La seconda luce

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

Testo revisionato

 

Se Fersen non la voleva, lei non avrebbe voluto più nessuno.

Né la regina, né Versailles, né il mondo vuoto e fatuo che da sempre l’aveva accolta facendo da sfondo alla sua vita, e che adesso odiava.

Era disposta a qualsiasi alternativa, a qualunque altro incarico. “Anche ad andare in Marina”, pur di allontanarsi da loro. Da lui.

Scoprirsi innamorata era stata una sorpresa. Una sorpresa piacevole, in effetti, superato lo stupore del primo rendersi conto. Ma quell’amicizia con cui lui aveva risposto a quell’amore non le bastava. E ora, dall’amore, voleva fuggire.

 

Fra le persone che avrebbe voluto allontanare c’era anche André, il suo attendente-amico. André che con la sua vicinanza le ricordava d’essere donna, d’essere vulnerabile e soggetta ad essere ‘protetta’: per lo meno queste erano le intenzioni del padre quando aveva voluto affiancarle una presenza maschile.

 

Questa sera era l’occasione giusta per comunicarglielo, per dire ad André che non aveva più bisogno di nessuno, nemmeno di lui. Se lo ripeté un’altra volta, mentre lo aspettava salire, e l’indice picchiò più forte, a quel pensiero, sul mi bemolle, in un’eco di impercettibile dissonanza.

Suonava con passione, con il consueto tocco intenso e partecipe, quando André entrò in camera sua con un vassoio su cui era deposto il bicchiere di vino che aveva appena richiesto; sapeva che glielo avrebbe portato lui. Sapeva che lo avrebbe visto.

Lo accolse con un sorriso.

Forse involontario, per addolcire il colpo. Perché dentro di sé sapeva bene, invece, che per lui sarebbe stato un colpo.

Tenne gli occhi fissi sui tasti, dopo quel sorriso, fino alla fine, fino alle ultime note struggenti di quel preludio.

 

“Bene, Oscar, io vado”.

Lo aveva detto in un tono neutro, senza aggiungere altro.

Di solito quei momenti erano occasione, tra loro, per scambiare due parole. Era così raro che accadesse, oramai, che quando succedeva davvero sembrava ci fossero tante altre cose, dietro le poche e asciutte che lui diceva, come se faticasse quasi a tenerle quiete, a metterle in fila, soprattutto negli ultimi anni. Soprattutto di fronte a lei.

Ma quella sera no, non aggiunse altro. Sembrava quasi che avesse fretta di uscire.

 

“Aspetta André, devo parlarti”, invece.

 

 

Si alzò dallo sgabello, e si avviò verso la sua stanza. Di spalle – non riusciva a guardarlo negli occhi – glielo comunicò.

“Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo, non intendo più continuare ad avere il tuo aiuto. Non c’è più bisogno che tu venga con me e mi assista, non ho più... bisogno di te. Questo è tutto”.

 

 

 

Non si voltò a guardarlo. Le sembrò di percepire, però, alle sue spalle, un rumore lieve. Un tremito. Come un passo deciso e poi non compiuto.

E silenzio, un silenzio troppo lungo.

“Anch’io devo dirti una cosa, Oscar”.

E nell’istante che passò prima che le dicesse, quelle parole, lei provò il desiderio inspiegabile di dire no, d’impedirlo.

Anch’io devo dirti una cosa, Oscar.

 

Una rosa è una rosa anche se essa sia bianca o rossa.

Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar.

 

Questo è tutto.

No, non è tutto. Non è tutto, André.

 

E furono in lei, all’improvviso, quella rabbia e il rancore. Gli si avvicinò e lo prese per il bavero della camicia, lo interrogò con asprezza: “Cosa vuoi dire André? Che una donna rimarrà sempre una donna, qualsiasi cosa faccia?”

“Rispondimi André, avanti, per me è importante…”

 

Ma André non aveva più voglia di parlare, col suo viso troppo vicino e il furore, quel furore che tremava nella voce di lei. Lo sguardo che le rivolse le passò quasi attraverso, i suoi gesti parvero all’improvviso altri, meccanici, neanche più suoi. La ferita, così vicina ora al suo viso, così esposta al suo sguardo, quasi le faceva orrore.

 

Le prese il polso, glielo strinse, avvicinò le sue labbra a quelle di Oscar e le baciò, disperato, ne assaporò la morbidezza e ne accolse lo stupore, poi le spinse il corpo sul letto, vi si sdraiò sopra, ne avvertì il contatto e lo toccò.

Ma lei si dibatteva, gli gridava che le stava facendo male, minacciava di chiamare aiuto se non l’avesse lasciata andare.

Avrebbe voluto lasciarla andare, forse. Ma non riuscì. Non riuscì. Troppa l’attesa, troppa la frustrazione, l’emozione di sentirsela addosso. Strinse tra le mani la camicia, la strappò e la vide.

 

Solo allora si fermò,  commosso dalla sua pelle, spaventato di sé. Confuso, frastornato dalle lacrime di Oscar.

 

Si accorse che stava piangendo anche lui dal tocco bagnato della mano di lei sulla sua guancia: perché facesse questo, adesso, non lo sapeva.

 

Ma bastò per allontanarlo.

E perché sussurrasse, quasi con tristezza, come implorandola, “Ti amo…”

Di fronte agli occhi gelati, di lei.

“Ti amo da così tanto tempo…”

Ma lei rimase di pietra, in un dolore immenso.

Capì che non sarebbe servito. Non in quel modo.

Stava per sollevarsi, quando una mano diversa, dura, gli prese la spalla e l’allontanò con forza. Lo strappò da Oscar per gettarlo al suolo.

 

Frastornato, rivolse lo sguardo verso quella mano, verso quell’uomo, per scoprire che il Generale Jarjayes aveva udito le grida di Oscar ed era accorso in suo aiuto. Ora puntava la spada contro André, e ansimando, gli intimava di alzarsi.

“Alzati, maledetto bastardo traditore!!!!”

Lo fissava da terra attonito, ansante.

Rimase in silenzio. Come spiegare? E cosa dire? Cosa dire di un amore che ti distrugge, che hai visto sbocciare, incredulo, quasi bambino, e poi è cresciuto con te, fino a logorarti il cuore, la mente. Cosa dire al padre di lei, al proprio padrone, ad un uomo il cui animo era ormai sordo e indurito e avrebbe riso di quell’amore…

Jarjayes, furibondo, lo scosse.

“In piedi!!!”

“Io… non le avrei fatto del male…”

“Alzati!”

“Volevo solo…”

“So perfettamente cosa volevi, verme”.

Si sollevò in piedi piano, la mente vuota. La lama mandò un bagliore davanti a lui, in un silenzio irreale. Freddo.

 

 

Fu un pianto sommesso e continuo che placò quel silenzio.

La governante, sua nonna, accasciata sulla soglia di quella stanza.

Oscar con un lenzuolo tirato addosso. Le candele spente.

Fu quel lamento flebile, prolungato, che li fece tornare in sé.

 

“Non ti uccido solo, per rispetto nei confronti di tua nonna, ma adesso vattene da questa casa e non tornare mai più, non voglio più vedere la tua faccia tra queste mura”.

 

 

“Non le avrei fatto del male…” disse solo.

“Vattene, canaglia”.

“Non le avrei fatto del male”, ripeté in un ansito, gli occhi aperti a fissare terra. Poi li sollevò, invece.

“… Io l’amo”.

“COME OSI, SERVO?”

“Io l’amo”.

 

Era ancora ansante, ma di nuovo in sé, ora.

“Oscar, perdonami… non volevo farti del male, non l’avrei mai fatto…”

“Taci, non osare parlarle!”

“Oscar, ti prego…”

“Taci, tu volevi…”

“No! No, non volevo, no… Oscar, non importa se vado via, non importa se mi ammazza… ma ti prego, non credergli. Non credere a quello che ho fatto”.

Chi ti crederebbe mai, bastardo?” Sentì la punta della lama sul petto.

“VOI TACETE! Non intromettetevi!”

“Che cosa…”, disse Jarjayes a bocca aperta.

André si volse a lei, dandogli le spalle.

“Perdonami Oscar… ti prego. Ho sbagliato, ma non ti avrei mai fatto del male”.

“André…”

“Oscar, io ti amo, è solo per questo…”

“TU NON PUOI AMARE OSCAR, PLEBEO!”

 

Scosse la testa, allora, e rispose ancora di spalle, amaro, guardando Oscar:

“Certo, non posso. Non posso amarla ma posso viverle accanto vent’anni, ogni giorno. Posso dividere il tempo con lei, e accogliere le sue confidenze, e proteggerla, e aver paura che si faccia del male. Ma non posso amarla. È così che funziona, no?”

 

“Già, è proprio così che funziona, André”, disse a voce bassa, freddissimo, il generale.

 

Lui cercò gli occhi di Oscar ancora, e i loro sguardi s’incontrarono per un breve attimo. Poi la vide distogliere i suoi, volgendo il viso rigato di pianto dall’altra parte.

 

“Bene, me ne andrò per sempre, non mi rivedrete mai più in questa casa”

(ad Oscar, per un momento, si fermò il cuore)

 

Si diresse verso la sua stanza, raccolse le sue cose e se ne andò.

 

***

 

Il Generale Jarjayes si era avvicinato alla figlia:

“Oscar quel maledetto se ne è andato per sempre… Posso… posso fare qualcosa per te?”

 

 “…Vuoi… vuoi che faccia chiamare tua madre? Che…”

 

Il silenzio fu la risposta. Non riusciva a parlare.

Insistette. “Oscar, rispondi”, quasi intimato.

“Lasciatemi sola, padre”.

 

***

 

Oscar, confusa e triste, per la prima volta si sentì terribilmente vulnerabile. Ma non per quanto era appena accaduto, piuttosto per avere scoperto l’amore di André.

Un sentimento del quale non aveva mai sospettato nulla.

 

E si sorprese di quanto male le avesse fatto sentire André allontanarsi… come una mancanza nel cuore, su sé.

 

Quando udì il cavallo del suo attendente allontanarsi nella notte si alzò dal letto per accostarsi alla finestra. Ma non vide nulla, solo la propria immagine riflessa dal vetro, e non si riconobbe.

 

***

 

Riuscì a dormire qualche ora, ma il mattino seguente si svegliò con un fortissimo mal di testa, gli occhi ancora arrossati. Si vestì di malavoglia… le sembrava di non vivere il proprio tempo, di essere altrove… voleva essere altrove.

Scese le scale con infinita lentezza, le gambe le dolevano ed era frastornata. Era certa che André non fosse più in quella casa, ma appena incrociò Nanny le domandò senza guardarla “Non è tornato…” Ma era quasi un’affermazione.

“No, naturalmente no”, la risposta.

“Dove può essere andato?”

“Non lo so, non ha detto o scritto niente” – rispose Nanny quasi con gli occhi bassi. Si torse le mani. “Sono preoccupata, non ha nessuno al mondo, ha sempre avuto solo me”.

 

Per Oscar queste parole furono un altro colpo.

“Ha avuto sempre solo me”.

E lei, allora? Non era forse cresciuta con lui, non aveva condiviso la propria vita con lui, non lo aveva sempre considerato il suo migliore amico…

 

Già, ma forse a un amico non si dice di non aver ‘più bisogno di lui’.

 

“Non preoccuparti, André sa badare a se stesso”. Le parve di pronunciare il suo nome per la prima volta. E si trovò a stupirsi della freddezza con cui era riuscita ad articolare un pensiero simile. Badare, sì… sicuramente… era capace davvero di tanto cinismo?

 

Si spinse in cortile. Il sole, sfacciato, la investì, dandole fastidio. Sapeva che avrebbe potuto provare rancore per l’aggressione subita, ma, lo sguardo di André, quello sguardo pieno d’amore, solo d’amore e di disperazione, e, poi, il modo implorante in cui l’aveva guardata, non l’abbandonavano e la pervadevano di un rimorso che la straziava.

Con quel peso addosso, lentamente vagò fino alle scuderie. Si appoggiò allo stipite, stanca, confusa, piena di dolore, e alzò lo sguardo verso il proprio cavallo sellato. Le si strinse il cuore: ne aveva preso cura l’anziano stalliere. Si portò le mani al collo, come a controllare il respiro, che sembrava impazzito.

Poi, montò a cavallo e, senza più André, si incamminò verso il suo nuovo incarico, quello che avrebbe dovuto farle dimenticare il conte di Fersen.

Ma Fersen, ormai, era l’ultimo dei suoi pensieri.

 

 

 

Comandante dei Soldati della Guardia. Questo il suo prossimo impiego.

Era una realtà ben diversa dalla Guardia reale cui era abituata. La sfida, perché porre una donna al comando dei Soldati della Guardia non poteva che definirsi tale, avrebbe dovuto costituire una sorta di stimolo, di cambiamento salutare, eppure il suo umore rimaneva nero e quasi indifferente a quanto le accadeva intorno. Solo un pensiero la rincuorò, mentre alla sera, dopo una lunga giornata, stancamente riconduceva il proprio cavallo nelle scuderie. Cercarlo. Sì, avrebbe iniziato a cercare André, era convinta che non fosse andato lontano, almeno di questo era sicura.

 

Aveva ancora qualche giorno di tempo prima di ricevere ufficialmente l’incarico; li trascorse tutti nell’affannosa ricerca dell’amico. Certo non era facile trovarlo; scoprì di conoscere così poco di André, del suo privato.

 

Ma André aveva mai avuto una vita ‘sua’? Lontano da lei? Erano sempre stati insieme, avevano condiviso giornate, mesi, anni sempre fianco a fianco e, nel tentativo di scovare luoghi e possibili nascondigli, alla mente di Oscar si affacciavano ricordi ed episodi della loro vita a due.

Sorrideva fra sé, a volte, ricordando questa o quella circostanza. Ma per il resto l’angoscia la divorava e non l’abbandonò.

 

Dopo quelle prime ricerche, anche il pudore del silenzio cadde. Non c’erano più notizie di lui. Non restava che chiedere a Nanny.

“Ma è possibile che non ti abbia detto niente?” Insisté. “Che tu non sappia niente?”

 

Non servì a molto.

 

Si recò anche alla chiesetta dove una sera André l’aveva condotta, ma la trovò desolatamente vuota. Cercò in qualche modo presso persone che potessero essere state in contatto con lui. Ma nessuno pareva sapere nulla.

 

Un giorno si recò a Parigi, da Rosalie, la ragazza che per anni aveva accolto a casa e che ora viveva lì. Anche lei negò d’averlo visto.

 

Era trascorso troppo tempo…

 

Difficile capire, prima di averlo perduto, quanto fosse importante quella presenza.

Si trascinava da un’incombenza all’altra, la vita le scivolava addosso come sempre... Forse solo le difficoltà del suo incarico, dove aveva incontrato più ostilità e pregiudizi che non a Corte, la distoglievano da quella pena che, sempre, si portava nel cuore.

Le pesava, ora, l’idea di doverle affrontare sola. Sola, ormai, non più per quella assurda scelta che si era autoimposta, ma per come le circostanze gliel’avevano ritorta contro.

Quando aveva pensato di allontanare da sé André, non avrebbe immaginato di dover sentire in quel modo assoluto il peso della sua assenza. Ora lui non c’era, e non era l’indipendenza. Era la totale, completa, perfetta solitudine.

Quella a cui aveva aspirato, come avesse potuto essere libertà.

Quella stessa che ora la soffocava.

 

Quando  rientrava a Palazzo l’accoglieva la solita vita, il vuoto. Si ritrovava sola, la sera, davanti al fuoco, ma il calore che emanava dalla tazza che stringeva tra le dita non riusciva a scaldarle il cuore.

Lucidi, gli occhi. Di alcool e di dolore. Di uno sguardo troppo brillante all’ondeggiare del liquore, che lentamente seguiva il moto circolare del bicchiere, tra le sue mani.

Il fuoco aveva il potere di commuoverla, con la potenza delle sue fiamme. Col calore.

Col ricordo di lui, di schiena, a sistemare la legna, ravvivandolo.

Un ricordo caldo.

Dai contorni sfocati nell’arancio di quel fuoco.

Caldo come la lacrima che corse giù, fino a gelarle la pelle sotto la camicia.

Caldo come le mani di lui, su di lei.

Come quell’ardore.

Come lui.

Lui.

 

E mentre nella forma della voce, nella sua mente si chiedeva perché sentisse tanto la sua mancanza, la risposta si era già formata, quasi muta, e la spaventava. E se, invano, cercava, dopo, di convincersi che era perché da sempre lo aveva avuto al suo fianco, che era il suo migliore amico, e che era preoccupata per la sua sorte, in fondo al cuore percepiva che questa non era tutta la verità.

Che c’era dell’altro, che quel sentimento di vuoto e di mancanza al quale sempre più era soggetta, doveva attribuirsi a qualcosa di più profondo.

E poi c’era il suo sguardo, gli occhi di André - perché lei li ricordava entrambi - che la interrogavano, che la cercavano, e nei quali, di sera, davanti al fuoco, amava perdersi.

 

Rimase lì, immobile. Non c’era niente da fare… più niente.

 

***

 

Alla Guardia metropolitana la situazione era esplosa quando i soldati avevano scoperto che si trattava di una donna e avevano iniziato ad ammutinarsi.

Lottando, aveva creduto di potersi conquistare un po’ di rispetto, ma una serie di eventi l’aveva resa invisa ai più. E poi quel pasticcio di Lassalle, il soldato che aveva venduto il proprio fucile e così si era trovata costretta a chiedere la raccomandazione di Bouillé pur di ottenere aiuto.

E Alain de Soissons, che i soldati consideravano loro capo, le dava del filo da torcere: la teneva sott’occhio e le faceva pesare ancora di più ogni sua decisione.

E dietro a tutto questo, infine, un forte senso di fastidio e di insofferenza per quel mondo fatto di armi e di soldati, di disciplina cieca, di ubbidienza, di ronde, di servizi di pattuglia, in cui non si era utili se non all’apparato e in cui si era percepiti come nemici, dalla gente comune. Un mondo che, in fondo, le interessava sempre meno.

 

*********

 

 

Scrutava la pioggia che cadeva e che rigava i vetri o si perdeva nel vento sulla grande piazza d’armi e, anziché vedere ciò che le stava dinnanzi, pensava ad André. Nulla, non aveva saputo più nulla di lui. Quasi trent’anni di vita trascorsi insieme, inghiottiti dalla notte e dalla voce di suo padre che intimava al suo amico di sempre di andarsene. E lei che aveva girato il viso, dall’altra parte.

Pensava a questo quando udì bussare alla porta. Entrò il colonnello D’Agoût.

 

“Signore, ho un ordine del Comando generale: abbiamo ricevuto il compito di catturare quell’uomo, a Parigi, che ormai da qualche tempo ci crea qualche problema…”

Oscar si riscosse dai pensieri in cui era immersa.

“Chi sarebbe?”, chiese, quasi senza interesse.

“Tiene comizi tra la folla. Non inneggia alla violenza, ma sostiene l’uguaglianza tra gli uomini, cita Rousseau…”

“Non mi sembra così pericoloso…”

“Al Comando sostengono di sì: tutti i reggimenti di stanza a Parigi hanno ricevuto l’ordine di cattura.” Oscar, stupita, appoggiò la penna. “Il fatto è che non tutti i parigini ancora sono avviati all’uso della violenza, mentre il concetto di uguaglianza fra gli uomini trova largo consenso. Per questo è opportuno fermarlo”.

Oscar inarcò le sopracciglia e tornò a guardare i vetri. Non era d’accordo con questo ordine. Ma sapeva che vi si sarebbe adeguata.

“E sentiamo, quali elementi abbiamo in mano per riconoscerlo e catturarlo?”

“Pochi… non si ferma a parlare sempre nello stesso luogo e neppure con cadenza regolare. Compare tra la folla e inizia ad arringare. Pare sia piuttosto alto, corporatura normale, capelli scuri… ah, ecco!, forse ha un occhio ferito, perché lo nasconde coi capelli”.

 

Era lui, ne fu certa, era André.

L’aveva trovato. Finalmente. E ora doveva catturarlo, pazzesco.

 

No. Doveva ‘salvarlo’. Era assolutamente necessario trovarlo. Il cuore le martellava nel petto tra gioia e sgomento… cercò di dissimulare mentre nell’emozione si rivolse al colonnello D’Agoût.

“L’ordine è solo d’arresto vero?”

“L’ordine è di fermarlo. Non importa che sia catturato vivo”.

A quelle parole, ebbe davvero paura.

 

Uscito il colonnello D’Agoût, cercò di tranquillizzarsi. Senza riuscirvi, in realtà.

Ora la situazione, se possibile, era ancora più difficile.

Non solo voleva trovare ad ogni costo André, ma ‘doveva’ farlo. Per lui, per assicurarsi che nulla gli accadesse che… lei potesse metterlo al sicuro. A casa no, lì non sarebbe tornato…

 

Ancora non sapeva come muoversi; le venne però in mente una cosa che aveva osservato senza darvi molta importanza e alla quale ora si aggrappava con tutte le forze: la nonna di André da qualche tempo sembrava più serena, più tranquilla.

 

Uscì immediatamente dalla caserma e, salita in groppa al suo César, lo spinse al galoppo fino a Palazzo Jarjayes

Giunta a casa, subito prese ad interrogare l’anziana donna.

 

“Nonna, dov’è André, tu lo sai vero?”

“No Oscar no, lo sai non so più nulla di lui”, rispose titubante Nanny.

“No tu lo sai, stai mentendo. Devo trovarlo… è in pericolo”.

Oscar decise di giocare tutte le carte: “Pare che si sia messo a tenere comizi, e tutti i reparti militari di Parigi gli stanno dando la caccia. Potrebbero anche ucciderlo”.

 

Nanny si spaventò, come Oscar voleva.

“Ucciderlo? No, non è possibile, lui mi ha detto che stava bene…”

“L’hai visto, l’hai visto dunque?”

“Mi ha fatto avere un biglietto e poi l’ho incontrato a Parigi”.

“André, Dio, hai rivisto André… - sfuggì ad Oscar, quasi commossa -. Dimmi dove si trova!”

“Mi ha fatto giurare che non te lo avrei riferito: ha detto che avrei potuto contattarlo solo se tu avessi veramente avuto bisogno di lui. Solo allora André…”.

“Nanny, io ho bisogno di lui. Non l’hai ancora capito? Io devo vederlo!”

 

Forse l’anziana nonna di André intuì la verità… o forse, spaventata per il pericolo che correva il nipote alla fine cedette.

“È da Rosalie, è là che si è rifugiato…”

“Rosalie? Ma io sono già stata da lei…”

“André le ha fatto promette di non dirti nulla.”

 

Quasi in collera con André, per aver tradito la sua fiducia, riponendola invece in Rosalie, uscì di corsa, di nuovo, alla volta di Parigi. Si sentiva stanca. Tradita. Anche se la faceva sorridere il pensiero di quanto fosse cambiata, Rosalie. Ma la preoccupazione, i pensieri che le si agitavano nella mente, erano un peso terribile. Poi, lasciò andare il pensiero ad André, all’idea che lui fosse vivo, che stesse bene… e si sentì come felice. E, poi, di nuovo, terrorizzata alla prospettiva che potessero trovarlo prima di lei. Doveva fare in fretta! Spronò César al galoppo e, in breve, fu ancora a Parigi, in cerca di André.

 

Di fronte alla porta dell’abitazione della ragazza, fermò in aria la mano. Stava quasi per bussare, ma il cuore era impazzito.Avrebbe trovato André, dopo tutto quel tempo… non aveva nemmeno pensato a cosa dirgli. A come, in fondo, farsi perdonare. A come riuscire ad esprimere il groviglio di sensazioni e di sentimenti in cui si ritrovava legata. Ma non c’era altro tempo da perdere, se voleva salvarlo! Sentì di nuovo la paura serrarle la gola.

Bussò, prima piano, poi con maggior risolutezza.

La porta si aprì.

Rosalie, esterrefatta, stupita, poi commossa, poi spaurita, di fronte al viso di lei, che entrò.

La ragazza non ebbe bisogno di parole.

 

“Lui non abita qui.”, disse piano. “Occupa una stanza all’ultimo piano. Andate da lui.”

“Grazie”, fece Oscar, già sulle scale.

 

“Ha… bisogno di voi…” articolò timidamente Rosalie. “ Anche se non vuole ammetterlo…”

“Lo so, Rosalie, lo so”, disse soltanto.

 

E voi ne avete di lui… anche questo sapete, vero? Ma rimase in silenzio.

 

 

Ora che stava salendo da lui, ora che sapeva che stava per rivederlo, era come se tutto vorticasse, attorno a lei, inghiottendola e gelandole le mani e il respiro. Fece le scale di corsa, eppure, era come se le gambe fossero diventate di marmo.

Lui era là.

La mano, pallidissima, esile, esitò sulla porta. Poi, le dita si serrarono. Bussò.

 

La voce di André la invitò a entrare “Rosalie, entra pure”.

 

Oscar varcò la soglia, e fu investita da una grande luce. La finestra spalancata sui tetti di Parigi lasciava entrare la luce del tramonto; nell’angolo sinistro della semplice stanza c’era un letto. André, il braccio sinistro a riparare gli occhi dalla luce, si era alzato a sedere.

 

“Non sono Rosalie.”

Egli ebbe un sussulto, strinse gli occhi, a cercare di fissare l’immagine. Ma la voce l’aveva già riconosciuta…

“Oscar…” disse piano. E, poi, la sorpresa e il calore, nella sua voce: “Oscar, sei tu!”

 

Lei fece un passo avanti.

“Come…”

Ma subito l’espressione di lui si fece cupa. Le parole con cui l’interruppe suonarono dolorose.

“Cosa ci fai qui?”

Oscar provò una pena tremenda. André sembrava cambiato, meno curato, i capelli più lunghi, che spiccavano sul candore della camicia, la barba accennata… eppure, le sembrò bello.

 

Mosse qualche passo nella sua direzione…

“Ti ho cercato per tento tempo, ti ho cercato dal momento stesso in cui… sei andato via”, terminò brevemente, rendendosi conto della difficoltà di parlarne.

Lui, invece, colse subito lo spunto. “Dal momento in cui tuo padre mi ha cacciato da casa vostra, vorrai dire…”

“André…”

Lui si voltò, avvicinandosi alla finestra.

Lei gli si fece più vicina. Gli sfiorò una spalla.

Lui tremò.

“André, perdonami…”

Silenzio, lungo e ostinato e immobilità. Oscar non si aspettava tanta durezza, anche se sapeva che non sarebbe stato facile.

Eppure, al di là di tutto, nonostante il risentimento di André e la situazione tra di loro, doveva trovare il modo per salvarlo…

 

“Ti stanno cercando, lo sai…”

Rimase in silenzio.

“Vogliono metterti a tacere.”

“Vedo che le tue spie della Guardia metropolitana lavorano bene”

“Sai che sono con i Soldati della Guardia?” si stupì.

“Certo – il tono di André da fermo si fece solo triste – ti ho anche vista, fuori dalla caserma”.

“Mi ha vista? Quando…”

Lui abbassò lo sguardo.

“Eppure io non…” fece lei, rincuorata per quel breve istante di calore, tra di loro.

“Lo so”, la interruppe lui.

“André, la tua vita è in pericolo: ti stanno dando la caccia in molti…”

Lui si voltò leggermente in direzione di Oscar e la fissò.

“Davvero? Non credevo d’essere diventato così importante.”

Gli si fece più vicina. “Non è il momento di fare del sarcasmo.”

“E poi perché?”, continuò lui, “Ah, sì… forse perché parlo di uguaglianza… sì… può essere per questo… Voi nobili non accettate molto la vicinanza di noi plebei”.

E di nuovo lo sguardo a scrutare i tetti. Un altro colpo, più doloroso che mai.

 

“André… mi sei mancato”, la voce sommessa, sulla difensiva, di Oscar, incrinò per un attimo la fermezza di André.

Si girò verso di lei e con una voce dolce e triste: “Anche tu mi sei mancata, Oscar”.

 

Lei rincuorata alzò lo sguardo, gli occhi nei suoi.

“Torna a casa con me”.

Ma subito André si chiuse, si voltò. E, con lo sguardo di nuovo ai tetti di Parigi, a voce bassa, piana.

“Mi dispiace, non voglio farlo.”

 

“Perché?”

“Quella non è la mia casa. E non tornerò certo nella casa di tuo padre.”

 

E adesso, che cosa dirgli…

“André, voglio che tu torni con me. Solo con me…”

 

“Non ricordi come è cominciato tutto?” André si era girato verso di lei. “Non avevi più bisogno di me e me lo hai detto chiaramente…”.

“E’ vero”, constatò con amarezza, “ma tu mi hai aggredita…” Tornare a quella sera rinnovava il suo dolore, l’imbarazzo provato, la tristezza, dopo.

“Oscar”, ora la sua voce era stanca. E triste. “Io ho sbagliato. E mi dispiace enormemente.” Si passò le mani sul viso. Oscar lesse tutta la sua frustrazione. “Mi dispiace di averti fatto del male…” Abbassò il viso. “Ero… ero a pezzi… solo… disperato…” Rialzò lo sguardo, lucido. “So soltanto che non volevo farti del male…” Le strinse il braccio.

“Avevo bisogno di te…” le disse, in uno sguardo disarmante. “Avrei avuto bisogno di te…” Fu quel tempo passato a colpirla, più di tutto.

Tentò un’ultima difesa: “Non avrei potuto aiutarti… ero anche io troppo ferita…”. Pensava a Fersen. Pensava a tutto il dolore che li separava, anche ora.

“Avevo sperato che tu non mi lasciassi solo…”

 

Oscar non seppe rispondere. Lacrime silenziose presero a scorrerle sul viso, mentre André, lì accanto, eppure infinitamente distante, perdeva lo sguardo nel tramonto infuocato di sole, sui tetti sfavillanti di Parigi, verso quella luce che ancora riusciva a distinguere.

Quando parlò, lei trasalì.

“Oscar, è finita… lascia pure che mi prendano.”

“André, io ti amo.”

 

Fu quasi un sollievo, dirlo.

Si sorprese a sorridere, intimidita, alzando lo sguardo lucido su André.

Lui si era appoggiato alla finestra, le dita serrate sulla soglia, pallide.

 

Lo ripeté, più piano, gli occhi bassi “Ti amo, ti amo da morire”.

E, poi, in un attimo di tempo immenso, lui la strinse a sé, forte: “Oscar, Oscar, Oscar” continuava a ripetere mentre la prendeva tra le braccia, stringendola a sé e affondando la sua commozione tra i capelli di lei.

 

“Oscar, mia Oscar…”, sussurrò piano, mentre il rosso del tramonto confondeva i loro corpi, chiusi nell’abbraccio.

pubblicazione sul sito Little Corner dell'aprile 2005

Mail to tachista@libero.it

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage