I just like you

part 11

 

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"Oscar è fantastica, e non hai dovuto faticare per farmelo capire, ma André, com'è?" domandò Julie con le braccia conserte, mentre camminava. Guardò dinnanzi a sé il bagliore del sole che mescolava i suoi colori sulle strade; in alcuni momenti, Parigi sembrava ritornare quella di sempre, un accordo di luci e suoni in perfetto equilibrio.

Forse, per un istante, ogni cosa si era fermata in contemplazione di quello spettacolo magnifico che la natura e l'architettura avevano da offrire, nonostante tutto. Anche Julie era in armonia col mondo e Alain avvertì la sua pace e si sentì il mondo stesso.

Gli scappò da ridere, mentre cercava di depistare la curiosità di Juliette.

La guardava e il vento caldo le carezzava i capelli. "… Lui, è un tipo…" rispose, tornando a rivolgere lo sguardo davanti a sé.

"Un tipo, come?" si informò, ridendo, Julie.

"Piace alle donne, ma il colmo è che lui nemmeno se ne accorge… e 'sta cosa fa incazzare Oscar, anche se lei non l'ammetterebbe mai!" replicò Alain, sottolineando la frase con un gesto di arresa, mentre cercava nella mente tutti i ricordi della loro amicizia.

"Suppongo, tu abbia tratto benefici da questa cosa…" interlocutoria.

"Abbastanza… sì… ma, una faticaccia!"

"Perché?"

"Sai a quante ragazze ha spezzato il cuore e, di conseguenza, quante ne ho dovute soccorrere?"

"Va bene, ho capito!" fece Julie, scostandosi da lui, in preda ad una poco razionale ondata di gelosia; cominciava a capire cosa doveva passare Oscar- sebbene non la conoscesse di persona-  in  mezzo a quei due…

Chissà come sarebbe stata la giornata, si chiedeva Alain, mentre, con Julie, attraversava il ponte per raggiungere i suoi amici.

 

Si sentì un poco in colpa: erano giorni che non si faceva vedere al ritrovo; aveva incontrato André e si era scusato, ma rimaneva  il fatto che la sua presenza era indispensabile. Il loro gruppo era composto da poche persone, ed erano solo in quattro a lavorare attivamente, prima dell'arrivo di Michel.

Fece un lungo respiro, baciò la fronte di Juliette e riprese a camminare col cuore leggero.

Ripensò alla chiacchierata fatta col suo amico André, la mattina precedente.

 

"Bernard" aveva detto André, infilandosi la camicia, "…vorrebbe che Oscar parlasse alle famiglie delle vittime…"

Lui era seduto sulla poltrona di fronte al letto un po’ impacciato: non si sentiva del tutto a suo agio nella camera di Oscar e André. Tuttavia, era stato costretto ad entrarci visto che era piombato in casa di primo mattino.

"… Come se lei non avesse abbastanza guai…" riprese, facendo con le dita il gesto di mettere una parentesi all'ultima affermazione.

 

Alain, ripensò all'effetto che gli aveva fatto incontrare Oscar, giù al portone, quella mattina. L'aveva riconosciuta a stento: davvero non se l'aspettava di vederla uscire di casa, vestita con quell'abito leggero e semplice, da donna.

"Ma dai!…" aveva esclamato Oscar appena l'aveva visto "… Alain de Soisson è riapparso tra noi mortali!"

"Proprio te dovevo incontrare!" aveva replicato grattandosi il capo, sapendo che Oscar avrebbe infierito su di lui ad oltranza.

Si scambiarono un sorriso d'intesa, poi, prima di lasciarlo, aggiunse "André è di sopra "senza badare all'occhiata curiosa e stupita che lui le stava rivolgendo.

Sembrava piacevolmente assente, persa in chissà quale pensiero. Si erano salutati ed era rimasto a guardarla ancora un attimo prima di varcare la soglia del portone.

 

"Tutto quello che faccio per tenerla lontana dalle preoccupazioni va a farsi fottere…" continuò André, stavolta seduto di fronte a lui sulla panca ai piedi del letto, mentre si infilava gli stivali.

"… e 'sta cosa mi fa troppo incazzare!…" Come non credergli, meditava Alain.

"Guarda che hai la bottega aperta…" aveva chiosato, senza interferire più di tanto nei sacrosanti cinque minuti di profonda rabbia di André.

"E Oscar, come l 'ha presa?"

"… Sai com'è lei: più si incasina la vita, più è contenta!" aveva aggiunto André sistemandosi la patta. Poi, si era nuovamente seduto e, reclinando indietro la testa, si era massaggiato le tempie.

 

Alain aveva scoperto un'altra Oscar frequentando la sua casa, osservandola nei momenti in cui era rilassata senza preoccupazioni urgenti di alcun tipo. A volte, l'aveva intravista sul balconcino ad occuparsi delle sue preziose e amatissime piante, coi capelli raccolti confusamente sul capo, mentre con l'interno della mano tentava di rimettere a posto una ciocca ribelle che sfuggiva dal suo improvvisato chignon; il suo modo di deporre l'annaffiatoio, trarre un respiro ed affacciarsi al balcone a godersi il panorama della Senna sotto di lei. L'attenzione che metteva in tutte le piccole cose che la rendevano ancora più bella dentro, il suo modo di essere innamorata di André, di canzonarlo e coccolarlo allo stesso tempo, di farsi amare incondizionatamente. Talvolta rimaneva a cena con loro, e lei, senza mai prendersi troppo sul serio, arrossiva lievemente quando le si facevano i complimenti per i manicaretti che aveva preparato, affermando di non essere "…una brava cuoca, ma grazie per aver mentito" aggiungeva illuminandosi con un sorriso. Le serate miti passate sul terrazzino a parlare di tutto, tra cose serie e frivolezze, la profonda intesa che c'era tra loro tre e la serenità di un'amicizia immensa.

In quella palazzina a due piani, abitata solo da Oscar e André, c'era quiete, armonia e si trascorreva il tempo come immersi in una bolla di sapone, limpida e trasparente, mentre tutto il resto, fuori, scorreva inesorabilmente senza riuscire ad intaccare la magia di quei momenti.

Sorrise e, dando un'occhiata alla stanza, pensò a Juliette, al profumo di lei che ancora sentiva sulla sua pelle, al bacio che le aveva dato, mentre, ancora distesa nel letto, aveva chiuso le dita tra i suoi capelli appena le sue labbra le avevano sfiorato la punta di un seno.

Alain  si strofinò la mani sulle cosce prima di rialzarsi, un gesto che faceva sempre quando era particolarmente agitato.

Nella mente si intrecciavano tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni, e quelle immagini terribili non finivano di ossessionarlo.

C'erano cose che riuscivano a spaventare anche uno come lui; non l'avrebbe mai creduto.

Si affacciò al balconcino cercando di respirare lentamente, la stretta delle dita nervose salda, sul parapetto. Seguì l'ondeggiare dell'acqua rischiarata dai raggi del sole pigro e pensò a tutti quei corpi sepolti nella caverna. Quando lui e Michel erano finalmente usciti, si erano lasciati cadere a terra stremati. Nonostante il terrore, non riuscivano a trovare il coraggio di muoversi ed allontanarsi da lì. C'era una luna pallida e piena, quella notte. Di lì a poco sarebbe venuto giù un diluvio che avrebbe cancellato dalla superficie i segni del giorno trascorso, spingendo l'acqua putrida nella profondità della terra, dov'erano ammucchiati i segni di altri giorni, mesi ed anni di ciascuno di loro.

André lo raggiunse sul balcone.

 

"Ci sono dei cadaveri laggiù…" esordì Alain senza voltarsi. Adesso guardava il palazzo di fronte, muoveva lo sguardo in direzione delle persiane che si riaprivano lasciando che il giorno allagasse le case.

"… Probabilmente tutti quelli che avevano reclutato…"

"Già…"

"Ma, a questo punto, abbiamo un elenco di nomi cui fare riferimento…"

 

Lungo la strada, Alain ripensò a quelle parole, mentre osservava attentamente la situazione: aveva la strana impressione che qualcuno lo stesse seguendo. Si era voltato un paio di volte a controllare, ma, forse, si trattava di una sua reazione connessa a ciò che aveva scoperto.

André gli aveva dato appuntamento alla locanda, raccomandando prudenza. Non gli aveva detto il motivo per il quale si sarebbero riuniti, e Oscar era stata attenta ad avvertire gli uomini uno ad uno, evitando fughe di notizie.

Forse Oscar avrebbe parlato alle famiglie delle vittime quel pomeriggio oppure stava preparando qualcos'altro?

Ad un certo punto, lui e Julie dovettero farsi da parte per lasciare passare una colonna di militari.

Ci fu un silenzio assoluto, coperto dal suono dei passi dei soldati.

"Perché abbiamo permesso che si giungesse a questo, Alain?" esordì Julie, mentre seguiva con lo sguardo la colonna che si allontanava

"… Intendo, perché noi tutti abbiamo atteso che fosse il Re a fare il primo passo?"

"Il mio battaglione ha presidiato l'Assemblea nazionale e ti assicuro che le cose non potevano andare diversamente da come sono ora" le rispose Alain, guardando nella stessa direzione di Julie.

Del resto, ogni tentativo di giungere ad un accordo pacifico era stato vanificato dagli interessi delle classi dominanti e, sebbene uno sparuto numero di membri del clero ed alcuni nobili avessero aderito alla causa popolare, non rimaneva altro da fare che tentare la strada della resistenza, fosse pure, infine, armata. Robespierre, stava instillando nel popolo il dogma della rivoluzione e non sbagliava di sicuro a volere quel tipo di rivalsa. L'interrogativo che si poneva Alain, come del resto facevano tutti, era se la rivoluzione avrebbe potuto davvero salvare il paese.

Ma bisognava tentare… continuare non solo a sperare in qualcosa di meglio.

"Mi insegnerai a sparare?" Era seria e Alain si rendeva conto che Julie non avrebbe abbandonato quell'idea.

"Sì”, le rispose cingendole le spalle. “Ora come ora, purtroppo, mi pare che non ci sia scelta..."

Sentiva, insieme, l’orgoglio di avere accanto una donna determinata, ma, anche, il timore di esporla a rischi. Mentre serrava le labbra soffocando un sospiro, sentì di comprendere ancora di più André.

 

 

La stava guardando disteso nel letto, le braccia sotto il cuscino.

Oscar, di fronte allo specchio, si stava vestendo.

Aveva domandato a Rosalie la cortesia di allentare le cuciture della sua uniforme sui fianchi, e la ragazza aveva fatto un ottimo lavoro, come suo solito. Ora riusciva a muoversi con più agio.

"Che noia… che palle…" borbottò Oscar, mentre faceva mente locale sulle cose da sistemare prima di uscire di casa. Continuava a guardare la sua immagine riflessa nello specchio, scoprendo che non riusciva a smettere di fissarla. Si sentiva diversa al punto di non riconoscersi. Sorrideva, all’idea di dirigere gli addestramenti del suo battaglione, sprofondata su una sedia -del tipo che usava il generale Bouillé, con tanto di rinforzo alle gambe-, sfiancata e appesantita. Giustificarsi, dicendo che aveva soltanto gradito la buona tavola, negli ultimi tempi, sarebbe stato ridicolo: lei sapeva bene di fronte a chi si sarebbe trovata. Sapeva anche che parecchi avrebbero messo su un giro illecito di scommesse per stabilire a quando il lieto evento.

Pensava che non avrebbe fatto nulla per impedirlo, anzi, ai più bravi avrebbe dato addirittura qualche dritta…

Sentì André muoversi nel letto, mentre richiudeva un cassetto che si inceppava. Si fermò e, controllando che lui non si fosse svegliato, riprese a accostarlo con cautela. Sarebbe rimasta volentieri a letto quella mattina: André nel sonno era uno spettacolo cui non si poteva davvero rinunciare. Negli ultimi tempi pareva trasformato, anche lui, non avrebbe saputo dire bene cosa, ma c’era qualcosa di diverso: era particolarmente bello, luminoso, seducente… Miracoli della sua gravidanza?

A volte si rendeva conto di essere terribilmente infantile nei confronti di André; infantile e possessiva.

Scoprirsi gelosa era davvero una cosa cui non riusciva a credere…

Il giorno precedente, gli aveva messo il broncio solo perché aveva sorriso - troppo e troppo a lungo- ad una ragazza che si era affannata a raccogliere alcune cartelle che a lui erano sfuggite di mano nell'impatto che entrambi avevano avuto svoltando l'angolo di una strada. Lì per lì, per un attimo era rimasta a guardare la scena ed aveva anche riso a sentire André lanciare qualche bestemmia tra i denti mentre con un sorrisetto tirato la invitava a dargli una mano : "Fanculo al vento, oggi…” aveva borbottato. “Ma cosa c’è da ridere…" aveva aggiunto, cercando di fare l’indifferente, ma, poi, era scappato da ridere anche a lui.

Oscar era sul punto di dargli una mano quando la ragazzina, si era chinata davanti a lui e, con un'espressione imbambolata, si era offerta di aiutarlo a mettere insieme i fogli che svolazzavano da una parte all'altra della strada.

Le stava sorridendo, cazzo!

Lei sapeva bene cosa significava sciogliersi davanti al sorriso di André ed assistere alla scena della ragazzina, che non riusciva a spiccicare una frase senza balbettare, le guance infuocate, l'aveva colpita come un pugno nello stomaco. Da qualche tempo aveva cominciato a dar peso al fatto che André potesse piacere -eccome!- ma non si era mai data pena di soffermarsi su quel particolare antipatico oltre che frustrante…

Questa poi: ma doveva scoprirlo proprio ora?

E come fronteggiare un'emergenza di siffatte proporzioni?

Doveva dar retta al suo istinto che, a dire il vero, suggeriva un modus operandi  poco urbano, oppure glissare e fargliela pagare in maniera, diciamo pure, aristocratica?

"Va bene, grazie…" aveva intimato, spazientita, strappando letteralmente di mano alla ragazza un fascio di fogli. “Ora ci penso io!"

Era stato il suo sguardo glaciale o quella si era accorta che la tipa che aveva di fronte poteva essere in qualche modo legata a quel deficiente che stava sorridendo, quando, scusandosi ancora, aveva alzato i tacchi allontanandosi?

Si era arrabbiata perché quel cretino di André, nemmeno si era accorto di averle creato tanto scompiglio per un  innocentissimo oltre che involontario schiudersi di labbra…

 

"Santa pazienza, che cavolo!" aveva sbuffato Oscar, sentendosi un pochino ridicola per quella reazione, a distanza di una giornata.

"Stai uscendo?" aveva mormorato André, mentre si alzava a sedere. Con l'espressione sonnecchiante ma i pensieri all'erta, si godeva l'effetto dell'incoscienza che, troppo spesso, aveva messo nelle sue azioni, del fatto che era tornata, in lui, la voglia di sapere che Oscar non avrebbe modificato il suo modo di essere solo per renderlo un marito felice con  pronunciata pinguedine e pigrizia cronica… Di prima mattina ne pensi di cavolate!!!

"Ti ho svegliato?"

"Macché… ti osservavo da un po’."

Un' ultima stiracchiata prima di mettere i piedi per terra e, poi, si era avvicinato a lei che cercava di sciogliere i lacci del fodero della spada. Oscar, un sorriso soddisfatto sulle labbra, guardava dallo specchio André, che, col capo reclinato in avanti e una cascata di capelli scuri sul viso, cercava di darle una mano.

"Il mio sesto senso dice che, oggi, sarai particolarmente premuroso con me…"

"Da cosa l' hai capito?" passandole le mani intorno ai fianchi, l'aveva avvicinata a sé.

"Che scemo!" aveva detto ridendo, cercando di non lasciarsi ingannare dai preamboli di André.

"Farai la brava?"

"Ci proverò…"

In quei momenti si sentiva una scolaretta che prende tempo il suo primo giorno di lezione. Sarebbe tornata in caserma solo per sbrigare alcune formalità, il suo reparto rimaneva ancora in attesa di ordini.

Quali sarebbero state le conseguenze di quel ripristino del suo incarico?

Ci pensava da qualche giorno.

Sarebbe accaduto, temeva, qualcosa di spiacevole, anche se non avrebbe saputo dire cosa.

Gli passò le braccia intorno al collo. Lui la strinse forte

"A cosa pensi?"

"Tu dici che posso andare?"

"Sì, sei perfetta… però non hai risposto alla mia domanda,"

"Quale… quale domanda?"

"Sei troppo docile… qualcosa non va?"

"è che… non lo so. Forse sono solo un po’ inquieta… ma è normale, visto che si torna in caserma." Scostandosi pigramente da lui, aveva accennato un sorriso forzato.

Si era sistemata di nuovo i capelli, mentre con la coda dell'occhio seguiva André, intento a cercare la biancheria pulita nei cassetti.

Sarebbe stato meglio non raccontargli di quello strano stato d'ansia che la coglieva alla sprovvista; di sicuro André l'avrebbe presa in giro, ma lei continuava a sentire uno senso di angoscia quando lo guardava, e sentiva, più che mai, il bisogno di averlo vicino.

Una brutta sensazione…

 

 

Quel pomeriggio si riunì nella canonica della chiesa di padre Clavel un gruppo scelto di persone. Questo fatto non passò inosservato agli occhi della polizia di sicurezza che informò il generale Bouillé, il quale non poté opporre resistenza ad un uomo di chiesa, in quanto egli stesso fortemente credente e praticante. Non gli andava di mettersi contro un "raccomandato di dio" dato che, riteneva, ciò avrebbe potuto avere esiti infausti. Raccomandò di scoprire cosa accadeva in quella chiesa, e, soprattutto, tenere d' occhio il prete durante i suoi sermoni: non sarebbe stato semplice gestire l'esito di un'omelia in cui si incitava la gente a prendere coscienza di certi ideali in voga in quel periodo.

Non fu riscontrato nulla di anomalo nello svolgimento delle funzioni pastorali di Clavel. La chiesa veniva frequentata dai contadini del luogo, in maggioranza giovani coppie su cui  i soldati di Bouillé avevano posato uno sguardo sommario e disattento.

A notte inoltrata, nella sacrestia, alla luce fioca delle lampade a olio, intorno ad un tavolo di noce massiccio, si discuteva la possibilità di chiamare in causa gli alti prelati che avevano apertamente appoggiato la causa del popolo. In un momento come quello si prendevano in considerazione tutte le possibilità e Oscar, seppur con schiettezza, aveva diplomaticamente affermato che, padre Clavel escluso, non amava affiancarsi a quella gente. Tuttavia, in una simile circostanza, quella gente sarebbe tornata utile e avendo sperimentato pregi e difetti dell'aristocrazia, sapeva quanta considerazione e allo stesso tempo quanto timore potesse nutrire, all’occorrenza, nei confronti del clero.

Padre Clavel propose di sottoporre la faccenda all'attenzione di un cardinale di cui si fidava senza riserve.

L'idea aveva trovato tutti più o meno d'accordo, ma Oscar, dentro di sé, riteneva che sarebbe stato più giusto continuare a far leva sulla coscienza popolare. La soluzione riservava indubbiamente degli aspetti convenienti per l'economia stessa della causa, ma "quanto più una stella è luminosa tanto più grande è  la sua ombra" considerò tra sé.

Riducendo ai minimi termini le motivazioni, ritenne che quella era una questione politica, un campo fatto di troppi compromessi e la situazione non propendeva all'ottimismo.

Si avviò verso casa sulla nota di queste elucubrazioni.

Il calesse si spingeva pigro sulla strada e Oscar, mentre seguiva con lo sguardo la striscia argentea dell'alba che delineava l'orizzonte, posò la testa sulla spalla di André.

"Cosa c'è, mio bel demonio?" domandò lui passandole una mano intorno alla vita, mentre con l'altra teneva le redini. Oscar sorrise, pensando che André era l'unico uomo da cui non aveva mai sentito dire sciocchezze o cose scontate.

"Certi compromessi… quanto mi fanno male" gli spiegò con un tono tranquillo e gli occhi chiusi, mentre assaporava il tepore di lui.

"Fanno più male le imposizioni" le rispose sfiorandole la fronte con le labbra.

"Touché" ammise. Gli baciò una guancia.

"Sai che la penso come te, ma, in effetti, Clavel ha dimostrato di essere un prete fuori dal comune."

"E' vero… riesco a fidarmi di lui perché percepisco la sua determinazione e non chiede nulla in cambio."

"Una volta mi ha detto che se lui fosse morto, di sicuro ci sarebbe stato qualcun altro disposto a continuare la sua opera…"

"Credi si senta minacciato?"

"No, non credo…" André ripensò a ciò che gli aveva detto quando si erano incontrati per la prima volta, quando anche lui gli aveva domandato i motivi che lo portavano ad appoggiare il popolo.

Gli aveva risposto che era un fatto di passione e di amore, tutto lì. *

 

 

“Sarebbe opportuno colpire il cuore della faccenda…" aveva detto il generale Bouillé, mentre il suo volto si confondeva tra le spire di fumo della pipa e alcuni raggi di sole che tagliavano trasversali i rami degli alberi, nel parco di Versailles.

Il conte di Fersen lo ascoltava con fasullo interesse, mentre i suoi pensieri facevano una rapida escursione su quella che sarebbe stata la motivazione da addurre a Maria Antonietta, a cose fatte. Si diceva in giro che avesse perso il lume della ragione e che, ora più che mai, fosse totalmente ostile al popolo e alla sua causa.

"Avete saputo niente di quella lettera?" domandò il conte cambiando discorso.

"No, purtroppo. Jarjayes è fuori città col suo battaglione. A palazzo è rimasta la servitù."

"Sua figlia?" domandò, rivolgendogli uno sguardo annoiato.

"Continua a vivere a Parigi…" fece una pausa, il suo volto si contrasse in una smorfia smaniosa al solo pensiero di Oscar "… col suo amante" sottolineò, con un gesto volgare della mano.

Una donna magnifica, complicata ed intraprendente come lei, può ottenere tutto ciò che desidera, pensava il conte mentre si interessava al volo congiunto di due passerotti che sembravano cercare respiro al largo, verso l'orizzonte.

"Lei lotta per ciò in cui crede, ed io so che farebbe qualsiasi cosa per il suo André. Qualsiasi cosa." Suggerì Fersen, mentre nel suo sguardo si spegneva l'ultima scintilla di lucidità.

Anche lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per la persona che amava, lo stava facendo da tanto tempo. Si era lasciato coinvolgere nel progetto della torre perché aveva intravisto una possibilità di salvezza, per sé e per la Regina. Il denaro ricavato dalla vendita delle armi era servito a organizzare rifugi sicuri nel caso in cui si fosse presentata l’eventualità di fuga da parte dei reali e finanziare un piccolo esercito di scorta.

Tuttavia, sebbene scoprire che Oscar indagasse su quella faccenda l'aveva allarmato, non aveva desistito dal suo proposito.

Fersen, in quel periodo, si era reso conto di desiderare Oscar, di volerla sua. Ciò che sentiva non era amore, nemmeno affetto che scaturisce dopo anni di sana ed asettica amicizia; il suo era solo desiderio, possesso, smania. Aveva cominciato a seguirla, ed aveva scoperto tante cose di lei che non avrebbe mai immaginato. L'aveva vista con André, nelle strade affollate di giorno e deserte di notte, in momenti di intensa serenità e di totale, assoluto, appagamento.

Aveva una scintilla nello sguardo, un bagliore luminoso e folgorante, che non ricordava di avere visto prima. La sua naturale eleganza, il suo modo di muovere la bocca nel parlare, di guardare e sorridere. Lui di donne ne aveva avute tante, forse troppe, e l'idea di non avere mai sfiorato quella donna, Oscar, l’idea di lasciarsi sfiorare, stringere e tenere da lei, lo stava facendo impazzire. Ma, ciò che lo feriva maggiormente era l'idea che un plebeo godesse di lei, che ci fosse qualcuno che aveva avuto, prima di lui, qualcosa che desiderava. Ormai non si domandava più se la sua fosse follia, non ricercava nemmeno, tra i ricordi, la disponibilità che entrambi gli avevano dato. Oscar aveva tradito, aveva ripudiato la sua casta, i suoi privilegi per André, e questo lui non poteva accettarlo.

Ma quello non era amore, non lo sarebbe mai stato.

Voleva punirla, umiliarla, ferirla nel profondo dell'anima.

Era stata sua amica, gliel'aveva fatto credere e ne era convinto pure lui, e, per questo motivo, non poteva accettare la sua scelta, la sua felicità: gli amici soffrono e godono per le stesse cose.

Non si domandava più se, ormai, fosse completamente impazzito.

"Dunque, convenite pure voi che il cuore della faccenda sia proprio questo…" aggiunse Bouillé, esalando altro fumo dalla pipa.

"Organizzate tutto nei minimi dettagli, generale: ho totale fiducia in voi" concluse poi il conte allontanandosi a passo lento.

 

                                                                                                §

  

Opportunamente informati, gli uomini più fidati avevano preso posto nella stanza della locanda, esposta alla luce del tramonto.

Attendevano tutti l'arrivo del comandante che, per l'occasione, si era fatta attendere.

D'altro canto, Oscar era preparata ad un loro possibile rifiuto.

La videro entrare con il passo deciso ma un po’ stanco, l'uniforme impeccabile come sempre  e la scia del suo profumo fresco.

Le porsero una sedia sulla quale non esitò ad accomodarsi.

 

Per un momento chiuse gli occhi.

 

Uno sguardo attento e premuroso su ciascuno degli uomini della sua brigata, e, di questo, loro tutti ne furono contenti.

 

"Comandante, dovete prometterci di non esporvi a rischi inutili" aveva detto La Salle, con il suo volto paffuto ricoperto di lentiggini e lo sguardo innocente come quello di un bimbo .

"La Salle ha ragione, comandante: il nuovo cittadino merita di stare al riparo, e noi, ci impegneremo affinché tutto vada per il meglio", Alain aveva il pregio di non smentirsi in nessuna occasione.

 

Per quanto Oscar apprezzasse quella manifestazione di puro affetto nei suoi confronti, in quel momento tutto le appariva senza senso.

"André è…" si era interrotta bruscamente mordendosi un labbro"… come sapete, André è in mano loro…" riprese a parlare con la voce che le tremava un poco, lo sguardo basso.

"Il nostro informatore ha detto che non l' hanno ancora portato alla torre e, così, non sappiamo da dove cominciare le ricerche" terminò asciutta.

"Michel è sulle sue tracce, sa chi deve contattare per avere informazioni" aggiunse Alain tentando di fornire un quadro più dettagliato della situazione che, in ogni caso, rimaneva disperata.

Oscar aveva le mani legate.

Intanto pensava cercando di agire nel modo più corretto, senza affrettare le cose, ma senza neppure perdere istanti preziosi. Da entrambe le parti, valutava, il fattore tempo sembrava giocare a sfavore, e, dunque, stava considerando se ci fosse un modo per volgere la cosa a loro vantaggio.

 

Aveva domandato i motivi dell'arresto del suo soldato, ma non le erano state fornite adeguate spiegazioni.

"… è un argomento strettamente riservato…" le aveva detto il sottoposto del generale Bouillé, il quale si era rifiutato di riceverla, con fare sbrigativo.

 

 

"… il Generale vi manifesta la sua solidarietà, sapendo che è vostra preoccupazione mantenere intatto l'onore della vostra brigata. La vostra compagnia è composta da uomini valorosi, lo sappiamo bene, pertanto, faremo in modo di svolgere le indagini nel minor tempo possibile, con la speranza di un malinteso…" in questo modo era stata liquidata.

 

L'unica ipotesi che si faceva strada, tra le varie possibilità che Oscar stava valutando, era quella che avessero intenzione di far passare André come un cospiratore, un terrorista; sapeva di essere lei la destinataria del complotto. Il generale Bouillé aveva senza dubbio le sue buone ragioni per accanirsi contro di lei, ma approfittava del suo punto debole. André era l'ostaggio ideale: avrebbero potuto manipolarla a piacimento, lasciandole scoprire le carte e compromettere la loro organizzazione.

Perché non avevano arrestato lei?

Mancanza di prove?

Nemmeno André poteva essere accusato di qualcosa: in tutti quei mesi l'aveva visto all'opera, era sempre stato estremamente cauto e sapeva come muoversi, come contattare gli informatori.

Qualcuno all'interno del gruppo  faceva il doppio gioco?

No.

Ipotesi esclusa a priori.

Rimaneva il fatto che non poteva darsi da fare come desiderava, e neanche lasciar trapelare il suo stato d'animo, l'indomani in caserma.

Non sapeva cosa fare, come agire, dove andare.

Era un animale in gabbia e reagiva come tale.

Alain aveva cercato di convincerla a tornare a casa: aveva avuto successo.

Appena s'incamminarono, Alain trasalì quando Oscar, senza parlare, si aggrappò al suo braccio.

Non l'aveva mai vista così, disperata.

Uno sguardo a Julie, che gli sorrise di rimando, lo aiutò sostenere la situazione.

Ripresero a camminare in un silenzio assordante.

Oscar appariva completamente svuotata, non sembrava nemmeno lei. L' immagine che gli sarebbe rimasta per sempre impressa, mentre quella mattina lui e Michel si precipitavano per strada in aiuto di André, sarebbe stata la fuggevole visione di Oscar, sola, in mezzo alla strada, per un istante paralizzata dal terrore, e, poi, che si precipitava al centro della piazza schivando i proiettili, totalmente incosciente del pericolo per sé.

 

C'era stata un'esplosione poco dopo che André si era allontanato dal portone di casa.

All'improvviso, un boato e  gente che sbucava dalla nuvola di fumo e correva in ogni direzione. Urla, sangue, spari.

Un inferno.

Michel e Oscar si erano voltati. Oscar si era sentita gelare.

Alain aveva visto la scena da lontano, mentre li raggiungevano.

Alcuni militari si erano spinti tra la folla, disperdendola e, tra tutta quella disperazione, colpivano le persone che tentavano di mettersi in salvo, gridando di fermarsi, cercando tra loro il responsabile dell'attentato.

Frasi urlate senza senso che, nel panico generale, la gente non capiva, ritrovandosi caricata dalla ferocia dei militari.

Non aveva senso, non poteva averne.

Immagini troppo veloci e crudeli, per fermarsi a considerare che era solo un piano architettato da qualcuno per utilità.

L'avevano trovato, il loro colpevole.

André era chino su un ragazzino, cercava di aiutarlo a rimettersi in piedi.

Gli erano arrivati alle spalle e lui non aveva avuto il tempo di reagire e schivare il calcio della baionetta che si stampava sul suo volto.

"L'abbiamo preso!" urlava con la voce concitata uno che sembrava esperto in quel genere di cose.

Un altro gruppo di militari teneva sotto tiro dei civili: se qualcuno si fosse azzardato ad intervenire non avrebbero esitato a sparare su degli innocenti.

Tutto studiato nei minimi dettagli, senza possibilità d'errore.

Aveva fatto in tempo a guardare la figura di André che saliva sulla carrozza arrivata in quell'istante, tenuta sotto tiro da due baionette. Aveva sentito Alain trascinarla via da lì, aveva tentato di reagire a quella presa decisa, ma non ce l'aveva fatta.

"Non puoi fare niente Oscar, lo capisci…?!" aveva articolato, sconvolto anche lui. "… Lo capisci?" aveva ripetuto, tenendola stretta.

 

 

Lo spettacolo che le si parò davanti agli occhi, appena aperta la porta di casa, fu terribile.

L'avevano rovistata da cima a fondo, devastandola.

Sicuramente cercavano i documenti, le prove della loro colpevolezza.

Avevano violato la sua casa, ma Oscar sembrava aver accusato anche quell'altro colpo.

Continuava a rimanere in silenzio.

Chi?

Perché?

Pensava con la mano salda sulla maniglia e la mascella contratta.

Scongiurò Alain e Julie di lasciarla sola. L'accontentarono.

Oscar aveva dichiarato guerra.

Si sedette sul pavimento al centro della stanza con gli occhi chiusi, lasciò andare le braccia e, con le mani abbandonate sul pavimento, attese che il buio la ingoiasse.

Non era facile resistere agli assalti dello sconforto, scacciare dagli occhi le ultime ore trascorse: amore, ansia, odio, terrore, tutto in un solo giorno.

 

E ripensare, ancora una volta a quella mattina.

 

"Dai… andrà tutto bene" le aveva detto mentre facevano colazione. Lei non gli aveva risposto, mentre col mento poggiato sulla mano continuava a guardare fuori la finestra. A quel punto, André aveva preferito insistere, cercando di correre ai ripari in fretta, piuttosto che vederla rinchiudersi nei suoi estenuanti cinque minuti- e forse più- di silenzio.

"Allora, che c'è?" Le aveva domandato sfiorandole una guancia.

"Niente… " aveva mormorato, cercando, con gli occhi, quelli di André, ma solo per un momento.

Lui aveva abbassato lo sguardo sulla tavola, di sicuro non fissava i  ricami che abbellivano la tovaglia di cotone bianco, ma la sua espressione seria aveva dato a Oscar la spinta ideale per sbloccarsi.

"… Probabilmente non mi sento all'altezza della situazione."

Aveva parlato a voce bassa. Sentiva il bisogno di sciogliere i suoi pensieri, e dire, mettendo da parte il suo smisurato orgoglio, ciò che sentiva davvero. Lui la guardava, a quella breve distanza non faceva alcuna fatica a leggerle sul volto tutti i colori dei suoi pensieri… Ce n'erano di scuri e cupi, che pretendevano di emergere sugli altri, che, poco alla volta, apparivano appannati. Gli era sempre piaciuto ricercare le parole sul suo viso ed ora Oscar ne offriva chiara lettura.

"… Mi sento come una pedina sulla scacchiera…” aveva esitato. “Non so se riesco a spiegarmi”, aveva ripreso, poi, “ma non vorrei fare la mossa sbagliata…"

André era rimasto senza parole ma la circostanza  non lo consentiva. In quel momento Oscar aveva bisogno di un consiglio, di conforto e sapeva che la soluzione al problema stava nel riassumere lo stato delle cose.

"Sono successe tante cose, Oscar, ti sei accollata responsabilità che andavano suddivise all'interno del gruppo…"

"Ho accettato perché credevo -e ci credo ancora- in questa causa, però…" l'aveva interrotto, forse temeva che lui avesse frainteso il senso delle sue affermazioni. "… Troppe cose non quadrano" aveva concluso, omettendo la parte che concerneva la paura. Oscar era spaventata per qualcosa che non riusciva a spiegarsi e più tentava di sminuire quella sensazione con la logica, più la sentiva radicata.

Si erano guardati negli occhi per qualche istante. Entrambi avevano letto sui propri volti un guizzo d'intesa; in quella momentanea assenza di parole, si erano detti come si sentivano ed avevano ritrovato l’usuale accordo.

"Ne hai parlato con Bernard?"

"No, no… voglio prima sapere cosa pensi tu."

"Il tempo stringe sia per loro sia per noi, quindi la tua idea di fare degli appostamenti alla torre mi pare corretta."

"Credi?"

"Sì. In questi ultimi tempi abbiamo avuto una buona dose di imprevisti, siamo esausti e, a volte, tutto sembra sfuggire di mano…" aveva aggiunto André lanciandole un'occhiata complice.

"Hai ragione…" aveva risposto Oscar, cercando attentamente le parole, "…volevo solo sentirtelo dire…"

Si avvicinò alla sedia di André.

"… Devi promettermi che farai di tutto per non farmi sentire inutile."

Gli circondò le spalle e lui, cingendole la vita con un braccio, posò la testa sul petto di Oscar.

"Non devi pensarle queste cose, Oscar…" l'aveva stretta forte, baciandola sulla fronte. "… C'è sempre un senso in tutto ciò che fai e ho capito che hai paura per qualcosa che non sai spiegare nemmeno a te stessa…"

Sorrise.

"Non voglio deluderti…" aveva mormorato, mentre si sedeva sulle sue ginocchia.

"Non l' hai mai fatto ed io mi fido del tuo istinto."

Aveva accostato le labbra al suo orecchio e, con le dita strette sul tessuto della sua camicia, aveva parlato piano, cercando di non incespicare in quel groviglio di parole che partivano dal cuore. André, l'aveva abbracciata e, Oscar, si era calmata inalando più forte il profumo della pelle di André mescolato a quello della camicia, profumata dei petali di rose che gli aveva messo nei cassetti.

 

Nei giorni a venire, Oscar, avrebbe conservato il ricordo di quella mattina con lui per andare avanti, la sua espressione seria quando, sulla soglia del portone, lo aveva visto allontanarsi mentre lei continuava a parlare con Michel, e girarsi un momento soltanto per salutarla col sorriso sulle labbra.

Avrebbe voluto raggiungerlo e fermarlo, dargli ancora un bacio e stringerlo, e dirgli che lo amava.

 

Quante cose avrebbe voluto fare e dire, quante cose le avevano strappato, quella mattina, mentre svoltavano per strade diverse.

 

                                                                                      § § §

 

Da quante ore sono qui?

Forse cinque...

 

Pensieri sconnessi, prima.

 

Mi fa un gran male la testa…

Che botta mi hanno dato 'sti stronzi!

 

Poi, lentamente, la situazione che riprende corpo.

 

Devo avere una ferita sulla tempia, ma, a quanto pare, ce ne vuole per azzerarmi…

 

Cerca di mettersi seduto.

 

La cella è fredda ed umida, probabilmente un sotterraneo.

La benda sugli occhi mi dà un fastidio terribile…

 

"Ce ne fosse bisogno…" mi dico  ironicamente. "Capitano tutte a me: mettere la benda a uno che ha problemi di messa a fuoco… c'è da ridere" biascico tra i denti mentre ingollo un paio di bestemmioni che farebbero accorrere qui quei pezzi di merda.

Cerco di fare mente locale e, nel frattempo, gli altri sensi all'erta: ho qualche problemino visivo ma l'udito va ancora... Sono certo di avere sentito la voce di Fersen , mentre mi portavano in questo buco: non devono essere molti gli svedesi a Parigi in questo periodo.

E, poi, quanto mi sta antipatico il suo francese…

Se avessi saputo che un giorno avrei subito un trattamento del genere da lui, gliel'avrei spaccata subito quella faccia da stronzo!

Poggiato contro la parete, le mani legate dietro la schiena, cerco di sfregare le corde contro uno spunzone del muro di pietra. Mi sono allenato parecchio; da bambino, riuscivo a liberarmi dai lacci terribili che mi faceva Oscar quando giocavamo a guardie e ladri: chissà perché toccava sempre a me fare la parte del cattivo che veniva arrestato…Ah! Adesso ricordo: io proponevo dottore ed ammalata e lei mi picchiava puntualmente…

Merda!

Se me l'avesse raccontato qualcuno che sarei finito così, l'avrei preso a calci nel culo.

E così, sono finito anch'io nella torre: se tutto va bene, fra qualche giorno, salterò in aria insieme allo schifo che c'è qua sotto.

Merda!

Neanche darmi il tempo di avvisare mia moglie…

Moglie… come suona strano… non ho fatto nemmeno in tempo ad abituarmi all’idea…

Ci siamo persino convinti a sposarci.

Lei ci tiene così tanto.

"Un paesino, André… un sindaco rubicondo e simpatico a celebrare il rito…" mi ha detto ieri notte, mentre continuava a succhiarmi con dovizia il labbro inferiore ed io cercavo di interessarmi alla sua rivelazione quando, invece, avrei voluto fare altro con lei, avrei voluto ascoltare altri suoni uscire dalla sua bocca. "… Lontano da tutti… solo noi due…" La sua pausa studiata sull'ultima frase e la sua lingua a carezzarmi gli angoli della bocca. Mi aveva appena lasciato il tempo di rendermi conto che quello era il suo gioco e che io dovevo sottostare alle sue regole, ubbidire fino in fondo a quella richiesta di resa incondizionata nei suoi confronti, mentre sentivo il mio corpo raggiungere temperature che richiedevano l'impiego di sanguisughe per riportarlo alla normalità.

Le ho detto sì, e lei ha immaginato fosse in risposta alla sua idea - infondo l'avevamo detto un paio di volte e fermamente convinti, poi gli eventi ci hanno sempre allontanati dall'attuare il nostro romantico progetto- ma mi ha depistato.

Ha intuito che il mio era un invito a continuare l' esplorazione insidiosa che stava facendo sulla mia pelle… non capivo più niente.

Si è fermata.

Ho impiegato dieci secondi circa prima di rendermi conto che non era più su di me.

Ho riaperto gli occhi -anzi, l'unico che funziona- nella penombra della stanza: Oscar se ne stava seduta, braccia e gambe incrociate, rivolgendomi la schiena.

Mi fa morire quando fa così…

Ho immaginato la sua espressione imbronciata, gli occhi da gatta scintillanti mentre si morde un labbro per mascherare l'inquietudine che l'attraversa. Vigile, anche quando non dovrebbe, mi fa capire che ha paura di trovare in me un uomo diverso da quello che è abituata a vivere, a sentire, ad amare. Certe volte nasce in me il desiderio di ferirla…

In quei momenti la amo più di quanto non abbia mai fatto in vita mia, la amo da impazzire e perciò voglio spaventarla con il mio amore. Ma lei non ha paura e mi sfida per poi scoprire che sono io a temere il suo amore...

E lei nemmeno sa quanto sia bella quando, prima di dormire, sussurra che è felice di addormentarsi ogni notte con me.

E' bella anche quando mi volta le spalle imbarazzata, perché ha capito che sono ancora sveglio ed ho sentito…

Ho lasciato scorrere un dito lungo la sua schiena.

Ho avvertito il suo brivido, l'ho fatto mio; avrei voluto osare di più…

Si è sollevata in piedi sul letto sfatto, nuda, nella sua statuaria bellezza.

Mi ha dato un colpetto su un fianco, col piede.

"Allora, Grandier!?" so dove vuole andare a parare quando fa così. In mezzo a quella penombra, vedevo solo lei, le  goccioline di sudore che brillavano ancora sulla sua pelle dopo l'amore che ci eravamo scambiati qualche istante prima.

Mi sono disteso sulla schiena, con le mani incrociate sotto la testa, a godermi lo spettacolo di tanta grazia, in adorazione…

 

In un altro momento sarei passato all'attacco approfittando di quella posizione per attuare i miei propositi piccanti, ma mi sono calmato perché so bene che dentro di lei c'è quel piccolo Grandier (detto col dovuto orgoglio) che, ora come ora, ha bisogno di tranquillità. Certe volte non vedo l'ora che nasca… per puro egoismo, perché voglio tornare ad amarla a modo mio… ed essere amato a modo suo…

Anche in questa circostanza non è male, anzi, abbiamo scoperto altre cose di noi… E' un'altra intimità.

Sono felice di diventare padre,  anche se ci scherzo troppo e sembra che non ne sia poi così preso, però i lunghi discorsi non fanno per me, e lei lo sa.

Mi fa sciogliere l'idea di crescere il frutto del nostro amore fatto di tante cose…

Se poi rimarrà deluso? Beh… saranno grane, mie per giunta!

Giuro che ce l' ho messa tutta e, Oscar mi ha dato man forte…

 

"Sciocca!" le ho risposto seccamente e, non sono riuscito a resistere all'impulso di accarezzarle le gambe. Si è irrigidita, ma, poi, ha abbassato il viso, verso di me; i capelli che le scendevano morbidi sul viso e sul seno ed uno sguardo da sciogliersi... Le ho preso una mano e l' ho attirata verso me. Si è seduta cavalcioni sul mio addome, senza guardarmi. Com'era calda la sua pelle, il suo corpo…

"Dato che ti sei messa comoda, mi dispiace davvero mandarti a prendermi la giacca…" ha sollevato su di me uno sguardo assassino.

"Chi ti ha detto che sto comoda!" La mia donna.

"Allora ci vai?" mi ha tirato un pizzico sulla mano e me lo sono meritato "Vabbe’, sto troppo comodo, io…" continuo a fare il vago, mentre vedo che lei sta per spazientirsi.

La punta di un suo seno tra le mie dita e la vedo che trattiene il respiro: se avesse immaginato come mi sono sentito io in quel momento.

"… Una settimana a partire da oggi…” Ho biascicato tra le sue labbra schiuse. “Bernard mi ha fatto avere i documenti."

"….."

"Perdonato?" le ho mordicchiato il collo

"….."

"No… direi… di no" sono riuscito a mormorare prima di perdere totalmente la ragione, mentre le sue mani si allargavano in carezze ampie e calde sulla mia schiena.

 

Adesso mi spaventa morire, non avrebbe senso… anche se so che non morirò…gli servo vivo.

 

Ho paura, vorrei rivederti solo per un momento, Oscar…

 

Devo sperare in uno dei miei colpi di fortuna oppure cominciare a passare in rassegna i miei giorni, le cose che non ti ho detto per pudore, quelle che vorrei dirti senza inibizioni, e, sì, confermarti che avevo paura e che in tutto questo tempo non ho fatto altro che ingoiare paura cercando di sorridere.

Ti ho mentito, lasciandoti credere che non ci sarebbe accaduto niente di male.

Avevi ragione tu…

Lo so che adesso soffri a causa mia e non riesco a perdonarmelo…

Non voglio aspettare, adesso non sono più in grado di controllarmi, ho aspettato tanto tempo e, al momento, l'attesa mi uccide…

Ormai so cosa vuol dire essere felice e non voglio abituarmi all'idea di rimanere sepolto in questo buco di merda.

Basta con queste cazzate e questa pia auto-celebrazione.

 

Se solo riuscissi a capire dove sono…

 

Buio e silenzio.

 

Forse è passato un giorno?

 

Chissà che ore sono…

 

* Benché io non sia una persona religiosa, ho - mea culpa- tirato in causa la Chiesa ed il suo entourage per una questione di logica personale. Anche all'epoca dei fatti della Rivoluzione, il clero deteneva un certo potere sia nella politica sia sulle persone. Per attuare il mio proposito, ho fatto leva sul fatto che solo l'intervanto di una forza tanto compatta avrebbe potuto garantire l'esito dell'operazione in cui sono coinvolti i "nostri". Padre Clavel è un prete "anarchico" e, per raccontare di lui, mi sono ispirata alla figura di don Andrea Gallo che ha fatto della sua veste un rifugio per i deboli e non un nascondiglio per i potenti.

pubblicazione sul sito Little Corner dell'aprile 2005

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

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