, avrebbe preferito mille volte morire in battaglia sotto la volta del cielo che fare la fine del topo, affogando per un colpo di cannone.

Vide gli attrezzi del chirurgo disposti sul tavolo. Era un armamentario macabro e non l’aiutava immaginare come funzionassero quegli arnesi. Delle pinze. Vari seghetti. Le vennero i brividi. Che si fecero più intensi quando notò inconfondibili aloni di sangue su uno dei lettini.

Decise di aver visto abbastanza per essere la prima sera e tornò alla sua camera, senza guardare indietro neppure una volta.

 

 

 

***

 

 

La mattina l’intero equipaggio fu richiamato al pontile superiore dal suono incessante di una campanella. Oscar era in piedi da parecchio; l’avevano svegliata i gabbiani alle prime luci dell’alba e fu tra i primi ad accorrere alla chiamata.

A piccoli gruppi, la nave rigurgitò le reclute traballanti; le loro facce alcoliche infastidite dal sole scatenavano l’ilarità dei marinai che pure dopo i bagordi notturni erano già all’opera per sistemare le vele ed approntare la Mistral alla partenza. Dal cassero, il ponte di comando, l’ammiraglio osservava quello spettacolo impietoso con le mani dietro la schiena, le folte sopracciglia nere in una piega indecifrabile sullo sguardo fosco. Incrociò quello di Oscar e sfiorò il cappello in un cenno di saluto. Aveva sorriso? Le era sembrato, per un attimo, di intravedere un guizzo divertito su quel volto abbronzato che adesso, cupo e severo, era tornato alle reclute. Poi iniziò il suo discorso:

 

“Sono l’ammiraglio Étienne de Périgord e sarò la vostra unica legge per i prossimi mesi.”

Suonava proprio come una minaccia. Non volò più una mosca.

“Voi invece… voi invece cosa siete? Non conosco le vostre singole storie, con quali parole vi siate definiti fino ad oggi. Poveri. Borghesi. Disperati. Vigliacchi. Deboli. Fuggiaschi.”

Tacque per un momento, poi riprese, e la sua voce era già diversa; un germe di speranza nel tono.

“Io non posso sapere ciò che siete stati fino ad ora e francamente non mi importa. Perché so che da questo istante, su questo ponte glorioso lucidato con il sangue degli inglesi, voi entrate a far parte della fanteria della Marina francese. La futura Guardia della Martinica. E’ questo che siete adesso!”

Tra gli uomini cominciarono a levarsi mormorii di consenso, mentre l’ammiraglio cominciava ad andare avanti e indietro, come se stesse cercando le parole per condividere con tutti loro qualcosa che lo tormentava.

“Sarete in pochi per un territorio vasto e ricco di problemi e quando sbarcheremo non sarà una passeggiata; tutt’altro.” aggiunse, fermandosi e caricando le ultime due parole di temibili significati.

“Ma anche un posto ristretto come un vascello può diventare problematico se si è disorganizzati. Allora io pretendo l’ordine. La disciplina. Non obbligatemi ad esercitare il mio potere per mantenerla; non vi conviene mettermi alla prova.” la voce suonò fredda come il filo di una spada messa a nuovo, la stessa inflessibilità del metallo.

“Porterete rispetto ai marinai che sono a bordo, fino all’ultimo dei mozzi, perché il loro posto qui se lo sono guadagnato, mentre voi finora avete solo messo una firma su un foglio.”

Gli uomini fidati del suo equipaggio annuirono soddisfatti a questa puntualizzazione.

“Verrete divisi in turni e vi saranno assegnati incarichi che imparerete al più presto; non credevate certo di starvene con le mani in mano perché siete dei soldati. Nessuno di voi scenderà da questa nave senza sapere come si vive sul mare, sono stato chiaro? E da domani comincerete l’addestramento con il vostro comandante.” Non la indicò, né la presentò, ma andava meglio così; lei preferiva far da sé e senza simili discorsi.

L’ammiraglio concluse il suo con qualche burbero incoraggiamento ed urla di approvazione si levarono sia dai marinai che dalle reclute.

 

Non c’è male, pensò Oscar. Un po’ troppo sentimentale, ma alla fine è riuscito ad entusiasmarli tutti. Ci sa fare.

“Oscar François de Jarjayes?“

A chiamarla era stato un uomo sulla trentina abbondante, in abiti civili e dall’aspetto curato: i capelli color miele scuro, legati in un codino sottile, incorniciavano un viso pallido e gentile, il naso alla Luigi XVI che stonava rispetto alla mitezza degli altri lineamenti. Soprattutto, era esile come un giunco. “Ma certo, non potete che essere voi!” Esclamò con un gran sorriso. “Sono Camille d’Orsay, il medico chirurgo di bordo.” Le rivolse un grazioso inchino invece di prenderle la mano, spiazzandola.

Accennò col capo verso l’ammiraglio: “Ne avrà ancora per un po’; questo è il momento magico della partenza, nulla potrebbe distoglierlo dalla sua Mistral!” gesticolava parecchio, come un ragazzino. “Sapete, quando Étienne, l’ammiraglio de Périgord mi ha detto di voi, quasi non gli credevo: avevo sentito parlare della donna a capo delle Guardie Reali, ma pensavo si trattasse di una leggenda, una delle tante storie di colore che circolano sulla reggia. E invece eccovi qui: “la rosa di Versailles” in carne ed ossa!” esclamò entusiasta.

La rosa di… che? Questa deve averla inventata Girodelle.

“Dottore, su questo punto, preferirei manteneste il riserbo con gli altri membri dell’equipaggio. Sarà tutto più semplice, non credete?”

“Intendete nascondere l’aver prestato servizio nella Guardia Reale?”

“No, io mi riferivo… Vorrei evitare si venisse a sapere che sono una donna.”

Il dottore rimase interdetto. Trovò parecchio ingenua quella richiesta. Era pronto a giurare di aver sentito già parecchi commenti indirizzati a lei dalla ciurma durante il discorso di Étienne, tutti apprezzamenti assolutamente non riferibili ad un uomo. Ma fu abbastanza saggio da declinare il ruolo di latore di quella scomoda realtà. Le sorrise, complice:

“Certo, comandante. Come voi desiderate.”

Pronunciava le parole con un’inflessione particolare, trascinandole sul finale. Oscar non aveva mai sentito quell’accento così dolce, sembrava quasi una cantilena.

“Voi siete francese, dottore?”

“Sono figlio di coloni. I miei venivano da Lione, ma io sono nato e cresciuto nella Martinica.”

Forse potrà insegnarmi qualche parola di creolo, pensò lei, incuriosita.

“Sono di Saint-Pierre, precisamente. La conoscete?” Oscar scosse appena la testa e lui continuò: “La chiamano la Parigi delle Indie Occidentali. Vedrete, è una splendida città, non può non piacere. Io ci sono tornato poche volte dopo la morte dei miei genitori; misi in vendita tutte le nostre proprietà poco dopo averli perduti e me ne andai in Francia, per completare il mio apprendistato come medico. Dopodiché sono sempre stato su una nave, al seguito del nostro ammiraglio.”

Proprio questi li interruppe, piombando nel loro discorso in un turbinio di ordini che coinvolse anche loro:

“Vi siete già presentati. Bene. Pranzeremo nella mia cabina e definiremo la gestione di questo bestiario. A mezzogiorno. AVANTI CON QUELLE VELE! Vogliamo partire o no? Sento le assi di quercia dello scafo mettere radici!”

 

***

André alternava la rassegnazione alla rabbia, la preoccupazione alla leggerezza. Provava a considerare lo sbaglio commesso imbarcandosi sulla Destin come una lezione che sarebbe potuta finire anche molto peggio; in fin dei conti in questo caso si trattava solo di compiere la traversata su navi separate. Ma poi tornava a lasciarsi corrodere l’anima dall’ansia all’idea di saperla sola – sola, cioè senza di lui – ad affrontare l’oceano e i suoi pericoli, non ultimi gli uomini con cui si sarebbe trovata a stretto contatto per più di due mesi. Ogni volta che pensava a questo aspetto…

Dio! Com’era bella in quell’uniforme!

Bella e assolutamente inconsapevole, un binomio pericolosissimo, anche se la donna in questione vestiva da uomo e girava armata.

Anche lui stava per ricevere la sua uniforme, nel fracasso generale e disorganizzato delle reclute che si affollavano senza ascoltare le istruzioni del comandante Dagoût. Un tipo decisamente innocuo, costui. Troppo, pensò, per tenere a bada gente simile.

Dei trecento uomini a bordo, una metà abbondante pendeva dalle labbra di Alain. Questo tipo di potere affascinava anche André, perché diametralmente opposto al suo modo di relazionarsi con il prossimo: laddove lui avrebbe rassicurato e messo a proprio agio, Alain trovava la battuta giusta per ricordare l’interlocutore al proprio posto, che neanche a dirlo, era al di sotto del suo. Questo ascendente veniva utilizzato con una buona testa e tanto cuore, bastavano attimi per accorgersene, e questo faceva di lui un “capobanda”, come aveva detto l’ammiraglio de Périgord, molto benvoluto.

André si era sentito lusingato dalla curiosità che il ragazzone dal fazzoletto rosso aveva dimostrato nei suoi confronti fin da prima della partenza e si rammaricava di avergli dovuto mentire. Dopo aver raccontato di essere il figlio di un falegname alla ricerca di avventure (a prepararla prima la storia, avrebbe tirato fuori qualcosa di più credibile) gli sembrò di notare un cambiamento nel suo atteggiamento.

Mi sa che non l’ha bevuta.

Non poteva correre rischi perché il suo stato d’incognito sarebbe stato un’arma in più per proteggere Oscar una volta sbarcati, ma gli pesava aver ripagato la fiducia di Alain con delle bugie.

 

***

 

L’accolse egli stesso, con una familiarità e un calore così informali da intimidirla. Quasi la tirò dentro la stanza, ignorando del tutto il suo saluto militare, e ogni altro protocollo.

“Accomodatevi pure! Siete in anticipo, capitano Jarjayes; dovrò insegnarvi ad usare il quadrante inglese (1).”

Ma cosa…

Oscar pensò di essere finita in un’illustrazione de “Le mille e una notte”. La stanza dell’ammiraglio era completamente fuori luogo per un vascello, ma forse lo sarebbe stata anche nella dépendance di una stravagante reggia orientale. Libri di ogni foggia e dimensione avevano preso possesso di ogni ripiano e di parte del pavimento ricoperto di tappeti, formando torri accanto al letto decorato con sontuose stoffe cinesi e tendaggi di tulle. Sete damascate, broccati ricoprivano i cuscini sparsi negli angoli, in un disordine colorato e poco pratico a cui un po’ di pulizia non avrebbe fatto male. Alle pareti erano appese armi e strumenti musicali provenienti da ogni angolo del globo, molti dei quali sconosciuti ad una persona che si riteneva abbastanza esperta di entrambe le categorie, come lei, ad esempio. Riconobbe una chitarra; non se ne vedevano spesso. Il piccolo tavolo da pranzo se ne stava al centro della stanza, apparecchiato per tre. Era l’unica concessione allo stile francese e sembrava trovarsi lì per caso; un pellegrino d’Occidente entrato in un bazar indiano per chiedere un’informazione.

L’ammiraglio forse si aspettava un commento sul suo alloggio così insolito. Non ricevendone alcuno, lo andò a scovare con gli occhi corvini in quelli celesti di lei. Ne percepì l’intelligenza, sull’attenti come il resto della sua persona, ma il resto dei suoi pensieri restavano impenetrabili.

Gli piacque.

Prese a spiegarle di come si sarebbero svolte le loro giornate e cominciò a snocciolare la lista di mansioni da organizzare tra l’equipaggio. Oscar non comprese alcune delle voci nell’elenco dell’ammiraglio, ma andò di intuito per un po’, prima di trovare le parole per ricordargli che, nonostante il grado di capitano di vascello, lei su una nave non aveva mai messo piede prima d’allora.

“Lo so, lo so. Imparerete tutto da me, non preoccupatevi. Però non potrete limitarvi all’addestramento delle reclute: nel caso malaugurato in cui dovesse accadermi qualcosa, il comando di questa nave passerebbe a voi, sapete?”

Questa sì che era una sorpresa. “Ma non ci sono altri ufficiali con più esperienza…”

La interruppe: “State sottovalutando le mie capacità di insegnamento o le vostre di allieva? Non ci sono altri ufficiali a bordo. Mi piace gestire la Mistral con l’equipaggio fidato che mi accompagna da molti anni, come un capitano d’altri tempi” e poi aggiunse, mellifluo: “Però ero molto curioso di fare la vostra conoscenza, Oscar… posso chiamarvi Oscar?”

L’intraprendenza del suo superiore la stava mettendo a disagio, ma si sforzò di simulare una tranquillità assoluta, come sempre: “Certo, ammiraglio.”

“Voi, però dovete chiamarmi Étienne.”

Non riuscì a rispondere con prontezza. Una simile libertà con un uomo lei se l’era presa una sola volta, nella vita. Non era uno sforzo da poco da chiederle, ma l’altro non poteva sapere.

Étienne continuò, mentre lei titubava. : “Sarà meglio prendere alla svelta confidenza: sapete a bordo di una nave qual è il peggior pericolo?”

Il disagio cresceva: “… Non saprei dire davvero…”

“La noia, Oscar. La noia. Quando il vento cala e il mare è piatto e tutto attorno non c’è altro che il blu infinito dell’oceano. In quell’immensità la mente si perde. Per questo è importante farsi buona compagnia. Voi leggete molto?”

Oscar non aveva intenzione di mostrarsi ostile, solo prudente. L’ammiraglio correva troppo e non l’aiutava il suo continuo girarle attorno squadrandola da capo a piedi. Provò a dirottare la conversazione su argomenti più seri parlandogli del testo di storia di battaglia navale che si era sforzata di studiare nel viaggio da Parigi. Al titolo, lui fece una smorfia disgustata.

“E siete riuscita a finirlo? Mia cara Oscar, dovevate essere parecchio motivata!” esclamò, mentre Oscar si chiedeva come si potesse essere arrivati al “mia cara” nell’arco di una manciata di minuti. “Forse vi sentite in imbarazzo per aver ricevuto un grado così alto sotto raccomandazione della Regina, e questo vi fa onore. Ma non temete, io vi insegnerò quanto posso sulla navigazione e sono sicuro che se anche solo un decimo delle storie che circolano sul vostro coraggio sono vere non avrete problemi, né con la nave né ad addestrare questo branco di scansafatiche.” Spostò lo sguardo dalle finestre sul mare a lei. “E’ meglio iniziare al più presto. La situazione che ci attende allo sbarco è parecchio tesa. Sappiamo da fonte certa che alcuni dei maggiori possidenti terrieri stanno muovendosi per organizzare una rivolta armata. Mirano all’indipendenza dal territorio francese.”

“Anche io vorrei iniziare al più presto e visto lo spazio ridotto a bordo pensavo di cominciare con le armi da fuoco. So che abbiamo le baionette in dotazione e…”

La interruppe: “Questi capelli sono tutti vostri? Non è una parrucca?”

Era come tornare all’infanzia, alle visite degli zii lontani che la subissavano di domande fastidiose, ma qui non si poteva fuggire. Perché non poteva essere più professionale?

“… No, sono i miei capelli.”

“E’ una bella zazzera! Fareste meglio a tenerli legati, con il vento rischiate di diventare un cespuglio, ma fate pure come preferite.” Si avvicinò al suo viso. Troppo. Oscar rimase immobile tenendo lo sguardo tagliente basso, il fuoco verso l’infinito, ogni muscolo del corpo teso. “Invece il cappello è tassativo, con questa pelle finireste cotta dopo due giorni in mare.” Bussarono.

“Permesso? Oscar, siete già qui? E io che credevo di aver fatto presto!”

Era troppo grata al dottor d’Orsay per quell’interruzione per notare che anche lui le si era rivolto chiamandola per nome.

Di lì a poco fu servito il pranzo e la conversazione si rilassò. E il pasto non era neppure male.

“E’ un piacere constatare che il cibo a bordo non corrisponde a quello di cui avevo sentito parlare. Il pasticcio di pesce era delizioso e anche il vino.”

Gli altri due ridacchiarono, poi Étienne, costernato, le spiegò: “Sarà solo per oggi, purtroppo. I cibi freschi sono un lusso dei primi giorni di navigazione e sono riservati a noi ufficiali. Conoscerete presto il grog al posto del vino e le gallette anziché questo buon pane bianco.” Portò quel poco che rimaneva della pagnotta che stava sbocconcellando sotto il naso, ne aspirò l’aroma con espressione struggente, prima di metterla in bocca.

Era difficile pensare a quel pagliaccio come all’ammiraglio che quella mattina aveva ammonito severamente le truppe e che aveva sconfitto gli inglesi in eroiche battaglie nel mar dei Caraibi. Era lunatico. Teatrale. Imprevedibile.

Sia lui che il dottore le avevano accordato una fiducia così totale e istantanea da risultare quasi sospetta.

O forse, stava solo diventando paranoica.

 

 

***

 

Dopo una lunga fila per ottenerlo, André rimirava il suo pasto poco invitante: la cattiva imitazione di uno stufato e il boccale di peltro pieno di grog (2).

Di tutte le versioni di ragoût (3) assaggiate nella vita, questa di certo si collocava all’ultimo posto della graduatoria: pochi pezzi di carne secca e salatissima galleggiavano in una specie di brodaglia sporcata di verdure.

Il buongustaio che era in lui soffriva alla sola visione di           quella sbobba.

Si accomodò in disparte, lontano dai tavoli. Dalla chiacchierata di pochi giorni prima in cui probabilmente aveva perso la sua fiducia, Alain l’aveva ignorato e lui non era stato dell’umore di cercare altra compagnia.

Non aveva dato che un paio di cucchiaiate malinconiche, quando il suo pasto solitario venne interrotto: di fronte al suo angolino, un ragazzo - poco più che bambino - si era precipitato tenendo in precario equilibrio la sua scodella di ragoût. Lo seguivano a ruota due ragazzi più grandi, per dimensione oltre che d’età. Il più alto dei due lo acchiappò per la spalla, col risultato di fermare la sua corsa e di far volare via quel che rimaneva nella scodella.

“SORCIO! Hai visto cosa hai combinato?”

Il secondo, più pesante e con l’affanno, rincarò la dose: “Maledetto!!! Allora non hai capito niente!” Prese fiato “I sorci come te devono chiedere il permesso per mangiare! Adesso guarda che hai fatto! La prossima volta che provi a filartela…”

Il lungo passò dalle minacce alla pratica: buttò a terra lo scricciolo e gli spinse la testa contro il pranzo conteso, ormai pozzanghera putrida sulle assi del ponte. “Avanti, che c’è? Non la vuoi più mangiare adesso, sorcio?”

 

“Lascialo andare.”

 

Non dovevano averlo proprio notato, perché quando parlò ci rimasero di sasso.

“Subito.” Dovette aggiungere, alzandosi. E a quel gesto i due assalitori ruzzolarono via, spintonandosi, per la fretta di imboccare le scalette.

“Ehi… tutto bene?” Era davvero piccolo, in effetti. Chissà quanti anni ha, si chiese André.

L’espressione era composta, addirittura tranquilla quando annuì con la testa. Rivolse solo un’occhiata sconsolata al suo ex-pranzo, ma sul viso olivastro non si mosse un muscolo.

“Senti un po’. Come ti chiami?”

Se ne stava zitto e immobile, lo sguardo perso nel vuoto. Poteva avere al massimo dodici anni e gli fece una tenerezza infinita.

“Non ti chiamerai mica sorcio?”

“No, signore, mi chiamo Pierre.”

“Pierre, allora. Ascolta, io è la prima volta che viaggio per mare e in questi giorni non faccio che star male appena tocco cibo, ché ancora non mi sono abituato al dondolio. Vogliamo fare che mi aiuti a finire questa? Io proprio non riesco.”

E gli mise la scodella di ragoût tra le mani.

Si capiva che era una scusa, il mal di mare… ma Pierre aveva fame. Alzò gli occhi sul suo benefattore e trovò un sorriso dolcissimo. Iniziò a piangere e a mangiare e a ringraziare, tutto assieme.

André conservava un ricordo vago di quando, più piccolo di Pierre, aveva subito maltrattamenti simili: anche lui era stato un bambino solo, per qualche tempo. Poi Oscar era entrata nella sua vita e aveva spazzato via tutto il dolore, quella rassegnazione che ti toglie anche le lacrime, trasformando le sue solitudini in mancanza di lei. Che era una cosa diversa. Nascose il naso e un principio di commozione nel grog.

Sono stato fortunato.

 

***

 

I primi giorni per Oscar come comandante non furono semplici: non si aspettava di essere riconosciuta come donna. 

“Sissignora, cioè… signorsì signore!” E le risate soffocate. Era cominciata così.

Lei però non si era concessa neppure un’esitazione e, inflessibile, la sua voce di contralto aveva continuato ad intessere ordini. Quando poi si era passati alla pratica e lei aveva mostrato loro come colpire un bersaglio in movimento con la pistola erano rimasti a dir poco esterrefatti. La situazione si era man mano invertita, e adesso riusciva a sentire la loro stima nel silenzio che regnava quando li congedava al termine di ogni addestramento; era sempre stato così nel suo lavoro: non sapeva come succedesse, ma quando cominciavano ad ascoltarla le reclute rimanevano incantate.

Era la prima vittoria della sua nuova vita e la lasciò quasi indifferente.

 

 

***

 

 

“Non guardare in basso se soffri di vertigini!”

André non soffriva di vertigini, ma l’arrampicata notturna sull’albero maestro era quantomeno un azzardo, essendo lui un novellino e pure un tantino cieco.

Arrivarono alla postazione di vedetta. Si sistemarono e Alain fece spuntare una fiaschetta dalla giacca come per magia. “Un po’ di alcool decente ci vuole, ogni tanto!” commentò gioviale. Ne prese un sorso e poi la passò a lui.

André bevve senza neppure odorare o chiedere cosa fosse. Era rum puro, di pessima qualità, ma sembrava oro in confronto allo schifosissimo grog che propinavano alla mensa.

“Ti ho visto l’altro giorno con quel ragazzino, sai? Puoi stare tranquillo: gli altri due non gli daranno più noie, ci ho pensato io.” Ma come cavolo faceva a sapere tutto? Doveva avere degli informatori, o non si spiegava.

“Mi fa piacere.”

Alain si grattò la fronte in un gesto che poteva sembrare di modestia e si mise a osservare la liquida distesa del mare, sconfinata, avanti a loro. Tacque solo un istante, poi andò al punto: “André, io sono sicuro di non essermi sbagliato su di te. Tu sei veramente una brava persona, lo so.” Si guardarono. “Non so cosa tu stia nascondendo… ma va bene, se non vuoi parlarne non devi farlo, avrai le tue buone ragioni. Però non contarmi più balle: offendi la mia intelligenza.”

André annuì restituendogli la fiaschetta. Messaggio ricevuto. Grazie, amico.

“Si vedono le luci della Mistral da quassù.”

Il cuore mancò un battito: “Davvero???”

“Sì, quel puntino tremolante laggiù. Sono le luci di poppa.”

Strinse l’occhio, poi lo stropicciò, si allungò in avanti, ma non comparve nulla. La notte per André diventava sempre più nera.

 

 

***

 

 

Mai sul diario di bordo si erano registrati tanti giorni di seguito di navigazione favorevole. La Mistral filava sull’Oceano sempre più spedita e l’addestramento degli uomini procedeva con lo stesso ritmo. Anche i marinai più pessimisti avevano smesso di mantenere l’allarme su eventuali improvvisi peggioramenti del tempo, stanchi di essere continuamente smentiti dal cielo terso, e pregavano in cuor loro che il mare mantenesse il buonumore.

Nella cabina dell’ammiraglio, i tre che vi si erano ritrovati il primo giorno avevano mantenuto l’abitudine di consumare i pasti insieme.

Oscar, con i suoi tempi, stava cedendo alla gentilezza degli altri due; imparava a fidarsi. Cominciava ad apprezzare quei due caratteri così lontani dal proprio; la sbruffoneria dell’uno e la dolcezza quasi materna dell’altro. Per alcuni aspetti riuscivano addirittura ad affascinarla, oltrepassando la coltre di apatia che l’avvolgeva da quando erano salpati.

Era grazie alle loro insistenze che avevano cominciato a trascorrere le ore libere assieme, a cui lei, sfuggente, ma senza scuse valide, aveva provato a sottrarsi. Sembrava passato già tantissimo tempo, e invece non erano passati che una ventina di giorni.

Aveva imparato già parecchio. L’ammiraglio si era dimostrato saldo nei suoi buoni propositi di insegnarle tutto il possibile e lei si era impegnata per non deluderlo e ad evitare ogni discussione… anche se nelle mattinate che trascorrevano gomito a gomito, lui a spiegare e lei ad ascoltare, non mancava mai di trovare lo spunto per provocarla. Era difficile capire cosa gli passasse per la testa. In presenza di altre persone era impeccabile, ma poi, da soli, sembrava si risvegliasse un demone, in lui; una voglia di litigare per il puro piacere di duellare a suon di argomenti che potevano spaziare dalla politica (la famiglia reale era il suo bersaglio preferito) al modo in cui Oscar portava i capelli o il colletto della camicia.

“Siete una delle donne più belle che io abbia mai visto.” Le aveva detto un giorno sistemandole il cappello. E poi aveva concluso: ”E’ un vero peccato che siate così sciatta.” Le era rimasto impresso, perché si capiva che lo pensava davvero, che non l’aveva detto solo per sminuire il commento precedente che l’aveva fatta scartare come un cavallo ombroso.

Poi, da quando aveva notato che Oscar si irrigidiva ai suoi complimenti, la sua galanteria si era fatta sempre più irruenta, al limite della presa in giro. Come se cercasse a tutti i costi una sua reazione.

Quando faceva così, lei lo detestava. Ma era un odio tiepido, un senso d’irritazione che durava qualche istante di fastidio o meno.

Dormiva pochissimo e male, forse per questo si sentiva così distante da tutto. Prendeva sonno solo a notte fonda e nonostante questo gli occhi le si riaprivano ai primi bagliori dell’alba;  era ovvio che le mancassero le energie.

Aveva la sensazione di stare procedendo per inerzia.

Il suo superiore invece era instancabile, vulcanico. Trattava la Mistral come un organismo vivente, alle cui cure tutti loro dovevano contribuire.

Mantenere le redini di una nave così imponente, che pure non era che un guscio di noce rispetto l’immensità dell’oceano, era un compito difficile. Ci volevano polso e conoscenze tecniche a non finire, che per fortuna le riuscivano facili da capire e memorizzare, ma ci sarebbero voluti anni perché imparasse a sentirsi abbastanza sicura da gestire lei stessa un vascello e la sua rotta. Con l’equipaggio invece sembrava cavarsela.

Dopo le cene, il più delle volte, lei e il medico di bordo si trattenevano nella cabina per bere qualcosa; lei rimaneva seduta al tavolo e gli altri due si buttavano a peso morto tra i tappeti e i cuscini, e da lì Étienne cominciava a raccontare le sue storie: le avventure sulla nave di de Grasse, i viaggi attorno al mondo fin da bambino, il tutto rimpolpato da aggiunte di pura fantasia che il dottor d’Orsay non mancava di rettificare al narratore. Quest’ultimo aveva l’aria di aver sentito parecchie volte quei racconti, ma continuava ad essere un’ottima spalla per i siparietti del suo amico.

Li guardò ridere di gusto dell’ultimo capolavoro di inventiva dell’ammiraglio, che infine afferrò un cuscino tra i tanti sparsi in giro e lo lanciò alla bocca della verità, il dottore, per intimargli di non rovinare le sue storie con dettagli di poco conto, come il fatto che le pozioni magiche, di solito, non esistessero.

Erano una bella coppia.

“Ammiraglio, da quanto tempo vi conoscete voi e il dottor d’Orsay?”

La risposta non fu quella che si aspettava.

“Oscar! Adesso BASTA! Com’ è possibile che non abbiate ancora iniziato a chiamarmi Étienne? Che diamine! Non siamo abbastanza amichevoli per voi? Perché siete così gelida? Avete sempre quell’aria malinconica, come un’Andromeda incatenata! Come se…”

Camille saltò in piedi e fermò quello sfogo: “Étienne! Ma sei impazzito? Per una volta che aveva aperto bocca! Calmati! Oscar, perdonatelo, deve sempre esagerare. Il nostro ammiraglio, qui, non sa accettare che abbiate resistito al suo charme” forzò volutamente il tono sulla parola “e come se non bastasse state avendo anche più successo di lui con le reclute!” gli sfuggì una risata ed Étienne lo perforò con un’occhiata di fuoco, ma il dottore continuò a canzonarlo: ”Pooovero ammiraglio!”

Oscar era mortificata. Per una volta che aveva aperto bocca? Non si era neppure accorta di essere stata così poco di compagnia. Negli ultimi giorni era stata spesso sovrappensiero, ma non immaginava a tal punto.

“Étienne, Camille, mi dispiace, non volevo offendervi. Voi siete stati gentilissimi e io di questo vi ringrazio, davvero. Ho la tendenza ad essere introversa, ma non intendevo affatto essere scortese, io…”sentì la propria voce steccare una nota di tristezza non voluta “io non… “ so cosa dire.

Aveva i loro occhi fissi su di lei e d’un tratto ebbe l’impressione di essere fatta di vetro. Fragile. Pronta ad andare in pezzi.

Per fortuna il suo lunatico superiore aveva già fatto sbollire l’irritazione e intervenne; riempì con la sua parlantina un silenzio che avrebbe raddoppiato il suo imbarazzo; gliene fu grata.

“Siete voi che dovete perdonarmi. Mi è stato più detto più volte in passato” rivolse uno  sguardo eloquente a Camille “di contare fino a cento prima di aprir bocca, ma amo troppo ascoltare la mia voce. E’ vero che sono vanitoso e sono seccato all’idea che le reclute vi idolatrino più di me. Vorrei capire come fate.”

Lei sgranò gli occhi a quell’iperbole: “Idolatrino! Ma no, anzi. Potete credermi, è già tanto se ascoltano.”

“Ma è vero, Oscar: istillate negli uomini il desiderio di ottenere la vostra approvazione!” Sottolineò il dottore.

“La silenziosa dea della giustizia bionda che ci osserva!” Fece Étienne, di nuovo pimpante.

“Ma la giustizia non era bendata?”

“Quella è la fortuna, Camille! Aaah, quanta ignoranza. Vedete perché devo parlare sempre io?”

Prese la chitarra dal muro, cominciò ad accordarla. “Bene, bene. Oscar, non temete, quest’uomo di mare irruento si farà bastare i vostri silenziosi sorrisi, se non vorrete aprirgli il vostro cuore. Ma dopo che si sarà esibito nelle sue migliori canzoni, spero non sarete così crudele da non applaudire: potrebbe gettarsi a mare per la disperazione!”

Non si sarebbe mai abituata a quei modi, era inutile, ma riuscì a sorridergli e in quel momento le sembrò già tanto. Tantissimo.

Étienne cominciò con un canto di mare bretone, un motivetto allegro dalla melodia vagamente celtica che stonò volentieri anche Camille. Il dottore è VERAMENTE una campana! pensò Oscar, applaudendo comunque i loro sforzi.

Proposero di ripetere il pezzo e di cantare tutti e tre e ad Oscar non rimase altro che glissare offrendo di esibirsi al violino, dato che c’era.

Gli altri due appoggiarono la mozione con così tanto entusiasmo che lei optò per una delle possibilità più vivaci del suo repertorio: una sonata di Mozart (4) con tema giocoso e tempo molto allegro, anche se mal si sposava con il suo attuale stato d’animo.

Inventò di sana pianta parecchi passaggi, ma se la cavò abbastanza bene.

“BRAVA!!!” urlò Camille appena concluse.

“Ma siete una virtuosa!” fece Étienne “Io a malapena riesco a tenere l’archetto, se vorrete darmi delle lezioni ve ne sarò grato!”

“Non merito questi complimenti, davvero. Non ricordavo più lo spartito” disse lei, rimettendo a posto il violino.

“Ma no, aspettate, perché non suonate qualcosa insieme?” propose Camille.

“No… n stasera. Perdonatemi sono un po’ stanca, vorrei andare a riposare. Domani se vorrete proverò a ricordarmi meglio i pochi brani che conoscevo.” Si rivolse all’ammiraglio: ”Étienne, se davvero vorrete delle lezioni sarò a vostra disposizione, ma non so quanto vi convenga.   C’è il rischio che danneggi il vostro stile con i miei errori; io suono molto ad orecchio.” E l’altro, tutto contento di aver udito il suo nome e non il grado, si affrettò a farle altri complimenti sulla sua esecuzione, mentre Oscar non vedeva l’ora di scappare, di rimanere sola, ad ignorarsi.

Stava per augurare loro la buonanotte quando l’ammiraglio la intercettò: “Aspettate! Solo un momento, Oscar, poi giuro che vi lascerò andare a riposare. Voglio dedicarvi una canzone, accomodatevi qui.” Le indicò il  grande cuscino affianco al suo e lei per la prima volta constatò che quella stravaganza non era poi così scomoda. “Sarà la mia buonanotte per voi”, le disse.

Era una canzone completamente diversa dalle precedenti, una ballata intensa e malinconica, che l’ammiraglio interpretava con molto pathos. Cantava bene. La voce bassa accarezzava le parole e gli arpeggi della chitarra sembravano restare a lungo nell’aria; era bellissima, struggente.

Guardò dritto negli occhi di Oscar quando intonò il motivo principale della melodia:

 

Tutti noi abbiamo un nome

da invocare quando viene sera

e il mare si fa cupo e nero

denso di languida nostalgia

 

E il suo nome le risalì a galla dall’anima in un solo respiro.

 

 

(1) Il “Quadrante di Davis” era lo strumento utilizzato dai naviganti per il calcolo della latitudine e come orologio solare. http://en.wikipedia.org/wiki/Backstaff

(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Grog

(3) http://en.wikipedia.org/wiki/Ragout

(4) Ebbene sì: in questa storia Oscar suona sia il piano che il violino. Mai contemporaneamente. Però, se può servire ad immedesimarsi in questa Jam Session on the Mistral, ecco un link con una traccia compatibile a quella descritta http://www.youtube.com/watch?v=1_cI15oHq_4  Naturalmente c’è da immaginare solo il violino :) E già che ci sono ho qualche spunto uditivo da linkare anche per la chitarra di Étienne: http://www.youtube.com/watch?v=HM_a3XRQd7k&feature=related http://www.youtube.com/watch?v=IwqlFD_UO_o&feature=related 

 

pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2012

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