Christine
Parte IV
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Nota: L'idea l'ho avuta a Macerata, un pomeriggio del maggio 2000, mentre, camminando lungo le mura, andavo a fare spesa. Ho immaginato subito la I scena. Poi, subito di seguito, una successiva. Un pomeriggio, a luglio, ho cominciato a trascriverle e a lavorarci, come è mio solito, per intervalla insaniae.
Sebbene delle mie storie sia stata sempre la più piana, quella di cui avevo in mente lo svolgimento da subito, una svolta, maturata durante l’autunno del 2005, mi ha portato a cambiare un po’ il plot, rendendolo più disturbing. Tra l’altro, dato che BK, che mi richiedeva più energie, evolveva verso la fine, ho potuto tornare a lavorare su questo racconto, di cui, negli anni, avevo messo insieme parecchi appunti.
Questa nuova versione della prima parte contiene solo aggiustamenti cronologici in vista del seguito.
Il copyright dei personaggi appartiene a R. Ikeda – TMS-K.
Il copyright dei personaggi di Christine e Daniel, così come la loro rappresentazione, appartiene all’autrice. Le rappresentazioni di essi si trovano nelle immagini della vecchia versione del I episodio.
E così, in un sogno lontano, una sera, gliel’ha domandato.
Sotto il diluvio che li aveva colti di sorpresa, e si erano rifugiati in una carrozza, i visi bagnati dalla pioggia come lacrime, e veli d’acqua che si rovesciavano sulle strade, coprendo ogni altro rumore col proprio, tutto, improvvisamente, fatto grigio. Mentre gocce come pianto s’infrangevano per poi scivolare sui finestrini, rimbalzavano assordanti e secche sul tetto, attorno a loro, abbracciati stretti, avvolgendoli, come un infinito leit-motiv.
Ha smesso di piovere, annota, stanca. E tutto sembra splendere, ravvivato, più intenso.
È così bello, si dice.
Ma lei ha freddo.
Da un po’ di tempo, osserva con allarme e rassegnazione, lui indossa un’aria svagata. Sfuggente. Misteriosa. Sorrisi ebeti e sguardi trasognati. Sparisce senza dire dove. Ritorna scapigliato e rosso in viso, gli occhi luccicanti. Gli cadono le cose dalle mani e perde il filo dei discorsi. La voce si spegne a metà. Quasi non mangia e dimentica di bere. Il che le pare grave. Un po’ le fa pure pena.
Una mattina, più delle altre, di fronte a quell’André strano, come sulle nuvole, non è riuscita più a trattenere la curiosità, intestardita a trovare una spiegazione. O, meglio, a cercare una conferma. Anche fosse il primo passo verso l’inferno. Un timore latente, nel centro del petto, misto a rabbia e all’istinto. Perché, tra l’altro, e forse è la cosa che le rode maggiormente, a parte la scoperta tardiva dei propri sentimenti, se dice di essere stato innamorato di lei, lei in quelle condizioni non l’ha mai visto, e allora si arrovella, se è stata una questione durata anni, a ripensare. E, alla fine, conclude che dev’essere stato molto bravo a nasconderlo alla diretta interessata.
Conoscendo quanto sappia essere riservato e orso, quando vuole, ha preparato un piano, per potergli estorcere qualche informazione, e, così, l’ha trascinato a bere, facendolo imbottire per bene di ottimo alcool.
“Festeggiamo, stasera”, lo ha bloccato, imperativa, quando hanno staccato e lui sembrava pronto ad eclissarsi, non le era difficile immaginare dove.
“Ma io…” pensando che magari poteva passare da lei. Non erano rimasti d’accordo, certo, ma sarebbe stato carino.
“Niente ma: avanti, ragazzo”, e l’ha preso per la vita e per un braccio, senza che potesse liberarsi di lei, mentre lui si arrendeva a questa strana Oscar così cameratesca anche nei gesti.
“Allora, cos’è successo?” Mentre riempie di nuovo il bicchiere.
Il liquore oscilla nel vetro. E lui, a mezze frasi, e cercando di non dare peso alle parole, abbozza una spiegazione. Alquanto stentata e carente, a giudizio dell’interlocutrice. Decisa a non segnare il passo.
“L’hai baciata?” Indaga lei, senza mezzi termini.
E lui divaga, su una passeggiata al chiaro di luna – e lei pensa imbufalita a quel maledetto lavoro che le ruba il tempo, la vita -.
“E poi?”
Si volta a guardarla, perplesso. Imbarazzato.
“Poi cosa, scusa?”
“Che avete fatto?”
La fissa, inorridito e un po’ alticcio: ”Scusa, ti domando cosa fai, tu?” Più sbagliato di così… si vede perso.
E infatti: “Ti risulta per caso che io veda qualcuno?” Lo guarda, gelida. “Suppongo saresti il primo a saperlo…” le sfugge.
La guarda dritto negli occhi. Colpito. E affondato. “Io… tu… vuoi dire…”
“Mi risulta sia troppo tardi, no?” Lo inchioda.
Uno sguardo di disperazione. E lei annega nel dolore, nel rimpianto, e in quella vittoria di Pirro che è la sua vita.
“Allora, che hai combinato?” Lo grazia, clemente, dopo un lungo, estenuante silenzio, mentre lui resta lì ad arrovellarsi sul senso concreto di quanto gli ha appena fatto capire. Se sia troppo sbronzo per aver intuito, se sia un povero illuso. O un povero sfigato che ha sbagliato tutti i tempi.
“…” Le rivolge un’occhiata da cane bastonato.
E lei lo squadra, cercando di cogliere qualche segnale. Le pare il tonto di sempre.
“Ci siamo baciati…”
“E basta?” Chiede, professionale, manco fosse la quintessenza dell’esperienza dell’ars amatoria.
“Ma, dico, che diavolo pretendi: ci eravamo appena messi insieme…”
Manda giù, di seguito, un paio di mezzi bicchieri, domandandosi incerta fino a che punto voglia farsi del male. E poi, stoica: “Se te la scopi, poi mi dici com’è?”
“Ma che cazzo dici?” Sbotta lui.
“Scusa, tra noi due, sei quello che farà esperienza più in fretta, almeno sembra… tra amici ci si scambiano le informazioni…” Lo osserva mentre il colpo va a segno. “O no?”
La guarda, tra il severo e l’ammirato. Sembra triste. La indica col bicchiere. “Tu sei completamente pazza.”
“Ma no”, lo corregge lei, “solo un po’ inesperta”, lasciandolo totalmente interdetto. “Ma conto di rifarmi”, aggiunge, sentendosi diabolica e, mentre annota lo sguardo disperato di lui, per un attimo soddisfatta.
E, quindi, riflette Oscar sul sommo tradimento della sua vita, galeotta fu lei: proprio lei, in catene a corte, mentre lui se la godeva in libera uscita, a far danno con le rosse in giro per il mondo.
L’ha rivalutata, quando l’ha vista appassionata sul suo lavoro. Non sa spiegarsene la ragione, ma vederla lavorare, impegnata, è stato, nella sua personalissima ottica, come concedere al nemico l’onore delle armi.
“è una idiozia!” Sbotta.
Oscar si volta a guardarla, perplessa. “Scusa?”
“Questo giornale non è al livello dei precedenti! È una perdita di tempo scrivere articoli. Non si possono trattare temi politici, bisogna limitarsi alla lirica…” si lamenta, mentre le allunga un paio di fogli scritti fitti, disordinatissimi di appunti e cancellature, e la minuta di uno scritto per un giornale.
Solleva le sopracciglia, sorpresa. Piacevolmente. “Sì… lo conosco…” Mentre una fitta al cuore le ricorda che la rivale non è una qualunque. E che André non è uno di quelli che abbia paura delle donne colte, che voglia una da sottomettere.
“Scrivi per questo…” domanda, ma è più una constatazione.
“Collaboro”, precisa. “Non che ci guadagni granché…”
Annuisce, Oscar. Osservandola in quella nuova luce, luminosa, a parlare di quello che fa. E mentre brilla dell’amore di lui. E lei sprofonda nel nulla del vuoto.
“Ma non sono assolutamente soddisfatta.”
“Eh, era diverso l’altro… molto. Un altro livello.”
“Già…”, si trova a condividere. “Sarà difficile ripetere un’esperienza come quella…”
“Mia madre lo leggeva”, ricorda lei. “è capitato anche a me di leggerlo…” Poi, col calore della voce, “Anche ad André”, aggiunge.
“Lo immaginavo”, ammette lei, in un sorriso. Senza spiegare cosa. Se le letture fatte, se la formazione vissuta insieme, se le indicazioni materne.
È Oscar a chiarire. “Mia madre voleva che fossimo informati.” Non calca, noncurante, sul plurale, ma il noi pesa, coi suoi decenni e tutta una vita dietro. “In modo moderno”, aggiunge.
“Risultato estremamente apprezzabile”, approva, indecifrabile, Christine.
“Mi spieghi cosa ci trovi in lei?” Lo sguardo vagamente appannato, da taverna. Il bicchiere stretto tra le dita, che si fanno pallide. L’ha invitata lui, stavolta. “A festeggiare”, ha precisato, e lei non ha domandato cosa.
“è quella che saresti potuta essere tu, Oscar. Forse.” Pondera. “Con un'adolescenza diversa...” le dice, pensoso ed alcoolico.
Oscar non sa fare altro che nascondere l’imbarazzo dietro un sorriso triste e condiscendente. Ma quanto ho bevuto?
Ma lui non smette. Impietoso. O di parte. Difficile dirlo. “Lei è la possibilità che chi ha scelto per te ha ucciso.” Poi, aggiunge, forse per tirarla un po’ su “In fondo, ognuno di noi lo è, la possibilità lasciata in vita, quella scelta… e chissà come saremmo potuti essere…”
“Cazzo, quanto ti odio…” quasi scivola sul tavolo, le mani fino a toccare le sue, mentre si domanda quante volte lui abbia pensato a chi, tempo prima, ha scelto per lui, uccidendo le sue possibilità e gli occhi le si riempiono di lacrime.
“Io, invece, ti amo…” ammette lui, con semplicità, come se fosse ovvio, guardando lontano, triste, attraverso il liquido. “Sei stato il mio primo amore infelice…”
Lei accusa il colpo. Ma stavolta non resta in silenzio, tanto, perso per perso… “Anche tu…” Si risolleva, ma non si libera dal tocco delle dita.
La guarda, stordito. Triste. Possibilità e rammarico e rancore, dietro quegli occhi. Non sa che dire. Se non che si sente male. Male, malissimo. Come da vomitare fuori una vita di sbagli – eppure, con lei, ogni istante è stato bellissimo e non lo rinnegherebbe. Ma, sì, vorrebbe poterlo rivivere senza errori.
Si alza, forse vorrebbe fuggire, ma non se la sente. Non se l’è mai sentita. E neppure ora, che lei lo segue. Pagano, escono. Quasi nessuna parola per tutta la strada, verso casa. Verso la prigione.
“Ma cosa stiamo festeggiando…”
“…”
“Perché siamo usciti, stasera…”
“Avevo voglia di stare con te…” Glielo dice fermandosi, guardandola in faccia.
Rossore. Perché, maledetto idiota, devi farlo ora, ora che stai con lei? Non potevi pensarci prima?
“Dammi un bacio…”
Lei si ferma. Il respiro sospeso. Sembra serio, lui. Non vuole perdere anche questa occasione. Magari l’ultima. La sola.
Si avvicina, poi, in punta di piedi. Timidissima. Verso lui, di spalle ad una colonna.
Gli sfiora la guancia con un bacio, leggero. E ancora ricorda la sensazione di quella pelle quasi liscia, fresca, e di com’è stargli così vicino, che le fa balzare il cuore a mille e le gela le dita.
Poi, in silenzio, continuando a guardarla negli occhi, le cinge le spalle sopra al mantello, e, nella notte, la conduce con sé, per quella Parigi magica che lei quasi non conosce.
Loro due, soli.
Si domandò, poi, negli anni, cosa avesse provato lui, quella notte. Di sé ricordava brevi attimi di felicità e, subito, la paura che tutto sarebbe finito presto, troppo, a guastarle la gioia di stare insieme. Ricordava l’aria fresca e pungente. E la sua stretta, ferma e calda, sulla spalla. Senza pesarle addosso. Come a proteggere una cosa preziosa. In quei momenti solo per lei. Per loro. Ricordava le sue parole. Le cose che le aveva raccontato. Quelle, che, finora, non le aveva mai detto. La voce a tratti bassa, suadente, poi, impennarsi in una risata, e perdersi, ancora, in una memoria lontana. Ricordava il blu della notte, quasi nero, e il grigio delle vecchie pietre, ai margini delle strade, come in un tunnel di memoria e sensi.
Avrebbe voluto solo che il rumore degli zoccoli, lo spostamento dell’aria, avessero silenziato tutto di quel discorso assurdo.
Guardò le sue mani pallide serrarsi sulle redini e la pelle arrossarsi, al contatto col cuoio. Avrebbe voluto poterlo strappare a mani nude. Ma non ne aveva, in nessun senso, la forza.
"Sai benissimo che le cose sarebbero potute andare diversamente", le fece notare André. Oscar ne fu colpita. Era la prima volta che accennava a quanto era stato tra loro… André scosse la testa: "Una parte di me non smetterà mai di amarti…" Fece una pausa. "Vedi, tu rappresenti qualcosa che non voglio perdere per nessuna ragione…" Oscar lo ascoltava. Tutto sembrava sospeso. "Ma sono innamorato di Christine…" Oscar guardava lontano. "… e, in fondo, dipende dal fatto che mi ricorda così tanto te… Mi fa pensare… alla tua… ", abbassò lo sguardo e sorrise, "versione più femminile…"
"Ma… André!", protestò Oscar. Non aveva detto femminile, ma più femminile. Era diverso…
Lui le sorrise con calore. Come non aveva fatto da tempo. Ma un lampo di tristezza gli velò lo sguardo.
"Non avrei dovuto innamorarmi di lei…"
"…"
Lui proseguì. "Avrei potuto impedirmelo, all'inizio… invece non l'ho fatto. E… adesso…"
"André… io sono contenta… è straordinaria.” Non sapeva come le stessero uscendo, quelle parole. Era commossa. “Non riuscirei a pensare di meglio, per te…” Smise di parlare, quando sentì la voce incrinarsi. E mandò il cavallo al galoppo, lontano, via…
“Oscar… aspetta…”
Rimase così, le redini tra le dita fredde, lo sguardo triste, a fissarla mentre, ancora una volta, fuggiva.
Aspetta…
Era volato, il tempo.
Volava, la vita. Quella degli altri, soprattutto. La sua, sempre lì.
Sollevò scettica e infastidita la testa dalle braccia. Ben protetta dai capelli allo sguardo di chi si chiedeva come sarebbe stata lei, dopo tanti anni, senza di lui. Senza, poi, perché senza? Lui starà comunque sempre con me… ma è diverso, lo so anche io, e tutti vorrebbero vedere la mia faccia, la mia solitudine, la mia sconfitta…
C’era un notevole casino, di là. Birra, vino, non osa pensare che altro… Stavano festeggiando André.
Riusciva perfino a scorgerlo, imbarazzato e contento, brindare con questo e quello. E le cameriere, tutte attorno a lui, a coccolarlo, corteggiarlo, tanto ormai è perso…
Non è mai stato vostro.
Ti odio…
Si sollevò, appoggiandosi, tetra, al tavolo.
E ho pure voglia di fare l’amore… merda…
Meglio cercare di non pensarci.
Meglio uscire a fare una cavalcata, e sbollire nel fresco della sera le energie in eccesso.
Ma non ha voglia di allontanarsi stasera, perché ora sarà diverso. Non sarà più lì, lui, ogni volta che lei lo cercherà. Sarà via, dall’altra. Sarà lontano. La starà facendo sua. La starà amando. Starà vivendo. Tutto, lontano da lei. E allora non ha voglia di staccare lo sguardo da lui, stasera, finché lui c’è ancora.
La vide, da lontano. Le fece un cenno, alzò il bicchiere in un brindisi.
Lei sentì un tuffo al cuore e per scacciarlo alzò, ricambiando, la tazza di tea.
“Che razza di brindisi…” La sua voce alle spalle. Un brivido.
La prese per una spalla. La fece girare. E lei preparò la sua espressione più dignitosa perché il desiderio era ancora lì e aveva paura si vedesse. E la tristezza anche.
Ma non fece in tempo.
Perché ora era venuto a cercarla…
“Oscar… devo parlarti…”
“Sicuro?” lo sferzò.
E lui sentì il cuore serrarsi in una morsa, mentre lei fuggiva via.
E, così, si sposa, riflette Madame.
Le braccia conserte, lo sguardo pensoso. I capelli, lunghi, sciolti, che profumano del bagno alla camomilla con cui li lava.
E non con la nostra ragazza. La sua, e la mia.
Uno scacco, decisamente.
Forse, aveva puntato male, si dice.
L’amore perduto, nella sera.
Eppure, quella, la fidanzata, è così bella. Così bella anche accanto a lui. Veramente una bella coppia.
Lo vede, ora, dalla finestra. È lì, solo, e non sembra senza pensieri. Non sembra… non vorrebbe dirlo… ma non sembra uno sposo. No.
Non è così che li ricorda, i futuri mariti. Non sa se dipenda dal fatto che ne ha visti più nobili che borghesi – ma ricorda i compagni delle sue cameriere, le ragazze a cui tiene così tanto, bravi giovani, e ricorda le impressioni che le avevano fatto -, che i nobili sembrano vivere ad un altro livello e lasciarsi passare tutto addosso, ma lui le sembra un po’ diverso…
Ricorda, quando l’ha fatto portare in casa. Il marito pensava ad una compagnia maschile, ad un esempio, per Oscar. Lei, che ne conosceva entrambi i genitori, e li stimava, aveva sperato da subito che lui e la figlia legassero. E, crescendo, André non l’aveva delusa.
Quando aveva compiuto tredici anni, gli aveva fatto un discorso serio. Si era alzato parecchio di statura, nell’anno appena trascorso, e le era parso il momento adeguato.
Gli aveva fatto notare che ormai era quasi un adulto. Gli aveva parlato dei rapporti tra uomo e donna. Gli aveva dato spiegazioni e libri, da studiare, e consigliato di domandare al dottore, in ogni caso. Gli aveva raccomandato di rispettare le ragazze. Di non andare con loro se non davvero convinto. Di farlo responsabilmente, evitando di metterle nei guai. E di mettere nei guai anche se stesso. E di cercare di non fare sesso a pagamento, perché è immorale pagare un corpo. E più ancora, aveva detto, che uno Stato ci guadagni. Di rispettare i sentimenti delle persone. E i propri. Meglio aspettare, gli aveva suggerito, che pentirsi.
E lui, che era già innamorato di Oscar, e lei lo aveva capito, aveva annuito. Serio.
E guardalo là, com’era cambiato…
Laura, 2002, autunno 2005-gennaio-aprile 2006 maggio 2006, pubblicazione sul sito Little Corner maggio 2006
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