E adesso...
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Nota: VIETATO AI MINORI DI ANNI 30
E adesso?
“Ti prego, perdonami. Non ti farò mai più una cosa come questa…”
Ah, no? “Scusa, per quale ragione?” Mi pareva andasse bene…
Si solleva sui gomiti, il respiro pesante. Difficile tornare a connettere.
La guarda, bello, interdetto. Se bastasse spiegare la ragione, le ragioni. “Perché sono innamorato di te…” Disarmato, di fronte a lei. Nudo. Niente male, nudo, si dice lei. Un’altra fitta di desiderio tra le gambe.
Le sfiora, timido, il viso con le dita. Non sembra lo stesso di qualche attimo fa.
Neanche lei.
Se bastasse fare un gesto. Le piacerebbe carezzargli il viso. Ma i gesti di affetto, non sa come si fanno. Più semplice schiaffeggiare. O accogliere, quasi passivi, le carezze.
Respira, sente l’aria sul seno e il calore della pelle di lui.
Il velo di barba.
Non è stato un attimo.
Forse, è stata una vita intera.
Quando, prima rabbioso, le ha preso i polsi, e l’ha lasciato fare. Quando qualcosa è cambiato, in lui, e glieli ha baciati. Carezzati. Perso. Infinito.
Poi dietro l’orecchio. Lungo il collo.
E il suo respiro.
La voce che quasi in silenzio ripeteva il suo nome.
Ora preme, duro, caldo, contro di lei, bagnata. Che freme. E lo vorrebbe.
È tardi.
È freddo, fuori.
Dentro, si sta bene. I camini scaldano. C’è stata la neve fino a poco tempo fa. C’è stata la neve. E lui era ferito. Ora, lo ha appena colpito sulla ferita. E ha provato un brivido nella mano.
Voleva fargli male. Voleva punirlo. Ferirlo.
Ora freme. E lo vorrebbe.
Non aveva paura. Era diverso. Sentiva il suo calore. Il suo dolore. Era come se gli fosse più vicina che mai, nell’animo. Vicina, oddio, per forza, vista la situazione.
Quando l’ha scoperta, liberata dalle fasce. Quando l’ha guardata, le è sembrato che l’ammirasse. E lei sentiva il seno sollevarsi, il respiro tagliato, e moriva di vergogna. Eppure, non si è coperta.
È rimasta lì. Guardami.
Forse a domandarsi se gli piacesse il suo corpo. Come lo trovasse.
Avrebbe voluto chiederglielo. Forse, se troverà il coraggio, lo farà.
Quando l’ha baciata, lungo il collo, le spalle. Piano. e sentiva il suo respiro. Caldo. I capelli. Le dita.
La schiena. Le gambe.
Ogni volta che, col suo corpo, ha assecondato i suoi gesti. Inarcandosi. Le braccia abbandonate. Ad accogliere i suoi baci. Palmi. Vene. Fino alla punta delle dita. Le sue labbra. Sotto la camicia. Tra la pelle.
Era quasi buio. E non c’era fretta. Né violenza.
Era quasi notte.
Sentire il calore di lui chiudersi sul seno. Assaporarlo. Immaginare le mani serrarlo nel gioco, nell’oscurità.
Resistere alla tentazione di far correre le dita tra i capelli e stringerlo a sé. Perché ne avrebbe voluto di più, ma voleva torturarlo. Fargli ancora un po’ del male.
Fargli scontare, chissà, quella frase infelice. Infinitesimale di fronte a vent’anni di sopportazione. E amore. Un’ultima rivincita. Poi, forse, arrendersi.
Forse.
Se è lui, che ora le tormenta l’ombelico, e la fa impazzire. Lingua, labbra, ciglia. E lei si sente imbranata, non sa se si sta muovendo bene o lo sta solo scoraggiando. Rimpiange di non avere pratica. Si sente calda, da impazzire, ma non riesce a sciogliersi.
Immagina, nella mente, quasi tutto scorrere. Ma non è tutto scontato.
Eppure, è suo quel ventre che s’inarca, mentre lui la libera dalle vesti, e le scopre i fianchi alla notte.
Perché poi arriva il silenzio. Solo il respiro, piano.
Vorrebbe guardare, vedere la sua espressione, ma distoglie lo sguardo. Nel buio. Mentre lui la ammira. E quasi è senza respiro.
Perché è così bella. Più di quanto l’abbia immaginata. E vera.
Le mani sui fianchi magri. A sfiorarle la vita. Scendere. Piano. Le gambe. Risalire. Sfiorare.
Sentirla contrarsi.
È come una cerimonia, quando le posa il viso sul ventre. Sente la barba. Il respiro.
Poi le labbra. Morbide. Fermarsi su di lei, senza fiato, in attesa.
Poi, scioglierla, di baci, lingua, calore, dita timide, poi più ardite. Voce.
“Ti amo…”
L’ha sentito davvero? Mentre la percorre.
“Ti amo…”
L’ha davvero ripetuto. Si contrae. Geme, e il desiderio le pulsa, dentro.
Lo attira a sé, allora. Le mani, finalmente, sul suo viso.
Un dito gelido a percorrere la cicatrice.
Un guizzo di pena, infinita, e insieme il calore del suo ventre che la preme. E il sesso, rigido, tra le sue gambe.
Respira più intensamente. Mentre lo guarda. Mentre vorrebbe dirgli di prenderla, ma ha paura. E odia la sua condizione di donna, perché non è paura del sesso, né di lui, Ma delle conseguenze. Perché questo desiderio bruciante, che vorrebbe le esplodesse dentro, può portare qualcosa che ora non è in grado di gestire.
Glielo percorre con le dita.
“…” Lo serra. È umido. La pelle, ogni rilievo. Gioca a percorrerlo. Non sa bene come. Se sia troppo delicata o troppo insistente.
Ma lui non la ferma.
“Oscar…”
Il respiro sul suo viso. Lo accarezza, quasi fraterna.
Le blocca la mano con la sua. Contro le labbra calde.
“Puoi amarmi?”
“…”
“Non posso farti questo… non così… almeno dimmi che puoi amarmi…”
Lui, che quasi sta male, per aver perso la testa, per la felicità egoista di essere lì in quel momento. Lui che non desidera altro che prenderla. E smarrirsi in lei. Ma ha paura che possa essere la fine di tutto.
Quanto può durare, il tempo?
Non è che non possa amarlo. È che non riesce a dirlo.
È che non si possono sempre sbagliare i tempi.
Voleva fagli male, prima, quando l’ha schiaffeggiato. Ricordargli che era suo potere averlo in pugno. Decidere della loro vita. Ricordargli che lui le appartiene.
O, forse, era un grido d’aiuto. Forse voleva che la fermasse. Che le impedisse di fare l’ennesima cazzata. Non tanto cambiare lavoro, quanto abbandonarlo. Escluderlo.
Forse era quello. Forse era per questo che gliel’ha detto.
Avrebbe potuto agire alle sue spalle. Comunicarglielo quando avesse preso l’incarico. Forse sperava che, in qualche modo, lui trovasse il modo di porvi rimedio.
Non lo sa.
Sa solo che, in questa sera di cielo limpido, quasi di neve, quando i campi sono tersi e il cielo brilla freddo di stelle, vorrebbe che la voce non le morisse in gola.
Vorrebbe chiamarlo e che lui non la lasciasse sola.
Che ci fosse qualcosa anche per lei. E non solo quella infinita solitudine, scaldata unicamente dalla sua voce, a volte.
Vorrebbe non vivere solo di speranze. A spalare la neve della vita.[1] Forse quella vita esiste già. Forse, deve solo lasciarlo arrivare al cuore.
Lui non lo sa.
Ha una paura fottuta di averla perduta.
“Ti prego, perdonami… non ti farò mai più una cosa come questa…”
Ma cosa dici? Sente di stare perdendolo. Non andare via, non andare…
Si solleva sui gomiti. L’aria tra i loro corpi. La mancanza di lui.
Il sesso, ancora umido di lei.
Deve trovare un modo. Non perdere il contatto. Non tacere, o sarà finita.
“Pensi che te l’avrei lasciato fare, altrimenti?” La voce sferza, dolente. Anche stavolta, troppo dura, mentre vorrebbe suonare dolce. L’ha trattenuto per un polso. Imprevista. È la serata dei polsi, questa.
Una carezza tra i capelli.
Quasi con un attimo di sollievo, ha registrato come una resa. Si è rannicchiato accanto a lei. Sembra indifeso.
Gioca coi ricci, che le nascondono un seno. “L’ho sperato.” Ammette, infine. Preme sul capezzolo, che si fa duro, e lei s’inarca di piacere.
Pare più rilassata, ora. Torna a sentire il desiderio, fluido, tra le gambe. Si gira, premendosi contro di lui. Il seno teso. Il ventre contro il suo. Un brivido.
Le mani a percorrergli la schiena. I glutei.
Tutta colpa di quella tazza, riflette. Dello spuntino di mezzanotte. Della nonna, perversa orchestratrice. Vegliarda che le riempie il cassetto di sacchetti, lavande, ampolle, ammiccando “Prima o poi ti serviranno…” Pratica, efficace, rompi. Certo l’avrà fatto anche con lui, par condicio tra nipoti, e certo il ragazzo se la sarà spassata – lui non ha tutti i suoi problemi, beati gli uomini! Che amore e amore! Quando vogliono trombare, i maschi trombano! Odia la nonna malefica, detesta il fedifrago innamorato, resa più lucida da quella scheggia di feroce gelosia.
Gli passa sopra. I capelli spiovono addosso. Lui le mette le mani sui fianchi. Le bacia i seni e lei spera che si ecciti a sentirla bagnata.
Diglielo, cosa ti costa…
Vorrebbe parlare, ma non è facile. Dare voce ai sentimenti. E alle paure.
Fottuto sesso. Ti rende audace, poi non ti tornano e crepi di paura. Perché non sei pronta. Non accetti il rischio. Non è il tuo obiettivo.
Fottuto amore. O quello che è, quello che ti fa desiderare di avere accanto una persona, ma non sai bene come fare.
Non restare in silenzio…
Quante volte ancora vuoi perderlo?
Rimpiangerlo?
“Non restare in silenzio… ti prego, qualsiasi cosa, ma dimmela…” la voce accorata. “se ho sbagliato, se posso rimediare… non voglio perderti. Qualsiasi cosa, ma non voglio perderti…” Sembra sperduto.
André, mai vorrei farti del male… davvero… ma è così difficile… Nemmeno quella sana fitta di gelosia…
Nemmeno il sentirsi in colpa per le cattiverie che gli ha riversato sopra, poco fa, e quello schiaffo. Sicura di non volergli fare del male?
Respira piano. Pianissimo. Ha paura di ogni attimo che passa. Perché neppure lei vuole perderlo, ma la sua vita è un compromesso – e, forse, non solo la sua –, e bisogna gestirla. E gestire le sue paure.
Lo carezza.
“Parla, ti prego…”
“Ti voglio bene.”
La voce tremava, ma gliel’ha detto.
Labbra contro labbra. I nasi che si sfioravano, freddi.
Mentre con le dita gli accarezzava il mento, la cicatrice.
Ora si sente più leggera. E persa. Perduta. Scoperta.
Perché, è solo un attimo, lui potrebbe aver cambiato idea. Sa che è impossibile, ma l’amore fa paura. E perché ora la via è senza ritorno. Dovrà affrontarla e non più aggirarla. E ci sono cose che decideranno in due, e non più lei sola. Perché, tra poco, forse, o prima o poi, il suo corpo gli apparterrà – e a lei quello di lui –, diventerà sua – e lui di lei –, e le conseguenze non sarà sola a ponderarle. Valutarle.
“André… puoi amarmi?”
“Ti amo…” Mentre l’abbraccia, mentre si abbandona in lei.
“Puoi amarmi per quello che sono…” Accorata. “… anche se ora non voglio figli? Se ora ho paura di averne?” Perché gli ha già domandato abbastanza, e non vuole coinvolgerlo oltre, se lui non se la sente. “Se ti chiederò di fare attenzione e questo non sarà semplice?”
“Oscar…” Scuote la testa, contro di lei. “Sì…” L’abbraccia, ed è un abbraccio caldo, che vibra di gioia.
“Sì.” Le carezza il viso. Ora sorride, sollevato. “Oscar, sono innamorato di te: come pensi che potrei volerti cambiare?” Sembra ancora incredulo. “Mi piaci come sei… mi piaci così… Non ti voglio diversa…”
Se la tiene stretta.
“Non cambiare…”
“André io non sono facile da gestire, lo sai…” lo ammonisce.
“Non cambiare mai…”
“Sicuro?” Allenata da anni e anni di delusioni.
Poi, di nuovo, le serra i polsi.
E stavolta non la lascia andare.
“A proposito dei tanti piccoli Andréini…”[2] ha osato scherzare lui.
“Apri il cassetto”, gli ha detto, la voce languida, il braccio allungato verso il comodino. Poi, la stoccata. “Tua nonna provvede sempre a rifornirlo…”
“Sempre???” Annaspa, lui. “Come sarebbe ‘sempre’?” A me non ha mai dato niente...
Se la ride, sperando che le conseguenze del colpo non siano catastrofiche sul prosieguo della serata.
Respirava piano, quando, emozionata, l’ha sentito entrare in lei. Ed è stato diverso, da come l’aveva immaginato.
Si sono addormentati, avvolti dalla notte.
Sembravano felici.
Laura 13 febbraio 2007, Pubblicazione sul sito Little Corner del 14 febbraio 2007.
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