Il signore del mare

parte XIII

 

Warning!!!

 

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Uomini in mare

 

 

E così alla fine lei se ne è andata...

E così alla fine te ne sei andata...

E alla fine, me ne sono andata.

 

 

Piove, piove...

Un passo dopo l'altro, guardando il soffitto e subito dopo la punta dei piedi. Il capo affondato tra le spalle e le mascelle serrate, chi lo conosce poco se lo vedesse ora direbbe di lui che è un tipo scostante, freddo, uno sbruffone. Chi lo conosce bene invece direbbe che di sicuro qualcosa non va, che è preoccupato fino al midollo e sta solo cercando di difendersi.

Sbagliato, tutto sbagliato.

E' colpa della pioggia... E' l'aria umida che pesa nel petto come un macigno, il rumore dell'acqua che tambureggia sulle tegole vecchie e consunte ed impedisce quasi di pensare, di ragionare. E' l'eco lontana di un pianto che non consola, il dolore infinito che avviluppa ogni cosa lì dentro e si mischia ai trilli improvvisi dei cercapersone, agli allarmi sonori, al soffio dei respiratori che gonfiano e sgonfiano vite. Lui lo sa, non potrà piovere per sempre. Ma oggi piove e il mondo gli sembra una galera. Così il passo è svelto e lo sguardo rimane guardingo. L'atrio, le corsie. E per ultimo il corridoio al primo piano, quello che odia e gli fa paura.

Lui è un medico, ed ha paura. Anche se è arrivato alla meta, anche se i bambini sorridono quando lo vedono continua ad avere paura, del suo lavoro, dei ricordi e di quel corridoio. Perché lì, più o meno un anno fa, c'era anche lui.

Ecco, ancora pochi passi... terza porta a sinistra, la stanza con la finestra che dà sul cortile interno... Da un po' di tempo fuori ci sono le impalcature e sembra davvero una gabbia, gli manca il respiro. Si concede uno sguardo, per dimostrare che non è mica vero che ha paura e anche per scaramanzia, per fare linguacce al destino Perché lui sta benissimo e da quella camera è uscito con le sue gambe, quando nessuno l'avrebbe mai detto. Malconcio, e da solo.

Dio, se solo smettesse di piovere e tutto quel caos cessasse...

La camera è occupata... C'è una ragazza che pare una bimba, la prima volta che l'ha vista istintivamente ha pensato a Diane... ha lo sguardo perso nel vuoto, il capo rasato che reca un ricordo di capelli che erano rossi come il rame... le braccia puntinate dagli aghi delle flebo, sul petto alcuni sensori tondi e garzati[1], una vergine crocifissa senza dignità e senza perdono. Accanto a lei scorrono mille persone ma lei non vede e non sente, solo qualche movimento in quegli occhi color dell'inchiostro... "Riflessi, impulsi senza senso" direbbe il neurologo, che il diavolo se lo porti... Invece no, Alain ne è sicuro... un giorno è entrato con una scusa e l'ha osservata a lungo, un minuto infinito... Lei è lì da qualche parte, la sua abulia sonnolenta è soltanto attesa... Tutti sfilano davanti a lei sentendosi in colpa, perché alla fine la porta si chiude e loro vanno via, lei no... Lei rimane lì è vero, ma chi dice che non si stia prendendo gioco di tutti loro, che non stia aspettando io momento giusto per riaccendere le luci e dire... "sono, voglio... sono ancora, voglio ancora..."?

Si ferma un secondo Alain, ipnotizzato da quegli occhi scuri, preso alla gola da un ricordo più lungo e acuminato del solito.

In quel corridoio più o meno un anno fa erano lì loro, tutti, il naso contro il vetro, le dita incrociate e il pianto in gola... Loro dietro il vetro e Oscar dentro con lui, la mano stretta alla sua, il viso così vicino da voler respirare con lui e per lui quando sembrava andar male.

Già... ma poi lei è andata via.

L'odore del disinfettante gli prende lo stomaco, non se lo ricordava così lungo il corridoio della rianimazione... Deve ricomporsi in fretta, avere la solita faccia da idiota per salire al secondo piano e andare a trovare Cleo... Chissà come va oggi, chissà se va bene o male... Chissà quanto manca, André gliel'ha chiesto e non ha saputo che dirgli. Non voleva essere pietoso, è solo la verità... il corpo umano spesso è bizzoso e fa quello che vuole, e nessuno meglio di Cleo sa interpretare la parte. Lei prende tutto con serenità, lo ha imparato da quando un pomeriggio gli ha servito il the e anche l'idea di far testamento... ma per André non ci voleva, in fondo è ancora convalescente, le ferite fanno ancora male. Quelle del corpo, quelle del cuore.

Lei è andata via perché l'ho mandata via io.

Alain fissa senza vederli i pulsanti dell'ascensore... A volte poter scegliere gli sembra una punizione.

Potrebbe scegliere di confessare tutto a lui, sputare il rospo e dirgli ogni cosa. Chissà se la loro amicizia sopravviverebbe, se basterebbe dire "è vero le ho detto un sacco di cose cattive, ma forse non eravate fatti per stare insieme" oppure se alla fine uscirebbe fuori la verità... Che allora, in quel momento aveva scelto in fretta e gli era sembrata una buona idea... Far pagare a lei il male fatto al suo migliore amico, per quella maledetta testarda che era, per la paura e l'orrore che avevano provato tutti. Sì... dare a lei la colpa di tutto e vederla impallidire, appassire, e poi scappar via sconvolta.

Allora era sembrata la cosa migliore da fare... Allora molte cose erano così diverse, era diverso lui.

Guarda l'ora distratto, ancora tre ore e poi sarà libero.

Allora gli era sembrato giusto, davvero… Ma adesso?

 

 

E così alla fine lei se ne è andata.

Me lo ricordo, ricordo tutto...

Era stata una sera triste per tutti, una serataccia. Oscar e André avevano passato la cena giocando a rimpiattino, con lei che lanciava frecciate e lui attento a schivarle... André sembrava sereno, ma moriva dalla voglia di mandarci tutti al diavolo e continuare a litigare con lei in privato. Solo che Nicole, più bella del solito gli ronzava intorno come non aveva mai fatto e Oscar se n'era accorta, Victor con l'aria da cane bastonato mendicava attenzioni come mai e André se n'era accorto... e io che me ne esco con l'idea del secolo, uscire a festeggiare il 14 Luglio in anticipo di due giorni. Aveva ragione Oscar, non c'era niente da festeggiare.

Lei non stava bene e disse subito di no, non servì a nulla pregarla, provocarla. Ci voltò le spalle con indifferenza per tornare a casa con Victor, come se non le importasse di nessun altro. Non si era mai curata di lui se non come amico o collega, ma sembrava che qualcosa quella sera l'avesse ferita… Che fosse gelosa e volesse far mordere il freno anche ad André… Già, sembrava.

Io André e gli altri finimmo in un posto qualunque, noioso e pieno di fumo... Sedevamo in fondo al tavolo, le ragazze chiacchieravano di vacanze e vestiti, Bernard sembrava volesse imparare a memoria tutta la carta dei dolci.

André ordinò qualcosa di alcolico e senza aspettare gli altri vuotò il bicchiere d'un fiato. Aveva lo sguardo rivolto in basso, seguendo un ritmo immaginario picchiettava le nocche sul piano di legno come se stentasse a sgranare i pensieri, troppi o forse solo troppo dolorosi. Lo guardavo e mi sentivo un verme perché in parte era stata anche colpa mia, io e le mie idee... Avrei voluto dirgli "Senti lasciamo stare, al diavolo tutto, torna indietro e metti a posto le cose con la tua donna, stasera come se fosse l'ultima, stasera o mai più...", ma mi era mancato subito il coraggio, vederlo arrabbiato e scuro in viso mi ha sempre messo a disagio e quella sera ancora di più... Avrei voluto rimediare, che si divertisse e dimenticasse, tentai persino di prenderlo in giro "ma che sei geloso di quel tomo?"

Ma non era aria, davvero.

Sarà passata un'ora, forse due senza che dicesse una sola parola. Canterellava qualcosa e beveva, beveva... Ho rivisto sfilare in un incubo immagini che credevo annegate dal tempo, così al terzo bicchiere di fila ricordo che gli afferrai il braccio, ero preoccupato... "Non ti sembra di esagerare?", gli chiesi sperando in qualche reazione… Ottenni uno sguardo meravigliato e malinconico, era il segnale che attendevo per calare l'asso e provare a riportarlo alla ragione. "Se torni ubriaco Oscar ti metterà in punizione per mesi! Avanti ti riaccompagno a casa, così lei prima ti chiederà scusa e poi ricomincerà a tiranneggiarti... Lo sai com'è fatta, ha bisogno di te ma non lo ammetterà mai..."

Sapevo di non essere credibile nei panni del grillo parlante, ma pregavo in cuor mio che mi credesse lo stesso e mi desse retta... Invece no, con un sorriso pesante come un macigno scrollò il capo, sussurrando perché gli altri non sentissero "Non so se ha ancora bisogno di me... Non ne sono sicuro, non più..." Impercettibile la sua voce spezzata mi raccontò del confronto serrato con il generale e delle sue parole arroganti, del silenzio di Oscar... del suo terrore di perderla, "io le ho detto che non mi importa, ma lei continua a ripetere che non vuole farmi soffrire, che le dispiace... Da quella sera non mi permette di avvicinarmi, non mi permette di dimostrarle che non è vero che mi fa soffrire... Non mi permette di amarla. E' come sfinita, arresa, non si fida di se stessa e nemmeno di me. Alain forse le ho chiesto troppo... Sono stato egoista, le ho detto "vieni con me, chiudi gli occhi, salta" ma cosa le ho offerto in cambio? L'amore non basta a volte! Forse suo padre ha ragione, dopotutto Oscar potrebbe aspirare a ben altro... a un cognome importante ad esempio..."

Da vigliacco, tentai di tagliar corto... “Ah ora smettila André, non farla più grossa di quella che è! Il Generale ha fatto la voce grossa e avete litigato, cosa c'entra questo con l'amore che provi per lei? L'amore è la sola cosa che conta, sei stato tu ad insegnarmelo!" Ma distolsi lo sguardo, avevo paura di quello che avrebbe potuto rispondermi.

"L'amore non è abbastanza Alain..."

Ricordo il panico che mi prese dopo quelle parole... Lui conosce Oscar meglio di me ed io certezze da offrirgli proprio non ne avevo. Con la bocca asciutta stavo per rinunciare quando un fragore di vetri rotti ci obbligò a guardare altrove. Mi voltai ringraziando silenziosamente il cielo e l'insperato deus ex machina perché davvero non avrei saputo come ribattere. Vidi una delle cameriere, una ragazzina che cercava di raccogliere i cocci di quella che doveva essere stata una bottiglia... Con il vassoio e due bicchieri in bilico su una mano stava attenta a non tagliarsi e intanto si scusava con i due ragazzi destinatari di quella birra, "perdonatemi, ve ne porto subito un'altra", la voce tremante e il viso rossissimo per l'imbarazzo.

Niente di grave, meno male... Lei con un inchino sgraziato stava per sparire nel retro e io stavo per dimenticare tutto, quando uno dei due ragazzi con un colpo secco da sotto le fece saltare il vassoio dalle mani, e con quello i bicchieri e i cocci appena raccolti, esplodendo in una risata sguaiata.

"Quella non doveva essere la prima birra della serata..." pensai tra me e me, notando il numero di vuoti sul tavolo... la cameriera allibita nel frattempo si era chinata di nuovo, proprio mentre l'altro idiota faceva cadere di proposito una sedia. "Ma quanto è imbranata questa - gridava, ridendo e agitando una bottiglia semivuota con una mano - ehi bella, da dietro sei quasi passabile" l'ultima offesa, dopo aver vibrato una generosa pacca sul sedere della malcapitata che ormai piangeva silenziosamente e tremava come una foglia guardandosi attorno in cerca di aiuto.

Rosalie e Nicole erano inorridite, possibile che nessuno volesse muovere un dito? Ma certo che no... Senza pensare ero già scattato in piedi, prontissimo a tutto, ma André mi aveva preceduto e due passi avanti a me stava puntando dritto verso i guai.

Bene, pensai, anche meglio... Menare un po' le mani ci avrebbe fatto benissimo, anche se non è nello stile di André... Lui è il tipo "ragioniamo insieme", io sono quello da sacco e guantoni ma quella sera aveva lo sguardo giusto... Era arrabbiato e rabbioso, cattivo e furioso. Ce la saremmo cavata egregiamente, un paio di sberle e qualche livido.

Se nella vita si potesse tornare indietro...

André si avvicinò in silenzio. Rialzò la sedia e tese una mano alla ragazzina, porgendole il vassoio… "Vai pure cara, non è successo nulla..." Aveva parlato con voce tranquilla, lo stile di un gentiluomo del Settecento e ricevette in cambio uno sguardo adorante da lei che fuggì via senza farselo ripetere. Ricordo che mi rilassai immediatamente invidiandolo un pochino... Il mio migliore amico, sempre calmo e misurato.

I due teppistelli ci misero un po' per riprendersi dall'interruzione, poi il più cafone articolò con la voce impastata "ehi tu fatti gli affaracci tuoi, ma che problema hai?"

André sorrise e si sedette a cavalcioni sulla sedia, al loro stesso tavolo... "Io? Nessun problema... E' solo che stasera sono un po' nervoso[2] e tutto questo rumore mi sta dando fastidio... e poi gli idioti mi danno fastidio, voi mi state dando fastidio… andatevene prima che mi arrabbi sul serio, d'accordo?"

Prego? Diavolo amico, qualsiasi cosa ti abbia fatto quella donna ha il potere di tirar fuori il peggio di te... E voi due imbecilli fareste meglio a seguire il consiglio...

Certo, la battuta non era quello che mi aspettavo ma andava bene lo stesso. Ero in piedi dietro di lui come una guardia del corpo, pronto a colpire, almeno così credevo.

"Se mai vattene tu - rimbeccò quello, dondolandogli davanti l'ennesima bottiglia - e poi non vedi? Non ho finito la mia birra..."

André con un lampo gelido negli occhi afferrò la bottiglia lanciandola lontano contro il muro, mandandola in pezzi "Lo vedi che hai finito? - ringhiò - e ora fuori di qui!" Si alzò come se niente fosse dirigendosi al nostro tavolo.

Io ero a bocca aperta... considerai che forse tutto sommato anni di convivenza con Oscar gli avevano fatto bene, perché un gesto come quello me lo sarei aspettato da lei, impulsiva com'è a volte, certo non dall'André che conosco... Ma l'amore fa miracoli.

Ecco... In quel momento, da quel momento, è come se il mondo si fosse fermato e avesse cominciato ad andare a ritroso trascinandoci tutti in un'unica corrente in piena, travolgendo la vita di prima.

Uno dei due, non ricordo quale, si lanciò addosso ad André afferrandolo per una spalla. Un secondo dopo era a gambe all'aria, colpito in viso da un destro formidabile… André non aveva avuto bisogno quasi di voltarsi, ma con l'espressione irriconoscibile si era limitato a caricare il peso ruotando il busto ed a colpire al volo mandando la palla in buca... Uno, due, tre volte, con metodo e determinazione, freddo e preciso come una macchina aveva colpito ancora e ancora, non si era arrestato nemmeno di fronte al nemico che perdeva sangue, il naso rotto ed un occhio pesto. L'aveva fermato Nicole, balzando davanti a lui lesta e precisa ad afferrargli il braccio... "Ora basta André, è abbastanza... Andiamocene via..." Aveva usato il tono imperioso che non lascia alternative a nessuno, ottenendo in cambio solo un lieve cenno del capo. André l'aveva guardata appena, quasi meravigliato, mentre automaticamente abbassava le mani ancora strette a pugno.

"Lascialo fare, non vedi che si diverte?" Nicole aveva finto di non sentire eppure era vero quello che avevo bofonchiato io, insensato e un po' alticcio. André non è certo un uomo violento, ma quella sera gli avevo trovato negli occhi lo sguardo della crudeltà amara e feroce, quella che si nutre della paura degli altri, quella che non si ferma davanti a niente e nessuno... Come la sera del litigio con Oscar, aveva negli occhi lo sguardo di un altro che non mi piaceva.

Che ti hanno fatto amico, è stata lei a ridurti così?

In fondo ero contento che Nicole fosse intervenuta, stavo per rilassarmi e mettermi a ridere... Non ero abbastanza lucido per capire cosa stesse accadendo davvero, mi sembrava tutto finito visto che l'altro pareva convinto a rinunciare mentre cercava di rialzare il suo amico, piuttosto malconcio. Vibrai una manata sulla spalla di André e "forza campione, sarà meglio che andiamo a scusarci con il padrone del bar o metterà i nostri nomi tra quelli degli indesiderabili...", gli sorrisi incoraggiante ma quel ghigno ostinato e lontano che aveva negli occhi mi convinse a lasciar perdere quasi subito. Camminavo tranquillo qualche metro dietro di lui, ricordo di aver alzato la voce in direzione di Bernard e Rosalie "tutto bene, ragazzi largo al vincitore!", quando vidi la loro espressione sollevata cambiare repentina e diventare orrore. André si voltò e d'istinto spinse via Nicole gridando "Attenti!", indicando qualcosa alle mie spalle...

L'altro non aveva rinunciato. L'altro aveva un coltello.

Un bagliore, due colpi.

Me lo ricordo come fosse appena accaduto...

Uno dal basso verso l'alto, al viso... a caso, per fargli scoprire la guardia...

André con le mani sull'occhio sinistro in un grido soffocato, il sangue tra le dita.

Un altro colpo, dritto in mezzo al petto.

André che crolla in ginocchio e poi a terra esanime, la macchia rossa che si allarga sulla camicia.

E le uniche parole che sussurrò, prima di perdere i sensi...

Oscar... Oscar... ti prego...

Dio... e io lì inerme a guardare, mentre quello gettava via il coltello e fuggiva tra le urla e i pianti isterici.

E dopo?

Dopo, dopo... potessi non ricordare niente... la corsa folle in ospedale, gli ispettori di polizia e la denuncia, le domande accorate ai miei colleghi, le imprecazioni perché ogni secondo di attesa sembrava troppo... Mi ero quasi scordato di essere un medico anch'io, io che non avevo saputo far niente per lui né prima né dopo... Io che ero rimasto paralizzato mentre lui sanguinava, mentre Nicole in ginocchio accanto a lui singhiozzava e intanto premeva forte sulla ferita con la sua bella sciarpa di seta, proprio come ti insegnano al corso per volontari... Riuscivo solo a guardarle le mani contratte, sporche del sangue di André.

Aspettavamo... I miei colleghi l'avevano portato via in fretta, impedendo l'accesso a tutti, anche a me "Scusa, ma dobbiamo seguire la procedura... State tranquilli, faremo il possibile..."

Il possibile non poteva bastarmi. Quello è il mio amico André, avrei voluto gridare... voi dovete tentare tutto, l'impossibile se necessario... Il suo posto è con noi, lui è il migliore di tutti e non può morire…

Non volevo nemmeno pensarci, a quella parola. Ed ero così preso dai miei pensieri che mi ero persino scordato di lei.

Ma Rosalie no... Non avrebbe potuto... "Ora andiamo a prendere Oscar... André vorrà vederla quando si sveglierà..." Lo aveva detto subito, ferma e risoluta, con l'urgenza negli occhi... In completa balia del dolore decisi di non contraddire quel vaticinio nascosto nelle sue parole... Volevo solo sperare e obbedire. L'avrei portata lì anche contro la sua volontà.

Ci volle un'eternità. Il telefono era isolato, allora ci attaccammo al campanello, bussammo. Forse aveva preso qualcosa per dormire, stava da cani quella sera. Meno male che l'anziana signora alla guardiola mi conosceva; le spiegammo qualcosa, non tutto, chiedendole per favore di aprirci la porta con le sue chiavi.

Entrai io per primo, non accesi nemmeno la luce, meglio una candela, ce n'erano tante in sala, colorate e profumate... piano, in punta di piedi trattenni il respiro e illuminando a stento il pavimento entrai come un ladro in camera sua. Augurandomi per pudore che fosse ben coperta anche se era luglio e c'era un caldo infernale...

Stringevo i denti in attesa di vederla, lei di solito dormiva rannicchiata abbracciata al cuscino, me lo ricordavo da quella notte al campeggio tanto tempo prima... ma allora lei sorrideva nel sonno, e al posto di quel cuscino c'era André.

Già...

Avevo usato mille cautele per non spaventarla e far sembrare normale che io fossi lì in piena notte, entrato con il passepartout. Avevo cercato di fare quello che avrebbe fatto André. Ma lei stranamente era già sveglia e stralunata, come se stesse aspettando qualcosa o qualcuno. Sembrava aver capito che qualcosa non andava, dalla mia espressione forse visto che inconsciamente sapevo di essere solo una pessima imitazione.

Sedeva dritta sul letto con gli occhi sbarrati e fissi alla porta. Tremava come una foglia, la voce appena percettibile "E' successo qualcosa? Perché siete qui, André dov'è?"

All'improvviso qualcosa nella mia testa iniziò a pulsare come un gong... Quel pallore sul suo viso, quel tremolio preoccupato che luccicava negli occhi... Il dolore che stavo per infliggerle, perché avrei dovuto preoccuparmene?, lei non contava niente... Lei che non aveva mai sofferto davvero, finalmente avrebbe conosciuto la paura del vuoto... Smisi di compatirla e mi sentii pervadere da un piacere sottile mentre glielo dicevo e basta, senza tanti fronzoli... Senza minimizzare o girare attorno ai fatti, la verità nuda e cruda.

"Oscar, c'è stato un incidente... André è ferito gravemente. Devi venire subito con noi". Pallida come non l'avevo mai vista, spaventata come non pensavo mai avrebbe potuto essere, cercò di alzarsi ma ricadde pesante tra le mie braccia, come una bambola.

"Ma cosa è stato, cosa è successo?" Il suo lamento ruppe appena il silenzio, e io la obbligai a percorrere la via tortuosa verso l'inferno.

"Una rissa con due balordi, avevano un coltello... André ha avuto la peggio. E' stato colpito al viso e in pieno petto... Facciamo presto".

Arrivammo in fretta, senza parole... Oscar passò quasi due ore vagando come una leonessa in gabbia cercando di scoprire dov'era lui, dove l'avevano portato.

"Le informazioni vengono rilasciate solo ai famigliari e ai coniugi signorina... Lei chi è?" Davanti alla porta chiusa il neon impietoso la faceva apparire ancora più pallida, come se non avesse più sangue nelle vene.

"André ha perso molto sangue" le avevo detto prima di entrare, guardandola fissa, crudele nel mio impietoso almanacco. Volevo tutto per André. Volevo vendetta.

Fu Hans ad apparire all'improvviso, attonito "Ma che ci fate qui? Stavo facendo il giro e un'infermiera mi ha detto che vi aveva notato, pensava aveste qualcosa in ballo per i bambini... Beh che succede?"

Oscar lo guardava con gli occhi fissi, vitrei, sembrava non aver inteso una sola parola... Lo apostrofò avvicinandosi a lui guardinga, come se lo temesse... ”Hans dove hanno portato André? Nessuno ci dice niente e io voglio sapere dov'è e cosa gli stanno facendo, devo sapere che sta bene, ti prego cercalo...”

Hans non capiva e osò sorriderle amichevole...”Oscar ma che dici? André è qui, perché?"

In un altro momento forse lei gli avrebbe perdonato quel lampo giocoso negli occhi... Invece si gettò addosso a lui feroce e senza pietà "Idiota! André è stato ferito e non è da nessuna parte, trovalo subito, tu devi trovare il mio André..."

Non si era nemmeno accorta di aver urlato con tutto il fiato che aveva in corpo, immolando in quel grido le ultime energie che le rimanevano. Le sue gambe cedettero e con un suono strozzato si afflosciò tra le braccia di Hans che cercava conferme nei nostri sguardi. Io annuii torvo, Bernard che aveva finito di riempire moduli per la polizia gli mormorò qualcosa all'orecchio. Ora anche Hans era pallido come noi, come tutti, e per un attimo anche lui sembrava non ricordare di essere un medico. Ma per fortuna fu solo un attimo, con destrezza affidò Oscar a una delle poltrone più ampie e le ravviò i capelli madidi, "Stai tranquilla cara, ci penso io... vedrai che non sarà niente, ora rintraccio il chirurgo di turno e poi torno da te. Te lo trovo io il tuo André. Tu mi prometti che prenderai un tranquillante?"

Oscar era impassibile, ma inghiottì avida le sue parole. Annuendo con il capo, lo guardò sparire dietro la porta verde e chiuse gli occhi.

Mentiva.

Ne ero sicuro allora... Che mentisse per coprire il senso di colpa, il suo come il mio. Perché anch'io mi sentivo in colpa, io avrei dovuto fermarlo, aiutarlo, difenderlo... Invece non avevo fatto niente di niente, ero rimasto a guardare... Cercavo qualcuno con cui dividere quel peso mostruoso, mentre il tempo sembrava aver congelato le vite di tutti, costringendo i cuori ad attendere quello di André, stanco e ferito... Cercavo qualcuno da incolpare per sentirmi meno male e nel buio della ragione trovai lei.

André l'aveva quasi invocata, implorante, quando sembrava non avere abbastanza fiato per sopravvivere. L'aveva detto piano, con gli occhi spenti e un dolore infinito, incurante della piccola folla che armeggiava attorno a lui.

“Oscar, non farlo… non arrenderti, non lasciare che...”

Avevo raccolto io quel canto d'amore, ma era per lei... Lei che non c'era, lei che si era negata ancora una volta ma continuava a ingombrargli i pensieri senza tregua, facendo di lui un fantasma in cerca di scuse per vivere o andare a morire.

Lucidamente la guardai attraverso il vetro opaco del dubbio. Le sue parole, la sua vita, l’idea che lei lo avesse mai amato, tutto. Dubitai di lei e con sollievo la condannai. E' anche colpa tua, pensai... Tu gli hai spezzato il cuore, se non fosse per te non si sarebbe mai comportato così... Nessuna lama avrebbe mai potuto ferirlo a morte come la tua indifferenza. In fondo tu gli hai fatto molto più male. E' colpa tua se sta morendo, è colpa tua...

Decisi che gliel'avrei fatta pagare, tutta d'un fiato... André sicuramente l'avrebbe perdonata, ma io no, non potevo. Ne feci una questione di coscienza. La mia.

Lei non lasciò l'ospedale per quasi due giorni... La odiavo, odiavo il modo in cui faceva sembrare tutto ovvio, naturale, odiavo la sua presenza rapace di usurpatrice. Visse per settimane attaccata a quel vetro, aspettava il suo turno con la fronte appoggiata alla finestra per godere della frescura, con gli occhi lucidi di febbre. Tutti la incoraggiavano e la compativano come se fosse lei la vittima, Cleo e Giselle l'avevano abbracciata e consolata, facendosi forza a vicenda... Stupide, ingenue, non capivano che era lei la causa di tutto il dolore che le stava mettendo alla prova? Soggiogate dalle sue arti erano arrivate persino a permetterle di vedere André prima di loro, quando contro le previsioni più rosee dopo un giorno si era svegliato.

Furono in tutto due mesi, mi sembrò l'eternità... In certi momenti mi perdevo d'animo e arrivavo a dirmi che dovevamo prepararci al peggio, che non sarebbe mai finita. Invece André tenne il conto per tutti, e fu lui a decidere che l'eternità era durata abbastanza.

Punto e a capo.

"Non ho mai visto un uomo tanto attaccato alla vita... Un altro, al suo posto, in quelle condizioni non si sarebbe salvato... Il coltello è passato così vicino al cuore... e anche l'occhio, un millimetro ancora avrebbe significato... Comunque penso di poter affermare con una certa sicurezza che..."

Avevo gli occhi pieni di lacrime, e non sentivo che un farfuglio indistinto... Avevo captato quello che mi interessava, André era fuori pericolo... Avrei avuto voglia di abbracciare l'attempato chirurgo che avevo davanti, poi andare da André e mettermi a urlare, ridere, raccontargli la nostra paura di perderlo, spiegargli quanto tutti tenevano a lui... Elencare i nomi degli sconosciuti che avevano pianto, pregato o anche solo sperato al suo capezzale, rassicurarlo e poi farmi un pianto, perché dopo aver stretto i denti per tutto quel tempo avrei pianto anch'io, sì...

Ma non avevo potuto farlo perché c'era lei al suo fianco, come sempre... Quella notizia le aveva restituito la luce di un tempo, era piena di vita e di forza abbastanza per tutti e due... Era la Oscar di sempre, che stava per ore a parlare con lui ad occhi socchiusi, il capo abbandonato sul suo petto coperto di bende e la mano chiusa tra le sue. Lui sorrideva sempre quando erano insieme, non aveva mai smesso, come se non avessero mai smesso di confidarsi segreti per tutto quel tempo.

Ero geloso, ero solo invidioso per quello che vedevo nei loro occhi, non so... Ma evitavo di trovarmi nella stessa stanza con lei per nascondermi meglio, non volevo che mi temesse, che scoprisse i miei artigli. Doveva continuare a fidarsi di me, solo così l'avrei avuta vinta. E poi c'era il pudore, André l'avrebbe capito subito che qualcosa non andava e a lui non avrei saputo che cosa dire... forse "lo faccio per te" oppure "è per il tuo bene"... Al diavolo, l'avrei fatto e basta.

Lei era stupenda, davvero... Dedicava al lavoro il mattino e anche la notte se necessario, e il resto era per lui... Era sua madre, sua sorella, la sua migliore amica, la sua compagna. Passava ore a leggergli libri o anche soltanto a guardarlo dormire e respirare tranquillo, da solo. Contava i giorni insieme a lui, gioiva ad ogni piccolo miglioramento e stringeva i denti per non piangere.

Geneviève un giorno mi aveva detto "sono preoccupata per lei Alain, non piange... non ha mai pianto da quando è successo, ho paura che scoppi".

Era vero. Non aveva mai pianto, non davanti agli altri, Oscar non piangeva mai in pubblico; ma aveva pianto con me, il capo appoggiato sul mio petto, quando alle prime luci dell'alba di quella notte infinita il chirurgo asciugandosi il sudore era venuto per rendere conto del suo lavoro.

"Il paziente presentava un'estesa emorragia provocata da ferita da taglio all'emitorace sinistro con interessamento del..." Le parole esatte non le ricordo, la sostanza era "Ho fatto il possibile, il ragazzo è sano e robusto e con un po' di fortuna vivrà... Sì, potete vederlo, ma è molto debole per cui visite brevi, non stancatelo ed evitate qualsiasi emozione". Ero tornato dagli altri con le lacrime agli occhi, dormivano tutti ma lei no, al cigolio della porta era scattata in piedi e ora stava lì con lo sguardo fisso e spaventato, come un condannato... Ero troppo felice per fingere, anche con lei. Solo un cenno con il capo, non avevo avuto bisogno d'altro e la sua maschera si era sciolta come neve... Quasi pregandomi in un sussurro mi aveva detto "Alain posso piangere? Solo un po'... Prometto che davanti a lui sarò forte, ma ora lasciami piangere...", accompagnando quelle parole con un gesto delle mani, alzate in segno di resa. L'avevo accolta offrendole la mia spalla, in fondo stavo piangendo anch'io e avrei nascosto meglio le mie lacrime mescolandole alle sue. Eravamo due colpevoli, rei confessi per giunta, quello era solo l'ennesimo segreto da condividere.

Aveva sempre mantenuto la sua parola, sicura e impassibile anche davanti alle prove più dure... Quando il dottore di turno aveva permesso ad André di alzarsi aveva finto di non notare che le gambe non lo reggevano, l'aveva incoraggiato e sorretto annuendo con forza in direzione di Cleo e Giselle, che sembravano dipendere in tutto e per tutto da lei... Quando gli avevano tolto le bende dal viso aveva insistito per essere lì e tenergli la mano. Aveva addosso un camice azzurro che la faceva sembrare troppo magra e curva, era entrata senza degnare di alcuna attenzione l'oculista che parlava di occhiali come una condanna, ed aveva quasi incenerito l'infermiera che aveva fatto notare "peccato, la cicatrice è profonda e rimarrà sfigurato, un così bel ragazzo..." Si era seduta di fronte a lui guardandolo fisso, ed arruffandogli i capelli aveva chiesto "Ci vedi bene? Mi vedi?" André aveva risposto soltanto "L'azzurro ti dona lo sapevi?", avevo capito persino io attraverso il vetro e mi era venuto da piangere.

Uniti e solidali, proprio come una volta... Dovevo agire in fretta.

La affrontai il giorno che ci comunicarono che André sarebbe stato dimesso dopo una settimana. Eravamo in corridoio, lei aveva appena lasciato la stanza di André ed era euforica, poco mancava che mi gettasse le braccia al collo per la felicità... Le permisi di ridere e sfogarsi, e mentre mi snocciolava i progetti che aveva per loro due io dietro le spalle affilavo il coltello.

Ci volle poco a farla crollare, in fondo quale prova migliore della sua coda di paglia? Mi limitai a chiederle "E questa volta quanto durerà l'idillio Oscar? Un mese, un anno magari? E poi cosa accadrà? Un giorno ti sveglierai e scoprirai che non lo ami abbastanza, o forse troppo, che hai paura, ti senti soffocare, che vuoi pensarci o ci hai ripensato... Lo sai, lui potrebbe non essere così fortunato la prossima volta..."

Il sorriso sfiorì dalle sue labbra esangui che lasciarono sfuggire un suono strano e gutturale, simile a un miagolio... Un soffio appena percettibile, mentre indietreggiava spalle al muro per farsi sorreggere... "Come? Ma che dici Alain? Io gli voglio bene..."

Sprezzante, a quelle parole risposi con una risata amara... "Ma certo Oscar, tu gli vuoi bene adesso... solo che lui a te vuole bene sempre, non su e giù come fai tu... E' così da quando ti conosco, una lunga doccia scozzese con qualche intervallo, un vero supplizio a regola d'arte... eppure sei stata brava, ci hai presi in giro talmente bene che anch'io ormai avevo iniziato a fidarmi di te... Ma ti avevo avvertito di non tirare la corda e non mi hai dato retta. Non posso lasciartelo fare un'altra volta Oscar, mi dispiace..."

Non capiva... Era incredula e allibita all'inizio, poi il suo istinto ribelle era insorto provando a difenderla dalla mia crudeltà "Vuoi spiegarmi che ti prende Alain, non capisco a cosa diavolo ti stai riferendo, se devi dirmi qualcosa dimmela e basta. L'importante è che André esca di qui, tornerà a casa e potremo ricominciare a vivere, tutto tornerà come prima..."

La fermai con un gesto secco, preparando l'ultima stoccata... "Ricominciare? Tu hai le visioni Oscar, non è mai iniziato niente e di sicuro non c'è un prima... Ma non capisci? Dimmi, ti sei mai chiesta cosa ci facesse quella sera André in mezzo ad una rissa, come mai fosse quasi ubriaco? Un uomo intelligente come lui all'improvviso attacca briga con due sconosciuti e tu non ti chiedi nemmeno il motivo? Te lo spiego io... Quello non era André, ma un uomo disperato e fuori di sé, che si sentiva perso e tradito dalla donna che amava. Con il tuo comportamento insulso e i tuoi mille problemi l'hai spinto a dubitare di se stesso per la prima volta, l'hai convinto di non amarti abbastanza... Ci crederesti?, dopo averlo ignorato per anni ti sono bastati uno sguardo e quattro parole per incenerire il suo orgoglio... e quello che non sei riuscita ad ottenere nel tuo stillicidio di "se" e di "ma" l'hai avuto in una sola sera mostrando la vera te stessa, la tua codardia... L'amore di André minava le tue certezze non è vero? Ti sei sentita in pericolo e ti sei difesa nel peggiore dei modi, e lo faresti ancora se te lo permettessi perché André non smetterà mai di amarti... Ma tu non sei degna dei sentimenti che prova per te, ora ne sono sicuro... Vattene Oscar, stai lontana da lui... Se è vero che dentro di te c'è un briciolo di quell'amore che ora dici di provare abbi il coraggio di ammetterlo e la tua coscienza farà il resto. Sparisci dalla sua vita finché sei in tempo, è meglio per tutti... Di sicuro è meglio per lui".

Ero come impazzito, sentivo l'adrenalina correre così forte nelle mie vene che per un secondo ho creduto di esplodere... Ero un groviglio di nervi e non feci caso a lei che per scappare da me e dalla mia rabbia camminando a ritroso urtò un'infermiera mandando all'aria il carrello che stava spingendo... Lo sguardo attonito e supplice che rovesciò addosso a me e quello disperato che lasciò appeso alla porta di André li notai appena, perché quello che stavo vedendo mi appagava molto di più... Lei stava fuggendo, il nemico si arrendeva e scappava... Avevo espugnato una fortezza, avevo preso la mia Bastiglia.

Non la vedo da allora, ormai è passato quasi un anno... La cosa assurda è che tutti sappiamo dov'è e cosa fa, scappando non ha coperto le tracce né distrutto i ponti dietro di sé... Ma nessuno ne parla o pronuncia il suo nome, soprattutto in presenza di André... Per rispetto, per pudore incomprensibile, perché siamo tutti grandissimi ipocriti. La gloria mondana è davvero effimera e lei è stata proscritta d'ufficio, ormai anche gli amici di sempre pensano che sia andata via per vigliaccheria, o forse perché pensava di aver condotto in porto la sua pia missione... André era fuori pericolo e non c'era più bisogno di continuare a fingere ciò che non era più o non era mai stato... E tutti a commiserare mentre io reggo il gioco cercando di non dare retta alla mia coscienza... "pensavamo fosse amore invece chissà..." bisbigliano sottovoce per zittirsi imperiosi quando nella stessa stanza c'è l'oggetto della loro strana pietà, quell'uomo che è ancora mio amico e che mi ha stupito più di tutto e di tutti.

Lui non l'ha mai cercata. Avevo pensato che non appena le forze gliel'avessero permesso sarebbe partito per andare a riprendersela contro ogni logica, ero pronto a dichiararmi sconfitto di fronte al destino. Invece no... Quando Cleo tenendogli la mano gliel'ha detto c'ero anch'io, pronto ad ogni evenienza... l'ha ascoltata annuendo senza espressione, senza nemmeno versare una lacrima...

Mi ha rinfrancato all'inizio, restituendomi un po' di dignità... Allora avevo ragione, il mio non era stato solo odio cieco né rivalsa ma solo il buon senso di un amico sincero e fidato... André non si è mai perso d'animo, ha continuato a migliorare, mangiando ed obbedendo a tutto e a tutti... Le medicine, la riabilitazione, ha accettato di buon grado senza mai lamentarsi o mostrare sconforto... L'unica concessione è stato l'oblio, non è mai tornato in quella che per poco tempo avevamo ribattezzato "casa loro", ma si è trasferito direttamente da Cleo e Giselle, perché si prendessero cura di lui. E' tornato all'università per la gioia dei suoi studenti, ha ripreso i turni in ospedale e a leggere fiabe nel buio a due voci, Nicole siede al posto di Oscar, abbiamo pensato noi a zittire i bambini e la loro infantile curiosità. Poi Cleo si è ammalata, meglio, la malattia è diventata impossibile da nascondere, ed il resto è passato in secondo piano. Lui sembra normale, vive per il suo lavoro e per la sua famiglia, un giorno mi ha detto che vorrebbe poter restituire in parte quello che Cleo e Giselle gli hanno dato in tanti anni, l'affetto e le cure. Ogni tanto con due dita sfiora la cicatrice sul viso, i capelli la nascondono in parte ma a lui non pare importi poi tanto. Non ne parla mai, di quello che è successo. E nemmeno di Oscar parla mai, come se non fosse vero che solo un anno fa avrebbe dato la vita per lei.

Sento che manca qualcosa e non capisco cosa, non sono tranquillo... Dovrebbe piangere e disperarsi, per Cleo e per tutto. Invece sembra come sospeso, in attesa. A volte vorrei confessargli ogni cosa e sperare nel suo perdono, ma il coraggio mi abbandona quasi subito. A volte arrivo a pensare che lo capirà da solo, non so come. Forse anche lui, come noi, sta solo aspettando che la ruota giri e ci riporti indietro nel tempo. Forse anche lui come me qualche volta ha detto a se stesso "potessi tornare indietro, cambierei tutto..."

 

 

Me lo ricordo, io mi ricordo...

Geneviève sbuffa. Comincia ad odiare le sue sorelle e quelle insulse riunioni del giovedì sera, la beneficenza è una gran bella cosa ma sarebbe meglio farla senza tanti clamori e non solo perché è molto chic...  E poi è tardi e non ha voglia di parlare stasera, forse loro non hanno di meglio da fare, ma lei sì da un po' di tempo.

"Geneviève cara sei di fretta? E' la terza volta che guardi l'orologio... Comunque iniziamo pure, mi pare che ci siamo tutte no?"

Tutte? NO... No, vorrebbe gridare e mandare all'aria il tavolo e le sottocoppe di Limoges, con buona pace di mamma. No cara terza sorella, non ci siamo tutte... Della nostra piccola non vogliamo parlarne? E' forse argomento vietato anche per voi? Non mi pare che papà ci abbia proibito di nominare il suo nome o di telefonarle ogni tanto, o scriverle... O prendere il primo treno e andare a riprenderla, obbligarla a mettere fine all'esilio a cui si è obbligata.

"Qualcuna di voi ha sentito Oscar di recente?"

Le tazzine traballano pericolosamente, sciami di sguardi che virano con noncuranza verso i quadri alle pareti, annegano nel the bollente, e vanno a morire nel cupo tramonto là fuori... "No, io no - la quarta sorella rivolta alla terza che tiene banco stasera - ma cara mi pare che tuo marito abbia detto che sta proprio bene, che in ufficio gli è di grande, grandissimo aiuto... In fondo ormai è grande e aveva tutto il diritto di decidere della sua vita no?"

E' stata lei a decidere secondo te quarta sorella, nessuno l'ha obbligata?

Sbagliate mie care, voi non la conoscete, non avete mai voluto conoscerla davvero... Lei non ha deciso nulla vi dico... Lei è scappata.

Io me lo ricordo, io c'ero... E' già passato quasi un anno, sembra ieri. Quando qualcuno chiamò dall'ospedale per dirci di André, ricordo il mio egoismo... "André deve vivere o lei morirà..." L'avevo sentita qualche sera prima affrontare papà, c'era anche André con lei... erano così strani, vicini eppure distanti... Mi aveva fatto paura il gelo negli occhi di lei, anche se sapevo che lo amava e che al momento buono quell'amore sarebbe sfuggito al suo controllo come una nuvola in corsa... Le sarebbe esploso tra le mani e nemmeno lei avrebbe potuto fare più niente, solo arrendersi.

Andai di corsa in ospedale pronta a raccogliere le sue lacrime disperate; la trovai calma e rassicurante, appena mi vide disse "André vivrà Geneviève, deve vivere... Lui lo sa ma deve sentirlo dalla mia voce che lo amo... Lui vivrà, non lo lascerò morire..."

Aveva una strana luce negli occhi e poteva sembrare follia... Invece no, la sua era la forza sovraumana e cieca che solo l'amore sa infondere e che lei sembrava finalmente aver trovato dentro di sé... Tutto in una notte, ma che importava allora? L'importante era che André si salvasse...

Nessuno voleva crederci ma dopo un giorno e una notte lui si svegliò, chiedendo di Oscar... Dopo una settimana respirava da solo, dopo due riusciva persino a mettersi seduto... Migliorava, sorrideva... a volte la stringeva forte invitandola a fare altrettanto, a non aver paura di fargli male... Si facevano forza a vicenda, si erano ritagliati in quel posto di dolore e sofferenza il loro pezzo di cielo... ed era sempre azzurro, e c'era sempre un bel sole.

Fino a quel giorno di settembre... Quel giorno lei rientrò sbattendo la porta, quasi correndo, con gli occhi impauriti di una fiera inseguita... Senza fiato e con un filo di voce mi chiese "Dov'è papà?" Ero sgomenta, mi avvicinai con circospezione perché temevo cattive notizie, cercai la sua mano ma si liberò subito, infastidita...

"Cara ma cos'hai, è successo qualcosa? Mi stai spaventando..."

Mi accorsi che stava per mettersi a piangere, a urlare... "Geneviève ti prego dimmi dov'è nostro padre, ho bisogno di parlargli!"

Non mi chiamava mai con il nome di battesimo, mai... Solo "prima sorella", non ricordavo altro da lei. Senza parlare le indicai lo studio, papà era lì da ore a controllare certe carte. Lei entrò chiudendo la porta a chiave, per un attimo ebbi la tentazione di origliare come non facevo da anni... Uscì come un razzo dopo pochissimo, con il volto pallido e gli occhi inquieti, senza dire nulla afferrò il soprabito e uscì. Andai dal generale in cerca di spiegazioni, sembrava invecchiato di dieci anni... Aveva le spalle curve, tra le labbra la pipa spenta... Mi disse scuotendo il capo "Vuole andar via, ha detto che vuole andarsene... Di nuovo... Io non capisco, ma cos'altro è successo?"

Partì la sera stessa, mandò due righe con un telegramma per rassicurarci, retrograda che non è altro... Da allora qualche lettera scarna, nient'altro... Sesta sorella, perché non torni a casa... Vieni a riprenderti quello che è tuo, il tuo posto tra noi, con papà e mamma... con André..."

Geneviève scaccia i capelli dal viso come fantasmi e smette di ascoltare la terza sorella, tanto per le idiozie che racconta... E' vero, suo marito che dirige uno studio legale in Normandia ha accolto Oscar come un padre ed è fiero di lei, lo va raccontando a tutti... Ma Oscar lei l'ha vista, quando è stata a trovarla quasi non l’ha riconosciuta… Al posto della ragazza indomita che era un tempo ora c’è un'ombra pallida e arresa alla sorte e alla vita, dal pianto facile e con una brutta tosse figlia della poca cura che ha di sé. Non le importa di nulla, del lavoro, del tempo che passa... Non parla e non chiede di lui come se non fosse degna di pronunciare il suo nome... Avrebbe voluto prenderla per le spalle e scuoterla, gridarle "E André? Non mi chiedi di André?"

Le viene da piangere... Ha voglia di andarsene, anche se è presto. Ha voglia di lui e non dovrebbe... Lui, che cosa ridicola… Una storia senza senso e con poco futuro, aveva promesso a se stessa di mettere fine a tutta la strana faccenda ma lui è davvero testardo, quando vuole... Ed è meraviglioso quando sussurra di amarla e di volerla, sembra vero...

Fosse vero...

Si sente in colpa con Oscar, le sembra di essere troppo felice mentre lei è così triste e sola... Metterà fine a questa cosa. Andrà da lui ma patteggia che è l'ultima volta, che è solo per non fare gli stessi errori che ha sempre rimproverato alla piccola sesta sorella. E poi chissà, magari insieme a lui riuscirà ad escogitare qualcosa e a rimettere tutti al loro posto... In fondo lei è molto vecchia e molto, molto saggia.

Afferra la borsa di cuoio e le chiavi della sua macchina, "Ma Geneviève dove vai? Non abbiamo finito!", protesta la quarta sorella mentre lei è già a metà corridoio...

"Ho un appuntamento di lavoro e sono in ritardo, decidete voi come dividere le donazioni questo mese..." Risponde a voce non troppo alta, non sta affatto bene gridare in casa.

"Come un appuntamento di lavoro... Ma sono le sette di sera..."

 

 

"Scusami... Scusami davvero, non volevo svegliarti... Ma c'è qualcosa che sibila da almeno due minuti ed ecco... Credo proprio sia il tuo cercapersone..."[3]

Ride, soffiandogli sul viso per dispetto mentre lo osserva riemergere dal sonno del giusto lentamente, borbottando qualcosa... All'improvviso il trillo riprende più forte, impossibile non sentire... Lui si rizza seduto sul letto mormorando "ti prego no, non anche questa volta... Per caso hai qualche nemico?" Chiede fingendo disperazione mentre fruga tra le lenzuola e i vestiti gettati alla rinfusa un po' ovunque, speranzoso... Al quarto squillo sbuffando si decide ad alzarsi finalmente, qualche passo a tentoni nel buio e "Ahi accidenti!", inciampa in qualcosa di piccolo e spigoloso… Il trillo cessa come per magia.

Si china a raccogliere il malefico aggeggio, avvicinandolo agli occhi ancora assonnati per capirci qualcosa e con giubilo annuncia "Falso allarme, è solo la batteria scarica... Ora lo attacco alla corrente o saranno guai davvero... Comunque è prestissimo, non sono nemmeno le cinque, direi che possiamo anche rimetterci a dormire... Oppure preferisci..."

Le parole gli muoiono in bocca perché a quanto pare lei ha già raccolto l'invito. Dorme con le labbra schiuse in un mezzo sorriso, abbracciata ad un angolo del cuscino come fosse un orsacchiotto... Si domanda se quel sorriso sia per lui, o per il cuscino...

Ma in fondo non importa granché.

Di giorno non riesce mai a ricordarla così, le immagini si rifiutano di obbedirgli e turbinano disordinate nella sua mente fino a quando si ritrovano di nuovo insieme, al buio e con poco addosso. E allora la guarda e si stupisce ogni volta per quanto è bella... è incredibile quanto può essere bella una donna dopo aver fatto l'amore, con i capelli scompigliati sulle spalle, il viso accarezzato dalle prime luci dell'alba. Si compiace perché quella è la sua donna, finché vorrà esserlo, finché qualcosa non li dividerà.

Si sdraia accanto a lei con mille premure, sperando di non svegliarla... Se solo si voltasse appena, potrebbe attirarla tra le sue braccia e stringerla ancora un po', prima che il giorno li trasformi di nuovo in due affabili estranei che davanti al resto del mondo si evitano e a malapena si dicono "ciao".

Ciao...

Respira profondamente e riavvolge i pensieri fino a tornare a quel "ciao" che l'aveva raggiunto alle spalle quasi quattro mesi prima, mentre cercava disperatamente di mandare a memoria qualche informazione su uno dei suoi nuovi "clienti"... “Ciao!”, una voce allegra che l'aveva fatto sobbalzare, si era voltato e se l'era trovata davanti sorridente, i capelli sciolti sulle spalle, vestita sportiva e con un grosso tubo tra le mani. Suo malgrado si era immediatamente rilassato, meno male che era "solo lei"... Era scoppiato a ridere domandandole "ma che ci fai qui a quest'ora con quel coso? Cos'è, un'arma impropria?"

Anche lei aveva riso "cafone impertinente, questo è il mio lavoro... Il mio studio ha vinto l'appalto per la ristrutturazione dell'ala nord ovest e qui - indicando il tubo - ci sono i progetti, vengo a conquistare il vostro ufficio tecnico... Anzi mi indicheresti dove si trova, credo di essermi persa!"

Incredulo le aveva fatto notare che l'ufficio avrebbe aperto "non prima delle nove, il che vuol dire che sei in anticipo di almeno un'ora... Siete tutti mattinieri in casa vostra eh?" L'aveva detto e si era subito pentito... lei aveva smesso di sorridere, facendosi schermo con il portadocumenti per evitare di incrociare il suo sguardo. Per rimediare aveva cercato di essere gentile "Ti andrebbe un caffè? Io ho ancora mezz'ora di tempo, e conosco benissimo la scorciatoia verso il bar..." Lei aveva accettato con un cenno del capo e dopo cinque minuti erano seduti uno di fronte all'altra a chiacchierare di cose futili in libertà.

“Grazie, è stato un piacere… la prossima volta offro io d’accordo?” Si erano lasciati con una stretta di mano ed un sorriso, la promessa non scritta di farlo di nuovo… E così era accaduto spesso, quasi ogni mattina, se non si incontravano per caso nei corridoi era lui a cercarla, e bastava sporgersi dalla finestra per vederla vicino al cantiere a dirigere un drappello di operai sguaiati, gli occhiali scuri e il casco protettivo, sicura e imperiosa… La salutava con la mano, sbracciandosi per attirare la sua attenzione e stabilire se, quando… a metà mattina magari, a volte per pranzo. Era un diversivo divertente, finalmente qualcuno che stava con lui per il piacere della compagnia e non per estorcergli consigli o appuntamenti fuori orario; gli ricordava il passato, quello buono e di cui andava fiero.

"Allora ingegnere che mi racconti di bello?" Si era sempre sentito a suo agio con lei e gli riusciva facile parlarle, in fondo era un'amica, come una di famiglia... Quella mattina il sole entrava dalle finestre della vetrata e la illuminava alle spalle, e mentre lei stringendo la tazza con due mani descriveva nei particolari come avrebbe reso quel posto infame "un esempio di stile e design" si era scoperto a domandarsi "di che colore ha gli occhi? Azzurri come Oscar... no, sono verdi, o forse grigi..."

Uno strano senso di colpa che gli aveva fatto andare di traverso il boccone di torta... Forse era la prima volta in assoluto che pensava a lei come a una donna... In fondo lei era la sorella maggiore della sua "ex migliore amica", quella che li sgridava quando i loro gruppi di studio mostravano troppo entusiasmo, quella che aveva sempre spudoratamente avuto un debole per le cose difficili. Un vizio di famiglia. Una donna con occhi tra il grigio e il verde e i capelli castano chiaro, li aveva sempre tenuti appena sotto le spalle, e anche lei come Oscar li raccoglieva quando qualcosa andava storto... Sapeva tante cose di lei, anche se era strano conoscere una persona senza averci mai avuto a che fare davvero... La conosceva attraverso le parole di Oscar che l'adorava, e conosceva il suo ex marito grazie agli strali della cognatina che l'avrebbe volentieri infilzato con il suo fioretto prima che scomparisse definitivamente, inghiottito dall'ignominia e messo alla porta da un bel divorzio.

"Qualcosa non va? Ho sbavato il rossetto per caso?", gli aveva chiesto lei ridendo per quell'ispezione indiscreta... Che maleducato, stava cercando le parole giuste per minimizzare e scusarsi ma nel caffè doveva davvero esserci qualche droga strana quella mattina... Inorridendo aveva ascoltato se stesso rilanciare "Quanti anni hai Geneviève?", persino un villano come lui sapeva che certi argomenti vanno evitati... In apnea aveva atteso che gli tirasse la tazzina prima di andarsene sbattendo la porta, e invece lei gli aveva strizzato l'occhio "Tu non eri granché in matematica vero? Quando nacque Oscar io avevo ventuno anni, e se non sbaglio Oscar ha un anno meno di te... Ora quanti anni hai tu?"

Lui rinfrancato aveva sorriso, in effetti la matematica non era mai stato il suo forte "Io ne ho trentaquattro... E' incredibile... Se non ti conoscessi non ti crederei mai, al massimo arriverei a concederti quarantacinque anni, quarantasei..." La bocca si era mossa da sola, e non per galanteria... Mentre la sua mente si affannava attorno a un paio di equazioni a una incognita osservava il suo collo sottile, le fossette che le accendevano ogni sorriso, le mani di chi suona il piano da tanto tempo, il corpo snello e ben proporzionato... Si era reso conto con un po' di imbarazzo di considerarla bella... La sorella maggiore di Oscar era una bella donna di cinquantaquattro anni.

Lei aveva posato la tazza vuota per poter ridere meglio, divertita da quell'ammissione fatta con il tono grave delle confessioni estorte "oh ti prego smettila o il mio ego esploderà! Però bada che per perdonarti una bugia così grossa non basterà un caffè, ti toccherà invitarmi a cena una volta al mese per i prossimi dieci anni sai?" Aveva una risata argentina che la faceva sembrare una ragazzina, così diversa dal sorriso lontano e trattenuto di Oscar...

Senza accorgersene si era allungato sul tavolo, puntandole il dito in segno di sfida "Allora facciamo domani sera, se non ti scoccia mangiare all'ora delle streghe... Io smonto alle dieci ma almeno staremo tranquilli e se vorrai potrai insultarmi fino a notte fonda... Che ne dici?"

Stavolta era stata lei a sgranare gli occhi, impressionata da tanta insensata baldanza "No, ti prego, io stavo scherzando... Perdonami la franchezza ma non credo proprio sarebbe una buona idea..."

A quelle parole, pronunciate con il tono serio si era sentito un po' stupido... "Scusami non volevo essere impertinente, solo mi sembrava..."

"Ehi - gli aveva afferrato la mano con il viso serio - io lo dicevo per te... Non credo che ti renderebbe giustizia farti vedere in giro la sera con un'arzilla signora di mezza età..."

"Andrei in giro con un'amica e soprattutto con una delle donne più belle che conosco... Avanti, che c'è di male, se preferisci eviterò di venirti a prendere sotto casa d'accordo?"

Geneviève aveva riflettuto ad occhi socchiusi per qualche istante, lasciando lui in panne... Poi inaspettatamente aveva annuito, "E sia, in fondo un po' di gioventù non mi farà male...ma verrò io a prelevarti, e guai se mi dai buca! Ricorda che so dove abiti!"

Bene! Quel consenso insperato lo aveva messo di buon umore, all’inizio. Poi era subentrata una strana euforia, ed infine il panico. Aveva passato il pomeriggio con il fiato sospeso, il giorno successivo anche peggio! Era nervosissimo, sicuramente lei avrebbe disdetto tutto, figuriamoci... "E' solo una cena, non un appuntamento..."

Sobbalzava ad ogni trillo del telefono ed aveva chiamato casa almeno tre volte per controllare la segreteria, poi si era accorto di non averle lasciato alcun recapito... "Sei davvero un coglione senza speranza” si era detto rivolto allo specchio, dopo l'ennesimo giro a vuoto speso con l'intenzione di incrociarla per puro caso, prima di passare il tesserino magnetico e dichiararsi ufficialmente "fuori servizio". Stanco e con il bisogno di farsi una doccia ed un bell'esame di coscienza era pronto per andarsene, ma mentre armeggiava con l'anta del suo sgangherato armadietto a muro si era sentito sfiorare la spalla da un tocco leggero ed una voce divertita l'aveva apostrofato "Senti un po' tu, non dirmi che ti sei dimenticato di me! Guarda che io ho una gran fame..."

Calmati... L'imperativo morale categorico, calmarsi ed assumere l’espressione di sempre, risponderle con il tono canzonatorio che l'aveva reso così simpatico a sua sorella... Invece voltandosi poco era mancato che soffocasse… se l'era trovata davanti con i capelli raccolti, un vestito corto di seta lucida che le scopriva le braccia e le spalle e scarpe alte abbastanza per non faticare a guardarla negli occhi, sapientemente truccati... Che diavolo... Gli era uscito un claudicante "Oh ma sei... sei..."

Lei aveva chiuso l'armadietto e spento la luce spingendolo fuori, tendendogli la mano con aria professionale... "Sono Geneviève de Jarjayes, ingegnere civile... ora dottore o professore dei miei stivali, ti dispiacerebbe toglierti la divisa da lavoro e portarmi a cena?"

E chi ha fame... Aveva pensato deglutendo due o tre volte, a vuoto...

Era stata una serata bellissima... Molto strana ma bellissima... Avevano finito per dimenticarsi i rispettivi ruoli e parlare di tutto, ridere e scherzare come due vecchi compagni di scuola.

"In effetti è un po' come se fossi venuta a scuola con voi... In fondo Oscar è stata la mia seconda adolescenza, insieme a lei ho imparato a conoscervi tutti..."

Avevano parlato tanto di lei fino a quel momento, solo al passato per tacito accordo... Ma non sarebbe stato possibile continuare, tanto valeva essere franchi...

"L'hai più vista o sentita?"

"Sono stata a trovarla per il suo compleanno... Ha avuto una brutta influenza, ha rischiato la polmonite quella sciagurata... Fortuna che il medico che ci ha sempre seguiti è molto paziente con lei ed è meglio di un cane mastino... Solo che non è più lei, non la riconosco più... la mia piccola..."

Le era sfuggito un sospiro sconsolato e lui le aveva preso la mano evitando di guardarla... "Siamo sempre stati invidiosi del vostro rapporto, anche ora ne parli come se fosse tua figlia..."

Lei aveva ricambiato la stretta, continuando con gli occhi pericolosamente lucidi... "E' difficile da spiegare... Mia figlia non ha potuto scegliere me come madre, le sono capitata e basta. E' obbligata a darmi retta, a sorbirsi le mie prediche e questo fa di noi due potenziali nemiche. Con Oscar è sempre stato diverso, noi ci siamo scelte, ci siamo trovate... Lei è venuta al mondo e istintivamente mi ha cercata, a me non pareva vero... Sai, non ho mai riscosso molta fiducia in famiglia, ma non mi importava perché ero importante per lei. Ricordo quando durante i temporali scappava dalla sia camera per venire da me, papà le aveva proibito di dormire con la luce accesa, se avesse potuto le avrebbe proibito anche di avere paura... veniva a darmi il bacio della buonanotte, io la prendevo sulle ginocchia e la coccolavo, fingevo di avere paura anch'io dei tuoni... Allora spalancava quegli occhioni bellissimi e mi chiedeva "Vuoi che rimanga a farti compagnia?", si infilava svelta sotto le coperte prima ancora che avessi detto sì. La tenevo stretta fino a quando la sentivo abbandonarsi al sonno, a volte stavo sveglia per controllare che non si scoprisse e non avesse freddo... era bellissimo, al mattino la riportavo nella sua camera in punta di piedi e nessuno si accorgeva di niente... Oh Signore, quanto mi manca mia sorella, e non so nemmeno perché è andata via così... A te non ha mai detto niente?"

Si era sentito scoperto... Ma aveva retto il gioco... "Perché me lo chiedi?"

"Perché siete sempre stati amici, ho sempre creduto che a te avrebbe detto tutto, anche quello che per pudore non avrebbe mai detto a me, a Cleo..."

Aveva incrociato le dita dietro la schiena come da bambino prima di dire una bugia... "No, non so che dirti... io credo che abbia avuto paura".

Geneviève aveva annuito con la voce incrinata "Sì, lo penso anche io... Sai, Oscar non ha mai ottenuto nulla senza lottare, tutto quello che ha se l'è conquistato a caro prezzo... persino per avere un nome e un posto nel cuore dei nostri genitori ha dovuto lottare... ecco, ho sempre pensato che avere l'amore di André così facilmente la meravigliasse perché in cuor suo non avrebbe mai pensato di poter aspirare a tanto, che continuasse a torturarsi dicendo "da non credere, un uomo così che mi ama e non chiede nulla in cambio..." Alla fine il dolore, lo spavento, forse l'idea di perdere tutto devono averla sconvolta a tal punto da toglierle gli ultimi refoli di fiducia in se stessa. Penso questo e vorrei aiutarla, ma non so come farlo, mi sento vecchia e stupida... Scusami, ti prego..."

Si era alzata scomparendo verso la toilette e lui l'aveva seguita con lo sguardo, annaspando in cerca di parole gentili per farla star meglio... Quando era tornata era ancora visibilmente scossa, così le aveva di nuovo preso la mano chiudendola tra le sue, e si era limitato ad un sorriso... "L'affetto e l'amore non hanno confini, e Oscar lo sa bene... in te sa che troverà sempre un'amica oltre che una sorella, quando ci si vuole bene come voi gli anni e la distanza davvero non contano niente..."

Non si era nemmeno reso conto di quello che aveva detto, l’aveva vista annuire e sorridere e questo gli era bastato… Le aveva versato del vino e l’aveva convinta a finire la carne, poi in un impeto di cavalleria le aveva persino scostato la sedia, offrendole il braccio “guarda che fino ad oggi questo è stato un privilegio solo di Cleo…” nel tentativo di farle dimenticare l’accaduto e per un attimo anche sua sorella. Si sentiva bugiardo e colpevole nei suoi confronti, nei confronti di Oscar…

Ma con lei, poteva ancora rimediare.

La proposta di fare due passi le era piaciuta, era una bella sera e non faceva freddo... Si erano scambiati poche parole dopo la cena, aveva parlato quasi sempre lei mentre lui ascoltava in silenzio, le mani affondate nelle tasche e lo sguardo assorto. Gli aveva parlato di suo marito, quasi divertita... "Lo conobbi durante l'esame di statistica... che lui ripeteva per la sesta volta. Era un filibustiere e io quasi una ragazzina nonostante i miei venticinque anni, sognavo principi azzurri, cavalli bianchi... E così gli bastarono due moine e un mazzo di fiori per ridurmi in estasi tra le sue braccia... senza dar retta a mio padre né a nessun altro lasciai l'università e mi cercai un impiego qualsiasi, volevo essere adulta e indipendente, pronta per quando mi avesse chiesta in sposa... Lui lo fece dopo soltanto tre mesi... Ero così stupida e inebriata che non mi ero nemmeno accorta che non mi aveva mai detto "ti amo", e accettai. Ma lui certo non voleva me... forse gli faceva gola il mio bel cognome di nobile decaduta, magari pensava che avremmo passato la vita tra vacanze al mare e settimane bianche. Invece io rimasi incinta quasi subito, e lui pensò bene di tradirmi quasi subito... E dire che mio padre mi aveva avvertito..." Sorrideva malinconica ora, all'improvviso si era fermata, "il giorno che lo scoprii avvinghiato ad una sconosciuta non reagii nemmeno, forse me l’aspettavo… mi limitai a prendere le mie cose, i miei figli e a tornare a casa. Mio padre, chi l’avrebbe mai detto, mi abbracciò stretta e disse soltanto “mi dispiace”… Non mi rinfacciò mai nulla, fece ridipingere la mia vecchia camera e sistemò i bambini nella stanza accanto, perché non avessero paura. Così trovai il coraggio di rimettere insieme i pezzi della mia vita… Ripresi l’università, per non pensare forse o perché avevo bisogno di avere qualcosa di mio. Mi veniva concessa una seconda possibilità e sapevo che non potevo più fallire, studiavo giorno e notte come non avevo mai fatto… Però alla fine ce l’ho fatta e sono arrivata al miglior risultato cui potessi aspirare, guardarmi allo specchio, ed essere fiera di me... Ora ho un lavoro che mi piace e una casa mia, anche se vedi, non riesco a star lontana da qui...” Parlando aveva indicato la vecchia casa in fondo al viale, solitaria testimone di quella sera di luna calante.

Poi era successo qualcosa, forse una macchina che passando li aveva abbagliati con un fascio di luce impietosa e quel lento flusso di ricordi si era interrotto per incanto… “Oh scusami ti prego, sto parlando troppo e ti sto annoiando, è solo che a volte mi piace indugiare sui miei successi oltre che sui miei fallimenti…"

"Continua... mi piace ascoltarti, sei una donna piena di risorse..."

Era scoppiata a ridere, parandosi davanti a lui con le mani posate sui fianchi e l'espressione di sfida... "Già... e tu sei un incantatore di serpenti... Non parlo mai volentieri di queste cose e a te ho fatto un sermone di un'ora, sto proprio perdendo i colpi! Ma devo riconoscere che sei davvero un uomo paziente e sai ascoltare... Molto bene – un paio di passi ed era arrivata vicino a lui, quasi a sfiorarlo - direi che sono arrivata, non c'è bisogno che mi accompagni fino alla porta, non renderebbe onore alla tua fama!"

La mano tesa e lo sguardo sincero, il bagliore fioco della luna negli occhi "E' stata una bellissima serata, ti ringrazio..." Il capo piegato in attesa e un mezzo sorriso per quella stretta che lui non si decideva a restituire...

"Grazie di tutto Alain..."

Lui guardava ostinato il muro di cinta della grande casa in collina... Stava pensando "chissà quante volte saranno passati di qui loro, camminando fianco a fianco, ascoltando il silenzio... Chissà quante volte André l'avrà riaccompagnata fino a quel cancello sperando che lei non volesse rientrare... Chissà se anche lui ha mai desiderato di prenderle la mano, spingerla contro quel muro e baciarla, stringerla forte e baciarla, ancora e ancora..."

La mano l'aveva portata alle labbra, delicatamente... E poi non si era più fermato... Sfiorandola appena, prima che lei potesse protestare l'aveva chiusa tra le sue braccia, attirandola dolcemente senza smettere mai di sorriderle, parlandole piano... Aveva stupito lei e prima ancora se stesso perché aveva esitato un attimo, prima di baciarla, offrendole l'occasione per divincolarsi e mandarlo al diavolo.

Geneviève tremava, ma non era freddo né paura. Non si era mossa, solo si era limitata ad accarezzargli il viso mormorando "tutto questo è molto sbagliato, tu lo sai vero?"

Che importava allora? Che importa…

Le aveva detto soltanto "io so solo che non desidero altro", stavolta senza darle il tempo di ribattere o pensare... L'aveva trascinata via, aveva guidato a memoria fino a casa, una mano stretta a quella di lei, il respiro corto... L'aveva portata in braccio lungo le scale, temeva potesse cambiare idea e decidere che forse era meglio di no. Appena chiusa la porta l’aveva posata a terra e baciata a lungo, lentamente, con la luce spenta, mentre le rovinava l'acconciatura e litigava con i piccoli bottoni di madreperla del suo bel vestito... Non voleva permetterle di parlare, di ripetergli ancora "Ascolta, ascoltami... pensaci bene Alain, potrei essere..."

"Lo so che potresti essere mia madre... E io tuo figlio... E allora? Questo non cambia nulla... Ascoltami, a me non importa un accidente di queste cose, per me siamo solo un uomo e una donna che si desiderano... Se non mi vuoi ti prometto che mi fermerò subito... Ma se non è così non pensare più a niente, e fai l'amore con me..."

Stava giocando sporco e lo sapeva, le aveva parlato mordendole il collo con piccoli baci malevoli, muovendo le mani curiose lungo la linea dei seni, giocando come un bambino. Aveva vinto, le ultime parole erano scivolate via insieme alla sua camicia e all'abito di seta blu, annegate tra le carezze e i sospiri.

L'aveva amata quasi fino a morirne, fino a sconvolgere tutto ciò che pensava di aver già conosciuto, provato. L’aveva sfiorata ovunque, con le mani e le labbra, voleva imprimersi nella mente la forma del suo corpo, scoprire i suoi desideri, prevederli, esaudirli. Aveva atteso un cenno, uno sguardo diverso dagli altri ed allora era entrato dentro di lei trattenendo il fiato, muovendosi piano e senza smettere mai di baciarla teneramente. Indugiando in quella strana atmosfera l'aveva tenuta tra le sue braccia riempiendosi gli occhi con avidità e solo dopo averle ripetuto mille volte che era bella e che la desiderava ancora le aveva permesso di addormentarsi.

Era rimasto solo a pensare... Senza riuscire a calmarsi, o a capire… Non ricordava niente di simile, mai, con nessuna delle donne che aveva avuto o anche solo intravisto tra le lenzuola. Si era sempre definito cinico, un amante distratto, del tutto alieno al corteggiamento. Pochissime e frettolose concessioni romantiche alle sue compagne di giochi, aveva sempre cercato il piacere per sé con foga e con rabbia, un lampo abbagliante di cui scordarsi subito e voltar pagina... La vetta, l'iperbole e poi la discesa vertiginosa verso l’oblio. Un modo come un altro per non provare nulla, nemmeno dolore.

Ma con lei aveva sperimentato il piacere di attendere, di centellinare gli istanti per dilatarli e renderli eterni... Si era scoperto ad ascoltare ogni inflessione della sua voce, ogni gemito, per sorprenderla di piacere e coglierne tutti i frutti, lentamente, prolungando ogni sussulto all'infinito. Riflesso nei suoi occhi lucidi ed emozionati aveva intravisto un uomo diverso, un amante tenero e attento, quasi timido nel timore di far male, di non darle abbastanza.

L'aveva attesa, il viso nascosto tra i suoi capelli, impaziente e pauroso di quello che avrebbe trovato al risveglio… Sorridi, sorridi ti prego, dimmi che senti lo stesso anche tu…

“Non lo credevo possibile, davvero…”

All'inizio aveva pensato parlasse nel sonno, ma era sveglia anche se aveva gli occhi chiusi... “Avevo quasi perso la speranza che questo potesse accadere…”

Lui si era alzato su un gomito, meravigliato… “Che cosa?”

“Fare l’amore con un uomo… farlo davvero, con tutto il cuore…provare qualcosa, e non sentirsi vuoti e soli, dopo… Anni fa pensavo di dovermi riprendere quello che mio marito si era portato via senza chiedere, tutte le mie illusioni, le mie aspettative. Pensavo che far l'amore volesse dire solo usare, ed essere usati... Un volo cieco ed egoista verso un precipizio ogni volta più nero e profondo. Ma stanotte io ho sentito che mi volevi Alain, noi abbiamo fatto l’amore… Ed è stato bellissimo... Eravamo insieme, tu sei rimasto con me e mi hai tenuta stretta fino alla fine... Eravamo insieme, non pensavo potesse succedermi di stare così bene con qualcuno… Io sto bene con te, Alain...”

L'aveva baciata per non piangere e l'aveva annegata nell'euforia folle e gioiosa... L'aveva convinta a farlo ancora, a restare e poltrire con lui fino a tardi prendendola in giro e causandole qualche imbarazzo di troppo "non dirmi che tuo padre ti aspetta alla finestra brandendo il moschetto..." Quella notte era entrato dentro di lei e nella sua vita, e non se n’era più andato.

Non le aveva più permesso di avere rimorsi, di ripensarci... l'aveva travolta e si era fatto travolgere da quella cosa inattesa ed incomprensibile, la voglia di baciarla al mattino con gli occhi ancora chiusi, lo struggimento dolce quando era il mondo ostile a dettare i tempi, la gioia di scoprire sul viso di lei la sorpresa per ogni incontro inatteso. Le faceva la corte, la baciava di nascosto negli angoli bui dei corridoi, le aveva portato un mazzo di fiori in cantiere facendo sorridere gli operai ed arrossire lei.

Alain si stiracchia nel buio inarcando la schiena, contando i ricordi per riaddormentarsi… Non è sempre stato facile, a dire il vero Geneviève gli ha tenuto testa, almeno per un po'... è pur sempre una De Jarjayes e certe argomentazioni a volte virano ancora pericolosamente verso la malinconia e verso una sola conclusione "ti stancherai di tutto questo, perché non vuoi ascoltarmi? Cosa penseranno i tuoi amici vedendoti insieme a me, cosa dirai ai tuoi genitori... Dammi ascolto Alain, dovremmo lasciarci prima che sia troppo tardi…”

Lui ride e la bacia... “Dovremmo lasciarci? Ma allora stiamo insieme, che meraviglia…” La solleva tra le braccia con l'espressione buffa, strofinando il naso al suo, sentendosi idiota ed incredibilmente felice quando riesce a farla sorridere di nuovo, e a strapparle un sospiro...

"Non solo sei troppo giovane per me, sei anche troppo alto accidenti..."

"E tu sei mia..."

Socchiude gli occhi come un grosso gatto, un torpore piacevole che gli appanna i sensi... Cerca sotto le coperte la mano di Geneviève e intreccia le dita tra le sue, uno dei piccoli riti che ama di più... quando lo fa sente davvero di appartenerle e che lei gli appartiene.

Ha capito di amarla... E che non finirà. E' stato semplice, naturale. Capisce tante cose ora, capisce l’amore testardo di André. Non gli ha detto nulla per non risvegliare il suo cuore assopito, eppure è sicuro che lui lo sappia... André è generoso, sa bene che se gli parlasse lui allungherebbe la mano dicendogli "congratulazioni"... Non se la sente, non riuscirebbe a guardarlo negli occhi. Perché col tempo ha capito persino la strana paura di Oscar, quella cosa che prende la gola se pensi a quello che hai e potresti perdere. E nemmeno con lei da tempo parla più.

E Geneviève... a volte sospira e confessa "mi sento in colpa di tutta questa felicità. Vorrei qualcosa per Oscar, per Andrè, loro erano così vicini ad avere tutto questo... Perché Alain?" Lo chiede stringendosi a lui che nasconde il viso in un bacio, e si dispera.

Ha deciso di dirglielo, non sa come né quando ma deve farlo... Ha deciso di dirle che è stato solo un vigliacco impulsivo, e poi scongiurare il suo perdono. Si sistemerà tutto, parlerà ad André e poi insieme andranno a riprendere Oscar.

Chiederò il suo perdono in ginocchio… e forse anche Oscar mi perdonerà.

 

 

Aspettami amore, non muoverti…

Chiudi gli occhi, cercami... Io sono qui, noi siamo insieme, io sarò sempre con te.

Non piangere amore, non temere. Non può accaderci più nulla adesso, io lo so che mi ami, niente potrà mai separarci.

Non muoverti amore, verrò prestissimo, ma ora no, non ancora. E non sono pazzo, né malato... Non mi sono arreso anche se è quello che pensano tutti, non sono mai stato così sicuro di noi... Io che posso ancora vedere il sole, le persone, sognarti la notte... Io che sono vivo e ho avuto un'altra occasione, vedrai amore, non la sprecherò! Lo so che hai paura ma ci penserò io a rassicurarti, solo che ora ho una cosa da fare, a dispetto di tutto il mio compito è un altro... devo farlo per lei che ha bisogno di me. So che tu capirai, basterà un solo sguardo e di tutto questo non parleremo mai più. Tieni duro amore, dobbiamo essere forti per lei ora... Stringi i denti tesoro, manca poco.

Anche lei me lo chiede... Con gli occhi irrequieti, le mani che stringono forte le mie riempiendo il silenzio di mille preghiere...

"Quanto manca ancora, perché non può finire? Io non posso, non ne posso più..."

Una sera mi ha confessato "ho paura..." le lacrime agli occhi, il respiro affrettato e pesante... "Ho paura, aiutami..."

Ho pensato di impazzire... Cosa posso fare io? Tenerle la mano e dirle mentendo che andrà tutto bene e non sentirà alcun dolore? Mi sento impotente, vorrei solo che non se ne andasse, gridare che non è giusto, che non deve finire così e non voglio restare da solo. Vorrei obbligarla a restare, proprio come quando ero piccolo ed ero io a piangere e a supplicare dicendo "non andar via, ho paura del buio..."

Vorrei mollare tutto e venire da te... Vorrei che tu fossi qui amore...

Ma non sono più un bambino egoista... Non posso fare questo a lei, lei è sempre stata la donna della mia vita... E non posso farlo a te, perché anche tu sei la donna della mia vita. Per sempre.

Ho deciso, abbiamo deciso noi anche per te perché siamo io e lei... A questa giostra non ti vogliamo, di questo orrore non serberai immagini né avrai ricordi da dimenticare... Ma finirà presto, sì... Ho deciso io per tutti, la lascio libera... Gliel'ho detto, sai?

L'ho abbracciata stretta e gliel'ho sussurrato con un sorriso ieri sera al tramonto, uno di quelli che piacciono tanto a lei... Le ho detto "non preoccuparti, non pensare più a noi... siamo grandi e staremo bene vedrai... staremo insieme... Sei libera, spicca il volo e vai a caccia di palloncini e petali di fiori... Noi non dimenticheremo chi sei e quello che hai fatto per noi, non lo dimenticheremo mai..."

Ha sorriso... "E va bene... promettimi che farai il bravo e non piangerai più..."

Ho promesso, non piango... Non molto, non ancora. Lo faremo insieme, come il resto, come tutto. 

Aspettami amore...

 

 


 

pubblicazione sul sito Little Corner dell'aprile 2009

 

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

mail to: luly_thelilacat@yahoo.it

 

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[1] Per le lettrici più attente del “Little Corner” non sarà difficile riconoscere in queste parole Julia Ricci, protagonista di Camelot (http://digilander.libero.it/LittleCorner/Fanfics/Tania/camelot1.htm e segg.). Un piccolo tributo ad una ff che ho amato tantissimo e che come questo capitolo di SDM regala ad Alain lo spazio che merita. La citazione in corsivo è presa da (http://digilander.libero.it/LittleCorner/Fanfics/Tania/camelot3.htm. Grazie Tania.

[2] “Sono un po’ nervoso” sono le parole “originali” di André nella versione sottotitolata dell’ep. 30, prima della rissa nell’armeria (DVD 8 ed. Yamato)

[3] Lo so che può sembrare un’idea balzana… ma l’idea di un possibile intreccio amoroso tra “lui” e “lei” mi ha abbagliato una mattina e non ho potuto non seguire l’istinto. Non vi convincono le coppie così assortite? Vi offro un esempio fiction qui