Martinique
cap. 3 Paris-Brest (in the Mood for Daffodils)
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La Martinica è un’isola delle Piccole Antille, una fiorente colonia francese nel cuore dell’arcipelago dei Caraibi.
Per raggiungere le Antille con un vascello a tre ponti, se tutto va bene, ci vogliono circa due mesi di navigazione dal porto di Brest.
Per raggiungere Brest da Parigi, con un carro non troppo pesante e con le dovute soste, ci vogliono otto giorni al massimo, per le persone normali e per André.
Per coprire la stessa distanza con lo stesso mezzo: “è meglio avviarsi prima” per le persone patologicamente in anticipo come Oscar.
Cap.3
Paris - Brest (In the mood for daffodils)
La mattina dell’8 marzo (giorno in cui era stata fissata la partenza da casa dopo non poche discussioni) era una meravigliosa giornata di sole, lo zefiro muoveva leggero l’erba nuova ed Oscar era tornata ad indossare il gilet verde, per la gioia di André, che da anni considerava questo come il segnale dell’arrivo della bella stagione.
Lei aveva preso il minimo indispensabile, come al solito: un grande e ordinatissimo baule contenente dei libri, la sua spada, gli indumenti.
Lui invece avrebbe portato con sé tutto ciò che possedeva. Che era poco, ma comunque.
Si trasferiva. E lei partiva per non tornare, non a breve, almeno. Due concetti così enormi che non sembrava possibile realizzare assieme, nel piccolo mondo antico della villa, dove ogni giorno si assomigliava da anni.
Quanto sarebbe durato il disorientamento di chi veniva lasciato indietro, con la loro partenza? Giorni? Mesi? O non si sarebbero più ripresi? Immaginava questo, André, mentre rientrava ad ammirare per l’ultima volta la residenza dei Jarjayes con il suo occhio malandato, che niente sarebbe potuto più essere come prima, senza di loro.
Eppure, col tempo, avrebbero incassato il colpo. L’abitudine è fatta così: quando un cambiamento l’uccide impiega poco a rinascere; sorge dalle sue ceneri, come fa la fenice.
Ad ogni angolo lo sorprendevano ondate di ricordi. Nei giorni scorsi ne avevano riportati a galla parecchi, sentendosi vecchi e nostalgici a parlare della propria infanzia come di una leggenda.
Il periodo di preparativi che aveva immaginato straziante, si era trasformato in una pagina completamente nuova della loro storia; la quiete fragile prima della tempesta, forse, ma non per questo meno bella. Sorprendente, anzi.
Quasi subito dopo aver definito i programmi per la partenza, lei gli aveva detto: “Adesso basta parlarne. Non nomineremo più la Martinica e tutto ciò che questa implica fino al momento di salutarci. Promettimelo.” Gli era sembrata una richiesta strana, ma aveva accettato. E subito dopo lei... lei era cambiata...
E poi Oscar in quei giorni era incantevole. La sua naturale eleganza intrisa di questa nuova serenità avrebbe potuto stregare chiunque (così infatti succedeva, e andando in giro con lei più di una volta si era dovuto silenziosamente intendere con il marpione di turno: “Un’altra parola e tacerai per sempre”, diceva con un’occhiata). Certo che era davvero una città di cascamorti, Parigi.
Geloso lui? Naaa. Protettivo. Chissà poi se verso di lei o verso i suoi corteggiatori, viste le concrete possibilità di venire infilzati dalla sua spada. O di finire in una fontana, a quanto pareva.
Eppure Oscar non cercava altri che lui, e non gli sembrava vero. Quando gli incatenava lo sguardo con complicità per condividere senza parole qualcosa di buffo o di bello o per il puro piacere di sorridere insieme, tradiva sentimenti di cui probabilmente lei non sospettava neppure l’esistenza. Per un altro, meno coinvolto di André, sarebbero stati segnali chiari di un interesse ben diverso dall’amicizia. Il richiamo misterioso della luce per la falena. Ma lui c’era dentro fino collo.
Se solo si potesse prolungare questo momento, fantasticava, avrebbe potuto provare a farle capire che l’amava.
Certo, come no. Complimenti per la tempistica! si disse.
Però gli sfuggì un sorriso, continuando il suo vagabondare per le stanze, perché in effetti l’ipotesi di corteggiarla non gli era mai sembrata tanto tangibile. E magari dirotterò il carro verso Arras e ci sposeremo di nascosto in una piccola chiesa circondata da rose bianche, si canzonò scuotendo la testa, con la scaramanzia di chi vuol proteggere possibilità più sottili, troppo fragili per sopportare il contatto con la realtà. Quest’ultima intervenne brutalmente a strapparlo dai suoi sogni con un manto di buio: entrando nel corridoio che portava alla torre, il suo occhio cominciò a vagare a vuoto sugli scalini all’improvviso sconosciuti, percepiti solo dai piedi. Continuò a salire, a tentoni, tenendosi al muro, ansioso di riuscire a rivedere.
Non le avrebbe fatto capire un bel niente, realizzò, spaventato dall’eco dei suoi stessi passi, divenuto d’un tratto un rumore assordante, con l’illusione di poco prima ad avvelenargli il cuore.
Doveva lasciarla andare.
Eppure non riesco a smettere di sperare in un finale diverso, Oscar.
Alla fine del suo giro, arrivò alla stalla. Era da sempre il suo rifugio, il suo porto nella tempesta (1). In questo posto che gli era così caro sarebbero rimasti i loro nomi incisi a ricordarli, un piccolo monumento alla loro infanzia che accarezzò con la punta delle dita. Anche se avesse perduto la vista, se mai fosse tornato, li avrebbe potuti sentire. E in uno slancio di tenerezza che non gli andò di fermare, prese un coltello e aggiunse tra i due nomi un “et”.
Era come se ci fosse sempre stato.
“André? Sei lì?” lo chiamò lei dalla porta “Dai, sbrigati, dobbiamo andare!”
***
Il primo giorno si persero di continuo, litigarono su chi dovesse condurre il carro e lei gli contestò l’andatura troppo lenta.
Oscar brandiva la mappa come fosse il Santo Graal e lei ser Galahad (2) e senza piegarsi a chiedere indicazioni anche quando si ritrovavano in evidente difficoltà, così non facevano altro che peggiorare la situazione.
L’ennesima volta che furono costretti a tornare indietro, André smise di prenderla con filosofia, non volle sentire ragioni e cominciò a domandare ad ogni passante se quella fosse la strada giusta. Con buona pace di lei e della sua carta.
Non c’era una sola persona, uomo, donna, vecchio o bambino che non sembrasse l’incarnazione della disponibilità con lui. Si prodigavano come fosse un loro parente perduto e aggiungevano alle indicazioni consigli, chiacchiere e addirittura un invito a pranzo nel caso di un giovane contadino con figlio al braccio.
André: idolo delle folle, pensò lei. Chissà cosa avrebbe potuto fare con questa capacità senza una donna soldato a complicargli l’esistenza. E a monopolizzarne il tempo.
Adesso potrai fare ciò che vuoi, realizzò dolorosamente, guardandolo di sottecchi mentre scambiava cordialità con l’ennesimo passante. Immaginò quanto facilmente lui avrebbe ricominciato d’accapo, conosciuto nuove persone, senza di lei. Era un pensiero devastante.
***
Fu chiaro ad entrambi molto presto che il carro non era un mezzo di trasporto, ma uno strumento di tortura.
Si fermavano spesso a sgranchirsi, anche se lei sulle prime nicchiava; faceva qualche storia sullo star perdendo troppo tempo, ma poi si lasciava convincere con poco: uno spuntino, una pausa per leggere qualcosa o per curiosare nei villaggi in cui passavano erano tutte ottime scuse.
Questa mattina viaggiavano da poco più di un paio d’ore, quando, riemergendo dall’ombra di una boscaglia, finirono in un quadro.
La strada che stavano percorrendo costeggiava un immenso prato inondato da fiori gialli, narcisi forse. Una prepotente esplosione di primavera che si estendeva tra macchie di betulle fino alla superficie scintillante di uno specchio d’acqua.
“Mi sembra il luogo perfetto per una sosta!” Disse lui. E già accostava, prendeva un libro e scendeva con un salto.
Lei non voleva far di nuovo storie, prese il tomo che si era trascinata dietro da studiare, un noioso trattato sul combattimento navale che aveva pensato potesse aiutarla a prendere confidenza con la terminologia marittima e lo raggiunse provando a non calpestare le corone dorate dei fiori, ma era un’impresa impossibile.
“Senti, però non fermiamoci troppo…” azzardò.
“Dai, falla finita!” rispose esasperato lui. “Non so tu, ma io ho la schiena a pezzi; il carro è micidiale. Ma guardati attorno! Non è uno spettacolo?” E poi, più dolcemente, già accomodato sull’erba e invitandola con un gesto a prendere posto tra i narcisi: “Rilassati. Siamo perfettamente nella tabella di marcia.”
Se ne stavano così: sdraiati nel prato vestito a festa, ognuno con la propria lettura e il rumore della pace ad avvolgerli. Il sole cominciò a far sentire il suo tepore sulla pelle e Oscar finalmente si arrese all’incanto del luogo. Era felice della pausa bucolica, di trovarsi lì con André, di essere viva.
Chiuse il trattato sulla navigazione sbuffando, non ci capiva niente, non c’era una frase che non contenesse un vocabolo a lei sconosciuto. Guardò lui, che invece sembrava completamente assorto nel suo libro, un romanzo.
Si stiracchiò a lungo come un gatto, poi provò a rotolargli accanto, ma aveva calcolato male le distanze e gli finì praticamente addosso, facendogli cadere il libro e la mandibola per la sorpresa. Rise di sé e della sua goffaggine, avvolta in una nuvola di capelli biondi su di lui, che non aveva mosso un muscolo, completamente paralizzato. Oscar si risistemò chiedendogli: “Com’è il tuo?” “Cosa?” Lui non capiva nulla, il sangue gli era andato alla testa e anche altrove e stava lottando per non compiere gesti inconsulti. “Il tuo libro. Com’è?” richiese lei, candida. “Avrò letto al massimo una ventina di pagine, ancora non so dirtelo.” Ed è difficile concentrarsi quando mi sei accanto, omise, quindi se vuoi saltarmi ancora addosso fai pure, nessun disturbo. Assunse una posa plastica da studioso irreprensibile, tornando alla lettura, o almeno, alla sua parvenza. |
“E di cosa tratta?” incalzò, ancora troppo vicina.
“Te l’ho detto, non si capisce ancora… a stento hanno fatto capolino i personaggi.”
“E l’introduzione non c’era?”
“Non mi piacciono le introduzioni, dicono sempre più di ciò che dovrebbero e il libro, se è un buon libro, si legge da sé.”
Il tono presuntuoso della sua opinione la zittì. Ma lei continuava a starsene lì al suo fianco, a fissarlo in silenzio. Era una tortura deliziosa.
“Sei dimagrito”, osservò.
“Dici? Non l’ho notato.”
“Non sono neanche cinque giorni che ti sei allontanato dai manicaretti della nonna! C’è da preoccuparsi!”
Lui si arrese. Chiuse il romanzo e si girò a guardarla sistemando il peso del capo sul braccio, puntando il gomito nel prato: “Ma sono bello lo stesso, no?”
Lei non rispose subito. Oltre a sembrarle un discorso sciocco, lo trovava abbastanza scontato; certo che lo era. Il mormorio di ammirazione che suscitava lui tra le dame era anche superiore al successo riscosso da lei, a corte e fuori. Giustamente.
Però, riflettendoci… gli osservò i contorni del viso accarezzati dal sole, la piega familiare e ironica delle labbra mentre attendeva pazientemente la sua risposta…
André era incredibilmente bello.
“… Che vanesio!” esclamò, volgendo strategicamente il viso altrove.
“Intendi dire che non lo sono?” Fece lui, piccato per finta. Adorabile. Diabolico. In brodo di giuggiole per l’imbarazzo di lei.
“Via, André! Che discorsi! Sai di esserlo, te lo dicono tutti!”
Era già una mezza vittoria portata a casa. Ma nei campi di narcisi vige la regola non scritta che la vanità venga saziata per intero.
“Ma che c’entra, un conto è… Scusa, a te non fa piacere sentirtelo dire?”
Lei esitò: “Dipende. Sì, insomma… sì.”
“Ecco. Allora non è una cosa sciocca.”
Touché. Era l’ennesimo dogma paterno che le faceva crollare. Tutto questo smantellare di certezze la faceva sentire meno salda, meno sicura, ma andava bene così: il mondo era un bel posto in cui vivere in questi giorni, in cui tutto poteva essere messo in discussione e nulla veniva dato per scontato.
Fece scorrere i suoi occhi d’acqua su di lui e calibrò ogni sillaba della breve risposta; significante e significato.
“Sei molto bello, André.”
(E Narciso affogò silenziosamente in quel riflesso, punito dalla dea dell’amore.) (3)
***
In qualche punto della Normandia André bloccò il carro al centro della strada, senza preavviso. Si alzò sul predellino e diede un’occhiata circospetta ai dintorni, incuriosendo Oscar, che non aveva notato nulla di strano. Inspirò profondamente e poi si rivolse a lei, entusiasta: “Qui l’aria profuma di mele!”
Avevano bevuto tanto sidro, quella sera. E lei sembrava così felice e distesa che aveva immaginato addirittura di poterla invitare a ballare, su uno dei motivetti popolari che risuonavano nella vecchia taverna legnosa, lontana da tutto ciò che erano state le loro vite.
Più di ogni strumento, amava la sua risata, pensò osservandola riprendersi dall’ultima di queste.
Si era sbellicata fino alle lacrime, e all’improvviso esclamò: “Mio Dio! André, guarda!!!” indicandogli un punto alle sue spalle.
Fu in questo modo che con scatto felino e agile mossa gli rubò il boccale e l’ultimo sorso di sidro; che non riusciva a mandar giù per quanto il suo furto la faceva sghignazzare.
Lui era basito da quella manifestazione di idiozia effervescente. Una novità assoluta.
“Altro che Martinica. Tu avevi solo bisogno di una vacanza, Oscar!”
Si pentì all’istante di averlo detto.
Lesse negli occhi brilli di lei, improvvisamente seri, la supplica di non tradire la sua promessa. Di non rovinare tutto. E capì che non era per cocciutaggine, o almeno, non solo per quella, che aveva messo il veto su ogni discorso sulla Martinica e sulla loro conseguente separazione, ma perché stava soffrendone anche lei, pur continuando a voler partire.
La sua era stata una soluzione infantile; un “facciamo finta che non sia così”, ma doveva ammettere che aveva funzionato. Quella messa in scena stava salvando anche lui dalle sue ossessioni: era molto meglio godersi quegli attimi e non pensare di stare scambiandosi un lungo addio… no, c’era da impazzire all’idea.
Era un momento sospeso, e sarebbe stato tragico, se non fosse stato comico, lei ancora con le guance gonfie di liquore alla mela frizzante che aspettava la sua prossima mossa. André prese posto sul palco e rientrò nel ruolo:
“Avanti, ladra. Sputa.”
Sparse il bottino in una risata.
Fu una scena molto poco signorile e si beccarono un’occhiataccia dai gestori, ma non potevano notarlo, presi com’erano da un gesto da nulla come quello di André, che le stava asciugando il sidro dal mento, col suo fazzoletto.
Dimentichi del resto, erano di nuovo solo loro due e una distanza da coprire.
***
“Tu sai riconoscere la stella polare?” gli chiese al termine di una giornata tranquilla, con l’aria malinconica, osservando il cielo.
Lui le rispose secco:“No, non capisco nulla di costellazioni, Oscar”.
Non era vero, ma era meglio che ammettere di non riuscire più a distinguere la luce delle stelle.
***
Il 17 sera ancora non erano arrivati ed erano entrambi parecchio nervosi.
Aveva imperversato il maltempo, e anche adesso che stavano fermandosi per passare la notte in una locanda erano zuppi di pioggia. Brest era a meno di un giorno di cammino, lei avrebbe fatto in tempo, se l’erano solo presi con calma, cosa a cui lei aveva man mano tacitamente acconsentito, quindi non c’era ragione di innervosirsi. Invece Oscar sembrava nera. Lui non capiva il muso di lei e rincarava l’atmosfera tesa con il suo silenzio.
Cosa avrebbe potuto dirle? Ti amo. Resta.
Aveva solo questo in mente.
Alla locanda, nella rimessa dove avevano appena lasciato il carro, lei gli si piantò davanti e lo interrogò rabbiosa:
“Senti, oggi era l’ultimo giorno di viaggio. Mi spieghi che ti è preso?! Non mi hai quasi risposto per tutto il tragitto.”
Lui riemerse dal suo mondo addolorato e notò i capelli di lei appesantiti dalla pioggia che gocciolavano sulla paglia ai loro piedi.
“Sei davvero fradicia” e provò a sfiorarle la testa bagnata, ma lei lo scacciò in malo modo con una mano mentre con l’altra gli diede una spinta: “Ti ho chiesto cosa c’è!”
André d’istinto le bloccò i polsi, e fu come un’esplosione: “LA DEVI SMETTERE D’ALZARE SEMPRE LE MANI!”
Persino l’avverbio lo uccideva. Sempre significherebbe anche domani e dopo, e ancora.
Lei lo fissò seria, sapeva di aver esagerato, ma allo stesso tempo continuava a pretendere una risposta con lo sguardo piantato nel suo, mentre lui non la lasciava andare.
“…”
“…”
Tu non hai veramente idea di cosa stai rischiando, Oscar.
Ma doveva farcela, perché questo era l’ultimo spettacolo e lui avrebbe calato il sipario senza colpi di scena, come si era ripromesso di fare.
“Cosa ti aspettavi? E’ ovvio: sono triste.” Un sorriso fiacco accompagnò l’ammissione.
Le lasciò liberi i polsi, ma non lo sguardo e, lentamente, come chiedendole il permesso, seguì con la punta delle dita il profilo delle braccia per poi avvolgerla tra le sue con un’infinita dolcezza.
Lei si placò, in questa stretta tenera. Era stata la solita sciocca a sbottare; l’aveva immaginato tutto il giorno perso in chissà quali pensieri, e invece con ogni probabilità erano simili ai suoi, troppo confusi per essere espressi. Era ovvio, certo. Lei per lui era importante, nonostante tutto. Meno male. Gli si fece contro e rispose all’abbraccio. Sentì, sotto le sue mani sulla sua schiena… un brivido? Un singhiozzo? Allora stavano salutandosi davvero?
Avrebbe voluto annullarsi così, il naso contro la camicia umida di lui e i suoi capelli a peggiorare la situazione e non pensare al tempo, agli addii, alle ansie che avrebbe affrontato da sola, dal domani in poi. Capì che era finita. Lo sentiva da come la stava stringendo. Doveva trovare la forza di fargli i suoi migliori auguri per il futuro o se ne sarebbe pentita, forse per sempre.
Sistemò meglio il viso nel comodo rifugio tra il suo collo e il suo petto e lui seguì quel contatto inclinando il capo, cercando di spostare con la guancia le ciocche umide della frangia di lei.
Oscar inspirò a fondo il buon odore di lui, così familiare da confonderlo con il proprio, e le fu di conforto; non avrebbe pianto. Ecco, adesso poteva provare a parlare:
“Lo sai, André, quando mi hai detto di volerti trasferire non l’ho presa tanto bene. Da qualche parte nella mia testa coltivavo l’idea che comunque sarebbe andato questo viaggio io avrei potuto decidere di tornare indietro, a ricominciare la mia vita da dove l’avevo lasciata, con te lì ad attendermi. Non dire nulla, lo so che è sbagliato.” Riusciva a sentire il suo cuore accelerare. Sperò di non averlo offeso e riprese a spiegarsi: “Capisci fino a che punto mi concedo sempre il lusso di appoggiarmi a te? Avevo quasi finito col dimenticare che sei libero di fare le tue scelte, di vivere la TUA vita, quella che ti sei negato finora. Perdonami se in questi anni…” si interruppe al pensiero del suo occhio sinistro, perduto per lei. Qualsiasi parola sarebbe suonata stupida al riguardo. Troppo. Era semplicemente troppo quello che aveva ricevuto da lui senza meritarlo, e troppo era il dolore che provava nel tentativo di esprimerlo. “André, grazie di tutto. Davvero, spero tanto che tu sia felice a Pont-Aven.”
Lo strinse forte, insoddisfatta del proprio eloquio infantile, ma fiduciosa nella comprensione di lui.
Cosa vuoi dire, Oscar? Sei impazzita?
Credi sia stato un sacrificio, finora, esserti rimasto accanto?
Il loro era un fraintendimento grosso come una casa, di più: era la Versailles di tutte le incomprensioni.
Lei che lasciava libero lui!!! Il mondo si era capovolto e non c’era tempo di correre ai ripari!
Si sciolse dall’abbraccio continuando a tenerle le spalle, senza sapere da dove cominciare e come, per spiegarle.
“Ti sbagli di grosso se credi che sia rimasto al tuo fianco solo per dovere.” Guardami, Oscar, guardami! Possibile che non ci arrivi?
Lei si capiva che gli era grata di questa risposta e gli sorrise bonaria: ”Ma certo. Non volevo semplificare a tal punto. Lo so.” Però non sembrava troppo convinta. E il suo sguardo timido continuava ad evitare quello rivelatore di lui, troppo vicina alle lacrime per sostenerlo.
Il pensiero che Oscar potesse immaginarlo in qualche modo sollevato all’idea di non doversi più occupare di lei era davvero il colmo, ma riapriva i giochi… le implicazioni di questa nuova scoperta erano potenzialmente esplosive!
Con la voce ancora bassa dall’emozione e frettolosa nell’imbarazzo di dissiparne i resti, Oscar si divincolò dalla stretta e interruppe la sua fucina di pensieri: “Forza, andiamo ad asciugarci, domani abbiamo altra strada da fare.” Attese una risposta che non arrivò e infine incrociò il suo sguardo.
Accadde in un attimo: per la prima volta si rese conto di aver voglia di baciarlo. André. Il suo André. L’idea le diede quasi le vertigini. Sembrava così sbagliata da fare il giro e finire col diventare giusta. Una follia generata dalla tempesta di emozioni che stava provando, senza dubbio. E lui perché la fissava a quel modo? Aveva capito?
Si voltò immediatamente, dandogli la schiena.
“Allora, andiamo?”
E si incamminarono silenziosamente verso le loro camere, ruminanti di pensieri.
***
Era tardi, la pioggia continuava a cadere senza pause. Dalla sua stanza si vedeva la strada da cui erano arrivati; era diventata un pantano e la mattina seguente avrebbero potuto avere problemi a partire presto, ma lui non riusciva a pensare ad altro che a quello che lei gli aveva detto prima.
Come può pensare una cosa simile?
Era incredibile che lei potesse immaginare in quel modo il loro rapporto, la loro vita insieme. Sì, certo, Oscar si rendeva conto di poter contare sul suo affetto, ma non al punto da pensare che non fosse stato un sacrificio per lui starle accanto per ventitré anni, a quanto pare.
Lei credeva che avesse rinunciato ad inseguire chissà quali castelli in aria in nome di cosa? Per senso del dovere verso la famiglia di lei che l’aveva accolto da bambino, fornendogli casa e istruzione? Chissà da quanto tempo lei aveva deciso che le cose stavano così.
Avrebbe voluto scoprirlo prima.
Gli aveva detto che era libero di fare le sue scelte, ma lui la sua scelta l’aveva già fatta tanto tempo fa.
Ed è per questo che mi imbarcherò di nascosto sulla tua nave, domani. Non c’è occhio che tenga!
***
Gli stivali neri della nuova divisa da capitano di vascello le arrivavano poco sotto il ginocchio, leggermente più alti dei precedenti. Il polpe bianco, anche se detestato da sempre per la sua scomodità (4), seguiva perfettamente le sue piccole forme, ma era soprattutto la splendida giacca blu oltremare con le passamanerie dorate e le code a piacerle.
Rispetto alla sua rossa delle Guardie Reali andava più corta sul davanti; lasciando scoperta la cintura metteva in evidenza la vita sottile. Non le stava affatto male, considerò.
Sistemò un polsino per la millesima volta. Si sentiva carina. Forse addirittura bella. Non succedeva da tempo e si sorprese di provare qualcosa di simile tra un crescendo di ansia e l’altro, proprio il giorno della partenza.
Nella stanza non c’erano specchi per confermare quell’impressione, ma ad attenderla di sotto c’era André, che non le aveva mai negato un commento su simili frivolezze.
Non che mi importi granché, si disse.
Scese le scale un po’ impacciata e gli andò incontro provando a pensare ad altro.
Lui la accolse con un’espressione talmente estasiata da confonderla, e il cuore, irragionevole, le partì a raffica.
“Caspita! Che… uniforme! Su, fai vedere!” e prese a girarle attorno; ammirato e divertito dal sorriso timido che le era spuntato.
“E dai, André… è solo una divisa…” fece lei, tanto per dissimulare il brodo di imbarazzo e giuggiole in cui stava sguazzando. Che razza di sciocchezza tanta felicità per qualche lusinga, solo mimata, poi. Eppure.
Improvvisamente il viso del suo esaminatore si oscurò.
“Hmmm…“ fece pensieroso.
“…???”
Le indicò la giubba: “Non ti sta un po’ stretta?”
Lei aggrottò la fronte e allungò le braccia a controllare le maniche, visibilmente preoccupata, tastò le spalle e piegò i gomiti saggiando la tensione della stoffa. La sentiva a posto. L’abbottonatura idem. Infine incontrò il suo sguardo sornione; le braccia incrociate di chi si gode la vittoria e capì.
“Sei un cretino.”
“E tu stai benissimo, Oscar. Andiamo.”
***
Il porto di Brest era immenso. La città stessa sembrava farne parte: tagliata in due da un fiume navigabile, ci si sentiva circondati da pontili e imbarcazioni anche nel centro.
Alla foce del fiume si ergeva il castello, che dominava il labirinto di cantieri e moli della base militare navale vera e propria, la più importante di tutta la Francia. Tutto intorno si svolgeva la frenetica attività del porto commerciale, un universo di colori e suoni brulicante di vita e malavita, che quasi stordì Oscar e André al loro arrivo, all’ora di punta.
Il sole era tornato a splendere, e brillava a picco sulla confusione del mercato, mentre i due viaggiatori accostavano il carro sulla strada tra questo e il fiume, una via così piena da sembrare in festa. Oscar afferrò appena in tempo il braccio di André per evitargli di finire schiacciato da un cavallo, lanciato al galoppo nonostante la folla.
“Stai bene?”
“Sì; grazie a te! Tu guarda che razza di…” ma subito si riprese dallo sbandamento e le sorrise, rassicurante. Le propose: “Che ne diresti di aspettarmi qui al carro? E’ più sicuro per le nostre cose. Prendo quello che capita per arrangiare il pranzo, se non hai preferenze. Farò in un lampo.” Lei sembrava dubbiosa. “Così non rischiamo di perderci, Oscar” aggiunse.
“D’accordo, resto qui. Però fai presto.”
Lui giocò: “E’ la fame o ricominci con la fretta di imbarcarti?” ma lei non lo trovò divertente e rimase in silenzio. Era così bello che non fosse nessuna delle due, la risposta.
“Torno subito!” chiuse lui, con gioia, scomparendo tra la gente.
***
La trovò a pochi passi da dove l’aveva lasciata. Se ne stava immobile, affacciata a contemplare l’ultimo tratto del fiume, la foce. Il suo costante braccio di ferro col mare. Il punto mutevole in cui l’uno diventava l’altro e vincevano entrambi.
André le si affiancò con naturalezza e le porse una focaccia ancora fragrante di forno, intercettando i suoi pensieri. “E’ ipnotico, vero?”
“E’ davvero… calmo. Ci si sente sciocchi ad andare tutti così di fretta, al suo cospetto.” Spostò il suo interesse al pasto sotto al suo naso: “Hmmm, che profumo! Cosa c’è dentro?”
“Formaggio fresco. Poi qui c’è del vino” disse porgendole una bottiglia “e all’angolo della piazza c’è una fontana, se preferisci l’acqua.”
“Quando si tratta di trovare cibo non hai rivali.” commentò lei soddisfatta, già al secondo boccone.
“Ti accontenti di poco, Oscar.”
“Non mi sembra poco.” Rispose, studiando l’angolo giusto per un nuovo morso. Masticò pensierosa. “Il pane caldo, il vino. Saranno pure le cose più semplici del mondo, ma cosa potrei desiderare di meglio?”
Oulalà! Quanta saggezza, oggi, Oscar.
“Un po’ di cioccolata, forse.” Concluse lei.
Adesso sì che ti riconosco.
Addentò anche lui la focaccia, effettivamente era molto buona.
“Se è la cioccolata che vuoi, credo che al mercato alle nostre spalle…” lei fermò il suo slancio: “Dicevo per dire. Non ho neppure molto appetito, sto mangiando per golosità” Ammise.
Diede un sorso al vino, poi passò a lui la bottiglia. Non si erano mai posti il problema dei bicchieri quando erano soli, anche se, in effetti, la scena poteva sembrare curiosa, ai passanti.
Dopotutto lei indossava una scintillante uniforme della marina reale e lui… lui no. Lo seccava l’idea che qualcuno potesse avere da ridire in proposito e ancora di più lo infastidiva il perdere anche solo un minuto di buonumore a pensarci. Era inutile. Lei non se ne curava. Non se n’era mai curata.
Forse era tempo di cominciare ad informarsi, lui non sapeva neppure da dove iniziare a mettere in atto il suo piano di imbarcarsi; portarlo a termine poteva rivelarsi più complicato del previsto. Come avrebbe fatto a non farsi scoprire da lei? Oscar doveva incontrarlo solo a partenza avvenuta, era chiaro.
Finirono di mangiare e André rimase in attesa di un suo cenno, ma lei non sembrava aver la minima voglia di muoversi di lì. I ruoli si erano invertiti.
Dopo altri minuti di malinconico silenzio lui optò per un politico: “Allora…”
Lei non colse e non mosse un muscolo, ancora appoggiata al parapetto dell’argine del fiume.
“Non credi dovremmo iniziare a cercare la Mistral?” Roba da matti, io che pungolo te per andar via. Non ci avrei mai creduto.
Lei gli rispose con la voce così bassa che sembrò arrivare da molto, molto lontano. Da un’altra vita: “Vorrei restare qui ancora un po’.”
Non trovò più il coraggio di dir nulla, André.
Il pomeriggio passava pacato; si impegnarono nelle ormai solite conversazioni in punta di piedi sul presente, lasciando trascorrere le ultime ore senza differenze con quelle che le avevano precedute. Il cielo cominciava già a tingersi di rosa, quando alla fine lei prese coraggio; non abbastanza da capire che non era troppo tardi per cambiare idea, comunque.
“… Andiamo?”
E salirono per l’ultima volta insieme sul carro.
***
La Mistral era davvero una nave imponente, ma si trovava in buona compagnia. I vascelli e le fregate formavano sul molo una barriera impressionante di scafi alti come case da cui si affacciavano torve le bocche dei cannoni. Era nel numero di questi che la Mistral superava le altre navi della flotta reale: con i suoi ottanta cannoni e le innumerevoli colubrine era una vera e propria armeria galleggiante, pur mantenendo intatte le caratteristiche di manovrabilità e leggerezza che le avevano reso fama di regina tra le imbarcazioni francesi.
Due uomini dell’equipaggio imbarcarono il baule di Oscar e si offrirono di scortarla alla sua cabina, ma lei prese tempo: “Vi raggiungerò tra un istante.” Disse loro.
Il sole calava sul porto di Brest.
Il vociare dei venditori ambulanti era un mormorio lontano e indistinto mentre le barche dei pescatori rientravano, seguite da un corteo di gabbiani.
André aveva fretta. Si prese, odiandosi, la responsabilità di iniziare i saluti. Disse che avrebbe sfruttato l’ultima ora di luce per mettere altra strada sotto le ruote, poi recuperò dal carro un oggetto e glielo porse.
“Per rispondere alla tua domanda: non è niente di che. Ma può essere comodo avere qualcosa in più da leggere, in viaggio.”
Era il romanzo che stava leggendo quel giorno, nel prato.
“Julie ou la Nouvelle Héloïse” sussurrò lei meditabonda, guardando la copertina.
“Ti direi addirittura che è bruttino, ma non voglio privarti del gusto di dirlo tu stessa… quando me lo restituirai.” Aveva il tono convincente dei sognatori e l’intenzione segreta di imbarcarsi a sostenerlo. Non ce l’avrebbe fatta altrimenti, lo capiva solo adesso, André, emozionato come se stesse davvero lasciandola partire senza di lui.
Si era meritato un sorriso, ma Oscar continuava a fissare il libro e a non aprire bocca.
Non era proprio ai romanzi come quello che doveva attribuire le colpe per come si sentiva? Erano loro ad averle inculcato aspettative estetiche del momento che stava vivendo, la sensazione di dover dire qualcosa di significativo, come se di tutti i giorni incredibili passati avesse dovuto rimanere solo quell’ istante.
Avrebbe voluto dirgli questo; che era stato un viaggio straordinario. E che quello di ventitré anni che l’aveva preceduto non era stato da meno.
Ma era troppo; era sopraffatta. E a questo si aggiunse un accenno di imbarazzo quando notò la coppia che poco distante da loro si diceva addio senza dover cercare le parole, come aveva pensato di fare anche lei la sera prima, nella rimessa. Lui non l’avrebbe mai saputo.
Ciò che stava vivendo poteva sfuggire ad un osservatore casuale, ma il suo volto cominciava a tradirsi. Segni magari impercettibili per chiunque altro, ma non per André; corroso dal demone dell’ansia di non riuscire a trovare il modo di inseguirla, ma affascinato dallo spettacolo delle sue labbra domate, da quegli occhi irrequieti che brillavano di luce serale e non solo, l’abituale fierezza a lottare con la voglia di chinare il viso e nascondersi.
Era davvero per lui tutto questo? Poi lei con la mano cercò la sua, intrecciò le dita con quelle di lui e le strinse, forte, senza dire nulla. Ci sono momenti in cui le mani sono fatte per essere stritolate, considerò André, e il sole tentennò per un istante infinito, senza andare né su né giù, come il suo groppo in gola, composto di mille impossibili richieste di restare e di ancora più dichiarazioni d’amore. In un sussurro, lei gli disse: “Io spero davvero di rivederti presto, André. Con tutto il cuore. Quindi, ti prego, abbi cura di te.” Lui le portò la mano al viso. Esitò, prima di liberarla. “Buon viaggio, Oscar.” “Anche a te, André. Buon viaggio.”
|
***
VIA!
André non aveva un attimo di tempo da perdere: doveva riuscire ad ogni costo ad imbarcarsi. Aveva portato il carro a velocità di cui Oscar sarebbe stata fiera, e anche il modo in cui riempì il borsone del minimo indispensabile avrebbe incontrato il suo plauso. L’avventura esige un bagaglio spartano, si disse, mettendosi il sacco in spalla. Il resto lo avrebbe venduto.
Spalancò la porta del locale più pieno che trovò sulla sua strada; se l’occhio non lo stava ingannando era la taverna più losca in cui fosse mai entrato. C’erano facce che neanche in un girone infernale… ma questo non era il momento di avere ripensamenti. Superò un uomo riverso su una panca e salì su uno dei tavolacci; nel caos che regnava nessuno gli mosse obiezioni. Urlò:
“VENDO UN CARRO! E tutto quello che c’è sopra! A PREZZO STRACCIATO!”
Era riuscito ad attirare l’attenzione, nonostante la baraonda.
“Quanto vuoi, amico?” gli rispose qualcuno.
“Quanto vuoi darmi, tu?”
“Che fregatura c’è?” chiese un tizio al tavolo di fronte.
“Voglio disfarmene al più presto, tutto qui. Voglio imbarcarmi con la spedizione di domattina per la Martinica!”
I più erano già tornati alle loro bottiglie, alle carte. Altri commentarono: “Chissà che cazzo c’è sotto” e altre delicatezze meno comprensibili.
Un ragazzo seduto al bancone lo fissava divertito. Aveva un fazzoletto rosso al collo e delle basette improbabili, ma sul suo viso sembravano funzionare. Gli fece cenno di avvicinarsi.
***
“Quindi domani parti anche tu. Sei già arruolato o sta parlando il vino? Se è la seconda, amico mio… dovrei fermarti prima che tu venda tutta la tua roba! Penso proprio che te ne pentiresti!” André non poteva credere al suo colpo di fortuna. “Tu… tu sei una recluta??? Senti, ti prego, aiutami… fammi da tramite: io… DEVO partire!” “Ehi! Calmo! Questo non mi sembra l’atteggiamento di uno che cerca solo fortuna nelle colonie. Cos’è?… Sei un ricercato?” Lo squadrò e quello sguardo sembrava una presa in giro. “Ma no, tu hai la faccia di un tipo a posto e io me ne intendo. Ma allora… Che ci vieni a fare in culo al mondo, nella Martinica? Da cosa stai fuggendo?” Cosa inseguo, semmai. “Ma scusa, tu perché ci vai?” Rispondere ad una domanda con un’altra, Oscar docet. |
“Ahhh, mica l’ho scelto io! Diciamo per… divergenze di opinione col mio comandante.” Alluse soddisfatto l’altro, accarezzandosi i pugni. Precisò: “Ex comandante; ero nei soldati della guardia di Parigi, gli ho fatto sputare un dente o due, dopo che quello stronzo aveva messo gli occhi su mia sorella. C’è stato un po’ di casino e mi hanno detto: O parti, o parti. La paga è misera, ma meglio di niente.”
Sarà stata la schiettezza con cui parlava o la cadenza familiare parigina in questo posto che sembrava Babele, ma André aveva già deciso che poteva fidarsi di questo ragazzo dalle spalle enormi e i precedenti da… pugile.
Gli tese la mano e un sorriso: “André Grandier”.
“Alain de Soissons”.
“Sai dove posso trovare chi può arruolarmi?”
“Sì…” fece Alain, e la velocità della sua risposta fu già rassicurante. “Se siamo fortunati so dove si trova il gran capo, l’ammiraglio de Périgord. Andiamo, ti ci accompagno.”
***
Fuori dal locale ormai era sera. E André pensò fosse il suo occhio a giocargli un brutto scherzo quando si guardò attorno e vide che il carro era scomparso.
“Ma… il carro!”
“Cosa? Dov’è?
“Appunto! Il carro! Non c’è più! L’avevo lasciato qui… ne sono sicuro!”
…
Alain iniziò a ridere come se non ci fosse un domani. Si piegò in due, sghignazzava, sembrava quasi non ce la facesse a respirare.
“AHAHAHAHAHAHAHAHAH!!!... No… Aspetta, scusami, scusa.” Si riprese per chiedergli: “Ma tu hai davvero lasciato un carro così? Nel bel mezzo del porto a quest’ora di sera?” E senza aspettare una risposta riprese a sganasciarsi.
Andò avanti per un po’, mentre André dava un’occhiata in giro, ma sapeva anche lui che non c’era che da rassegnarsi. Alain smise di aggiungere beffa al danno e gli assestò una manata sulla spalla.
“Mi dispiace… André, giusto? Dio! Devi essere davvero una brava persona per fidarti così della gente!” Mai le parole “brava” e “persona” erano suonate tanto simili a “stupido” alle orecchie di André, che accettava la situazione con pazienza biblica, maledicendo in silenzio i ladri, i porti e il suo essere così sprovveduto. Per fortuna un bagaglio minimo l’aveva in spalla.
Alain, a modo suo, provò a rincuorarlo: “Dai, ormai è andato, non fare quella faccia. Si vede che è proprio destino che tu parta! Farò il possibile per aiutarti a convincere l’ammiraglio… vedrai che non sarà una cosa difficile. Vieni.”
***
“… Tu sei proprio sicuro che l’uomo a cui devo chiedere sia qui?”
“Non startene lì impalato, seguimi!”
André voleva fidarsi di questo ragazzo, ma stasera aveva già dato prova di essere abbastanza naïf. E gli sembrò perlomeno strano che in questo palazzetto del porto, con le pareti incrostate di salsedine e le lanterne rosse alla porta, potesse trovarsi “l’ufficio”, come l’aveva definito vagamente Alain, di un alto ufficiale della marina reale.
Salirono un paio di rampe di scale illuminate da tremuli lumicini; poi Alain, senza bussare, aprì una porta del primo piano. Una zaffata di fumo dolciastro li investì, assieme al calore dell’ambiente riscaldato da molta gente. André non riuscì subito a mettere a fuoco. Quando l’occhio gli fece la grazia di venirgli in aiuto, si accorse che nella stanza poco illuminata c’erano uomini seduti a terra, su dei tappeti, stretti attorno tavolini bassissimi. La cortina di fumo che gli impediva di capire se le pareti fossero decorate o semplicemente sporche, proveniva da bizzarre… bottiglie? Vasi? Di vetro e metallo intarsiato che si trovavano su ogni tavolo, da cui uscivano dei tubi a cui la gente si attaccava, come per bere con una cannuccia. Ma era quel fumo denso ad essere aspirato.
“Alain, ma tu sei sicuro…”
L’altro non gli rispose neppure. Chiese ad un uomo in piedi, un mediorientale, dove potessero trovare l’ammiraglio de Périgord. Quello fece un cenno verso una tenda che portava in un’altra stanza.
“Andiamo.”
***
In questo ambiente c’era più luce e meno fumo, leggermente meno fumo.
L’unico uomo presente era seduto ad un tavolino come quelli dell’altra sala. Doveva avere una decina d’anni più di loro, forse qualcuno in più. Stava aspirando anche lui da uno di quegli arnesi, aveva i capelli abbastanza corti, folti, ma con una stempiatura pronunciata. Il viso, allungato dalla barba nera sul mento, era come forato dallo sguardo corvino arrossato dal fumo. Sembrava un demonio, altro che ammiraglio.
Alain fece il saluto militare e si introdusse.
“Riposo, ragazzo, riposo.” Sul tavolo ricolmo di ogni genere di fogli, mappe e bicchieri, cominciò a sistemare delle carte da gioco arabescate seguendo un ordine preciso. Ne girò due e sulla faccia coperta non c’erano semi, ma coloratissime immagini. Rivolse alle figure uno sguardo soddisfatto, poi rigirandosele tra le dita chiese: “A cosa devo questa visita?”
Alain gli si rivolse in un tono quasi confidenziale, André era sbigottito.
“Ho qui un brav’uomo che vuole unirsi alla deportazione.”
“Un’adesione dell’ultimo minuto! Che c’è ragazzo, creditori alle calcagna?”
André non sapeva bene come rivolgerglisi:
“No… ammiraglio, solo ricerca di nuovi orizzonti.”
L’uomo si sollevò dal tappeto; alto era alto, anche se meno di loro. E indossava un’uniforme riccamente gallonata. Però non sembrava affatto innocuo, come il tono amichevole avrebbe voluto far credere. Quegli occhi iniettati di sangue gli fecero paura quando si piantarono nel suo.
“E siamo sicuri che tu li possa vedere questi nuovi orizzonti? Quell’occhio dietro ai capelli ci vede?”
O la va o la spacca.
“L’occhio destro ci vede benone. Il sinistro pensavo di coprirlo con una benda nera e di procurarmi un pappagallo. Sulla nave farei un figurone!”
Nello sguardo dell’ammiraglio qualcosa aveva fatto clic, per fortuna. Gli sorrise.
“Signore, io so tirar di spada, so già sparare, sono…”
“Sta bene, sta bene, ragazzo. Sei una recluta. Se vuoi venire con noi devi solo dirmi il tuo nome e la tua data di nascita. E firmare, se sai farlo.”
Sfilò come per magia un foglio dalla pila inclinata senza che gli altri cadessero. Non c’era nulla che non sembrasse surreale in questo posto.
“André Grandier, 26 agosto 1754.” E non senza un pizzico di orgoglio appose la sua firma elegante e ordinata, in netto contrasto alla sequela di zampe di gallina e croci presenti sulla lista.
“Sei ufficialmente dei nostri. Segui questo bel tomo qui, che è un po’ il capobanda dei suoi, ti farà subito sentire a casa. Domattina leviamo le ancore, puntuali.”
***
Sembrava che finalmente le cose avessero iniziato a girare nel verso giusto e André sorrise alla notte nel porto. La luna era luminosa, aveva un nuovo amico e poteva immaginare la faccia di Oscar quando si sarebbero rincontrati. “Avevi detto di volermi rivedere presto!”, pregustò.
“A questo punto dobbiamo festeggiare!” gli fece Alain “Anche perché da domani vino se ne vedrà ben poco, così come di robusta birra bretone. Sulla nave ci tengono buoni con il rum annacquato. Che poi non è che mi dispiaccia… ma sono abbastanza patriottico quando si tratta di bere. Forza, andiamo!”
***
Nella stanza fumosa l’ammiraglio osservò ancora le due carte, due arcani maggiori.
“Les Amoureux e Le Chariot.” sentenziò in solitudine.
L’aveva incuriosito, quel ragazzo; non ci voleva un intuito brillante a capire che non avrebbe accettato rifiuti. Che non sarebbero comunque arrivati, perché di uomini la spedizione aveva un estremo bisogno, ma il particolare doveva essere sfuggito ai due questuanti. C’era, in quell’unica iride verde e profonda come il mare d’Amalfi, una determinazione disperata, una sorta di minaccia mascherata da richiesta. Il genere di slanci che hanno i pazzi o gli innamorati, ed i tarocchi marsigliesi con cui l’eclettico ammiraglio si stava intrattenendo l’avevano assegnato a questa seconda categoria. “Chissà qual è la sua storia”, si domandò.
***
Quello che restava di André e di Alain si trascinava barcollando sullo scalandrone della nave, poco prima dell’alba.
Nell’euforia del vino e della birra e poi ancora del vino, André aveva il ricordo confuso di aver cantato, imparato dei termini in italiano e preso in giro un tedesco. Alain era incredibile. Reggeva l’alcool come lui, sapeva gestire ogni situazione ed era infallibile nel bloccare ogni scivolone verso la sbronza triste, così tipica per André. Ringraziò la sua buona stella per questo incontro, mentre scivolava in un sonno pesantissimo sulla superficie legnosa di uno dei ponti inferiori, affollati da marinai, come era ormai lui.
***
Era già mattina fatta quando riemerse dall’abisso.
Per Diana! Che razza di bevuta!
Era quasi certo che a svegliarlo fosse stato qualcuno che l’aveva calpestato. Tutto attorno a lui c’era un gran movimento, persone che sbraitavano, amache abbandonate appese come trappole, gente che ci inciampava e che imprecava. Il retrogusto acido degli eccessi notturni lo torturava assieme alla nausea e ad un ronzio incessante più fastidioso dell’emicrania. Con uno sforzo titanico provò a sollevare la testa, ma il mondo non voleva saperne di star fermo e continuava ad ondeggiare.
Ondeggiare???
La nave era salpata.
Qualche tentativo dopo era in piedi, instabilmente. Alain non si vedeva quaggiù, doveva cercarlo sul pontile superiore, sperando di non imbattersi ancora in Oscar. Lo trovò con altri uomini alla poppa del vascello, ad ammirare la verde costa francese che si allontanava.
“Alla buon’ora! Ce la prendiamo comoda, eh?” Aggiunse al saluto un giro di presentazioni, ma la carrellata di nomi era troppo anche per una mente più in forma di quella di André allo stato attuale e raccolse dalla raffica solo “Gerarde” la cui faccia leggermente squadrata, accompagnata dal naso a patata e dalle lentiggini si era guadagnata la sua istintiva simpatia e uno spazio nella memoria a breve termine.
Sgranchì la schiena, un soffio di vento lo accarezzò sotto la camicia e gli venne voglia di sorridere al nuovo giorno. “Da quanto tempo siamo partiti?” chiese, più ad Alain che al resto del gruppo e fu lui a rispondergli: “Un’ora direi. E prima ancora ci hanno chiamati a raccolta. Dovevi proprio essere messo male, come hai fatto a non svegliarti?”
“Sarà stato il decimo giro di vino…” considerò, invidiando le energie dell’altro. E si affacciò anche lui. Non era mai stato su una nave prima. Era una sensazione incredibile di libertà. Il vascello scivolava silenzioso sulle onde, non esistevano che il mare, il vento e il sole. La nausea alcolica si diradava, si sentiva meglio. Notò la sagoma imponente di una nave stagliarsi a ridosso del porto, un gigante tra le imbarcazioni lillipuziane dei pescatori.
“Alain, quel vascello enorme?”
“Ah, è la Mistral, viene con noi. E’ anche più grande e più armata di questa, fa paura. Ci supererà tra poco, credo; ha fama di essere parecchio veloce.”
La… MISTRAL???
Non poteva essere. “Alain, scusa… come hai detto che si chiama quel vascello?”
“Mistral.”
La morsa del panico gli strinse il cuore: “E NOI SU QUALE NAVE SIAMO???”
Alain lo guardò preoccupato. Che aveva adesso? L’amico all’improvviso sembrava stravolto.
“Sulla Destin…” rispose perplesso.
André si coprì il viso con le mani, atterrito.
Mio Dio. Sono sulla nave sbagliata.
(1) ”La poetica della stalla come luogo caldo, confortevole e, soprattutto, riparato ma al riparo dagli sguardi. Il rifugio, appunto.” Laura, nel suo essay infinitamente ricco di nuove inquadrature del film di Demy.
( http://digilander.libero.it/LittleCorner/Essays/luzi_demy_altra_oscar.htm )
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Ciclo_arturiano
(3) Scena fortemente contaminata da: pluriletture del dolcissimo capitolo uno di “Nelle Mani”, di Alessandra, da W. Wordsworth, da primavere sublimi nel Dottor Zivago, da scene di Big Fish mal tradotte e, last but not least, dai narcisi in fiore, sul mio balcone, a marzo.
(4) Il “dogma oscariano del pantalone bianco”
( http://digilander.libero.it/la2ladyoscar/Funcorner/hai_visto_Fiamma.htm LOL ) tratta di un affascinante processo di accettazione che compie ogni appassionato dell’anime. Enunciato, suonerebbe più o meno così: “Oscar è sempre perfetta, anche indossando un pantalone aderente bianco. E soprattutto è senza macchia e senza paura, anche in quei giorni e a cavallo.”
Mi sono concessa una piccola infrazione alla regola, in questo caso, immaginandola seccata dal colore del polpe/pantalone/culottes.
pubblicazione sul sito Little Corner apile 2012-giugno 2012
Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore
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