Community
 
Aggiungi lista preferiti Aggiungi lista nera Invia ad un amico
------------------

Crea

Profilo
Blog
Video
Sito
Foto
Amici
   
 
 
 
Community
 
Aggiungi lista preferiti Aggiungi lista nera Invia ad un amico
------------------

Crea

Profilo
Blog
Video
Sito
Foto
Amici
   
 
 

Rose

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics, fanarts, essays, pictures and all original works belongs, in its entirety to each respective ff-fa author, as identified in each individual work. All Rights Reserved Worldwide.


Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's express permission is in each case requested for use of any content, situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to such author. We do not use files downloaded or copied from another website, as we respect the work and intellectual property of other webmasters and authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all cases that you request prior written permission from us. If and when we have granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also required to add a link to our disclaimers and another link to our email address.

The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed material containing works belonging to our authors, such as fanfics, fanarts, doujinshi or fanart calendars.

 

Che vuoi dire a due che si amano, Oscar…

Lady Oscar, ep. 20, dialoghi originali

 

“Avanti, sono stato bravo. Ho fatto quello che volevate.”

Le tende la mano. Avvolto di broccato accecante. Alto.

“Ammettetelo.”

“Avete fatto la cosa più giusta.”

Non osa guardarlo. Concentra lo sguardo sui pizzi del polsino.

“Voglio riscuotere il mio premio.”

Le cinge la vita.

“Siete bella.”

 

Resta paralizzata.

Quel gesto non se l’aspettava.

Da lui.

Dalla persona a cui, da qualche tempo, pensa troppo spesso, senza sapere bene come.

 

Fa quasi freddo, stasera. Freddo nei corridoi. Nelle sale in cui non si tiene il ricevimento.

Sente freddo, ora che ha smesso di ballare.

È stanca e vorrebbe solo andare a casa.

Casa. André.

Cognac. Caminetto.

Coperta. Sonno.

 

Non sa come è cominciato, questo gioco. Né riteneva di essere il tipo.

Se ora ci pensa, probabilmente è stato osservare lui e la principessa, poi regina.

Confrontare con sé.

Negli ultimi tempi, forse, è stato osservando André mentre si esercitavano insieme, loro tre.

André che sembra sempre più distante, che parla sempre meno. Che è sempre più bello. Ma è il suo attendente. È il nipote della governante. E lei deve vivere come un uomo. Irraggiungibile, dunque.

 

Hans lo sembra meno, giulivo com’è in compagnia delle dame, dalle pollastre alle galline avvizzite, con la faraona reale e lei, Oscar, timido pulcino. O oca?

 

Hans è sempre a casa loro. Hans volentieri bivacca da loro e si lascia viziare dalle cameriere e dalla governante, troppo di mondo per avvelenargli il tea e salvare così madamigella e suo nipote. Hans sa flirtare e sembra disponibile. Piace anche. Risponde all’ideale femminile (ammesso che lei ne sappia qualcosa) e non lascia in giro strascichi seminatori. Discreto. Una donna in ogni porto, più d’una, anzi. Si sa.

André, chi lo sa.

Tace, lavora, legge, sparisce, si fa la sua vita. Anzi, la loro.

Se in passato ha temuto qualcosa, lui non fa che nascondersi, sparire. Sa che non dev’essere e così non sia.

 

E, però, Hans deve togliere le tende, il livello si guardia si è abbassato, le chiacchiere volano, soprattutto, gli amanti non sono bravi a celarsi.

 

Hans neppure è bravo a stare al proprio posto. Ha insinuato sguardi troppo insistenti, tra le pieghe della stoffa della camicia, quando l’ha riaccompagnata a casa, ferita, tempo fa. La osserva, scruta. Hans ha capito. E a lei non va.

Le piace, ma non le va.

 

André è diverso.

André le vuole bene, e su questo non ha dubbio. Ha paura, anche, di piacergli. Su questo qualche dubbio lo conserva, sperando che le cose non crollino mai. Dipende cosa s’intende per crollare. Per una come lei, probabilmente, crollo significa cambiamento, evoluzione in positivo dei rapporti. Ergo, complicazioni.

 

L’ha vista, in alta uniforme, e le è andato incontro, mica addolorato per la partenza e la si prevede lunga separazione dall’amante, ma galante. Era troppo. L’ha fatta volteggiare, come in uno scherzo cattivo, cameratescamente: “Oscar, siete magnifica!” sotto gli occhi attoniti di André. “La mia salvatrice!”.

“Si direbbe che non siete dispiaciuto di partire, conte”, l’apostrofa lui.

“Sarò dispiaciuto se non avrò riscosso il mio premio”, lo gratifica Hans, affascinante, stringendo la mano di Oscar un po’ più del dovuto e lanciando a lui uno sguardo duro e significativo.

 

Ma Oscar finge di non sentire e non vedere. Si chiude in sé, inaccessibile a tutti, e inscena la rappresentazione.

 

Sono tristi gli occhi della regina, gli occhi che incontra nel ballo. E senza forza, le mani, fredde e nervose, più fredde degli anelli e dei bracciali che le adornano.

Balla, e ha paura di non ricordare i passi.

Ballano, conversano, non sa neanche come. La regina vorrebbe fuggire e lei pure. Ha paura. Non di quello che sta facendo, ma di quello che, teme, l’attenda.

Ad un certo punto, crollano sedute, vicine. E Oscar vorrebbe tanto bere, sbronzarsi. Dimenticare proprio tutto.

Che André l’avvolgesse nel suo mantello e se la portasse via.

 

È tardi. André è rimasto in disparte, come doveva.

Gli chiede il mantello, quando Fersen la intercetta.

È stanca da morire.

“Oscar…”

“Sì.”

Un passo avanti. La mano tesa. “Venite”.

“No. È ora di andare.”

“Dovete, prego”. Un sorriso.

 

André fa un passo avanti.

“No. Tu no”.

“André… un momento solo…”

 

Ma non si tratta di un momento. E Oscar lo sa.

 

Le chiude la porta dietro le spalle, e si avvicina.

Sono bagliori di candelabri e cristalli, e il puzzo del velluto e del broccato stantii. La polvere che le solletica il respiro. Il piscio dentro gli orinali.

Il pulviscolo che le solletica la pelle che lui sta scoprendo.

Le dita, i merletti, che sente sulle guance, orecchie, collo, giù.

 

Non ha mai voluto fosse una cosa così. Una cosa come questa.

E perché no, se lui le piace.

Se le piace quest’uomo alto, se le piace l’idea di amore che incarna e lei non conosce.

Ma sente un forte odore di cipria, quando lui le schiude le labbra, e la sfrega con la barba.

Fatica a liberarla dall’uniforme. Per essere un uomo d’armi, è un imbranato in materia. Ma, forse, va annoverato piuttosto nella categoria uomini da salotto.

Quasi la strangola, con lo jabot.

Aggrotta le sopracciglia.

“Perché non dite niente?”

“Lasciatemi andare.” Stordita dalla cipria.

 

André vorrebbe andarsene. Si sente un coglione. Lo è.

Vorrebbe sfondare quella porta sprangata.

Fa sempre più freddo.

 

“Non intendevo questo…”, mentre le percorre il seno con le mani, fin troppo morbide. Mollicce. Schifo. Lei neanche lo guarda.

La parrucca finisce addosso a lei. Altra ondata di cipria.

Tossisce.

 

Pensava volesse un bacio, e basta. Non si sente preparata a niente. Non reagisce, non sa che fare. Vorrebbe solo fuggire.

Non è lì che deve stare.

Mentre lui la scopre.

Curioso. Sapiente.

 

“Siete così muscolosa…” Le serra un seno. Geme. Geme quando la tocca e sfiora. Lentamente. Come assaporandola. Mentre scioglie i lacci della camicia.

Mentre solleva il tessuto sulla vita. Le mani attorno a lei.

 

Che inizia a reagire, al suo tocco. Al respiro.

Alle parole che le dice, e che, prima, l’imbarazzano, poi la eccitano.

Ai giochi che disegna, sulla sua pelle.

Piano. Poi, più insistentemente.

 

S’inarca.

 

Le scopre l’ombelico.

“Siete magra…”

Bacia, lambisce. Insiste, attorno alla cintura.

 

“Ora basta…”

 

“No. Devo avervi.”

 

“Io… non sono come le altre…”

 

“E perché no?”

 

Ma se le piace, se quelle sensazioni la inondano, perché sente che è sbagliato?

Perché si sente come un oggetto, un premio, dovuto e atteso, che lui viene a riscuotere prima della partenza?

“Ho freddo…” tenta di tirarsi addosso la camicia.

“Vi scaldo io”, col corpo, caldo, le aderisce contro.

“Mi fate impazzire”, ammette, premendosi contro i suoi seni.

Si solleva su di lei. Glieli bacia. Li serra tra le dita. “Sono così belli… piccoli…”

Si domanda se sia un complimento, viste le grazie debordanti a cui sembra abituato. Uno sguardo da seduttore.

Incallito.

 

Non smette.

Non la molla.

Si stacca un attimo da lei, per versarsi del cognac.

“Ne volete?”

Torna da lei. Le avvicina il bicchiere alle labbra.

Scuote la testa.

Lo finisce lui.

La bacia, il sapore del cognac sulle labbra. Guance. Collo.

Sente farsi liquida una sensazione, in basso. Lui la percorre, la lambisce. Lei freme.

 

Sa che se non lo ferma, se non si ferma, non ci sarà rimedio.

 

Non ha fiducia in lui?

E come potrebbe averla.

“No. Non voglio.”

E non le va di fare l’amore con uno che è stato con tante. Uno che non dà nessun peso alla cosa. E lei, non si sta comportando da stupida?

 

Le ha sciolto la cintura. Tocca ai fianchi.

Magri. Nervosi.

Glieli percorre, con le mani.

Lentamente.

Scivola la stoffa, lungo le gambe.

Mentre lui si insinua, curioso. Esperto.

Piccoli tocchi.

Il respiro di lui sulla pelle.

La sensazione di freddo.

Di vulnerabilità.

L’aria addosso, quando lo sente tra le gambe.

 

Non sa quanto tempo sia trascorso.

 

Dopo baci. Dita. Baci.

Tocchi sapienti. Piacevoli.

Che la sciolgono.

Anche se la sensazione di catastrofe non la lascia.

Quando ha cominciato a schiuderla.

 

Con le dita, prima. E lei ha provato una leggera sensazione di fastidio.

Difficile pensare che stia davvero accadendo.

A lei.

Percorrendola. Sente le labbra di lui.

Un brivido di calore che la scioglie.

La inarca.

 

In tutto questo tempo, non l’ha toccato. Non ha ricambiato i baci.

È rimasta lì, come un oggetto. Ad ascoltare le frasi eroticamente efficaci che avrà pronunciato anche alle sue sparse conquiste.

 

Non l’ha guardato, quando si è spogliato, quasi in posa perché si notasse la nordica statura erettile. Ditemi che sono bello, sembrava ammiccare. Che cretino.

 

Lo osserva ora, sollevata sui gomiti, si guarda. Si vede, dall’esterno. Magra, definita. Ansimante. Eccitata. Frustrata. I capelli sparsi sul seno. Lui, affaccendato tra le sue gambe, mugolante.

La parrucca crollata di lato.

Una sensazione di squallore incombente.

Se tacesse.

 

Sta mugugnando qualcosa.

Si tende per sentire.

“Una rosa... sì, somiglia ad una rosa.”

Ommioddio…

“Un fiore…”

Si sente gelare.

“Un bocciolo… dai petali delicati…”

Ma taci!

“E sarò io ad aprirlo”, proclama, mentre, sollevandosi, avvicina minaccioso l’imponente attrezzo.

È un attimo. Rivede l’infido cogliere fiori per la principessa. Poi regina.

Coglierne altri, metaforicamente.

 

Lo schiaffo violento, secco, gela l’atmosfera.

È un attimo, a volte. Giusto quell’eccesso, che rivela il falso, scioglie i veli. Quel troppo di carico, che l’autoironia di una persona troppo intelligente coglie, elabora, fulminea.

A volte non troppo fulminea.

 

Le guance in fiamme, Oscar stringe addosso la camicia, recupera il resto degli abiti e si riveste, rapidamente.

Lo guarda con freddezza.

“Non so cosa vi sia venuto in mente!” Ansima di rabbia. “Come vi siete permesso?!?”

 

“Ma ci stavate!”

 

“Non so più quante volte vi ho detto di no! Forse sentite solo voi stesso!”

 

Come una furia, si chiude la porta dietro le spalle. Imbufalita.

Parte a passo di carica. Ma come si è permesso, lo stronzo?

Alza lo sguardo, e, forse, la cosa che le fa più male, perché è inattesa, perché è terribile, è vederlo lì, che l’aspetta.

 

“André…” la rabbia sbollisce.

La osserva.

“Ma cosa…”

“Faccio, etimologicamente, il mio lavoro…”

 

Lei non risponde. Riprende a camminare, feroce. Però non vuole mostrarsi troppo incazzata. O deve, così lui…

Ma è un gesto, uno solo, che la ferma.

Quando lui, in silenzio, le passa il mantello sulle spalle.

C’è più dolore, e affetto, in quel gesto, che in tutto un discorso.

 

Si ferma.

Vorrebbe parlare, ma non ci riesce.

 

Imbarazzati, raggiungono la carrozza.

 

È una merda di mondo, questo, in cui non riesci a dire. A spiegare.

E vieni crocifisso dalle idee altrui, sballate, ingiuste, che non hanno niente a che fare con te.

È uno schifo, quando la persona che stimi, a cui vuoi bene, quella a cui tieni davvero, ti guarda senza condannarti, ma solo con un dolore infinito.

 

A cassetta, André, non sa cosa pensare. Il cervello è una tabula rasa in piena elaborazione.

È imbufalito. “Spero che quel porco abbia usato qualche precauzione”, si sorprende a pensare. Cretino fino in fondo, si dice, ti importa sempre di lei più che di te. In realtà si sente male, per la fiducia tradita, perché mai avrebbe pensato che Oscar cedesse ad un donnaiolo del genere, conoscendo il tipo; ma, anche, per Oscar, che non ha l’aria di chi ha appena fatto sesso con la persona oggetto del suo interesse.

È un tragitto d’inferno, quello verso casa.

Inferno.

Non può più continuare così. Sta troppo male.

“Domani me ne vado”, pensa. “Domani scappo via, via da tutto, e basta con questa storia che mi fa solo male, male, male. Stanotte è finita. È davvero finita.”

 

Neanche la guarda, quando l’aiuta a scendere dalla carrozza.

Lei è ferita dal disprezzo e soprattutto dal dolore che legge.

Lui, dal fatto che lei non gli parli, anche se lo comprende.

 

Eppure, la segue.

Silenzioso. Ostinato.

Si gira appena. “Non sistemi i cavalli?”

“Se resti con me…” un’ultima frase, che non è riuscito a controllare.

Che scioglie qualcosa.

 

E così, come mille altre volte, e come mai più, alla luce delle lampade, lo guarda sistemare i cavalli. Sono gesti silenziosi, netti. Con sguardi d’affetto e di dolore e gesti di una persona mite, che ama gli animali, incapace di fare del male. E come se, in quel suo mondo, le cose fossero a misura, e non fosse strano il suo sentirsi ferito, il suo smarrimento.

Forse questo gli dà forza.

“Non che io sia un puritano, ma sinceramente è meglio non farlo, il sesso, che accontentarsi di essere una dell’harem.” Però la voce trema.

 

Rispondi. Rispondi, per dio!

 

“Non lo sono.” Lei, invece, dopo un silenzio infinito, insopportabile, è stanca ma sicura.

“Non è quello che si dice di lui.”

“Ma conosci me.” Un passo avanti.

“…” Non so più cosa pensare…

 

André, non perdiamoci così! Non così! Col dolore, nel cuore, trova la forza. “E di te, cosa si dice?” Provoca.

Un sorriso triste. “Niente. Cosa vuoi che si dica? Dovresti saperlo”.

Trasale.

“Io?”

“Già, tu.”

“No. Non lo so.” Sembra una bambina, ora.

“Sai benissimo che, se io combinassi qualcosa, dovresti essere tu l’unica altra persona, a parte me, a saperlo. Fatte salve le ovvie chiacchiere delle cameriere, dopo…”

 

E se ne va, quasi furioso.

 

No, non andare! Non andare via! Non stasera! Non punirmi… Non facciamo che le cose vadano, come sempre, e si scavino fossati che restano negli anni… non tra noi due…

 

Si sente persa. Finita. Se neanche lui capisce.

 

Lo rincorre. “Aspetta!” D’impulso. “Non è successo niente”, dice a bassa voce. Gli afferra la mano.

Le dita intrecciate.

Si sente ferita, perché non risponde alla stretta.

Si gira.

La mano ancora nella sua.

“Non è successo niente…” ribadisce.

 

Legge il dolore, negli occhi di lei. Basta, non ha voglia di soffrire, né di farla soffrire.

 

Senza violenza, l’attrae a sé.

Piano, china la testa su di lei.

Un bacio, delicato. Sui suoi capelli.

 

La mattina dopo, a colazione, il sole finalmente ha asciugato la pioggia. Oscar sembra più bella, rilassata, avvolta dai riflessi che la illuminano. Ha una fame da lupi. Si sente come se fosse nata per la seconda volta.

André è pensoso. Il tea caldo tra le mani. La osserva. Innamorato.

“Non hai intenzione di rivederlo? Sai, dicono che la sua nave parta fra qualche ora…”

Si china su di lui.

“No.” Gli cinge le spalle. E gli restituisce il bacio. Delicato. Sui capelli.

 

Con te, André, sento di poter continuare a vivere…

Lady Oscar, ep. 37, dialoghi originali

 

Nota. Sono rimasta seriamente traumatizzata, anni fa, dalla lettura di alcune fanfic ampiamente descrittive in materia, tra metafore floreali e simili. Questo vuol essere un modo per riderci su.

 

Laura, 29 aprile-I maggio 2011 pubblicazione sul sito Little Corner maggio 2011

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

Continua

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage