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Kitchen Corner

parte 10

Warning!!!

 

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Poi dicono che gli uomini non sono pettegoli!

Il tam tam Al-Andre funziona ancora benissimo. A volte poi porta buoni risultati. È una bella giornata, in fondo. Odia svegliarsi solo, ma ormai si è abituato. Pensa a quando erano lontani e si chiamavano, la mattina, sveglia reciproca. Ora no.

 

Il gallo del vicino deve avere qualche profondo motivo di disagio, così esprime tutta la sua acuta e vocale disapprovazione. A quasi tutte le ore.

 

Sorride, sollevando gli occhi dal tagliere e passandosi una mano sulla fronte.

Come si possa sorridere, ancora, se lo domanda, eppure, si continua a vivere. Con le piccole felicità e le malinconie. Forse sono le cose attorno. Quelle da terminare per forza, gli impegni e quelli che stanno come noi o ci restano vicini o stanno peggio di noi.

Poi, però, la sera si va a dormire soli. E pesa. Infinitamente. Il sapere che lei è assente, il sentire di poter arrivare a sprofondare in un senso di solitudine abissale, e dover risalire. Il considerare, in fondo, che niente è perduto, niente, è solo un momento, lungo, infinito, e passerà. Quando lei torna.

 

Quando.

 

Non vuole lasciarsi andare. Forse per non ammettere che è finita. Forse perché sa che non può finire. O per un innato senso di decenza che gli impone, finché ci sono i soldi per farlo, una manutenzione della casa, di se stesso, non lasciarsi andare come quegli uomini che non hanno una donna in casa (ove è chiara la funzione della malcapitata, dopo decenni di femminismo) quindi trasformano le mura domestiche in un porcile. Ne ha visti tanti e non vuole ridursi così.

Quindi, anche quando è solo, apparecchia. Se una cosa si rompe, la fa riparare. Se una lampada è rotta, la cambia, se non la trova a basso consumo, intanto usa le altre. Fa la lista della spesa. D’altronde, il lavoro aiuta, le udienze vanno avanti, le lezioni di danza pure.

Al lavoro c’è da qualche tempo una collega molto carina. Una persona perbene che ha perso il lavoro e sta cercando di ricominciare. Come ricomincia un avvocato? Nello studio di un altro avvocato, a lavorare gratis, atti gratis, ricerche gratis, dattilografa gratis. La ragazza è ferocemente allegra, solare. Sposata e sempre sola. Pratica ma profonda. Lavora assieme ad una collega, appunto, fortunosamente clientemunita. Ogni tanto lui e lei fanno un pezzo di strada assieme. Reciproco sollievo e compagnia alle solitudini. Sprazzi di serenità. Qualche volta, con la scusa malcelata di un consiglio di lavoro. Lei lo fa sentire leggero. Potrebbe farle incontrare Al, rimugina, ma il povero marito assente, insomma, non si può sempre quagliare tutto. E poi lui non è mica un’agenzia matrimoniale, LOL. Semmai, un ricovero, un allegro b&b per defraudati sentimentali e non.

Lasciarsi andare, appunto. Stamattina, un’altra delle loro piccole certezze a due è crollata. La piccola caffettiera azzurra, dopo anni di onorato servizio, compagna anche di trasferte, ha dato forfait e ora giace lì, il manico con l’attaccatura bruciacchiata, e la ricorda, ha ancora la scatola. Lo scontrino. Ma come si fa a sopravvivere, così sentimentali, esposti, troppo fragili? A difendersi dagli avvoltoi, dalle falene, dai pavoni e, in genere, dagli stronzi, che ammorbano se stessi e, purtroppo, anche gli altri?

Non basta farsi la propria vita e curarsi il proprio orto. Anzi, se un orto ce l’hai, quello che capita è trovarci un invasore urinario deciso a usucapire e trasformare in mega abuso la capanna degli attrezzi, senza manco poterlo cacciare. Per non parlare dei parassiti: quella (im)pubblicità (im)progresso andrebbe rettificata, visto che ai politici non è evidentemente passato per l’anticamera del cervello di risultare essi stessi i perfetti interpreti della categoria evocata. I parassiti e i parenti tutti e gli affini e in blocco i rompicoglioni vari.

C’è gente che ha, per nascita, diritto a tutto. Posti di lavoro, opportunità. Finanziamenti. Dirigenti per acclamazione. Pensionati dotati di inopinati fondi per i loro hobby, mostre ed editori disposti a investire (sic) per pubblicarne i resoconti. Artisti foraggiati di contributi e premi di cui nessuno ha mai visto il bando, eppure devono esistere, poiché vengono assegnati. Qualcuno ha mai letto i verbali delle procedure comparative in cui il candidato peggiore viene sperticatamente e in contraddizione con quanto poche righe prima affermato quanto ai suoi titoli, giustificato come il vincitore? O assistito alle udienze nelle aule di giustizia? Siamo qui. Questo è il piccolo mondo in cui viviamo.

Che fa un po’ schifo, diciamocelo. Non è che fa schifo il mondo, fa schifo come lo corrompono, sfruttano. La casta. Il privilegio.

In questo mondo, almeno cercare di circondarsi di cose piacevoli, per quel che si può, aiuta. O, altrimenti, ti rendi conto che l’unica è andar via in un posto dove ci sia meno corruzione. Quindi, urge comprare nuovo elettrodomestico, per compensare il senso di ingiustizia e scorno del vivere in un simile merdaio. Per sopravvivere.

È ora della macchina del caffè. Con, però, una grossa incertezza sul colore. Ehh, se ci fosse lei. Saremmo incerti in due.

Sarà la cipolla? Gli salgono le lacrime agli occhi, modello Wallander-Branagh, al ricordo di loro due che passeggiavano sognanti tra i frigoriferi, tra i televisori. Quasi con la paura che, una volta li avessero ottenuti, quelle passeggiate innocenti, mano nella mano, con gli occhi che brillavano, sarebbero finite. Non era stato averli, a terminarle. Anzi, avevano continuato imperterriti a sognare ad occhi aperti. Guarda, guarda che bello… Ricorda il mare color acciaio e la rena umida di una giornata in cui tutto sembrava proprio come in “Inutile” di Guccini. Ricorda le tante partenze, la tristezza, il serrare il cuore per non mollare. Era stato anche quel nascondersi il dolore, per non stare troppo male, ad aver agito contro? O, forse, era stato il tempo, non erano certo stati loro due. Erano stati gli altri. Loro si volevano ancora bene. Ma forse non erano stati bravi a proteggersi dal resto.

E ricorda suo padre. Che era stata una persona immensa. Un sogno assente, distante, quando era bambino. Un padre alto, imponente, da rispettare. Che aveva incredibili dolcezze e tornava bambino con la sua curiosità per l’ingegneria, la meccanica, i trenini e gli elettrodomestici. Quel padre che, la domenica, tornava e cucinava enormi storioni. Quel padre che anche lei aveva adorato, quando, tre complici, sgattaiolavano dal gioielliere per comprare il pesce, e decidere come cucinarlo, tre ragazzini ribaldi e felici.

Erano altri tempi. Era finito tutto, una domenica mattina. “Papà è morto”, le aveva telefonato.

Nessuno di loro due aveva mai colmato quel senso di perdita.

Lui aveva dovuto buttarsi ancor di più nel lavoro, per necessità, per onorarlo e ricordarlo. Lei, che, a mano a mano, il lavoro lo aveva perduto, si era rannicchiata nei ricordi dell’affetto, della sicurezza, della gioia che aveva provato. Del tempo in cui le cose funzionavano. La delusione per il suo, di padre, e l’affetto, che, con gli anni, non si era spento, per quello di lui. Qualche volta, timidamente, glielo aveva anche detto. Che suo padre le mancava, ogni giorno. Forse era anche peggio. Quanto gli aveva voluto bene.

Un tocco, leggero, alla gamba. Poi più deciso. Un’unghia.

Il gatto nipote lo scala, gli passa le zampe attorno al collo, gli dà un bacio. E lui, che sa che tante volte, come questa, l’ha salvato dalla tristezza, se lo stringe contro. A lungo. E si prende una pausa.

 

L’ha trovato così, Al. Sul divano, addormentato col gattone spanciato addosso.

Siamo soli tutti e due

Accosta la porta alle sue spalle.

Sa che se ci pensa troppo, non lo fa.

Apre il computer. In un attimo, digita.

> Non puoi lasciarlo così ancora. Torna, per favore.

> Gli manchi terribilmente.

> Ps. Manchi anche a me, lo sai.

> Ti voglio bene

 

Prima di cliccare su “Invia” cancella in tutta fretta l’ultima riga. Poi, chiude, e cerca di dimenticare.

 

Si sveglia stonato, stranito, forse per la sensazione di freddo che il vuoto del gatto gli ha lasciato.

Si alza, stirandosi. Una di queste sere, mi sbronzo, programma. Intanto, però, una bella doccia calda. Poi si può andare avanti. A cucinare. O vivere.

 

André…

Se non fosse stato per lui…

È ancora sconvolta, ma la realtà è quella.

Se non fosse stato per André, mio padre mi avrebbe ucciso. Soppresso.

Per lui, io non ho nessun valore – oltre quanto gli è utile –.

Questa è la realtà.

 

Raccoglie i guanti di pelle e li serra tra le dita.

Si guarda, pallida, allo specchio. Quanti giorni sono passati, da quel giugno? Quando ha iniziato a venire a patti con l’idea di tagliare i ponti? Di separarsi. Tagliare con la famiglia di origine, con la tradizione, che è diverso dal partire. Lascia dentro un senso di solitudine, di vuoto. Un salto nel buio. La tristezza. La negazione di ciò che è passato, il rifiuto. Forse è più facile, se si è rifiutati. Forse.

Questo è un addio, riflette, mentre percorre i corridoi e, con le dita, ora, sente quasi il bisogno di toccare ogni cosa, come se servisse a ricordare. O a trattenerla. Mentalmente, dice addio ad ogni cosa. Ogni muro, crepa, stucco, candela. È passata davanti alle stanze di suo padre. Al suo studio. Non sa se incontrarlo o no. Se disturbarlo con quelle sue deviazioni, con le sue idee, con l’affetto rovinato di una figlia delusa, tradita. Sola.

Non lo rivedrò più, si dice.

E si sente immensamente sola nel pensarlo. E sa che sarà così, perché non può in nessun modo essere diverso.

Lontani, nemici, finito tutto. Addio non basta a rendere cosa si sente. Il senso abissale di perdita. Di solitudine.

Fa un passo. I battenti sono là. Legno verniciato. Il parquet scricchiola. Aspira l’odore del legno e degli stucchi. Il cuore batte.

Quante scelte, in un attimo.

Quante cose covate per anni, infine prendono una collocazione nel disegno.

Solleva la mano per bussare.

Il respiro corto.

È un momento infinito.

Poi, i lassi della cameriera che attraversa il corridoio, la scuotono.

Lascia scivolare le dita gelate sulla maniglia.

Chiude gli occhi.

Non vuole guardare. Non c’è più niente da vedere. Non vuole vedere più nient’altro, niente più scavare sentimenti, torturarsi.

Padre, è finita.

Addio.

 

Chiude il video, che è bellissimo, col cuore in tumulto.

Commozione, gratitudine, tristezza, lontananza e senso di perdita, tutto s’intreccia nel cuore. Lui che le invia gli episodi. Quanto sono diversi e comunque belli. Quello che risvegliano. Quello che non c’è più e assorbire il nuovo.

Si sente bene e male insieme. Lady Oscar le fa sempre questo effetto. Urge staccare.

Apre la posta elettronica.

Ohcazzo!

 

Laura, marzo-novembre 2010, marzo e maggio 2011 pubblicazione sul sito Little Corner novembre 2011

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Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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