Alternate BK's Night

 Parte XVI

Warning!!!

 

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Nota: L’idea di questo racconto ce l’ho da quando, nell’autunno 1999, iniziai BK’s Night. Doveva trattarsi di uno spin-off da una frase pronunciata da André a p. 4 del mio file, al suo risveglio dopo il ferimento.

Quando ho ripreso in mano l’idea per scriverlo effettivamente, ho deciso di associarlo ad altre due suggestioni che avevo, anch’esse, in mente da anni, una cronologicamente collegata all’epoca in cui si svolge BK, l’altra ad un periodo successivo. Questa associazione ha comportato che, per far collimare le tre idee, io abbia dovuto spostare la scena che derivava dal BK originario all’anno successivo, poco prima della rivolta Réveillon.

Si tratta di un racconto che, comunque, riprende alcuni temi che mi interessano. Preferisco non anticiparli, se non quello, appunto, dei problemi che incontra André dopo il ferimento da parte del Cavaliere nero, e che si incarna nel titolo.

 

 

Si sente strana.

Guarda lontano, e si sente persa.

A sapere che lui le è venuto dentro. E non hanno preso nessuna precauzione. Tanto, come dice lui, perso per perso. Eppure, si sente stravolta.

Come sospesa. Come una sospensione del giudizio.

Come qualcosa la distraesse dai suoi piani. Una variabile impazzita.[1] E qualcosa, dentro, dentro di lei, di ingovernabile. Inspiegabile. Qualcosa che registra come a parte da sé.

Lui, che sembrava completamente padrone della situazione. Che le rubava sguardi, infiniti, profondi. Senza staccarsi da lei. Senza lasciarla. Mai. Triste. E insieme dolce, intenso. E non gli bastava sentirne la pelle, addosso. Chiedeva di più. Lei, aggrappata a lui, speranze, paure, tutto. Incatenata a quegli occhi, ciglia, cicatrice, i capelli che invece di occultare sottolineano. Le dita intrecciate alle sue. Come a nascondersi, in lui. Che sembrava saperla proteggere. Che forse l’avrebbe salvata.

Eppure, anche se non dovrebbe importarle più niente, ha paura.

 

Piove. Piove ancora.

Un viaggio fuori stagione…

L’ennesimo, dei nostri.

Mi tiene stretta la mano. Salda.

Come a proteggermi.

 

Camminiamo, come persi, in questo parco immenso. Lontani da tutto.

I passi affondano nell’erba lucida e nella terra smossa.

 

Continua a tenermi per mano.

 

Lo amo.

Infinitamente.

 

Amo tutto, di lui.

 

Ho imparato a capirlo sbagliando.

E, forse, per questo, non vorrei mai lasciarlo andare.

Ma, forse, più di tutto, egoisticamente, amo la forza che sa darmi. La tranquillità totale con cui mi comunica il suo esserci. Amore, vita. Tutto. Ogni gesto. Anche quando sembra lontano.

 

Mi piace, quando mi passa il braccio attorno alle spalle, e pare proteggermi.

Mi commuove, quando lo scopro a guardarmi, mentre pensa che io non me ne accorga. E, allora, gli leggo nel cuore lo stupore, la gioia di ritrovarmi. So farlo. Se voglio. Anch’io posso farlo.

A volte, anche io so vivere.

 

Io lo amo.

 

Piove.

La pioggia ci accoglie.

Non c’è riparo in questo meraviglioso parco. Solo alberi. Antichi anfiteatri. E una prigione. Chi direbbe mai che in un posto così bello, in questa antica fortezza in pietra, abbiano realizzato un carcere… le insondabili vie della fantasia umana. O si dovrebbe dire creatività?

Scivola, sulle pietre. Sull’erba fatta rigogliosa.

Acqua.

Scorre.

Libera.

Mi tiene il braccio attorno alla vita. Come volesse proteggermi. Da quando lo sa.

Temevo diventasse invadente. Invece, è solo dolcezza. Non credevo fosse una cosa per me. Invece esiste.

Mentre camminiamo, uniti – sempre –, per questo vicolo, stretto, in discesa, dove la sensazione di corsa verso il basso si perde dietro sguardi ammirati, colpi di colore, ai gerani vividi dei piccoli cortiletti interni, pietra grigia e inferriate, e verde, e io ti amo. Ti amo, infinitamente.

 

Vorrei portarlo con me, questo enorme gatto rosso, che troneggia distante sul muro basso del giardinetto. Lo faresti il viaggio di ritorno con noi, micione? Lasceresti il tuo regno per conquistare la nostra adorata?

 

I nostri sguardi si perdono lungo la valle.

Le dita intrecciate, sulla terrazza del belvedere.

E lui ha sentito la pietra con le mani, assorto. “è bella…” ha detto, contemplando la valle nella nebbia.

È freddo. Ci stringiamo nei mantelli.

Mi protegge in una carezza.

 

Finalmente siamo partiti. Come una fuga.

E non vorrei mai tornare. Mai più.

Ogni volta, accanto a te, e da sempre, provo la stessa sensazione di non poter fare più a meno di te. Di dovermi adattare alla tua assenza, portandoti nel cuore. Ora, ora che sei qui, non vorrei mai lasciarti andare.

 

Piove.

Scorre, l’acqua.

E, in quest’acqua che scorre, è come se potessi davvero dimenticare tutto.

In quest’acqua che mi scorre addosso.

Mentre, di là, mi chiami, amore.

Esce dalla vasca.

Gli si rannicchia contro. A cercare calore.

 

Non so se gliel’ho detto. Forse no.

L’ho abbracciato, stretta, e gli ho portato le mani contro di me, e avevo paura. Lui ha capito, e forse aveva paura anche lui.[2]

 

Cammina, per strada, come assente.

Continua a pensarci.

 

Si sente strana, quando si guarda allo specchio. Diversa.

 

Si sente divisa. A volte è come se esistessero solo le parole e i gesti di lui. Allora, si sente smarrita. Persa. Raccolta attorno ai suoi sentimenti. Al fascio di sensazioni che la investe. Si guarda, e si sente strana. A volte spera che il dottore l’abbia riparata male, così tutto quel darsi da fare di lui resterà una piacevole pratica. Altre volte, non fa che rimuginare attorno alla propria vendetta, dimentica di tutto. Se stessa. Lui. senza più nessuna speranza.[3]

 

“Smetti di bere. Cazzo, ora tu smetti di bere.”

“Ogni azione, porta le sue conseguenze…”

“Se lo vuoi ammazzare, bene, ti dico che non mi pare un’idea sana, ma fai come vuoi, almeno ti distrae dall’alcool. Fossi in te, però, cercherei di guardare a quello che ancora abbiamo. Non mi pare poco.”

“E che cosa abbiamo?”

“Quello che, nel caso te ne fossi dimenticata, prima non avevi voglia di cambiare: noi due. Mi pare stessimo bene. O no?”

Si ferma un attimo a squadrarlo.

 

L’ha presa per i polsi. “O vuoi qualcos’altro?” La voce sferzante, senza riuscire ad evitare una nota dolorosa di sarcasmo.

Sta troppo male. Non vede gli occhi di lei. Che sembrano domandargli di fermarsi.

Sente le sue mani, fredde. Sente il suo ansimare. Il corpo rispondere ai suoi gesti. Baci. carezze. Con più forza.

Mentre le sue mani la percorrono. Le si premono addosso. Le dita che inciampano con i capelli.

Le labbra a sfiorarle pelle, orecchio, stoffa. Dita. Non sa più dire dove sia lui, lei. Sa solo che lo vuole. Disperatamente.

Ma sa che lui non riuscirà a curarla. Per quanto la ami. Per quanto sappia farla godere.

Si sente in un abisso. Domanda aiuto, ma non basta averlo. Ottenerlo. Lei, non sa salvarsi.

 

Si è annullato totalmente in lei.

È così bella, pensa, mentre si solleva da lei, sentendosi una bestia, un carnefice, che la sfiora in una carezza dolce, disperata. Non mi lasciare…

Perché legge la disperazione negli occhi di lei. La paura. Di provarlo di nuovo. Di trovarsi al bivio. Di non avere scampo. E di cedere a quel mostro che le divora l’animo.

Registra contro la pelle la mancanza del calore della sua. Oscar è come il vuoto. Si sente solo.

L’abbraccia. Stretta. Come a ripararsi, in lei.

Lo guarda, come smarrita.

Lo sente. Dentro.

Ha paura.

Ha paura.

Poi, lo serra forte a sé. Come a proteggerlo.

 

Dopo, lo sente crescere, di nuovo, in sé.

E ogni volta che le tornano è una piccola vittoria.

Se tornerà viva da quello che deve fare, se non la cattureranno, allora, da allora in avanti, gli dirà di usare di nuovo le loro mille precauzioni. Vuole tornare a vivere a modo suo.

 

A tratti riesce a dimenticarlo, tra le sue braccia. La vita scorre. I giorni. Lavoro, stanchezza, la sera crollare, senza più quasi pensieri, senza forze.

Poi, d’un tratto, a tradimento, torna la paura. E quell’obiettivo. Non è un pensiero. È già deciso. I pensieri si coordinano in modo efficiente al fine. E, allora, si rende conto che è perduta. Che non serve a niente avere paura, abbandonarsi ai sogni o ai timori. Riprende coscienza, tra le braccia di lui, e si rende conto che è finita.

 

Non importa più niente. La vita con lui, le piccole serate con Alain, la stagione che cambia, l’affetto, l’amore. Non vede, non sente niente.

 

“Non voglio ricordarti ubriaca, che non ti reggi!”

è come uno schiaffo. Colpita, si gira, tra le braccia di lui.

“Né su un patibolo!” Si china a baciarla, da dietro. Lo sente premere. Cercarla in una carezza. Collo. Viso, ventre. Ancora dita.

Freme.

“Ma se”, gli fa notare lei, pigra, “quell’incapace che un anno fa l’ha mancato non l’hanno mai preso…” Le piace quando la tocca così.

“Magari”, ironizza lui, “era un amico di Bernard… prova a rivolgerti a lui, eviti di sporcarti le mani…” è bello sentirle la schiena, le spalle. Potrebbero ricominciare, e lei è persa nella sua vendetta. Si domanda che senso abbia. Si chiede se riuscirà a salvarla. Mentre sente le dita di lei addosso. Perché, Oscar? Perché non vivi un po’ anche per me e non solo per i tuoi ideali, la tua vendetta? Perché non sono abbastanza importante, per te?

“Beh, io non conosco come se la cava, quello là. Che ho un’ottima mira, invece, lo so.” Lo guarda truce. Si è girata di nuovo. Il seno preme contro il suo petto e a lui pare di impazzire.

“Allora, vedi di bere meno, altrimenti non sarai neppure in grado di prendere la mira, mia cara…” è così bella. E fuori di testa.

“Poi, scusa, metti che cambia idea…” Lo percorre con le dita.

La guarda, sempre più perplesso. Perso. Distratto. Sembra sobria, evidentemente l’alcool vaga in forma etilica per il cervello…

 

Ha aggiunto un altro foglio al disegno. Lei lo osservava, curiosa, un po’ perplessa. “Anche la Le Brun incolla aggiunte ai suoi quadri…” ha spiegato in risposta al suo sguardo. Poi ha sorriso “Scusa il paragone irriguardoso”. Abbassa lo sguardo. “Forse è meglio farti a figura intera…” altro tempo, altre sedute, la terrà lontana dalla sua follia. Finché potrà.

Una tela di Penelope.

 

Anche perché entrambi si distraggono al momento di decidere la posa e navigano per altri, piacevoli, lidi. Va bene perseguire la vendetta, ma chi dice che bisogna vivere in penitenza?

 

Tutto d’un tratto, ha smesso di bere. Non sa perché. Solo, è così.

Se sia stato istinto. O una decisione razionale. O qualcos’altro.

Lui cova una speranza irrazionale. La scruta. Cerca i segni, un cambiamento, qualcosa. Lei, sadica, tace. Silenziosa gli vive accanto. E ammucchia i panni macchiati, da sbiancare e lavare, tanto, lui quasi non li vede.

 

L’ha guardato come si guarda la speranza. “Davvero mi porti via?” Si è illuminata.

Fuori, una pioggia grigia annullava tutto.[4]

 

“Mi servono dei nuovi colori”, mente. Le mette possessivo e orgoglioso un braccio attorno alle spalle. “Verresti con me a comprarli… sai…”, la guarda, allo scoperto, “fatico molto a distinguere i particolari…” Si sente vigliacco a ricorrere a mezzi del genere, ma…

Gli passa un braccio attorno alla vita. È caldo. Si stringe di più a lui. “Sì, certo… certo. Ci andremo insieme”, lo rassicura, e si sente malissimo perché entrambi stanno mettendo tutte le carte a disposizione in tavola.

E poi, forse…

 

Se lui sapesse, non la lascerebbe più andare.

 

Le piace l’atmosfera vivida di quel negozio.

Le piacerebbe essere un’altra, rimanendo se stessa. Potersi lasciare tutto alle spalle. Aver vissuto un’altra vita.

Ci pensa, a volte.

Che bello, André, che, di spalle, leggermente chino sui colori, cerca di scegliere. E, con le dita, timidamente, scorre la consistenza pastosa che lega i pigmenti. In un attimo, lo rivede adolescente. Un’immagine di lui che non ha mai dimenticato.

Gli si avvicina. “Perché non proviamo anche un’altra marca”, propone. “Cos’altro avete?” Si rivolge al venditore.

Quanto lo ama… nonostante la sua follia, il suo essere diversa, lo ama. Infinitamente.

E forse lui neanche se ne rende conto.

Che ironia, la vita.

 

Ha deciso di rompere il patto tacito. Perché quel disegno, lui, ha stabilito che non lo finirà mai.

 

 

C’era una luna straordinaria, stanotte. Una strana sensazione, che le ricolma il cuore di commozione.

Una luna immensa, che si stagliava contro le sagome dei comignoli.

Il vento ha spazzato le nubi. Brilla terso il cielo di stelle.

Poi, lentamente, è scivolata lungo la linea di tetti.

Domani sarà una bella giornata.

Domani, forse, sarebbe già nato.

 

“Ti prego, ti voglio…”

Lo guarda, su di sé, e non sa rispondergli. Non sarebbe stato d’andare a dormire, stanotte. Avrebbe voluto vegliare, ogni attimo, abbracciata a lui. Ogni, infinito, brevissimo ultimo istante.

La mano scivola in basso. Quasi non ricorda, annota. Si sente come lontana.

 

Ricorda, ora, i baci che la facevano impazzire.

Le labbra, dolci, su di lei. Ovunque.

Desiderarlo e ardere.

Commuoversi al ricordo di quella prima volta. Di come erano.

 

Incontra le dita di lui, mentre lo guida dentro di sé. Come una carezza. Uno scambio. Sono fredde. Di paura. Emozione.

Sente un brivido che le avvampa dentro.

 

Lo fa, con dolore, emozione, tristezza. Con un ardore infinito. Desiderio, passione. Come una sfida. Come un addio. Come una speranza. Le è dentro, che la percorre, e non vuole lasciarla. Non vuole lasciarla andare. Piange, mentre la prende. In silenzio. Come si era commosso la prima volta, tra le sue braccia. perché gli pareva sacro, quello che stavano facendo. E lei l’aveva guardato, infinita, carezzandogli i capelli, la spalla. Come volesse proteggerlo.

Sono lacrime, ora.

Sembra un incubo. Invece è amore.

Ha paura.

Quasi non la ricordava, così. Il ventre che lo serra. Che sa accoglierlo. Attrarlo più di quanto crederebbe possibile. E lui, che la desidera infinitamente. Stare in lei. Pervaderla. Quasi non la ricordava, nei respiri profondi, tagliati, i capelli di lei su di lui, la schiena inarcata. I seni, tesi. A chiedere tutto, di lui. attrarlo fino in fondo. Avvolgerlo nelle sue onde. Godere. Mentre il cuore le martella nel petto. Paura. Dolore. Desiderio. Poi, appagata, sentirla scorrere sul suo corpo. Ventre. E impazzisce. Seni. Le sue labbra.

 

“Aspetta… aspetta, per favore…” ansima.

Si solleva, in un brivido. Lo guarda. Gli si preme contro.

“Ti voglio… ancora.”

 

E lambirla. A renderla accogliente.

Poi, averla.

 

“Se non ti importa più niente… perché non lasci che ti venga dentro…” le ha detto, quella volta lontana.

Lei gli ha risposto che non era solo un corpo, era un essere umano, e che ora non se la sentiva, e lui doveva capirlo. “Non ora”, gli aveva sussurrato, spaventata. “Non ora…”[5]

Ma lui non l’ha ascoltata. Da allora, sempre.

E se questa è l’ultima notte, non sarà diverso.

Non rinuncerà a salvarla.

A lanciarle la sfida ad esistere. Vivere.

Come fosse un’ultima provocazione. La conosce bene. Sa che non transige. Come a volerla distrarre, distogliere dal suo piano.

Lo so, amore… lo so…[6]

 

Sente le lacrime di lui, addosso, mentre, dopo l’amore, lo culla in sé. Le mani, a giocare in carezze, tra i suoi capelli. La punta delle dita, gelate, a cancellargli le tracce del pianto.

Mentre lo custodisce in sé.

 

Un’alba di colori che lentamente si risvegliano. Una luminosità gonfiarsi, intensa, all’orizzonte.

È il momento.

Si guarda il ventre, il seno. Ripensa a quando, poco prima, si è staccato da lei, che continuava a serrarlo in sé, le mani intrecciate sulla sua schiena. L’ha lasciata con un’espressione di tristezza, di dolore. Poi, le ha posato la testa in grembo, delicatamente, e lei sentiva le lacrime su di sé e gli ha accarezzato i capelli, come a consolarlo. E pensa che sarebbe stato bello, averlo fatto anche prima. Aver saputo cedere. Capire. Peccato, nella sua vita si è sempre resa conto troppo tardi, di ciò che desiderava. E ripensa, con paura, ed emozione, a quella sensazione liquida, come di freddo, che aveva provato. Di qualcosa che si scioglieva in lei. Al desiderio di averlo. In quella notte, in cui si erano confusi l’uno nell’altra.

La prima. Poi, le altre. Infinite.

In quelle notti disperate.

 

Però pensa anche che stamattina si sente libera. E ama la sua libertà. La loro.

Ogni volta, quando era ragazzina, che arrivava quella tremenda emorragia, si odiava. Faceva male. Stava male. Ed era il segno che lei era diversa, non era un uomo e doveva soffrire quel dolore. La odiava. Anni dopo, quando si era messa con André, il ritorno del flusso, pur con le mille precauzioni, era stato benedetto, ogni volta, come una vittoria, come, più specificamente, lo scampato pericolo. Si sentiva così, quella mattina, a risvegliarsi col la pressione sotto zero e tutto quel sangue. Finalmente. Finalmente libera![7]

 

Vada come vada, farà quello che deve e poi, poi tornerà. E vivranno, non sarà come prima, sarà una lotta, ogni giorno, contro le paure che cercheranno di tornare, contro se stessa. Ma sarà vivere. E andare avanti. E cercare di ritrovarsi. Diversi, sempre se stessi, cambiati, maturati. Si spera, non peggiorati. Si sa, la vecchiaia…

Si china su di lui, gli sussurra all’orecchio: “Da domani ricominciamo ad usare le nostre precauzioni.” Lui trasecola, poi, sembra respirare più liberamente, come sollevato. Non sembra un addio, forse. “Certo… certo, amore…”

Vorrebbe che tutto fosse già finito. Ma non lo è. Deve andare. Fare quello che si è ripromessa. E deve staccarsi da quell’abbraccio caldo, da quelle lenzuola, dalla pelle di lui. Da quell’amore che è talmente intenso che pensarlo la sconvolge e che, pure, c’era, infinito, e quasi non è bastato, nei momenti bui.

André. Meraviglioso, unico, adorato. André. Mille volte mio amore. Mio amore infinito.[8]

 

 

Non le ha mai detto cosa ha dovuto vedere. Non glielo dirà ora.

Forse, lei lo sa.

Non caricherà oltre una rabbia che già esplode. E lei coltiva metodica. Sapiente. Incapace di dimenticare. Di andare oltre. Anche se vorrebbe.

Sta dietro di lei. La segue, rapido.

Una mano sulla spalla, la costringe a voltarsi. Perché non parla? Si è sbagliato? Ha intuito male? Perché non glielo dice?

Davvero, non è servito a niente?

Serra le dita. Ma la domanda resta muta.

“Solo una cosa.”

Lo osserva, mentre il vento sferza quegli occhi verdi, tristi, che si confondono col grigio del mantello. Vorrebbe parlargli. Ma sa che la fermerebbe. E non vuole. Non vuole che sia lui ad impedirle la giustizia.

“Che cosa sarà di me, dopo?” Parla, Oscar, ti prego…

“Sei libero…” Se succede qualcosa, ho intestato tutto a te… ma so che andrà bene, sento che tornerò. Non avere paura…

“Non voglio.” Fa fatica a trattenere la commozione. Ha passato la notte insonne. Come le ultime, d’altronde. Come da troppo tempo. Non vuole che questa sia l’ultima volta che le parla. Deve capirlo! Non può finire così. Non per colpa di quel pazzo. Bisogna imparare a dimenticare. A lasciarsi il passato alle spalle.

Lo osserva. Sostiene quello sguardo.

“Ti prego…” E se la stringe contro, disperato. “Ti prego… non lo fare…”

Restano lì, a lungo. Lo sente respirare contro di sé. Un respiro tagliato. Corto.

Senza lasciarla andare.

“Fammi andare…”

Scuote la testa.

Lo scosta da sé.

Cerca di sdrammatizzare: “Vuoi privarmi del bastone della mia vecchiaia…” ma ha gli occhi pieni di lacrime e tenta di ricacciarle indietro.

Sorride anche lei. Commossa. “Non lo sarei comunque…” gli scompiglia i capelli in una carezza. “Magari, se lo fossi tu, della mia…”

 

“Ti prego… non andare…” Vivi, Oscar… ti prego…

 

“Resta qui, con me… resta, come questa notte…”

 

Si volta a guardarlo. Sente un brivido. Io voglio vivere. Io tornerò.

 

“Resta… come questa notte… per sempre…”[9]

 

“Ti porto via…”

 

davvero? Davvero mi porti via?” Ricordava di essersi sentita illuminata, come riscaldata da quell’amore con cui lui sapeva circondarla. Niente declamazioni. Gesti. Sguardi. La stretta solida attorno alle sue spalle. Camminare insieme abbracciati sotto la pioggia. Era questo…

 

Torna indietro.

Si stringe a lui. “Ti voglio bene.”  Infinitamente.

Poi, si stacca da lui. Una tristezza abissale. Nel cuore. Nello sguardo. “Un’altra volta, lo faremo…” gli dice, in un saluto.[10]

 

Sente il calore della mano che si stringe attorno alla sua. La pioggia battente inumidisce i mantelli, rende gli scalini in pietra scivolosi e pesa sulle foglie verdi, ma lui accanto la scalda. Forse, pensa, si può ancora ricominciare.[11]

 

Siamo alla fine, pensa.

È l’alba e la foschia si leva dall’erba.

Né pietà, né rimorso e neanche affetto. Solo un infinito dolore. Ma non per lui.

Ha raggiunto il generale e ora lo osserva di spalle, mentre attende.

Mentre il dito accarezza freddo il grilletto.


 

Laura, gennaio-agosto 2006, revisioni agosto e ottobre 2008, ultima revisione marzo-aprile 2009, Pubblicazione sul sito Little Corner dell'ottobre 2008.

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

Fine

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 


[1] Citazione da J. O’BARR, Il corvo.

[2] 10-8-06.

[3] Da appunto sms 11-8-06.

[4] 10-8-06.

[5] Correzione post 15 novembre 2006.

[6] 10-8-06.

[7] Appunti marzo 2009.

[8] 2 aprile 2009.

[9] 4/5-8-06.

[10] 10-8-06.

[11] 30-9-07.