Alternate BK's Night

 Parte XV

Warning!!!

 

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Nota: L’idea di questo racconto ce l’ho da quando, nell’autunno 1999, iniziai BK’s Night. Doveva trattarsi di uno spin-off da una frase pronunciata da André a p. 4 del mio file, al suo risveglio dopo il ferimento.

Quando ho ripreso in mano l’idea per scriverlo effettivamente, ho deciso di associarlo ad altre due suggestioni che avevo, anch’esse, in mente da anni, una cronologicamente collegata all’epoca in cui si svolge BK, l’altra ad un periodo successivo. Questa associazione ha comportato che, per far collimare le tre idee, io abbia dovuto spostare la scena che derivava dal BK originario all’anno successivo, poco prima della rivolta Réveillon.

Si tratta di un racconto che, comunque, riprende alcuni temi che mi interessano. Preferisco non anticiparli, se non quello, appunto, dei problemi che incontra André dopo il ferimento da parte del Cavaliere nero, e che si incarna nel titolo.

 

La determinazione sorregge il suo obiettivo, ma il percorso non è così scontato.

In certi momenti non trova le forze, arriva a fine giornata con una tensione terribile, la notte non dorme, e l’unica cosa che l’aiuta è bere. Una volta, due, ancora, troppe. E si crea l’abitudine. Si arriva a non poter fare a meno di portarsi a letto un paio di dita di cognac, a non riuscire a prendere sonno se non si è adeguatamente storditi. Succede. Non è fiera di se stessa, ma si dice che, in qualche modo, deve riuscire ad andare avanti. Per sé. Per lui. Ha pena di entrambi. Una fitta di dolore lacerante e caldo di lacrime, quando si sorprende a contemplarlo, addormentato, accanto a sé, le braccia attorno al cuscino, a rubare subito il suo calore nel letto, non appena sente che si è alzata. La commuove, André. Vorrebbe proteggerlo. Vorrebbe le bastasse. Sa che non è così. C’è qualcosa che si è spezzato, che non funziona più. E ci vorrebbe tempo, per aggiustarlo, ma tempo, a volte, non c’è.

Non si domanda perché la presenza di André non le basti. Non si domanda come mai quello che loro due sono, hanno, custodiscono, non sia sufficiente a sostenerla. Semplicemente, lo considera un modo per superare quel momento, in cui tutto il dolore, tutte le paure, in mille rivoli, anziché allontanarsi da lei e lasciarla, finalmente, libera, l’assalgono. Forse è normale, dopo quello che ha vissuto. Una forma di reazione. Al dolore, alla paura. Non lo sa, lo sospetta. E decide di assecondare l’istinto, anche se sente che non è del tutto giusto.

 

Eppure, a volte, si sorprende ad osservarlo, nei gesti, a ritrovare, nell’immagine del ricordo, il viso di lui, ragazzino, poggiato sulla mano, quella stessa espressione, aperta, serena. Allora, ritrova in sé l’amore, la dolcezza, che credeva perduti.[1]

 

André registra in silenzio, non parla. Ha capito che lei in questo momento ne ha bisogno, e lascia andare. Ma è preoccupato. La notte, quando la sente stenderglisi accanto, a distanza di sicurezza, percepisce, senza bisogno di sensi acuiti dal suo personalissimo buio, l’aroma dell’alcool provenire dal bicchiere. Ma serra le labbra e il dolore, si dice che passerà. Non può toglierle anche questo, ha paura che Oscar, da sola – sola, che tristezza – e che egoismo, lui, a pensarlo – con lui soltanto –, non ne uscirebbe.

Ora che, si rende conto, ha paura e si ritrae, quando lui prova ad abbracciarla. Le resta accanto, allora, ma si domanda quanto durerà.

 

Non è solo sesso, il loro rapporto. È bello starle accanto e solo tenerla stretta. Ma a volte gli manca, l’amore. Condividerlo con lei. Eppure, non importa, si dice. Passerà anche questa stagione. Lei, che gli sfugge, quando si avvicina con intenzioni troppo chiare. Lei, che lo scansa e ha cambiato i propri orari, facendo in modo di andare a dormire parecchio dopo di lui. Finge di non notare, ma capisce che è spaventata.

Ha raccolto i fogli, dal tavolo del soggiorno, mentre con la mano sentiva il manto caldo della gatta. Un fremito d’affetto e gratitudine lo commuove. È buio, è strano. Non ricorda fosse così tardi. Quella sensazione lo gela.

Oscar! Oscar! Oscar!!!

 

Dove sei? Dove sei?

 

È talmente sbronza che riesce solo a sentire le vene della sua mano pulsare, mentre si abbandona sulla poltrona.

Mentre sente la propria mano scorrere sul proprio corpo, che è tornato quello di prima. Sente i muscoli. E, con un brivido, subito si allontana dal ventre. Un rifiuto. Una negazione. Vorrebbe dimenticare tutto. Saper dimenticare.

In fondo non lo volevo… io non lo volevo…

È stato solo un incidente… tutto quanto… lo supererò…

Perché non ci riesco, allora?

Gira la testa di lato, guarda lontano attraverso ciglia, capelli. Non riesce neanche a piangere. Ma perché dovrebbe?

 

Il tocco sulla spalla la coglie di sorpresa. La strappa al pozzo di pensieri il pallore di lui. Che le cerca il polso, come in aiuto.

Si alza, febbrile, ed è come se intuisse. Lo abbraccia, allora. Stretto. Forte. Come se potesse offrirgli un rifugio. Ma è lei a cercarlo, in lui.

Resta lì, e se la stringe contro. Lei. La sua cura contro la paura, il dolore. Lei, che, qualunque cosa pensi, è la dimostrazione che anche lui può essere felice di vivere. Nonostante tutto.

 

Il buio. E il silenzio. Il gelo di dita intrecciate tra le lenzuola. Polsi. Paura.

Che cosa sarà, di noi… cosa…

 

È strano, il risveglio, la mattina. Ci sono momenti in cui si dimenticano del tutto i problemi, le paure, le perdite. Quegli attimi sospesi di limbo e affiorare della coscienza.

Quando si sveglia, quasi non ricorda più il buio del giorno prima. Quasi dà per scontato un mondo fatto di luci, immagini, sia pur sfocate – e non solo i sogni nitidi, netti, precisi di una memoria visiva esercitata.

“Vieni qui, abbracciami”, le dice, mentre ritrova la sua mano.[2]

 

è molto dimagrita, pallida”, gli fa notare Alain, preoccupato.

Non s’aspettava reagisse così male.

Annuisce, André, tirato. Eppure, non è sempre così, non è sempre come una guerra. A volte, la sente, lei è come il sole. Lo scalda – in altri tempi avrebbe potuto bruciarlo. A volte lei tenta di tornare.

 

Solleva lo sguardo, attento.

Gli è sempre più difficile cogliere i particolari, riportarli. Approfitta delle giornate di luce, quando sono liberi entrambi.

“Non voglio fare un disegno alla moda, come si usa”, le ha detto.

“Se fai caso”, ha spiegato, “tutti i ritratti e le immagini tendono ad appiattirsi secondo una moda poco realistica: occhi grandi, visi ovali, spalle cadenti, mani allungate. Ma la realtà non è così…”

Lo osserva, ammirata. Quante cose ha notato. Quanta ricchezza nel suo mondo.

“Hai mani molto belle…” gliele prende, come raccolto. “Non voglio idealizzarle, non ne hai bisogno: voglio disegnarle come sono…”

“Mi piace che tu dica disegno e non dipingo…“ annota, imbarazzata per i complimenti. “Lo trovo più vero…”

Una carezza lungo il viso. “Non cambiare discorso…” il sorriso nella voce. La fissa. E lei non può lasciare quello sguardo. “E lo stesso per gli occhi, gli zigomi… non hai bisogno di seguire le mode…” Le mode cambiano, una bellezza come la tua no.

Le sembra quasi di potersi abbandonare a quella voce, alle sue parole. Come se davvero si potesse andare avanti, solo per un attimo, e dimenticare. Forse, davvero, si può.

 

Si è fatta raccontare dal dottore, anche se l’uomo avrebbe preferito non parlare. Ma l’ha costretto. E, così, è venuta a sapere cosa ha fatto André in quell’alba. Pensa, rabbiosa, piena di dolore e pena, che sia meglio conoscere la verità. Per coltivare sapientemente la rabbia. O decidere di dimenticare. Ma è anche difficile, per lei in particolare che l’ha subita sul proprio corpo, sostenerla. Ora, si rende conto, le sta diventando difficile reggere. Si è detta, al principio, che non sarebbe accaduto, ma non ci vuole molto a notare quanto beva di più, come una sfida, come una maledizione, come a voler distruggere se stessa, non potendo, non osando farlo con suo padre.

Prova un sentimento strano di odio e dolore. La pena che sente per André è qualcosa che la lega alla loro coppia, il resto costruisce il suo piano.

 

Ha voluto che la portasse lì.

E ora stanno in piedi, la brezza leggera che muove i mantelli, e si tengono per mano, di fronte all’albero sotto cui stanno sepolti i loro tesori. Un orsetto di pezza. Una trottola. Un coltello dal manico rosso.

“Come l’avevi chiamato”, domanda, tradendo l’emozione nella voce.

Le stringe più forte la mano. “Come mio padre”, risponde piano.

Ed è solo allora che lei si fa più piccola, accanto a lui, e sprofonda, tra l’erba, i capelli, le lacrime, mentre lui la serra in un pianto silenzioso.

 

Paura. E rabbia.

Paura del sesso, con lui, che succeda di nuovo. E la rabbia verso il padre, per averle rovinato la vita, per averla ridotta in quello stato, da cui non riesce a venire fuori.

È una lotta con se stessa.

Vorrebbe, ferocemente, disperatamente, André, ma non osa fare un passo verso di lui.

Lo scansa, evita, e, quando si avvicina troppo, lo sfugge.

Spera che passi, è solo paura. Solo paura. Forse, è ancora troppo presto.

 

Si aspettava di sollevare una bottiglia più pesante. Cognac, riflette.

Un sospiro. Rabbuiato.

Non dovrebbe bere così. Non così tanto!

“Oscar…” la cerca.

“Non dovresti bere tanto…” la rimprovera.

“E perché?” Incattivita. Disturbata. Scoperta. “Ora non c’è più nessuno a cui possa far male…” e sottolinea quel nessuno con rabbia.

Sarà padrona, per dio, di rilassarsi un po’! E, cinica, pensa che ancora non ha scoperto quante ne ha svuotate e quante, ancora, ne ha ricomprate.

 

André è disposto a lasciare indietro il passato per andare avanti. Forse è questione di carattere. Forse per le sue esperienze, la sua vita, fin da bambino. Per Oscar è diverso. È accaduto a lei, al suo corpo, alla sua libertà, alla sua autodeterminazione e non è così facile accettarlo.

L’ha vista come morta, andré, e per questo gli pare un miracolo averla accanto, viva. Al resto, può rinunciare. A lei no.[3]

 

È successo di nuovo.

Stavolta ha controllato tutte le bottiglie. Per più giorni.

Non va affatto bene. No, si dice.

“Oscar”, le posa accanto la bottiglia sulla scrivania.

“Questa era vuota. E altre anche.”

Silenzio. Ma quanto è stronzo mio marito… le viene da ridere.

“So che le hai ricomprate.”

“E allora?” Lui tace. “Che problema ti crea?” Riempie quel silenzio più fastidioso delle accuse.

La scruta, con disapprovazione, gli occhi socchiusi.

“Ti stai distruggendo.”

“Mi hanno già distrutto, non c’è problema.”

Lui trasale.

“Non c’è niente di più che io possa farmi.”

La prende per i polsi, alterato. Ora basta davvero. “Non farlo.”

“Perché?” Sarcastica.

“Perché?” Vorrebbe prenderla a schiaffi. “Ti rendi conto di cosa stai facendo?”

“Sì.”

“E vuoi che l’abbia vinta? Che pensi di averti distrutto la vita?”

“Io lo voglio morto.”

Oddio… Ha capito.[4]

 

È come vincere se stessa. Provare a lasciarsi andare. A non pensare sempre al male. Lasciarlo avvicinare. Tornare a vivere. Con lui. È una lotta terribile. Eppure, non può condannare se stessa e lui a questo. Non è possibile.

A volte, prova ad farsi più vicina. Prendergli una mano, passargli un braccio attorno alle spalle e stringerlo a sé, mentre, alla scrivania, legge. Allora, lui, sorpreso, pare illuminarsi, e l’attrae a sé. Sono timidi tentativi, come dovessero reimparare. Soprattutto lei, a non lasciare che le paure la dominino.

Non può, non deve permettere che quella persona, quello che ha saputo farle, rovini la loro vita, il loro rapporto, il loro legame.[5]

 

Stavolta tocca alle mani. Belle, pallide.

La volta precedente c’è stato un lungo, piacevole, studio sulla clavicola. Sulle ombre proiettate dalla camicia bianca sulla pelle candida. Sulla composizione del bianco. Della luce. Il bianco di André abbaglia, pieno di colori com’è.

Che poi si sia finiti ad altro, non c’era molto dubbio, con lui che scostava la stoffa e la scopriva, e lei bruciava al tocco delle mani, delle labbra, dei capelli. Si è solo scostata quando lui ha cercato di prenderla, ma tutto il resto è stato, ricorda, sommamente soddisfacente. In fondo, ripensa, può andare anche così. Ci sono molti molti modi di spassarsela, pensa, divertita ma triste, perché quel trauma non riesce a lasciarselo alle spalle completamente. Un po’ per volta, si dice. Se lui le starà accanto, ritroverà una se stessa migliore. Forse, più ricca, dopo queste esperienze. Ma ha ancora paura. Troppo dolore, anche se in fondo, davanti, vede la luce. Se solo suo padre non esistesse… se solo potesse cancellare e andare avanti.

È uno strano miscuglio di sensazioni. Come volersi liberare dal blocco, dal dolore, ma aver paura di lasciarlo indietro. Di non trovare più se stessi, quelli che si era. Pur sapendo che si resta tali, solo, diversi. È desiderarlo e averne paura. Volerlo ed odiarlo, l’uomo che ama, quando si avvicina.

Le sembra come di essere tornati ai primi tempi, ai primi approcci.

André procede. Lentamente. Un passo per volta. Non la forza. L’avvolge di abbracci, resta defilato. Non c’è fretta. Vuole che si riprenda.

Ma ha capito.

E sa che non vuole finire quel disegno.

O la perderà.

Scivola lentamente verso di lei, le dita che si insinuano tra la stoffa e il polso. L’altra mano, lungo la curva del seno. Mentre il respiro di lei accelera.

 

Si osserva, pensieroso, allo specchio. Non sa quanto a lungo ancora riuscirà ad osservarsi. Si sente strano, con quell’occhio. Non ci si abitua mai davvero. Lui, a parte il rassegnarsi alla menomazione, il voler testardamente continuare la vita come prima, cerca di non pensare a quell’immagine di sé così diversa da come si sente. Non si percepisce diverso, eppure si rende conto dell’impatto da come lo osservano gli altri. Passi la vita ad invecchiare con le stesse persone, tanto da non registrare i cambiamenti, poi succede qualcosa che modifica le esistenze in maniera radicale. L’abitudine, allora, va in pezzi. Non sei più lo stesso. Il corpo ti tradisce e non funzioni più come prima. Quante cose si danno per scontante, finché non le si perde…

Lui ha sempre cercato di non pensarci. Di dirsi che l’aveva fatto per lei e non ne era pentito. Era successo e basta, e non era pentito davvero. Solo, aveva sperato di cavarsela un po’ meglio.

Le dita scivolano dal marmo al legno. Sente la fessura e apre il cassetto. La custodia è ancora lì.

Ripensa alle parole di Alain, poche ore prima.

 

“Allora, ci sei riucito?”

“Sì”, mentre gli fa segno di seguirlo. “Non è stato facile”.

“Era quell’armaiolo?”

“Sì, proprio lui.”

Serra le labbra. Quindi è come pensava… “E… poi… gli hai parlato?”

Se la ride. “Diciamo che ho faticato un po’ a convincerlo…”

Scuote la testa. “è impazzita…”

“Macché, ha le idee molto chiare. Questo è ciò che ha ordinato.”

“Devo fermarla…”

“Che si fa?”

“Lasciami pensare…”

 

Dietro l’apparente calma, riflette, tormentato. Posto che avrà cura di non usare un’arma militare, che sarebbe riconoscibile come provenienza grazie al modello e più o meno databile in base all’usura ed alle varianti, un’arma non standardizzata, purtroppo, anche presa da un armaiolo, diventa identificabile. Il metodo di fabbricazione può ricondurre all’artigiano. Per non parlare dell’indicazione di nome ed anno di fabbricazione che riportano alla bottega, se non all’armaiolo specifico. Inoltre il calibro differisce per pistole e moschetti.

Non ha tanti scrupoli morali sul fatto che lei intenda farsi una sorta di giustizia, li ha sul fatto che non stia pensando minimamente alle conseguenze.

Si rende conto che Oscar, in questo momento, rischia di essere un pericolo per se stessa e non sa come evitarle di rovinarsi con le proprie mani.

 

“Dove pensi l’abbia nascosta?”

“A casa ha alcune custodie, dentro mi pare ci siano sempre le solite…”

“Sei sicuro?” Poi, imbarazzato, “Intendo, hai guardato bene?”

Alza il mento in un’espressione orgogliosa e divertita “Meglio che potevo…”

Scuote la testa, sconsolato.

“Credo sia il caso di fare quattro chiacchiere con il tizio…”

 

“Hai presente, il supplizio di Damien? Lo squartamento, per i parricidi ed i regicidi?” Proviamo coi metodi forti, si dice, mentre, sullo stipite, ne distingue la figura, pigramente rilassata tra le lenzuola, i capelli scompigliati. Bellissima.

Alza le spalle. Non ha voglia di pensarci, ora. Non dopo il modo in cui lui l’ha lambita, percorsa, carezzata. Sei quantomeno importuno, Grandier…

“Se pensi che, poi, ti arresteranno, se pensi che ti condanneranno a morte, allora, perché continui a non volermi dentro di te?” La inchioda. “Tanto, perso per perso…”

“Se non la pianti dimenticati le mie prestazioni…”

 

L’armaiolo si è dimostrato osso molto duro. Insistere significa allertarlo su un’eventuale indagine successiva. Deve trovare l’arma, poi si farà un’idea di come procedere. Oscar… sei impazzita…

 

Sono giorni febbrili. Si rende conto che il tempo sfugge e non ha più molte occasioni di fermarla.

 

Poi, in una notte, in un abbraccio, è accaduto.

Aveva paura. Ma lo voleva. O forse sentiva che era lui a volerlo. O che era tempo di andare avanti. Almeno provarci. Affrontare le paure.

L’ha accolto, come intimidita.

Come non sapesse rinnovare i gesti.

Memorie.

Respirava piano.

A tratti, come assente. Mentre sprazzi di sensazioni e ricordi erompevano, afferrandola dal suo limbo emotivo.

Avrebbe voluto vivere. Lui non meritava quello. E neppure lei. Ma la paura la schiacciava, ripiombandola nella paralisi. Si era fatta forza per essere presente. Vivere. Per impedire che la mente se ne andasse via. Altrove. Lontano.

 

È stato come ritrovarla.

Più lontana. Quasi inaccessibile.

Come se non fosse più sua.

Ascoltare le parole sorde delle sue paure. Abbracciarla. Rassicurarla. Giurarle che starà attento, più di prima.

Non era stata una lotta. Era dolore. A scacciare i ricordi di quelle ore terribili. Le immagini dalla retina.

Voleva capisse che non era sola. Che davvero quella tristezza era anche sua. Ma che potevano andare avanti insieme.

Voleva smettesse di covare vendette inutili. Fosse servito a qualcosa… voleva ricominciasse a vivere. Con lui.

Loro due, insieme.

Voglio che tu sia mia…

 

 

Sembravano sperduti, nei gesti dell’amore.

 

Gli si è rannicchiata accanto.

Lui, assorto, legge.

Annota, una morsa serrata attorno al cuore, che accende sempre più candele.

Il viso contro il ginocchio di lui. Le dita fredde sulle sue gambe. In un abbraccio stravagante di contatto e affetto.[6]

 

“Cosa farai del disegno?”

Glielo domanda all’improvviso. Uscendo quasi allo scoperto.

Solleva gli occhi, sorpresa, annotando la stagione che cambia, all’esterno, attraverso i vetri. Quando le nuvole stemperano nel carnicino per spegnersi in mille gradazioni di grigio.

“Lo terrai tu.”

Lui, gelato. “E tu, non lo vuoi?”

Un sorriso enigmatico. “A me non serve…”

“A me servi tu”, le risponde, e, improvvisamente, l’abbraccia stretta a sé. Perché non lo lasci mai. Perché non si abbandoni a quella follia.

 

Credono di aver trovato l’arma. Furtivi, mentre lei si allontana, controllano il suo ufficio. André ha la scusa di consegnare i rapporti che ha scritto per lei e non è strano vederlo lì.

 

Gli sembra folle, perché in questi giorni lei sembra tornata quella di un tempo. Sembra, finalmente, liberata come di un fardello terribile. Scherza, è solare, lo cerca. E il rinnovarsi di quella complicità, che nell’ultimo anno pareva smarrita, l’ha quasi illuso.

Eppure, gli pare impossibile che lei, che freme al contatto delle labbra di lui, mentre con le dita la cerca, voglia davvero…

La sente contrarsi di piacere, inarcata.

 

 

 

 

Le è dentro, ora.

Sente di volerla. Totalmente.

Sente di volersi dare a lei completamente.

“Voglio venirti dentro.”

Non ci sono spiegazioni, logiche. Ma sente che lei gli sbarra addosso lo sguardo. Ti prego, no…

No.

No.

Ti prego, non voglio.

No.

Ho paura.

No…

No…

No…

 

Quanto tempo, quante volte sono trascorse?

 

“Se non ti importa più niente… perché non lasci che ti venga dentro…” Una spinta più forte. In lei.[7]

È calda.

Lo avvolge, e gli pare d’impazzire.

Avrebbe dato tutto, per lei. L’ha sempre fatto. L’ha protetta. Si è lasciato ferire. L’ha sostenuta. Quando era in pericolo, avrebbe voluto solo poterla riavere viva. E niente altro. Ora, però, è come se Oscar stia buttando nel baratro se stessa, le loro due vite, la loro unione. E non sa come impedirglielo. Non sa come tenderle una mano e convincerla ad afferrarla. Stringerla. Lasciarsi salvare.

Perché pare animata da una lucida follia. Qualcosa che che non si affronta, né si contiene con la ragione, l’ha sperimentato.

Forse, riflette, non vuole essere salvata. Forse, si sente talmente in colpa per quello che desidera, che è disposta ad annientarsi assieme al proprio carnefice.

Lo guarda, a volte, come davvero domandasse aiuto. Ma è come se non sapesse riceverlo. Come se volesse solo tenerlo indenne da quel dolore che la rovina.

Forse quella provocazione, nata dalla disperazione, dall’istinto, è l’unica cosa che gli resta. Che, forse, rimarrà a lei.[8]


 


Laura, gennaio-agosto 2006, revisioni agosto e ottobre 2008, Pubblicazione sul sito Little Corner dell'ottobre 2008.

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

Continua...

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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[1] 11 ottobre 2008.

[2] 11 ottobre 2008.

[3] 11-8-06.

[4] 11-8-06.

[5] 11-10-08.

[6] 11-8-06.

[7] 10-8-06.

[8] 11-8-06.