White Wedding

La regina, il conte e sua moglie

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AVVERTENZA IMPORTANTE

Questa storia ha un rating rosso non a causa della presenza di scene di sesso (non ce ne sono, almeno, non come le si intende comunemente) o di particolare crudezza, bensì a causa del particolare tipo di argomento che essa tratta. Due persone commettono un errore madornale e devono vivere con le conseguenze di tale errore che, fatalmente, influisce sull’esistenza di altre due persone. E’ un tema adulto e doloroso, complesso da capire, soprattutto perché gli errori sono stati indotti in buona parte dagli usi e dalle convenienze che poco avevano a che fare con il sentimento.

Detto ciò, regolatevi di conseguenza.

Due parole doverosissime per spiegare la nascita di questa storia. Un paio di mesi fa ho ricevuto una mail dalla mia amica Mistral con quale mi regalava una trama per una fanfic di Lady Oscar. Ho accettato la sfida. Questa fanfiction è stata scritta, riscritta ed inviata per approvazione credo quattro volte: Mistral mi faceva i suoi appunti ed io adeguavo la storia di conseguenza, per cui è giusto dire che lei è stata la mente di tutto, mentre io ho fatto solamente il braccio.

Le faccio mille complimenti perché, nonostante lei sia molto più giovane di me, ha capito cose che io ho compreso solamente da poco.

Grazie a Mistral per essersi fidata di me, ed un abbraccio forte.

 

PICCOLA PREFAZIONE

Innanzitutto chiedo scusa a Nisi per essermi intrufolata nella prefazione della sua fic. Sua, perché io alla fin fine ho fatto ben poco, se non rovesciarle addosso idee a raffica che lei poi ha riassunto e interpretato in maniera eccezionale – e su questo non avevo nessun dubbio. L’unica mia impronta l’ho lasciata sul finale che, ad essere sincere, è stato il pezzo forze più difficile in assoluto da scrivere. Infatti, dopo la prima stesura della fic, ci siamo accorte di esserci impegolate in una situazione abbastanza ostica da risolvere con un happy ending, se volevamo mantenere la coerenza narrativa… ma devo dire che, almeno personalmente, sono molto molto soddisfatta di quel che è venuto fuori. Ci tenevo molto a questa storia e sono davvero contenta di averla affidata a Nisi che, come suo solito, ne ha fatto un piccolo capolavoro. Spero che anche voi la apprezzerete.

Un bacione a Nisi e a tutti voi buona lettura!

Mistral

 

Capitolo I:

Le ore che seguivano la fine del pasto serale erano quelle preferite da Oscar: esauriti i compiti del Comandante delle Guardie Reali di sua Maestà, terminate le conversazioni con suo padre che, inevitabilmente, si rivelavano un fuoco di fila di domande tecniche e strategiche al quale il Generale la sottoponeva, arrivava quel momento in cui Oscar poteva appendere la giacca dell’uniforme, mettere da parte gli stivali di pelle bianca ed immacolata ed infilare un comune paio di culottes ed una leggera camicia di batista.

Ora si trovava nel salottino a studiare su uno dei suoi amati testi di medicina, dei tomi che le aveva passato il Dottor Lassonne e che avrebbero intimidito chiunque non fosse veramente interessato alla materia.

“Il cuore è un organo cavo, a struttura prevalentemente muscolare (muscolo cardiaco o miocardio) con una “impalcatura” fibrosa, diviso in due cavità superiori (atrio destro e sinistro) e due inferiori (ventricolo destro e sinistro). Il miocardio atriale è molto più sottile di quello ventricolare, così come in genere le cavità destre presentano una…”

Sollevò lo sguardo, facendo oscillare la piuma che reggeva tra pollice ed indice. Non c’era verso di riuscire a studiare.

Quella sera, infatti, i suoi pensieri non erano concentrati sull’anatomia, bensì sul ritorno del Conte Hans Axel di Fersen.

Chiuse con cautela il libro poggiato davanti a sé e lasciò vagare i pensieri verso il conte svedese, suo coetaneo.

Disagio.

Disorientamento.
Confusione.

Un certo senso di imbarazzo.

Euforia, ebbrezza, esaltazione.

Una profonda sensazione di inadeguatezza.

Come era possibile provare questa gamma di sentimenti tanto contraddittori nei confronti di una singola persona?

Freddamente, Oscar valutò che milioni di persone avevano vissuto prima di lei e che, alla fine, i sentimenti erano sempre gli stessi, così come gli esseri umani, per cui era perfettamente possibile che ciò che stava provando lei in quel preciso momento, qualcun altro lo avesse vissuto prima.

Non era quello, comunque, il suo problema: era una vita che veniva considerata una “diversa” e ciò non le procurava più di un vago senso di fastidio.

Il problema vero, il nocciolo della questione, era che lei, donna con un nome ed una vita da uomo, si era innamorata di un uomo con il cuore già occupato, innamorato a sua volta di una donna che non avrebbe mai potuto avere perché già indissolubilmente maritata al Re di Francia e votata al bene della nazione.

Almeno in teoria, pensò Oscar con una punta di amarezza.

Si versò una generosa dose di cognac e centellinò il liquore nel bicchiere, facendolo roteare nel vetro.

Quel movimento stranamente le ispirava concentrazione. In genere, riteneva che bere da soli fosse indice di gran debolezza e, infatti, recentemente aveva vuotato bottiglie e bottiglie di vino e di cognac nel segreto della sua stanza. Si sentiva molto debole. Il suo spirito non era forte, checché ne dicessero i più. Certo, non erano i suoi ammiratori a dover fare i conti con la sua coscienza.

Il conte di Fersen l’aveva colpita quasi subito per le sue qualità personali, più che per la sua grande avvenenza fisica: era uomo piuttosto concreto, di buoni principi e scevro di quella frivolezza che sembrava caratterizzare i cortigiani di Versailles.

Forse la nobiltà svedese era più sobria di quella francese, ipotizzò sorbendo lentamente il liquore.

Anche questa notte ti ubriacherai da sola, vero, Oscar? Si chiese ridacchiando da sé. Ci sarebbero volute molte ore e molto cognac dal momento che la sua resistenza all’alcool da un po’ di tempo a quella parte era aumentata. Se avesse continuato a bere così, in breve tempo avrebbe dovuto salutare definitivamente il suo fegato.

Fissò la bottiglia di cristallo sfaccettato, domandandosi oziosamente se sarebbe riuscita a vuotarla entro la mezzanotte. Prima che potesse darsi una risposta, qualcuno bussò discretamente alla sua porta
”Avanti!” esclamò senza alzare lo sguardo.

Era Nanny.

“Oscar! Non dovresti bere così tanto. Da sola, poi!”

Oscar ridacchiò “Nonna, non ci posso credere che sei venuta a farmi la morale…”

“Non sono venuta a farti la morale, anche se non dovresti bere così, bensì per annunciare un visitatore.”

Un visitatore? A quell’ora della sera? Che scocciatura! Ma non avrebbe mai usato quel termine: suo padre glielo avrebbe tolto dalle labbra a suon di schiaffi.

“E chi sarebbe?”

“Si tratta del Conte di Fersen.”

Oscar per poco non lasciò cadere il bicchiere. Le sue mani incominciarono a tremare.

“Ho intenzione di riceverlo, nonna. Ma non subito. Aspetta qualche minuto prima di farlo passare.”

Nanny inarcò le sopracciglia, perplessa, ma non fece obiezioni “Come desideri, Oscar.”

Il tremito si era accentuato.

Fersen.

Nonostante cercasse di stare calma e rilassata, il suo cuore (miocardio, pensò con autoironia) aveva preso a batterle furiosamente nel petto. Non c’era verso che Fersen lo sentisse, anche perché un cuore che batteva forte era percepibile solamente dal suo proprietario, ciò nondimeno ebbe bisogno di un supplementare sorso di cognac per riprendere la padronanza di se stessa.

“Coraggio, Oscar: un bel sorriso di circostanza di quelli che fai tutti i giorni e che…”
”Madamigella Oscar!” il conte svedese aveva fatto il suo ingresso nella stanza ed il Comandante delle Guardie dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per mantenere il suo viso atteggiato ad una maschera impassibile come al suo solito.

“Fersen! Prego, accomodatevi. Gradite del cognac?”

Il conte svedese occhieggiò il tomo posato davanti ad Oscar. “Non sapevo vi interessaste di anatomia…”

“Non lo sapevate perché non ve l’ho mai detto.” Ribatté con il tono di colui (colei) che constatava l’ovvio.

“Vi si confà, sapete? Vi vedrei bene nei panni di un medico: siete efficiente e lucida, tuttavia non mancate di calore umano.”

Oscar scosse il capo, turbata da quell’inaspettato complimento: “E’ semplicemente un passatempo e niente di più. L’erede della famiglia Jarjayes deve mantenere alto il buon nome del casato e concentrarsi solo su quello.”

Fersen ebbe la forte impressione che la sua amica stesse ripetendo le parole di una lezione mandata a memoria tanto tempo prima. Non gli diede nemmeno il tempo di ribattere e ripeté l’offerta.

 “Vi posso offrire il nostro cognac? E’ ben invecchiato e dal gusto molto…”

“No, no, grazie. Ho bisogno di rimanere il più lucido possibile.”

“Capisco” ribatté Oscar senza espressione. “Vogliate almeno accomodarvi”.

“Grazie, Madamigella”.

Per qualche minuto, nessuno dei due aprì bocca: Fersen sembrava essere immerso nei suoi pensieri ed Oscar era troppo rispettosa del suo riserbo per porgli delle domande delle quali molto probabilmente non avrebbe gradito le risposte.

Incapace di sopportare quel silenzio pieno di incertezza per un attimo di più, Oscar afferrò la bottiglia di cristallo “Spero che non vi spiaccia se bevo io” domandò con voce volutamente gelida, ma Fersen non diede segno di averla udita.

Si tolse la giacca e la buttò sul divano lì vicino, poi si rovistò nelle tasche e ne estrasse una lettera che mostrò ad Oscar.

“Cos’è?”

“Una lettera, Madamigella”

“Sono perfettamente in grado di vedere che si tratta di una lettera, Fersen.” Gettò una rapida occhiata al foglio e soggiunse: “Vergata in lingua inglese da una calligrafia femminile che non conosco.”

“Me l’ha inviata una dama inglese, una certa Louiselle.”

Lo sguardo perplesso che Oscar gli lanciò lo indusse a continuare. “Ha un patrimonio considerevole ed un’elevata posizione sociale. Dopo che mi sarò consultato con mio padre, ho intenzione di fissare una data per il fidanzamento.”

Oscar non poté impedirsi di lanciargli un’occhiata torva. “E’ almeno una bella donna? Che carattere ha? Quali sono i suoi interessi? Si tratta di una persona di cultura?”

“Non ne ho la minima idea, Oscar. Del resto, non l’ho mai incontrata. Mio padre dice che la sola cosa che importa è che il matrimonio rappresenti per me un guadagno.”

“Fersen! Come potete sposare una donna che non amate!” Oscar picchiò i pugni sul tavolo con violenza tale da farlo traballare. Come poteva fare una cosa simile? Tra tutti, lui!

“Volete dire che… che se la amassi potrei forse sposarla?”

Oscar si lasciò cadere di nuovo sulla sedia imbottita: “Perdonatemi, Fersen, non so quel che dico. Ma sarebbe forse più facile per voi sposare una donna che stimate almeno un poco, credo, e con la quale avete un minimo di rapporto. Ma suppongo che questi non siano affari miei e che presto vi trasferirete in Inghilterra o in Svezia e lascerete per sempre la Francia.”commentò con una freddezza che era lungi dal provare. Solo il muscolo della sua guancia tremava quasi impercettibilmente.

Fersen si alzò lentamente in piedi ed appoggiò le mani sul piano di legno, sporgendosi verso di lei. “Avete ragione, Oscar. Avete perfettamente ragione. Perché allora non mi sposate voi?”

Oscar si era inconsapevolmente alzata a sua volta ed era indietreggiata di qualche passo. Fersen in quel momento la inquietava profondamente: “N-non capisco quel che volete dire, Fersen. Vi ha dato di volta il cervello?”

“Vi sto solo dando ascolto, Madamigella: avete detto che sarebbe più facile per me sposare una donna che stimo e che abbia qualcosa in comune con me. Voi avete qualcosa in comune con me: siete la mia migliore amica, vi stimo moltissimo e vi rispetto infinitamente. Inoltre, siete una bella donna e godete di una posizione sociale e di un patrimonio invidiabile… per cui, perché non prendete in considerazione l’idea di diventare voi mia moglie, al posto di una insipida dama della quale conosco solo il nome, il casato e l’indirizzo di residenza?”

“Voi non sapete cosa state dicendo…” balbettò Oscar mentre quelle tre parole le rimbombavano nella testa e le spezzavano il cuore: amico, stima, rispetto. Avrebbe voluto urlare a squarciagola che della sua stima e del suo rispetto non sapeva proprio che farsene.

La afferrò per un polso e le si avvicinò: “Oscar, lo so che pensate che mi abbia dato di volta il cervello, ma riflettete: io ho bisogno di una moglie e voglio rimanere in Francia accanto a colei che non potrà mai essere mia, ma che amo con tutto me stesso e voi, voi potreste studiare anatomia, diventare un medico o quello che più vi aggrada. In Svezia siamo meno formali con le questioni di casato, lo sapete bene. Non dovrete partorirmi dei figli e… non avrò diritti sul vostro corpo a meno che vogliate concedermeli… Pensateci, amica mia, quest’unione converrebbe ad entrambi.”

“Non posso accettare, Fersen. Farò finta che questa conversazione non sia mai avvenuta. Ora io continuerò a studiare e voi tornerete a casa e risponderete a Miss Louiselle.”

“Non mi aspetto che mi rispondiate subito. Promettetemi che ci penserete”

“Io non posso pr…”

Oscar non poté concludere la frase perché le labbra di Fersen si erano impossessate delle sue in un bacio un po’ impacciato: Oscar era riuscita a scostarsi leggermente da lui, al colmo dell’imbarazzo e lui sorrise, in qualche modo intenerito.

“Ritornerò fra qualche giorno per avere una risposta. Oscar, riposate bene.”

Oscar rimase a fissare la porta per molto tempo dopo che Fersen se ne fu andato. La sorte era beffarda ed il destino una banderuola: sarebbe bastato dire di sì e Fersen sarebbe diventato suo marito a tutti gli effetti. Solo che non era proprio così che avrebbe sperato che le cose andassero e quel bacio che lui le aveva dato, se avesse avuto libertà di scelta, lo avrebbe regalato a Sua Maestà la Regina di Francia.

In pratica, aveva rubato il bacio che apparteneva ad un’altra donna, una donna che tra le altre cose era anche una sua amica, la donna che aveva giurato di proteggere a costo della sua vita.

Versò un altro sorso di cognac. Ed un altro, e un altro ancora.

 

Intorno alla mezzanotte, un’ombra entrò nello studio. Chiuse la bottiglia di cognac ormai vuota e si avvicinò alla figura che dormiva con la testa appoggiata al tavolo di legno ed il braccio piegato davanti a sé. “Cosa è successo, questa volta?” sussurrò André. “Ti supplico, Oscar, dimenticalo, dimenticalo…”

Le accarezzò i capelli biondi che ora ricadevano in ciocche arruffate, spingendoglieli all’indietro; poi la sollevò tra le braccia e strofinò la punta del naso contro quella di lei, desiderando osare di più, ma trattenendosi ancora una volta.

“Andiamo, almeno nel tuo letto starai più comoda e domani mattina non ti sveglierai col torcicollo…”

“Fessen… scei pazzo a scposcarmi…” ed una risata stridula intensamente alcolica riecheggiò nella stanza mentre André si irrigidiva e sentiva un gelo mai provato calargli nel cuore.

 

* * *

 

Si svegliò con un gran mal di testa: evidentemente la sera prima aveva bevuto talmente tanto che persino la sua resistenza all’alcool era venuta meno. Non si ricordava nemmeno come avesse fatto a trascinarsi fino al letto ed a coprirsi decentemente per non prendere un malanno.

Come se quel martellare all’interno del suo cranio non fosse sufficiente, quelle tre parole del conte di Fersen continuavano a rimbombarle nel cervello, senza sosta: amico stima rispetto, stima rispetto amico, amico rispetto stima.

“Non che mi aspettassi un grande amore, ma così..”

Il romanticismo, Hans Axel di Fersen lo riservava a Maria Antonietta. Più che altro, per lei provava un’amicizia quasi cameratesca, come fossero compagni d’armi. Chissà, forse col tempo… si scoprì a domandarsi, dandosi dell’idiota un attimo dopo.

Era il caso di pensare ed anche molto seriamente a tutto quello che era successo la sera precedente perché, in tutta onestà, nonostante la proposta di Fersen fosse poco meno che completamente folle, lei stava pensando seriamente di accettarla. Ed aveva bisogno di tempo, di riflettere. Sapeva già di amarlo da tempo ed in cuor suo nutriva la speranza che, un giorno, lui sarebbe stato capace di amarla a sua volta.

Giunse a questa conclusione proprio nel momento in cui Nanny entrava nella sua stanza con la sua tazza di cioccolata.

“Oscar, ho bussato, non mi hai sentito?”

“No, nonna, scusami. Lasciami la cioccolata sul tavolo che la bevo mentre mi vesto.”

“Non ti fa bene così, devi fare colazione con calma. Non li vuoi i biscotti? Li ho sfornati mezz’ora fa e sono ancora caldi.”

“La cioccolata è più che sufficiente. Magari quando torno…”

“Se quel buono a nulla di André non se li è divorati tutti!” rimbeccò Nanny mentre si avviava verso la porta e brontolando all’indirizzo dei giovani d’oggi che non riuscivano a capire l’importanza di una corretta alimentazione per mantenersi in buona salute.

Oscar sorrise alle spalle dell’anziana donna con tenerezza ed un sentimento di affetto profondo e gratitudine per tutte le sue cure.

Infilandosi un calzino per volta, prese la tazza della cioccolata vuotandola in pochi sorsi veloci e rischiando di scottarsi la lingua.

“Accidenti!” sbottò.

Uniforme, fascia, stivali ed una spazzolata veloce ai capelli che erano ancora puliti e non avevano perciò di essere lavati.

Scese le scale velocemente, saltellando tre gradini alla volta ed uscì nel cortile dove la aspettava Andrè che reggeva le briglie dei loro due cavalli. Bianco e nero, come la luce e l’ombra, rifletté lei senza pensar troppo a dove andava a vagare la sua mente.

Sollevò lo sguardo al cielo, scuro come il suo umore: “Spero che non piova: oggi abbiamo la parata e non ho voglia di tornare a casa zuppa.”

“Già” fu il commento laconico di André.

Oscar si girò a guardarlo: “Sei taciturno, oggi;”

“Davvero, Oscar?” rispose André in tono estremamente cortese, troppo cortese.

“Non mi hai risposto…”

“A me sembra di sì. E che mi dici di te, è successo qualcosa?”

“No, non è successo niente, cosa dovrebbe essere successo?”

“Non ne ho idea, dimmelo tu.”

“Niente, non è successo niente.” Rispose Oscar che cominciava ad irritarsi.

“Non sei come sei di solito. Piuttosto dimmi che non ne vuoi parlare, ma si vede lontano un miglio che qualcosa ti è successo.”

“Non ne voglio parlare, André.”

“Infatti, allora qualcosa è successo. Non ti saresti sbronzata fino a crollare a dormire sul tavolo, ieri.”

“Mi hai portato a letto tu, allora.”

Nell’udire quell’involontario gioco di parole, André sorrise ironico. “Sì, ti ho portato a letto io. Chi, altrimenti?”

“Ah… grazie…”

“Non c’è di che” rispose asciutto.

Non ti imbarazzi nemmeno più, Oscar…

Oscar montò a cavallo e partì al galoppo con lo sguardo puntato sulla strada, mentre gli zoccoli di César scandivano i secondi assieme ai pensieri che affollavano la mente, senza accorgersi di André che la seguiva da vicino e senza avvertire le gocce che dopo un po’ avevano preso a cadere copiose dal cielo. Uscì dalle meditazioni solamente quando avvertì un paio di braccia circondarla e si divincolò violentemente, più che per la sorpresa che per altro.

“Calmati! Ahia! Che pugno!”

Andrè.

“Accidenti, Oscar! Volevo solo…”

In quel mentre, lei si avvide che lui le stava avvolgendo il mantello attorno alle spalle.

“Scusami…” mormorò a mezza voce, fermando il cavallo.

“Non ti preoccupare, non è niente” le sollevò il bavero, protettivo ed avvicinando il viso al suo in maniera impercettibile o quasi. “Ecco, così va bene.” E le passò l’indice scherzosamente sotto al naso per togliere una goccia che non accennava a cadere da sola.

“Grazie.”

“Di niente. Lo sai che mia nonna mi prende a mestolate se ti prendi un malanno e va a finire sempre che è colpa mia.” Le rispose partendo al galoppo a sua volta.

Com’era strano, André, quel giorno. Si era forse innamorato? Non era possibile, si disse. Non era proprio possibile, André non era proprio il tipo da perdersi dietro le gonnelle.

“Hey, Andrè! Aspettami!”

 

* * *

 

Per Oscar, quelle ore che fino alla settimana prima significavano serenità e tranquillità alla fine della giornata, ora erano dense di inquietudine e di preoccupazione. Sapeva, senza che nessuno glielo avesse detto, che Fersen sarebbe tornato presto per ottenere la risposta che lei gli doveva.

Erano passati giorni da quella sera e lei non aveva più avuto occasione di incontrare né il Conte svedese, né la sua Sovrana. A dire la verità, lei aveva fatto di tutto per evitare di trovarsi faccia a faccia con entrambi, ma Fersen non l’aveva cercata né Sua Maestà aveva richiesto nessun servigio da parte sua.

Fu quasi con un senso di sollievo che quel martedì sera Nanny le annunciò che Fersen attendeva di essere ricevuto.

“Buonasera, Madamigella, come state?” esordì il Conte svedese, inchinandosi davanti a lei.

“Sto bene. Ma ritengo che non siate venuto fin qui per informarvi della salute.” Ribatté Oscar con una punta di acidità che tuttavia non riusciva a celare la sua profonda inquietudine. Nascose le mani tremanti in grembo.

Fersen gettò indietro il capo in una squillante risata, così diversa dai risolini affettati che risuonavano nei corridoi di Versailles. Era anche per questo che lui le piaceva così tanto. “Ah, Oscar, andate sempre dritta al punto!” ricomponendosi, le si avvicinò. “Mi pare giusto, Madamigella. Ebbene, qual è la vostra risposta?”

Oscar si morse il labbro. Non osava alzare gli occhi per paura di incontrare quelli del giovane svedese, temendo che guardandola lui capisse tutto.

“Volevo farvi delle domande, prima di rispondere.”

“A vostra disposizione, Madamigella.”

Oscar sbottò irritata: “Dato che avete avuto l’ardire di chiedermi in sposa, potreste anche chiamarmi per nome.”

“Avete ragione, Oscar…” rispose lui con l’ombra di un sorriso. “Che domande desiderate pormi?”

“Sua… Sua Maestà è informata di questa vostra proposta?”

Lui sospirò, quasi suo malgrado. “Sì. L’ho informata. ”

Oscar si limitò ad annuire: “Ammettendo che io acconsenta a sposarvi, mio padre non acconsentirebbe mai. Per cui, ditemi: come potremmo sposarci nonostante il suo parere contrario?”

“Sarebbe il problema minore: Sua Maestà ha firmato una dispensa speciale e voi sapete bene che gli ordini del Re non si discutono. Andremo a parlare con vostro padre non appena mi sarà consegnata la licenza”

“Avete pensato a tutto…” osservò Oscar a voce bassa, riflettendo tra sé e sé che Fersen aveva imparato molto dagli intrighi di Versailles.

“Avete altre domande, Oscar?”

“Potrei sposarvi in abiti maschili?”

Fersen scosse il capo: “Per quanto possa essere un matrimonio di facciata, vi prego almeno in quell’occasione di indossare un abito che renda giustizia alla vostra bellezza. Non è per me, fatelo per il bene di mio padre. A proposito, ammesso che accettiate la mia proposta di matrimonio” si fermò giusto il tempo per permettersi un risolino divertito. “Chi desiderate sia il vostro testimone?”

“André, è chiaro. Chi altrimenti?” Oscar rispose senza esitazioni.

Fersen la guardò come se stesse delirando: “André? Ne siete proprio sicura?”

“Certo, è il mio amico di infanzia!” ribatté seccata Oscar. Non c’era proprio niente da discutere: non avrebbe voluto altri che lui.

Il vostro André, sia, allora.” Sottolineò quelle parole scandendole una per una, poi prese un sospiro profondo. “Siete soddisfatta? Accettate la mia proposta?”

“Sì, Fersen, accetto.” Rispose Oscar in tono grave. A Fersen venne quasi da ridere, ma si contenne. La situazione era comica: una delle donne più belle che conosceva gli aveva annunciato che lo avrebbe sposato con la stessa espressione che assumeva mentre presentava rapporti militari e con lo stesso tono marziale con il quale si presentava a comandare una rivista delle Guardie di Sua Maestà.

“Ne sono felice, Oscar. Nei prossimi giorni vi farò avere il contratto di matrimonio e se mi darete il benestare, vorrei fissare la cerimonia fra due settimane. Sono sufficienti per farvi cucire un abito che vi renda giustizia?”

“Ritengo di sì.”

Fersen le si avvicinò piano: “Siete la mia fidanzata, Oscar François de Jarjayes, ora. Mi spiacerebbe lasciarvi senza…” non concluse la frase, ma le pose delicatamente le mani sulle spalle e, questa volta, riuscì a darle un bacio vero che Oscar ricambiò chiudendo gli occhi. Sentiva che il respiro di Fersen si faceva accelerato e che le sue braccia la stringevano più forte contro di sé e gli si lasciò andare contro, non sapendo bene cosa fare. Sentì le mani di lui che la accarezzavano e quando ne avvertì il palmo sul seno, si irrigidì e represse l’istinto di assestargli un manrovescio in pieno viso.

Il suo fidanzato capì il suo imbarazzo. “Perdonatemi, Oscar. Avrei dovuto immaginarlo che…”

Immaginare che? Voleva gridare. Che ne sapeva, lui?

Si congedò prima che lei potesse rispondere ed Oscar rimase ancora sola nella stanza dove crepitava un bel fuoco caldo che le scaldava il corpo e non il cuore.

Le era piaciuto baciare Fersen, ma quando aveva sentito la sua mano posarsi… lì, il suo istinto si era ribellato. Aveva letto romanzi che descrivevano scene d’amore, alcuni di essi anche piuttosto licenziosi e le protagoniste reagivano in modo diverso alle carezze del loro amato. Perché, allora, quello che aveva fatto Fersen le era sembrato tanto sbagliato? Forse, aveva solamente bisogno di abituarsi. Dopotutto, non le era mai successo di baciare un uomo, tantomeno che quell’uomo, che lei amava, la accarezzasse in maniera tanto intima. Forse, per prima cosa, avrebbe dovuto imparare ad essere una donna e per quello non sapeva proprio da che parte iniziare.

 

* * *

 

La pipa cadde a terra con un tonfo sordo, seguita un attimo dopo dal telaio che reggeva il tessuto.

La pipa ed il telaio con un ricamo a punto festone erano sfuggiti alle mani rispettivamente del Generale e di Madame de Jarjayes, i genitori della sposa.

“Voi… voi volete sposare Oscar?” domandò con voce incerta Madame, chinandosi a raccogliere sia il ricamo che la pipa del marito. Il tabacco si era sparso tutto attorno, chiazzando di un caldo color marrone il pavimento immacolato e sottolineando in maniera alquanto insolita l’azzurro turchese dell’abito della madre… no, della sua futura suocera.

“Io vi proibisco… Voi siete l’a…” sbottò il Generale, perdendo immediatamente le staffe. Sua moglie, più lucida, interruppe quel fiume di parole sul nascere, semplicemente appoggiando la mano sull’avambraccio di suo marito.

La frase si era interrotta bruscamente, ma ognuno, in quella stanza, aveva capito benissimo dove volesse arrivare Rénier Augustin de Jarjayes con le sue parole tronche, tanto che un silenzio imbarazzato scese sui quattro.

Il padre di Oscar stringeva irosamente i pugni e le labbra si erano ridotte ad una linea sottile; Madame de Jarjayes era mortificata, non si capiva bene se a causa di quella proposta improvvisa o dell’atteggiamento del consorte; il conte di Fersen bilanciava il peso da un piede all’altro e la futura sposina aveva un viso un’espressione caparbia molto simile a quella del suo augusto genitore.

“E’impensabile, è un’aberrazione! Voi non potete sposare… mio figlio!”

Hans Axel si girò bruscamente verso il “figlio”: “Generale, perdonate la mia sfacciataggine, ma questo viso non è quello di un uomo, queste mani non appartengono ad un essere di sesso maschile… Questo s…”

“Basta, Hans” lo interruppe Oscar pacata, ma risoluta. “Credo che i miei genitori abbiano perfettamente compreso il senso del vostro discorso.”

“Avete ragione, mia cara” a quelle parole, Oscar trasalì visibilmente. “Generale, vi chiedo scusa per avervi comunicato le mie intenzioni così all’improvviso, ma vi assicuro che farò del mio meglio per rendere felice vostra figlia…”

Si interruppe per prendere fiato, mentre il futuro suocero lo guardava dubbioso e la futura suocera si mordeva le labbra, forse per reprimere un sorriso alla vista di Oscar che mai era arrossita a quel modo, forse solamente quella volta in cui André le aveva spiegato a sua la differenza basilare tra loro due e lei era arrivata all’improvviso sorprendendo i due bambini con le brache calate.

“Ho la dispensa reale. Se sposo vostra figlia, sappiate che ho il consenso dei nostri sovrani.”

Altro silenzio penoso che lui si fece carico di interrompere.

“Ma non c’è fretta, vi lascio il tempo per pensare e per valutare la mia proposta.”

Un veloce baciamano a Madame Jarjayes, un inchino al Generale ed un sorriso alla quasi-fidanzata.

“Oscar, puoi rientrare nelle tue stanze.” La congedò il padre e lei ubbidì con un cenno del capo.

Dopo che il portone di noce si fu chiuso alle spalle di Oscar, il conte e la contessa de Jarjayes rimasero soli.

Madame riprese in mano il ricamo e rimosse accuratamente con movimenti leggeri della mano le tracce di tabacco che si erano posate sulla tela ecru, poi sollevò lo sguardo tranquillo sul marito.

“Avete udito gli sproloqui di quel giovane svedese, Madame? Come osa offenderci con una simile proposta sotto il nostro stesso tetto?”

Madame, che nel frattempo aveva infilato il filo di seta nella cruna oblunga dell’ago da ricamo, si era accomodata sulla poltrona.

“Vi siete offeso, Monsieur?” gli domandò la moglie che sembrava più interessata al suo lavoro che alle parole di Rénier Augustin.

“Ma certo! L’onore della nostra famiglia è nelle mani di nostro figlio…”

Sospirando stancamente, come annoiata da quello che stava per dire o dalla situazione di per sé, Margherite appoggiò il telaio in grembo: “Mio caro, non ho protestato quando avete deciso di allevare nostra figlia come un uomo. Come vostra moglie, devo esservi sottomessa, ma ciò non mi ha impedito di avere una mia opinione… dove ho messo la forbice?... Posso farvi una domanda, Monsieur? E’ dovere di tutti i nobili sposarsi, come ben sapete. Ditemi, orsù, intendete sposare Oscar ad una fanciulla o ad un gentiluomo?”

Il Generale aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, evidentemente per la mancanza di argomenti con i quali ribattere all’obiezione di sua moglie.

“Credo che se Oscar desidera sposarsi con il conte di Fersen, non dovreste… anzi, non dovremmo impedirglielo.”

“Non potrà mai renderla felice, quel conte svedese che è persino l’amante della Regina Maria Antonietta.”

“Monsieur, i matrimoni all’interno della nobiltà non vengono combinati secondo il criterio dell’affetto reciproco. Lo avete forse dimenticato?”

“Io… io credo sia uno sbaglio. Sarebbe un matrimonio da farsa!”

Margherite si alzò e si avvicinò al marito, prendendogli la mano e portandosela alla guancia. “Caro, è proprio per questo che io voglio che Oscar sposi Fersen.”

“Mia cara, spiegatevi, non riesco a seguirvi!”

Con un sorriso triste, la contessa lasciò la mano del marito. “Io credo che Oscar sia sinceramente affezionata a Fersen ed è un buon punto di partenza per un matrimonio. Lui la rispetta molto, anche se sappiamo tutti che la donna che lui ama, Dio lo perdoni, è Sua Maestà.” Si interruppe per prendere un profondo sospiro. “Voi non avete solamente educato Oscar come un uomo, ma avete fatto di più: avete forgiato il suo spirito, la sua tempra, il suo cervello, la sua mente come quelle di un maschio. Pensate solo per un attimo cosa accadrebbe se lei sposasse qualcuno in un vero matrimonio. Sarebbe in grado di ricambiare la passione come fa una donna? Sarebbe un trauma per lei trovarsi in intimità con un marito, forse nemmeno troppo attento.” Lanciò un’occhiata piena di sottintesi al comsorte, tanto che lui le voltò le spalle, visibilmente a disagio. “E se rimanesse incinta? Secondo voi, come potrebbe sopravvivere il suo spirito mascolino ad una o più gravidanze? Sarebbe contro la sua natura! Come potrebbe sopportarlo? Io credo che Fersen non avanzerà pretese su di lei… e nostra figlia non dovrebbe passare per un’esperienza che non è mai stata educata a considerare. Se così non fosse, verrebbe forzata a partorire un figlio, un figlio maschio, mettendo al mondo una femmina dopo l’altra in attesa di questo erede, con un uomo che tutte le sere si infila sotto alle sue vesti non certo per amarla. Ve la immaginate nostra figlia in queste condizioni? Credo che questo la ucciderebbe… e voglio abbastanza bene ad Oscar per non augurarle tutto questo… e la amate anche voi, io lo so. Oscar è la luce dei vostri occhi…”

Il Generale si avvicinò alla moglie e le fece il baciamano, un po’ commosso: “Marguerite…” la contessa spalancò gli occhi: suo marito non la chiamava mai per nome, forse solamente in quei momenti che li avevano visti più vicini che mai. “E’ stato così difficile per voi, quelle notti?”

“No, non lo è stato perché vi ho sempre amato abbastanza da volervi dare quel maschio che desideravate tanto… e voi siete un uomo gentile… Rénier.”

“E voi siete una donna estremamente gradevole, Marguerite, anche se non avete più sedici anni…”

Nell’udire quel maldestro complimento, la contessa si lasciò sfuggire un risolino divertito.

“Voi… voi pensate che Oscar debba sposare quel conte?”

“E’ il minore dei mali, mio caro…”

 

* * *

 

Capitolo II

Il gran giorno era giunto.

Oscar si trovava nella sua stanza con Nanny che piangeva mentre appuntava l’orlo dell’abito con degli spilli, aiutata da due cameriere di casa Jarjayes che non la finivano di lodare la bellezza sfolgorante di Madamigella, la quale si stava palesemente innervosendo. In piedi su uno sgabello, Oscar teneva le braccia aperte per permettere alle due ragazze di rifinirle la manica. Le braccia le dolevano, il corpetto le faceva mancare il respiro e le scarpette di raso le stringevano i piedi (di una lunghezza che poco si addiceva ad una donna).

Marguerite, la madre della sposa, osservava i preparativi da lontano, seduta su un divanetto comodo, le mani graziosamente posate in grembo, silenziosa complice della chiacchierata unione che stava per compiersi tra sua figlia ed il conte svedese, amante della regina, domandandosi cosa sarebbe successo nei mesi immediatamente successivi al matrimonio.

Matrimonio di poco inferiore per sfarzo a quello delle sorelle, un po’ perché era stato organizzato in fretta, un po’ per tenere a freno le male lingue cortigiane che insinuavano che la Regina non aveva badato a spese per pagare il matrimonio tra il suo amante ed una delle sue alleate più fedeli.

Di nascosto dalla Regina ed alle spalle di Fersen, avevano cominciato a circolare disegni osceni che ritraevano in un unico letto il conte, la Regina e Madamigella Oscar nudi come quando erano nati, e la figlia del Generale Jarjayes ritratta in modo da non rivelare in maniera esplicita a quale dei due sessi appartenesse.

Oscar si immaginava le battute salaci a corte, le dame dietro al ventaglio a sussurrare i loro commenti, gli sguardi dardeggianti tra lei, lui e l’Altra, sovrana solo della grande nazione francese, ma non del letto di Hans Axel di Fersen.

Lacci, corsetto, stecche di balena che spingevano all’infuori ciò che aveva sempre spinto in dentro con le fasce, anche se il dolore era curiosamente lo stesso, tranne per il respiro che il tessuto stretto attorno al petto non impediva se non parzialmente. Stringi, tira, passa il cordoncino negli occhielli di ferro e chiudi il tutto con un nodo stretto, più stretto che puoi. Tira, stringi forte, di più che la tua vita diventa ancora più sottile, anche se ti si mozza il fiato tra i denti.

 

Erano tre giorni che non vedeva André.

“Nonna, hai detto ad André che deve essere lui il mio testimone?”

“Sì, ma non credo lo farà, Oscar.” Le rispose con aria contrita.

“Perché mai?”

“Perché tre giorni fa ha lasciato Palazzo Jarjayes per andare a lavorare da Madame Elisabeth.”

“Perché non me lo hai detto? Come ha osato!” Oscar saltò giù dallo sgabello, scalciò via le scarpine ed afferrò gli stivali di pelle bianca che facevano parte della sua divisa di ordinanza. Se li infilò con un gesto rapido e si affrettò verso la porta. La stoffa della gonna la intralciava facendola caracollare in avanti ad ogni passo, per cui Margherite, la nobile madre, non fece alcuna fatica a raggiungerla e a sbarrarle il passo mettendosi tra lei e la soglia.

“Oscar. Stai per sposarti con il Conte di Fersen. Sarai sua moglie. Avrai un altro testimone. André del resto non era adatto: la figlia del Generale Jarjayes non può avere come testimone delle sue nozze un popolano, per quanto di fini maniere.” La ammonì severamente.

Non dimenticare mai chi sei, da dove vieni, dove devi andare.

Mai.

Oscar sentì un groppo in gola ed esitò.

“Non puoi correre dietro ad André. Tu hai scelto la tua vita e lui ha scelto la sua.” Le accarezzò il viso. “Sei così bella. Non vorrai fare attendere il tuo sposo?”

“N-no…”

“Allora, chi desideri prenda il posto di André?”

“Girodel” sussurrò.

La nonna lì vicino trasalì, e Marguerite si limitò ad annuire. “Molto bene, lo mando a chiamare.”

Si allontanò per qualche minuto, poi le pose sul capo una tiara semplice, ma molto preziosa.

“Sei così bella, così bella, Oscar…” si allontanò di qualche passo deliziata.

Oscar arrossì violentemente al primo complimento rivoltole quale essere di sesso femminile.

“Senti, lo sai vero quello che succederà stasera?” la nonnina le si avvicinò torcendosi le mani.

Oscar buttò la testa all’indietro scoppiando in una sonora risata.  “Non ti preoccupare, nonna, so tutto. Credo sia ora di andare, però…”

Una carrozza la portò ad una piccola chiesa. Era talmente richiusa in se stessa che non si avvide di un’ombra nascosta dietro ad un albero. Un’ombra dai capelli lunghi e neri raccolti con un nastro blu.

Fu Girodel ad aprire lo sportello ed ad aiutarla ad uscire dalla vettura.

“Madamigella, è l’ultima volta che vi posso chiamare così…” la salutò con un sorriso triste.

“Grazie, Girodel.” La sposa ringraziò con il tono del Comandante.

La navata non era molto lunga, per fortuna, ma riuscì lo stesso ad intercettare lo sguardo di Fersen, a metà tra l’attonito e il compiaciuto.

La sua bellezza rivestita di panni femminili, a quanto pare, non lo aveva lasciato indifferente.

E lei, lei che stava provando? Sembrava che le si fosse congelato il cuore. Si sentiva a disagio in quegli abiti, ma andò incontro a Fersen a passo fermo.

Suo padre le dava il braccio, il viso impassibile, ma un muscolo tremava quasi impercettibilmente sulla sua guancia e sembrava molto teso. Arrivati accanto al futuro sposo, il Generale posò la mano in quella di colui che sarebbe diventato suo marito.

Non si avvide della famiglia di lui, né dei suoi invitati.

L’unica cosa della quale era consapevole era l’uomo al suo fianco. Era molto… attraente. Sì, era la parola giusta.

Lui le sorrise in modo affettuoso ed Oscar gli rispose impacciata.

 

* * *

 

Aveva detto di sì e le labbra di lui aveva sfiorato teneramente le sue. Non aveva nemmeno fatto in tempo a rispondere a quel bacio che lui si era ritratto e le sue labbra erano rimaste per un attimo spinte verso l’esterno, quasi nella grottesca imitazione di un pesce appena pescato.

Poi, un turbine di saluti, di documenti da firmare, di nobili svedesi vestiti con abiti diversi da quelli che era abituata a vedere e tanti complimenti idioti sulla sua bellezza.

Le era sembrato di essere un cavallo valutato dal compratore. Devo aprir la bocca? Volete vedere i miei denti? Valutare i miei garretti, pardon, i polpacci? La criniera – anzi – i capelli sono lucidi a sufficienza?

Un parente di Fersen, piuttosto alticcio, si era permesso di indagare sulle sue intenzioni… riproduttive ed in quel momento Oscar aveva rimpianto di non avere con sé la sua spada. Giusto allo scopo di inibire le funzioni riproduttive di quel trombone, tanto per restare in argomento.

Una donnina molto avanti con gli anni, con gli occhietti azzurri brillanti ed il viso solcato da una ragnatela di rughe che le era stata presentata con il nome di Sophia Victoria (pronunciato Victuria, alla svedese) von qualcosa che non aveva ben afferrato, le si avvicinò con fare amichevole, rivolgendole la parola con una cadenza simile a quella di Fersen, le stesse “a” così strette, tipiche degli idiomi del lontano nord.

“Mia cara, siete molto bella… La vostra bellezza è molto insolita, per una francese.”

“Vi ringrazio, Madame. Siete molto gentile.”

“Dite, mia cara, cosa avete fatto prima di incontrare il mio pronipote? Vi siete dedicata al disegno ed al canto?”

Oscar non resistette alla tentazione della verità: “Madame, disegno molto male, in verità, e la mia voce è appena passabile. Credo possiate ringraziare la vostra buona stella di non aver mai assistito ad una mia esibizione.”

“Allora, vi dedicate al ricamo?”

“In un certo qual modo: uso degli abitualmente degli aghi molto più grandi ed aguzzi di quelli solitamente usati…”

Nel vedere l’espressione un po’ smarrita di quella gentile vecchietta, Oscar si rese conto di essersi troppo presa gioco di lei: “Perdonatemi, sono stata insolente. Volevo solamente dire che… che io non ricamo, ma che uso la spada abitualmente.”

“Forse allora conoscerete quella damigella che comanda le Guardie Reali?”

Imbarazzata, Oscar si schiarì la voce: “Veramente, sono io la damigella che comanda le Guardie di Sua Maestà la Regina…”

“Siete voi, dunque? La vostra fama ha sorpassato i confini della vostra terra, sapete? Vi ammiro molto, Madame. Sapete, da ragazzina ho sempre sperato di imparare ad usare la spada…” Gli occhi dell’anziana donna, piccola e minuta, brillavano di eccitazione.

“Avete il viso severo come quello di un militare, me ne avvedo solo ora. Ma parete di animo gentile. Vi auguro tanta felicità, mia cara.”

Le maniere della corte svedese erano evidentemente molto diverse da quelle rigidamente regolate dall’etiquette in vigore a Versailles, infatti la donnina prese il viso di Oscar tra le mani e posò un bacio sulla sua fronte. “Ma petite, vi auguro tanta fortuna… e spero che quel briccone del mio pronipote vi renda felice come meritate.”

In preda al più vivo imbarazzo, Oscar ringraziò confusamente la dama e ringraziò mentalmente suo marito per averle portato una coppa di Champagne.

“Vi ho vista in difficoltà, Oscar e, per una volta, sono stato io a salvare voi. Mia zia Sophia è sempre stata di maniere molto franche.”

“Cosa dite, Fersen? Mi è sembrata una dama molto gentile.”

 

Oscar sorrise debolmente: una intera giornata di massacranti allenamenti era sicuramente meno faticosa di quel paio d’ore passate ad incontrare e a salutare i cortigiani ed il parentado intervenuto al matrimonio. Già, più che altro si trattava di cortigiani che non avevano saputo resistere alla curiosità di vedere il Comandante delle Guardie, l’algida e mascolina Oscar François de Jarjayes indossare per la prima volta un abito di foggia femminile per sposare l’amante della Regina.

Oscar pensò con un ghigno sardonico che resistere alla curiosità sarebbe stato pretendere troppo da loro. Sapeva per esperienza che per giorni si sarebbe parlato di come era vestita, pettinata e sembrava fosse passato solo un momento da quando, dopo aver risposto “sì” alla domanda del cardinale, aveva partecipato al ricevimento, ma si ritrovò nella stanza nuziale da sola, vestita di una camicia da notte con troppi pizzi per i suoi gusti e troppo rivelatrice per quello che (non sapeva se) aveva intenzione di fare.

La cameriera le aveva spazzolato i capelli ed ora si aggirava nella stanza, non sapendo bene cosa fare. Non c’erano libri, purtroppo, per cui Oscar si accomodò sul letto, appoggiando la schiena rigida contro la testiera intarsiata, salvo scattare in piedi un attimo dopo, riflettendo che, se fosse rimasta sul letto, Fersen avrebbe potuto mal interpretare la cosa.

Interpretare in che senso?

Non si illudeva: sapeva che Fersen era legato a Maria Antonietta da un amore profondo, ma sapeva anche che quel sentimento aveva vacillato: era tornato dalla Svezia affermando che il trasporto nei confronti della Regina di Francia era ormai svanito… e che il suo cuore era libero, libero di innamorarsi di nuovo. Ci voleva tempo, non si poteva cambiare tutto nel giro di una notte ed Oscar era disposta ad attendere. Le premesse erano buone: aveva scelto lei come moglie ed aveva ammesso di essere felice di averla sposata. Dopotutto, l’amore poteva venire anche più avanti. E lei avrebbe avuto più tempo per abituarsi ad un marito, con tutti gli annessi e connessi.

La porta si aprì ed un Hans Axel di Fersen in tenuta informale e con i capelli sciolti entrò nella stanza.

Le si avvicinò e le prese la mano, esibendosi in un perfetto baciamano. La fissò attentamente: “Moglie mia, siete incantevole.”

Non sapendo bene cosa fare, Oscar si voltò, imbarazzata.

“Oscar, ascoltate…” sussurrò posandole le mani sulle spalle. “Io farò del mio meglio, davvero. Siete una persona talmente speciale e non sarà difficile giungere ad amarvi…”

“Lo apprezzo davvero, Fersen…” avrebbe voluto coprire una mano di suo marito con la sua, ma le sembrava un gesto troppo rivelatore.

“Oscar…” le diede un bacio affettuoso sulla guancia. “Spero che non vi dispiaccia dividere il letto con me, è talmente grande…”

“Non vi preoccupate, Fersen, dormirò al vostro fianco.” Mormorò Oscar.

Era imbarazzante, perciò fu sollevata quando lui spense la candela.

Avvertì il peso di lui sul materasso accanto a lei, lo sentì sistemarsi per trovare una posizione comoda, poi un sospiro soddisfatto.

Cosa sarebbe accaduto?

Si sentì posare le mani sulle spalle. “Oscar”, le bisbigliò all’orecchio e quella sensazione le diede fastidio.

Sentì il labbro di lui sfiorarle il lobo e trasalì, irrigidendosi in una maniera simile a quei merluzzi che venivano più o meno dalle stesse zone che avevano dato i natali ad Hans. La sensazione di umidore sull’orecchio le faceva avvertire di più la brezza che proveniva dalla finestra aperta.

Spalancò gli occhi quando sentì il corpo del marito coprire il suo e si irrigidì quando lui le tolse la camicia da notte e cominciò a carezzarla con gesti goffi e talmente inesperti da rendere chiaro persino a lei che forse, dopotutto, suo marito non era mai stato non solo l’amante della regina, ma neanche quello di nessun’altra donna.

Le posò una mano sul fianco e lei sussultò: “Fersen, mi state facendo il solletico”.

Un attimo dopo, sentì che lui si spostava e riaccendeva la candela.

Entrambi non avevano l’ombra di un abito addosso. Oscar fece per coprirsi, ma suo marito glielo impedì sorridendo. “Non avete nulla del quale vergognarvi, cara: il vostro corpo è magnifico”.

Poi si fece cadere sul materasso ed incrociò le braccia sotto la testa.

“Oscar, voi non…”

“No. E neanche voi non…”

“No, direi di no.”

“Allora tutte quelle voci…”

“Sono false.”

“Oh.”

“Solo che…”

“Ditemi…”

“Se vi tocco qui…” le passò le dita sul seno. “cosa provate?”

“Devo dire la verità?”

“Certo che sì, Oscar! Non vorrete cominciare il nostro matrimonio con una menzogna!”

“Come desiderate. La verità. Ebbene… io… Provo… desiderio di schiaffeggiarvi!”

Fersen scoppiò a ridere, nascondendosi gli occhi con una mano.

“Perché ridete?” domandò Oscar un tantino irritata.

“Moglie mia, siete una donna molto…. particolare. Avete delle reazioni decisamente inusuali!”

“Potrei dire lo stesso di voi” rispose Oscar piccata, gettando uno sguardo pieno di intenzione all’inguine del marito che sembrava inoffensivo e placido, così diverso da quelli raffigurati sui testi di anatomia che aveva letto di nascosto.

“Dimenticavo che studiate medicina, moglie mia…”

“Esattamente.” Rispose asciutta Oscar.

“Non è esattamente quello che entrambi ci aspettavamo, vero, Oscar?”

 

* * *

 

La mattina dopo, si era recata a Versailles sperando di evitare Maria Antonietta. Sapeva di non aver fatto niente di male sposando Fersen, ma proprio non aveva il coraggio di affrontarla. Sicuramente, mentre loro due pronunciavano i sacri voti del matrimonio, la regina aveva pianto calde lacrime. Ciononostante, si sentiva terribilmente in colpa. Non aveva molta esperienza negli affari di cuore, ma vivendo sempre a corte, giorno per giorno, un po’ della sua innocenza era svanita, l’orlo della sua veste candida si era ormai macchiato: sapeva benissimo che negli ambienti della nobiltà europea, i componenti di quella casta erano quasi costretti a contrarre matrimonio, e ciò al duplice scopo di preservare patrimonio e casato e stringere legami di parentela che al momento opportuno si sarebbero forse dimostrati di fondamentale importanza. L’amore era cosa da plebei e, al limite, i due avrebbero potuto prendersi degli amanti, tenendo sempre ben presente la discrezione.

Per cui, se non avesse preso lei in moglie, Fersen si sarebbe limitato a scegliere un’altra sposa.

I soldati della Guardia Reale l’avevano accolta con uno sguardo perplesso ma, educati come erano ed abituati alla discrezione almeno nei confronti del loro Comandante, non le fecero domande.

Solo Girodel le si avvicinò mentre a cavallo controllavano lo svolgersi della parata che avrebbe avuto luogo in occasione del compleanno del Re. “Madame Fersen.”

Oscar non gli prestò attenzione, per cui Girodel insistette: “Madame Fersen…” la chiamò il suo sottoposto.

Oscar si riscosse: “Perdonatemi, Girodel, ma non sono ancora abituata al mio nuovo nome.” Gli rispose sorridendo con aria di scusa.

“Non ci pensate. Volevo solo accertarmi che steste bene…”

Sollevò lo sguardo e lesse preoccupazione nei suoi occhi, oltre che ad un po’ di pena e questo la fece infuriare: “Certo che sto bene, Girodel, non si vede, forse? AH!”

Spronò César e partì al galoppo per raggiungere l’altro lato dell’ampio cortile, sperando in un po’ di pace per poter portare a termine il suo lavoro con tranquillità, visto che quella mattina si era svegliata di pessimo umore e la cioccolata che le aveva preparato la governante di palazzo non reggeva minimamente il confronto con quella di Nanny.

“Perdonate, Madame, Sua Altezza la Regina Maria Antonietta vi prega di recarvi nei suoi appartamenti.”

Ecco, il momento della verità era finalmente arrivato, prima di quanto temesse.

“Dite a Sua Altezza che arrivo subito.”

Fedele a quanto aveva detto, cinque minuti dopo Oscar si ritrovò a misurare a grandi passi il corridoio di marmo che portava alle stanze di Maria Antonietta.

Prima che potesse bussare, la porta di pesante legno si aprì e Madame de Noailles fece capolino.

“Madame Fersen, accomodatevi: Sua Maestà vi sta aspettando.”

La trovò di spalle, sul terrazzo mentre fissava il giardino con aria assorta.

Oscar battè i tacchi e posò un ginocchio a terra dinnanzi alla sovrana in segno di reverenza.

“Altezza Reale.” Salutò chinando il capo.

“Alzatevi, Oscar. Venite, accomodiamoci.” E le indicò due comode poltrone rivestite di tessuto damascato. “Gradite un rinfresco?”

Oscar scosse brevemente il capo in segno di diniego. “Vi ringrazio, ma non ne sento il desiderio.” La sua gola stava bruciando, ma non sarebbe stata in grado di deglutire alcunché

“Madame de Noailles, volete lasciarci, per favore?”

“Molto bene, Maestà. Allora mi ritiro.” Inchinandosi, lasciò sole le due donne.

Oscar era chiusa nel suo silenzio, la corporatura irrigidita dalla tensione.

“Oscar, non dovete sentirvi in colpa…” mormorò Maria Antonietta tendendosi verso di lei ed appoggiando una mano liscia e morbida su quella callosa della sua coetanea. Solo per un attimo, poi le riportò in grembo

“Maestà…”

“Io ero d’accordo, sapete?” Oscar notò che le mani della Regina stavano tremando. “Vedete, Oscar, se avesse sposato quella donna inglese, non sarebbe mai più tornato in Francia. Ma ha sposato voi, per cui io… io posso…” nascose il viso tra le mani e cominciò a piangere silenziosamente.

Oscar si sentì peggio di un delinquente. “Maestà, vi prego, non piangete.”

Maria Antonietta sollevò il viso a fissarla in faccia. “Io sono contenta, sapete?” sussurrò sorridendo tra le lacrime. “Lui vi tiene in gran conto e so che voi vi impegnerete per farlo felice. Meglio voi, Oscar, che un’altra donna…”

“Maestà, non so cosa dire.” Rispose mentre anche a lei salivano le lacrime agli occhi.

La Regina le prese le mani fra le sue: “Giurate, Oscar! Giuratelo che lo farete felice.”

“Io… io ci proverò, Maestà, ve lo prometto.”

“Vi farò dono di un palazzo e se desiderate qualcosa, non avete che da farmelo sapere. Ve ne sono grata, Oscar… Siete un’amica preziosa.”

Oscar evitò lo sguardo di Maria Antonietta. “Maestà, ora vi devo lasciare… La parata…”

“Ma certo, certo. Andate pure e scusate se vi ho trattenuto con queste fisime da donna sciocca.”

“Non parlate così, Maestà, vi prego. Vi auguro una buona giornata.”

Attraversò il corridoio a ritroso mentre le dame di corte la fissavano incuriosite da dietro i loro ventagli.

Era molto turbata dall’atteggiamento di Maria Antonietta ed il tarlo del dubbio le si era insinuato nella mente: cosa mai aveva raccontato Fersen alla Regina?

Rientrò in ritardo perché aveva sbagliato strada: era talmente soprappensiero che aveva spronato César nella direzione verso la quale si trovava Palazzo Jarjayes e prima di rendersi conto dell’errore aveva già percorso un buon tratto di strada. Pioveva e nessuno le venne incontro con un mantello.

Lasciò il suo cavallo nella stalla  e fece il suo ingresso in casa.

La governante le venne incontro: “Bonsoir Madame. Gradite qualcosa da bere prima di cena?”

“No, grazie. Il Conte non è ancora rincasato?”

“No, Madame. Stasera è previsto un concerto a Versailles ed i Sovrani lo hanno espressamente invitato a parteciparvi”

“Ha lasciato un messaggio, per caso?”

“No, Madame.”

Oscar annuì distrattamente: “Ora mi ritiro in biblioteca. Non ho intenzione di cenare, questa sera. E non voglio essere disturbata.”

“Molto bene, Madame. In caso abbiate bisogno di me, chiamatemi pure.”

“Lo farò, grazie.”

La donna se ne andò, ma ritornò qualche minuto dopo con un candelabro e delle candele nuove.

Oscar si era abbandonata sul divano, con gli occhi chiusi, pensando che odiava essere chiamata “Madame”.

“Appoggiate pure sul tavolo…” biascicò, il dorso della mano appoggiato alla fronte in un gesto di stanchezza, di tristezza o di chissà cos’altro.

Un paio di secondi e si ritrovò sola ancora una volta.

Si guardò intorno: la stanza era grande ed ampia. Notò che sul tavolo erano sistemati anche i doni di matrimonio che lei non aveva ancora avuto la voglia di scartare. Sicuramente, si sarebbe trattato di biancheria finissima, di stoviglie e bicchieri di cristallo. Cosa ne poteva sapere, lei? Le avessero donato delle pistole, delle spade, sarebbe stata in grado di lodare il taglio della lama, il calcio finemente cesellato ed incrostato di madreperla, la precisione dei colpi sparati in rapida successione.

Faceva freddo, era da  sola, era triste ed aveva bisogno di conforto.

Si alzò prese una bottiglia di cognac dalla vetrina del mobile.

Estrasse anche un bicchiere di cristallo.

“Alla tua salute, Oscar. Brindiamo al nostro matrimonio ed alla donna desiderabile che sei.”

Un bicchiere vuotato di un fiato, liquido bruciante ad incendiarle lo stomaco ed a spaccarle le budella.

Al secondo bicchiere, il suo stomaco non protestò più di tanto.

Ed al decimo bicchiere, Oscar non si ricordò neanche più il suo nome, né che cosa ci facesse in quel posto.

Si addormentò e dormì del sonno pesante degli ubriachi.

Fuori dal palazzo, il temporale, dentro, una sposa solo di nome che aveva preso il posto di un’altra.

Sonno pesante, ininterrotto e sonno misericordioso dell’oblio non popolato dagli incubi che si aspettava.

Benedetto l’alcool che faceva perdere conoscenza e tramortiva il cuore che per un po’ smetteva di far male. Pazienza per la testa, il giorno dopo, e l’alito infernale. Tanto, con tutta probabilità nessuno le si sarebbe avvicinato.

Oscar non lo poteva sapere, ma l’uomo che aveva infilato al dito quel cerchietto d’oro non aveva avuto cuore di presentarsi al concerto, per cui era rimasto a vagabondare nel bosco di Venere.

Si dice che un’anima sa sempre quello che sta facendo la sua gemella, infatti anche Maria Antonietta, attratta da una inspiegabile sensazione aveva a sua volta disertato il concerto e si era recata a passeggiare in quello stesso bosco, per rimanere sola con i suoi pensieri.

I due giovani si erano incontrati: il destino, il loro fato procrastinato per quattro anni ed avversato da innumerevoli ostacoli, si era compiuto ed erano caduti l’uno tra le braccia dell’altra.

 

* * *

La mattina arriva sempre dopo la notte e l’alba ed Oscar si svegliò intirizzita: il fuoco nel caminetto si era spento da parecchie ore, tanto che le braci non fumavano nemmeno più. E il collo: rimasto per ore in posizione innaturale, ora le sue cervicali gridavano vendetta al cospetto d’Iddio infliggendole un clamoroso torcicollo; a quanto pareva, quella notte nessuno era venuto a coprirla con un plaid o a portarla a letto misericordiosamente, tanto sbronza da poter far finta di non accorgersene, o a ravvivare il fuoco, profumandolo con dei rametti di pino perché sapevano di buono.

Barcollando, rientrò nella sua, anzi, nella loro stanza solo per trovare il letto perfettamente rassettato: evidentemente, nessuno dei due coniugi Fersen aveva onorato il talamo nuziale della sua presenza.

Come conclusione del primo giorno di un lungo e felice matrimonio non era proprio male, si disse Oscar in un impeto di feroce auto ironia, lasciandosi cadere sulla sedia trapuntata di broccato sistemata accanto al caminetto. Dolorante, reclinò la testa all’indietro, posando una mano sulla fronte che pulsava.

“E’ buffo”, mormorò. “Ho lasciato la mia casa, la mia vita pensando di fare cosa? Ora non ho più né Nanny né A…”

La porta si aprì discretamente proprio in quel momento, nel medesimo modo in cui la apriva lei dopo l’ennesima notte di bisboccia a Parigi per non farsi scoprire dalla nonna.

Si trovò davanti al marito e subito sul viso stanco del conte di Fersen si dipinse un’espressione colpevole.

“Buongiorno, marito mio. Immagino che abbiate dormito bene… Posto che abbiate dormito.” Oscar parlava con voce impastata, biascicando penosamente.

“Oscar, siete ubriaca.”

“Certo che sono ubriaca, Hans. Penso di averne tutte le ragioni, non credete? Mio marito diserta la mia compagnia solamente dopo un giorno di matrimonio. Sono decisamente una donna affascinante”

Con qualche passo incerto, Fersen le si avvicinò e le sembrò di percepire nell’aria un profumo che le era famigliare: fiorito, fresco lo aveva sentito spesso sulla Regina Maria Antonietta.

Nel riconoscere quella fragranza, Oscar tentò di alzarsi reggendosi ai braccioli imbottiti della poltrona, ma non ce la fece e ricadde seduta. Non sapeva proprio cosa dire d’altro a suo marito, per cui tentò di ricorrere all’unico modo che aveva per dimostrare la sua rabbia: prenderlo a pugni.

Ma prima che riuscisse a prendere la mira, Hans Axel di Fersen cadde in ginocchio e le posò la testa in grembo, circondandole la vita con le braccia, rendendole impossibile muoversi.

“Mio Dio, Oscar… perdonatemi…” sussurrò con voce soffocata.

Perdonarvi?

Ora piangeva, singhiozzando: “Non riesco a starle lontano, ci ho provato, ma non riesco a… io non ce l’ho più fatta, Oscar! Io l’a…”

“Non dite niente, Hans. Vi prego, tacete…” sussurrò lei stancamente.

Il profumo della Regina ancora nelle narici, Oscar, improvvisamente sobria, fece l’unica cosa che le venne in mente, quello che aveva fatto Nanny a lei le poche volte che non aveva pianto in solitudine: si chinò sul marito e gli accarezzò i capelli lasciandolo sfogare, mentre le sue lacrime cadevano silenziose sull’uomo che era fisicamente lì con lei, ma che col cuore, con la mente e la sua anima era in quella stanza a Versailles.

Non era quello che si sarebbe aspettata.

 

* * *

 

L’ennesima serata passata da sola a suonare il pianoforte, picchiando rabbiosamente sui tasti d’avorio, come se fossero loro i responsabili della sua angoscia.

Ad un certo punto della notte ed al puro scopo di salvare le apparenze, Fersen avrebbe fatto ritorno a casa dalla moglie, con ancora addosso il profumo che Oscar aveva imparato a riconoscere così bene e che si era impresso indelebilmente nei suoi sensi - oltre che in quelli di suo marito, chiaramente.

Non era sera da cognac, non era sera da vino, non era sera da passeggiate nel parco, ma il pianoforte le era venuto in aiuto. Tra le poche cose sue che aveva portato da Palazzo Jarjayes, c’erano tutti i suoi spartiti che erano stati impilati negligentemente sul lato sinistro della panca imbottita sulla quale sedeva mentre suonava; quella sera aveva scelto una composizione particolarmente complicata, difficoltosa ed irta di passaggi difficili. Oscar smise di suonare, tenendo ancora le mani sui tasti: era buffo, quella descrizione poteva adattarsi perfettamente al suo carattere. Riprese dopo un attimo a suonare ancora con più foga, pigiando con forza il pedale per amplificare il volume dei bassi. L’ultimo accordo, strappato quasi con disperazione e terminato con una corona, la trovò ansimante e grondante di sudore. Girò lo sguardo e si rese conto che il suo impeto aveva fatto cadere a terra i fogli degli spartiti che si erano sparpagliati alla rinfusa sul marmo del pavimento.

Chiuse bruscamente il pianoforte, si alzò ed andò alla finestra.

Si dispose pazientemente ad aspettare, il suo animo che passava da un sentimento di inquietudine ad uno di rassegnazione ed una strana tranquillità che non conosceva.

Attese più di un’ora prima di udire i passi pesanti di un uomo stanco che rincasava malvolentieri e che aveva il cuore altrove.

“Oscar… cosa fate ancora in piedi? E’ molto tardi.” Domandò lui, col tono di chi non aveva che un desiderio: quello di non essere lì.

“E’ tardi anche per voi, Hans…” rispose lei con dolcezza mentre gli si avvicinava ed annusava vistosamente l’aria. “Ditemi, mio caro, la nostra Sovrana sta bene?”

“Oscar, non rendete le cose ancora più difficili… “

Oscar scosse il capo, guardandolo in viso e lanciandogli uno sguardo franco che lui non ebbe il coraggio di sostenere che per qualche secondo. “Hans, credetemi, è l’ultimo mio pensiero, questo… vi prego, ditemi la verità…”

Un sospiro esausto: “Va bene, Oscar. Ditemi…”

“Ditemi voi, marito mio… smetterete mai di amare Maria Antonietta? Penso… io penso di avere il diritto di saperlo…” domandò con la voce incrinata.

“No, Oscar. Mi spiace moltissimo, ma credo non smetterò mai di… di amarla e di desiderarla… Oscar, voi non sapete…”

“Non lo so, è vero…” rispose con un sorriso triste.

“No, non fraintendetemi, vi prego!” esclamò mentre le afferrava le mani. “Giuro su Dio che vorrei amarvi e solo Dio sa quanto meritate di essere amata: siete bella, onesta, intelligente e tanto, tanto coraggiosa e mi sento molto in colpa, ma…”

“Ma al cuor non si comanda, Hans, vero? Non ci si può costringere ad amare qualcuno, come a non amarlo.”

“Mi spiace, Oscar, mi spiace tanto… Vi prego, non offendetevi. Sua Maestà non avrà mai la vostra forza d’animo, la vostra integrità morale ed il vostro coraggio, me ne rendo conto benissimo, ma lei… lei fa nascere nel mio cuore il desiderio di proteggerla, di salvarla e di rimanerle accanto. Lei ha bisogno di me come voi, Oscar, non ne avrete mai

“A cosa serve essere bella, onesta intelligente e coraggiosa, allora?”

Fersen non seppe che rispondere e la guardò con uno sguardo costernato che le fece più male di qualsiasi tradimento. Odio, disprezzo, ma no, non la pena. Tutto, ma non quello.

“Cosa contate di fare?” le domandò gentilmente lui.

Oscar scosse il capo: “No, Hans, questo me lo dovete dire voi…”

Fersen deglutì rumorosamente: “Io non posso smettere di amare Maria Antonietta”

“Questo lo so…” disse piano Oscar.

“Ma vi prometto che cercherò di essere discreto. Non voglio esporvi all’onta di un divorzio, a meno che siate voi a desiderarlo.”

Oscar annuì lentamente. “Ditemi, e siate sincero: cosa provate per me veramente?” articolò, con fatica, ogni singola parola.

“Io vi amo…”

Oscar inarcò un sopracciglio.

“Io vi amo come una sorella…”

Lei sorrise tristemente: “Almeno questo…”

“Oscar, vi prego, vi prego! Non dubitate mai del vostro valore! Promettetelo!” le strinse ancora le mani, forte.

“Ve lo prometto, Hans. Bene, ho saputo quel che volevo sapere. Ora credo sia ora di andare a dormire. E’ molto tardi.”

“Oscar! Ecco… sappiate che doveste trovarvi un amante, io non avrei niente in contrario.”

Un sorriso sardonico accolse quelle parole. “Buonanotte, Fersen…”

 

* * *

Capitolo III

“Oscar? Siete pronta?”

Un sorriso affascinante, quello di Hans Axel di Fersen.

“Fra un momento. Devo chiudere la giacca, ma il gancio è difettoso.” Rispose mentre lottava con la chiusura.

“Lasciate, faccio io.” In un attimo, sistemò il gancio riluttante, sfiorando accidentalmente il seno di Oscar che arrossì. I due si fissarono in volto a disagio, ma fu questione solamente di un momento e l’atmosfera tornò subito distesa.

Tra i due si era stabilito uno strano equilibrio e le cose sembravano andare meglio da qualche tempo: meglio nel senso che Hans era diventato molto più discreto nelle sue frequentazioni ed Oscar non si ubriacava più tanto spesso e tutto sommato poteva dire di star bene. Si era buttata anima e corpo nella medicina e la sua salute, il fegato in primo luogo, ed il suo collo ne avevano tratto giovamento. Patto di silenzio e di omertà, tutti pensavano alla contessa Oscar di Fersen, née de Jarjayes come ad una sposa felice, sebbene parecchio inusuale - ma tanto a quello ci era abituata.

“Dove si tiene il ballo, questa sera?” domandò Oscar al marito.

“A casa di Madame Elisabeth.” Rispose Hans mentre le lanciava uno sguardo indagatore.

Lei trasalì. Era lì che André lavorava. Decise che sarebbe andata a trovarlo: da quando si era sposata non aveva più avuto sue notizie e, nel profondo del suo cuore, dovette ammettere che lui le mancava parecchio.

“Molto bene. Io sono pronta. Vogliamo andare?”

 Il Conte di Fersen la guardò con aria di approvazione: “Il blu è un colore che vi dona molto Oscar.”

“Avrei preferito indossare la mia uniforme…” borbottò lei in tono cupo.

Hans buttò indietro la testa e scoppiò a ridere. “Lo capisco” esordì in tono dispiaciuto. “Non mi spiace che mia moglie indossi panni maschili, ma capite anche voi che una moglie che indossi un’uniforme militare ad una serata di gala possa risultare quantomeno bizzarro.”

Una moglie. Vero, era proprio quello che era diventata. Ma il resto? Non era amica – non più - complice, amante, compagna. Non era niente di tutto quello e con lui non ci parlava nemmeno più. L’anello che portava al dito le aveva solamente fatto cambiare la casa verso la quale tornava la sera e le aveva impedito di indossare l’uniforme a quel ballo. Per il resto, la sua vita era rimasta la stessa di sempre, forse ancora più solitaria perché il palazzo dove viveva era pieno di sconosciuti, se si escludeva suo marito.

“Sì, capisco.” Rispose con tono marziale Oscar.

Nel frattempo erano usciti di casa e si accingevano a salire in carrozza. Hans fece per aiutarla ad entrare nella vettura, mentre Oscar alzò una mano per fermarlo. “Vi ringrazio, ma come potete vedere non indosso né un corsetto, né una crinolina che mi rendano difficoltoso il muovermi in autonomia. Faccio da sola.”

Mentre si avvicinavano al palazzo della sorella del Re, Fersen sembrava perso nei suoi pensieri ed Oscar represse un moto di stizza: aveva perfettamente capito la direzione presa dalla sua mente. Scosse impercettibilmente la testa, delusa ancora una volta.

Finalmente, i due coniugi Fersen arrivarono a destinazione e vennero annunciati formalmente: “Il Conte e la Contessa di Fersen.”

Bisbigli e sguardi in tralice scoccati oltre ventagli di seta ed avorio, proprio come Oscar si aspettava.

Oscar represse un sorriso sardonico: al fascino un po’ provinciale del pettegolezzo, nessuno sapeva resistere: le cameriere ne erano vittime, ma anche le Dame di corte tanto raffinate non si lasciavano scappare l’occasione.

Il minuetto, primo dei balli previsti per quella sera, iniziò a diffondere le sue note nella sala.

Hans le si inchinò davanti e le porse la mano: “Oscar, mi fareste l’onore…”

Oscar trattenne a fatica una risata. “Oh, Hans, lo sapete che non ballo. Ma fate pure, danzate, se vi fa piacere.”

Oscar sapeva per certo che per quella sera, Maria Antonietta sarebbe rimasta a Versailles. Guardava suo marito che volteggiava al centro della sala con una donna sempre diversa tra le braccia.

Il ballo si era fatto molto affollato e cominciò a sentirsi oppressa da tutta quella folla. Forse poteva… Un pensiero un po’ audace le attraversò la mente. Dopotutto, poteva allontanarsi per un po’ e nessuno si sarebbe reso conto della sua assenza, soprattutto con tutta quella gente.

Con passo felpato, guadagnò l’uscita della sala e poi quella del palazzo. L’usciere si inchinò al suo passaggio e lei, di rimando, fece un cenno secco con il capo.

Camminando sempre più veloce, si diresse verso le stalle, sperando caldamente che lui fosse lì. Doveva esserci: quella sera erano arrivate parecchie carrozze e bisognava prendersi cura dei cavalli.

Per fortuna che la notte era chiara, illuminata dalla luna piena e dalle stelle. Oscar ristette un momento per ammirare quello spettacolo: il cielo notturno le era sempre piaciuto e le aveva sempre trasmesso una sensazione di tranquillità. Forse, perché di sera poteva togliersi, in tutti i sensi, i panni dell’ufficiale delle guardie di Sua Maestà e ritrovarsi nelle vesti di una ragazza che viveva come un uomo, ma che rimaneva sempre una giovane di ventitré anni .

Aprì di scatto la porta di legno e non vide nessuno. Delusa, si appoggiò al muro di mattoni sentendosi invadere dalla tristezza. Lui non c’era.

Ad un tratto sentì uno scalpiccio di passi e dopo un attimo si trovò faccia a faccia con André che reggeva tra le braccia una sella, evidentemente appena ingrassata.

“Oscar!” esclamò, al colmo della sorpresa.

“André…”

Sorpresa, vide le labbra di André stringersi in una linea sottile, mentre le voltava le spalle e cominciava a sellare un sauro.

“Andrè, non mi dici niente?” mormorò avvilita.

“Cosa ti devo dire, Oscar? Che ti trovo bene? Mentirei.” Strinse un finimento con talmente tanta forza che il cavallo scartò all’indietro. “Ohhhh. Buono, buono. Mi spiace, bello…” si scusò in tono dolce, accarezzando il pelo lucido dell’animale.

“In che senso, non mi trovi bene?” domandò Oscar incollerita “Non mi hai nemmeno guardata.”

“Ti ho guardata, sì. E non ci vuole tanto a capire che non stai bene.”

“Grazie tante. Facile dire che non sto bene e predicare quando tu te la sei data a gambe tre giorni prima che mi sposassi.”

André lasciò perdere il cavallo e le si avvicinò di un passo, deciso, mentre lei indietreggiava di due. “Sì, e allora? Bello da parte tua farmi chiedere di farti da testimone. Non hai nemmeno avuto il coraggio di domandarmelo in persona.”

“Senti chi parla di coraggio! Io perlomeno non sono scappata. Perché poi? Dovevi solamente stare in piedi accanto a me per una ventina di minuti, e basta.”

André si girò per accudire ancora il cavallo. Oscar notò che gli tremavano le mani. “Avrei voluto essere al tuo fianco quando ti saresti sposata con un uomo che ti avesse amata veramente e che tu avessi amato per davvero, con tutto il tuo cuore.”

“Ma io lo a…” ed Oscar si interruppe.

Andrè scosse il capo: “Lo vedi? Non riesci nemmeno a dirla, quella parola. Il tuo matrimonio è una farsa! Scommetto che non ti tocca nemmeno per sbaglio, e se lo fa, ti domanda scusa!”

“Non sono affari tuoi!” accecata dall’ira, gli tirò un pugno in pieno viso che André schivò all’ultimo momento.

“Non sono affari miei, ma allora perché sei venuta a piangere da me?” questa volta fu lui a tirarle un pugno che sembrava più che altro volerla mettere in guardia piuttosto che colpirla.

“Non sono venuta a piangere da te!” ed ora, le lacrime le pungevano per davvero gli occhi. “Hai capito?” urlò mentre continuava a menare colpi che André evitava senza difficoltà.

“Sì, come no?” un ceffone planò sulla guancia di Oscar che divenne paonazza, il segno di cinque dita sulla pelle chiara. “Lui non ti amerà mai! Lui amerà Maria Antonietta per il resto della sua vita! Tu sei solo una moglie di comodo!”

“Maledetto!” Non fece a tempo ad avventarglisi addosso che André le fece lo sgambetto, mandandola stesa su un mucchio di paglia e le sue labbra, voraci, catturarono le sue in un bacio selvaggio, mentre si sdraiava su di lei.

In angolo della sua mente, Oscar pensò che quella scena sembrava essere tratta da un romanzetto da due soldi, di quelli licenziosi che facevano furore in quel periodo, ma dopo un attimo cominciò a sentire le sue mani frugarle sotto ai vestiti e prese a divincolarsi selvaggiamente.

Non era una donna debole, Oscar, ma André era più forte di lei e la bloccò senza troppa fatica, mentre cominciava a slacciarsi i pantaloni con una mano e con l’altra la puntellava sul fieno.

“NO! Lasciami…” esclamò Oscar con il pianto nella voce

Nello spazio di un secondo, André si era alzato e stringeva tra le mani un pezzo della stoffa che era stata una delle sue camicie.

Oscar sentiva l’aria passare sulla pelle nuda e l’umiliazione ebbe il sopravvento. “Allora, cosa pensi di farmi, André…?”

Indifesa come mai prima, Oscar piangeva come se non le importasse niente che lui le stesse davanti e non le staccasse gli occhi di dosso, non accennando nemmeno a coprirsi mentre André piangeva a sua volta.

“Io… io ti prego di scusarmi, Oscar. Ti giuro che non ti farò mai più una cosa come questa. Ma io ti amo, ti amo da morire e vederti così infelice mi ha…”

Sospirò per soffocare un singhiozzo.

“Ecco, Oscar… Metti questa, altrimenti prenderai freddo…” prese la redingote che indossava di solito che Oscar conosceva molto bene e gliela avvolse addosso, badando bene a toccarla il meno possibile. “Bevi questo, ti farà bene…” aveva versato del cognac da una fiaschetta che aveva recuperato lì vicino, l’aveva aiutata ad alzarsi e le aveva avvicinato il bicchierino alle labbra. “Hey, piano, piano… così ti soffochi.”

Dopo aver bevuto, Oscar rimase a fissare il suo ex attendente negli occhi.

“Oscar, ti prego, non mi guardare così…” la implorò mentre lacrime rabbiose prendevano a scorrerle sulle guance “Ti giuro che non lo…”

“Non ce l’ho con te, André” ringhiò Oscar irosamente. “Io non…” non riuscì a finire la frase perché scoppiò in singhiozzi.

André non sapeva cosa fare: non poteva non consolarla, per cui, cautamente le si avvicinò e le posò delicatamente una mano sulla spalla.

André non seppe mai come fosse successo, ma si ritrovò Oscar che piangeva lacrime amare tra le sue braccia. La strinse a sé, non forte come avrebbe voluto e le accarezzò la schiena con molta meno passione di quella che in realtà stava provando.

Oscar gli si era affidata completamente, ancora una volta.

“Adesso vado a prenderlo e lo ammazzo…” sussurrò.

In risposta, uno sbuffo che, forse, poteva essere interpretato come una risatina.

“No, davvero, Oscar: tu sei una persona stupenda, non ti meriti questo… se vorrai sarò sempre tuo amico e guai a chi ti toccherà o ti farà soffrire”

Lei gli si abbandonò contro un po’ di più, mentre i singhiozzi calavano di intensità e lui nascondeva il viso tra i suoi capelli.

Forse alla fine, tra loro era rimasto tutto com’era prima.

Allora, andava tutto bene.

 

Fine

 

* * *

 

Nota di chiusura

Mi sembra doveroso aggiungere una postilla: l'idea del matrimonio tra Oscar e Fersen non è una novità nel mondo delle fanfic di Madamigella ed è stata ottimamente sviluppata prima di me da Sydreana nella sua "Vile chi l'abbandona" http://digilander.libero.it/la2ladyoscar/Fanfics/Sydreana/vile.htm Invito caldamente chi non lo avesse ancora fatto di leggere questa e le altre sue fanfiction. 

 

Pubblicazione sul sito Little Corner del novembre 2007

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

mail to: nisibus@hotmail.com

 

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