Christine
Parte XXIII
Warning!!!
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Nota: L'idea l'ho avuta a Macerata, un pomeriggio del maggio 2000, mentre, camminando lungo le mura, andavo a fare spesa. Ho immaginato subito la I scena. Poi, subito di seguito, una successiva. Un pomeriggio, a luglio, ho cominciato a trascriverle e a lavorarci, come è mio solito, per intervalla insaniae.
Sebbene delle mie storie sia stata sempre la più piana, quella di cui avevo in mente lo svolgimento da subito, una svolta, maturata durante l’autunno del 2005, mi ha portato a cambiare un po’ il plot, rendendolo più disturbing. Tra l’altro, dato che BK, che mi richiedeva più energie, evolveva verso la fine, ho potuto tornare a lavorare su questo racconto, di cui, negli anni, avevo messo insieme parecchi appunti.
Questa nuova versione della prima parte contiene solo aggiustamenti cronologici in vista del seguito.
Il copyright dei personaggi appartiene a R. Ikeda – TMS-K.
Il copyright dei personaggi di Christine e Daniel, così come la loro rappresentazione, appartiene all’autrice. Le rappresentazioni di essi si trovano nelle immagini della vecchia versione del I episodio.
Si sente strana. Quando si sveglia e le lenzuola la accarezzano, calde. Un nido. Una catena. Sente l’aria sulla pelle nuda. I capelli. Un brivido. S’inarca, stirandosi. Si passa una mano tra i capelli. Poi, lungo il corpo. Sulla pelle. Addosso. Ne ha ancora voglia. Quello di cui non ha voglia è impegnarsi in una famigliola. |
Non è neanche per quello che è accaduto o che desideri, in qualche modo, fargliela pagare. È che, semplicemente, proprio quello che è accaduto l’ha costretta a mettersi di fronte a se stessa. A smettere di mentirsi. Un conto è essere cauti e non precipitosi. Diverso è raccontarsi storie. Di fronte a se stessa, a com’era e come è, Oscar ha capito cosa vuole. E cosa non desidera.
È giusto così.
Non è chiudersi perché c’è stata sofferenza. È, al contrario, quando si cresce, si cambia, si matura. Si impara a conoscersi. E ci si accetta.
È ancora, molto profondamente, innamorata di André. Nelle pieghe di quello che è accaduto, è riuscita a rintracciare i lembi di quell’amore e prova a riallacciarli. Gli vuole bene, e gliene ha sempre voluto. Le piace. Le va anche bene – e deve andarle per forza, ride con se stessa – l’ingombrante presenza di Daniel. Se, prima, la imbarazzava, ora sta imparando a conviverci. Ma non vuole farsi carico di questa situazione. Vuole lui, le va bene anche il pargolo, ma non vuole addosso una situazione che non ha desiderato e che le ricorda solo dolore.
Non c’è niente di male. Si tratta di trovare equilibri e, se André non è cambiato, probabilmente – spera –, rispetterà i suoi spazi. Se vuole recuperare, non può schiacciarla. Non è mai stato il tipo.
Non si tratta solo di trovare un punto d’incontro per scopare. Si tratta di trovarlo per vivere il loro amore.
Lo osserva.
Bello. Il profilo, quasi nell’ombra, e quella luce sottile che disegna i lineamenti. Le ciglia, scure, belle. Quel punto del suo viso è uno di quelli che preferisce. Un moto di fastidio, mentre dietro scorge tracce della presenza di Daniel. Quasi si sente in colpa, perché si affretta ad allacciare le dita alle sue, stringerglisi contro, sentire in un brivido la sua pelle calda contro di sé, domandarsi cosa provi lui al contatto col suo corpo. Mentre lui apre gli occhi, ancora sorpreso, quasi non possa crederlo, e lei prova un moto d’odio, perché si domanda in un attimo se si sia mai sorpreso nello svegliarsi con Christine addosso. Poi, quando vede quel sorriso dolce, il dolore si scioglie, e lo vuole, su di lui, e lo prende, e lo fa suo, quasi con violenza, imperativa, decisa. Come stesse finalmente facendo giustizia.
Giace sulle lenzuola disfatte.
Abbandonata.
Il freddo sulla pelle. E dentro brucia. E aspetta che la plachi.
Lui si è alzato perché il bambino si è svegliato. E lo sta cullando, piano.
Lo guarda, è così bello. Così intenso. Dolcissimo. Melenso. Odia questa cosa.
Certo, il bambino è un po’ stronzo. Proprio sul più bello…
Allunga le braccia verso di lui. “Vieni qui”.
E viene a sedersi accanto a lei, tenendo Daniel, cercando di farlo giocare. Di distrarlo.
Si alza in ginocchio, contro la sua schiena. Lo desidera. Gli si preme contro.
Lo sente respirare più profondamente.
“Dio quanta voglia ho di te”, le labbra sull’orecchio, in un respiro. In un bacio.
Le sorride, sornione, paziente, a quelle provocazioni, equamente distribuito tra lei e lui: “Allora, bellissima, inventa qualcosa per far dormire il pargolo, o la cosa sarà lunga, temo, e poco soddisfacente…”
Le piace quando la bacia contro l’orecchio. Poi, giù, a scendere. Il collo, la spalla. Il respiro di lui. I capelli, la barba.
Quando si mette contro la sua schiena e, lento, l’accarezza. Estenuante. Fin quando lei, impaziente, lo guida. Addosso. Contro.
Quando l’accoglie in una bolla di piacere. Quando lo osserva, contro il cuscino, e sussurra “Mi piaci…”, mentre s’inarca per sentirlo meglio.
E lui le scorre le braccia, poi i fianchi. E i capelli. La riempie di sé, mentre lo serra. Mentre si trattiene, perché la sente inarcarsi, premere, perdersi. Finché non viene. E, allora, la lascia, e viene anche lui.
E, dopo, cercarla ancora. I seni. Le labbra. Perdersi di baci nel sesso di lei. E farla godere. Ancora.
Rientra nella sua casa. Quella penombra libera, senza disordine, il suo spazio, le sembrano distanti, rispetto ai tempi frastornanti e sincopati dettati da Daniel, al cercare di riaggiustare le esigenze, capire rispetto allo stare con André. André con Daniel, per la precisione. Oscar non vuole quell’impegno. Non a tempo pieno. Non cova alcun desiderio di rinunciare a quello che ha costruito e conquistato. Si tratterà di adeguare le cose.
Vuole conservare il suo spazio, la sua casa. Quella casa che la rispecchia in una maniera del tutto nuova. Che è di Oscar non figlia del generale, non erede di una famiglia, ma sua, del tutto sua. Non ha proposto ad André di trasferirsi lì, e, d’altronde, sarebbe prematuro. Appartarsi e dormirvi sarebbe invece comodo, ma non si può fare, se non per brevi momenti, per il bambino.
Ha sognato di avere lui, in quella casa. Si è sentita sola per non averlo. Ha dovuto adattarsi. Ha riempito il vuoto. Ora che lui è disponibile nel suo universo affettivo, però, si rende conto che, per come stanno ora le cose, è troppo complicato. Finirebbe per restarci male, allora, tanto vale attendere, lasciar decantare le cose, abituarsi.
È dura cercare di fare il genitore… nottata estenuante, niente sesso. Rimandato a data da destinarsi. Occhiaie profonde, un leggero senso di frustrazione quando, a cavallo, sperano che sia l’aria fredda funzioni contro il sonno arretrato. Ovviamente, di giorno, Daniel sfoggia una invidiabile capacità di dormire. Anzi, bisogna cercare di tenerlo sveglio, perché mangi.
L’ha abbracciato, dolcissima, divertita. “Di giorno”, gli ha detto, in un bacio. “Dobbiamo farlo di giorno. Quando dorme e non si sveglia.”
Ma qualcosa gli fa supporre che l’intuito del figlio lo farà prontamente svegliare…
Qualcosa gli dice che sarà una dura lotta, tra lui e Daniel, per accaparrarsi Oscar. Perché, alla fine, è stato solo quando lui, distrutto, gliel’ha passato, ”Ti prego, non ce la faccio più… prova tu…” e lei l’ha preso tra le braccia, impacciata, un po’ rigida, protestando che si vergognava da morire, così, mezza nuda, che sicuramente sarebbe scoppiato a piangere, che invece lui ha cominciato a giocare coi suoi capelli, forse ha riconosciuto il suo odore, forse la sua voce, chissà, via via si è tranquillizzato, e, lentamente, si è addormentato.
E lui se la rideva all’idea dell’idilliaco quadretto di una riluttante Oscar con avvinghiato il piccoletto deciso a non mollare la conquista.
Non le piacciono i bambini. Ci si trova a disagio. E non li capisce.
Però Daniel è proprio bello. Perché somiglia a lui. Ritrova in lui le sue espressioni. La forma delle mani.
Lo osserva, come fosse un oggetto esotico. Sposta un po’ la schiena, rigida, e allunga il collo per sbirciare quello strano bambolotto animato. Non sa dire se è più curiosa o spaventata. Certo, non pensava le sarebbe toccata una simile esperienza.
Qualche passo. Osa. Si affaccia sulla culla.
Avvicina un dito, piano, alle guance tentatrici. Paf. Morbido. Fresco. Spaventata si ritrae. Se la vedesse André penserebbe che è una scema disadattata…
Si domanda se sia stato l’ennesimo errore pensare di fare l’amore con lui.
Si domanda se sia possibile guarire le ferite – sue e di lui –. Ma si chiede anche quanto si resti bloccati, dalla paura di altro dolore. Se non sarebbe più onesto guardare solo avanti. Ma, forse, pensa, è soltanto troppo presto, per guardare soltanto avanti. Lo sente per sé. E immagina sia molto più pesante per lui.
A volte ripensa ad Alain. A quelle mattine in cui, scendendo, lo trovava armeggiare in cucina, e, immancabilmente, le domandava, bellissimo, “Latte o limone, bionda?”[1] Gli piaceva scherzare. Forse, era un modo per combattere una vita aspra.
A volte le manca.
Ma, riflette, se non avesse chiuso, avrebbe finito per innamorarsene davvero. E, allora, il cimelio del suo amore per il Grandier sarebbe davvero finito tra le cose da accantonare.
Orsetto. Trottola. Coltello. Cimelio Grandier.
No. Non era il caso.
Forse.
Il tempo per agitarsi in simili dilemmi finisce presto. I genitori di Christine hanno scritto per riavere il nipote con sé, dopo aver già tolto la casa ad André. È un giorno grigio carico di pioggia, quello in cui ricevono il messaggio, e la natura sembra ribellarsi alla cattiveria di quell’idea. André, pallido, nel vento, serra tra le dita i fogli. “E adesso?” e l’espressione, attonita, con cui la guarda, totalmente allo scoperto nei propri sentimenti, verso di lei, le fanno decidere di non abbandonarlo, di restare con lui, di essere con lui. È questo, l’amore, probabilmente. O, forse, un malinteso senso di possesso. O di gratitudine. Probabilmente si tratta di un insieme di tutto quanto. Sa solo che sarà al suo fianco. |
Non fecero l’amore, quella notte. Abbracciati, le dita intrecciate, i respiri confusi, rimasero a parlare.
Oscar lo sapeva. L’allontanamento dalla casa che aveva messo su con Christine aveva significato ulteriore dolore, ma era anche servito ad evitare il ricordo continuo, presente, ingombrante, del passato. Per questo, quando André aveva liberato la casa, aveva compreso. In fondo, Daniel aveva offerto un’ottima scusa.
Si sarebbe aspettata magari che i nonni si facessero avanti per aiutare il padre ad occuparsi di Daniel. Ma mai che, per come si erano comportati, per quanto poco all’altezza della figlia lo avessero considerato, ora che Christine era perduta – e, forse, per loro, lo era da troppo tempo –, pretendessero di prendersi il nipote come fosse una compensazione, variamente mascherata. Quelle due persone non le piacevano. Erano come rapaci in caccia di prede. Era un fatto di istinto.
Qui non era più questione di provare sollievo all'idea che il pupo non fosse suo, visto quanto casino faceva, urla, cacca, insonnia e quant'altro. Qui erano in ballo cose più radicali e fondanti. Oscar, in quei momenti, di fronte a quell’emergenza, si rese conto in maniera più profonda che mai, di cosa significasse tutta quella situazione per lui, per il rapporto con Daniel, per il loro futuro, visto quello che avevano già passato, corna o non corna. Daniel forse avrebbe dimenticato, se avesse avuto la possibilità di crescere in un ambiente sano. Ma André no. Bisognava reagire.
“Hanno mandato un notaio, ci tormentano.” Era saldo, ma pallido. Tutta quella situazione lo stava sfiancando. “Vogliono Daniel.” André sembrava annientato.
[1] Questa frase di Al è di Luana. Venne fuori in uno scambio, nella primavera 2006, e io le chiesi di poterla usare. La forma originale di Luana era “per Alain... se lo penso mente si affaccia dalla cucina chiedendo "scusa fantastica bionda, latte o limone???”” Mi piacque molto l’idea e le chiesi se potevo usarla. Grazie a Luana.
Laura, autunno 2006, revisione autunno 2011 pubblicazione sul sito Little Corner novembre 2011
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