Alternate BK's Night

 Parte XIII

Warning!!!

 

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Nota: L’idea di questo racconto ce l’ho da quando, nell’autunno 1999, iniziai BK’s Night. Doveva trattarsi di uno spin-off da una frase pronunciata da André a p. 4 del mio file, al suo risveglio dopo il ferimento.

Quando ho ripreso in mano l’idea per scriverlo effettivamente, ho deciso di associarlo ad altre due suggestioni che avevo, anch’esse, in mente da anni, una cronologicamente collegata all’epoca in cui si svolge BK, l’altra ad un periodo successivo. Questa associazione ha comportato che, per far collimare le tre idee, io abbia dovuto spostare la scena che derivava dal BK originario all’anno successivo, poco prima della rivolta Réveillon.

Si tratta di un racconto che, comunque, riprende alcuni temi che mi interessano. Preferisco non anticiparli, se non quello, appunto, dei problemi che incontra André dopo il ferimento da parte del Cavaliere nero, e che si incarna nel titolo.

 

 

Diventerà cieco… Si stringe a lui, nella notte, le unghie nella pelle.

Lui le si raggomitola contro. Se riuscisse a scaldarla, ma il terrore la gela. Cieco… cieco…

 

Si sveglia stranita, stonata. Come se il grigio avesse rubato la luce del giorno.

Una mano scorre sul lavanda delle lenzuola, nervosa. Non vedrà più i loro colori, non vedrà più niente…

È di là, armeggia coi pesi. Ricorda di quella volta che le ha chiesto di aiutarlo a regolarsi con gli spazi, per non fare danno in casa, perché non voleva smettere di tenersi in forma. Si era intenerita. Si era sentita morire. Trema di paura. Si domanda quanto durerà questo limbo, quanto resisterà.[1]

 

Un’occhiata desolata ai fogli poggiati tra l’armadio e il muro, un’intercapedine d’ombra fresca.

Si soffoca. Vorrebbe partire.

Non li ha più toccati, lui.

Passa le dita sui colori polverosi, la bellissima scatola con le tinte in ordine, i carne, i terra più consumati. Pezzi riordinati con cura, ricomposti assieme. E lei quasi non osa toccarli.

Non sa come si senta lui. Certo, lei ha subito fisicamente, ma lui, che, in fondo, ci aveva sperato? Lei si sente violata, ma lui, non si sentirà altrettanto male?

Oggi sua madre le ha fatto visita, al lavoro. Un breve incontro.

Le ha passato un foglio. “è per te”.

Un cenno, e Oscar l’ha spiegato. “Ma, madre…”

Un sorriso triste. “Vedi, la mia dote se ne è andata in grossa parte per le altre ragazze… non resta molto, ma, finché ho beni personali di cui posso disporre, ho il diritto di decidere come e a chi…”

Gli occhi di Oscar percorrono le righe, dati, mappe. “Non ce ne è bisogno… Voi non…”

“Oscar…” si alza. Dalla finestra indugia sulla piazza d’armi. Carezza in un gesto la foglia di una pianta. “Quello che ti ha fatto tuo padre è un danno incalcolabile…” Oscar soffoca un moto di nausea a sentirlo nominare. Poi, si gira verso di lei. “Non esiste riparazione, ma questo è l’unico modo che ho per proteggerti, in qualche modo…”

“Posso cavarmela da sola…”

è diverso”, la interrompe. “Voglio che tu sia libera. Voglio che, qualunque follia faccia tuo padre, tu non debba temere di restare a terra… questi”, le spiega, “sono atti che lui non può revocare.”

 

 

Non è facile tornare in quell’ambiente. Ne avrebbe fatto a meno, non se la sentiva, ma Oscar ha insistito. Pensavano di non incontrarlo per un po’, aveva salutato tutti, e invece…

Non sa neppure cosa dire, se parlare o no. Spiegare.

Ha la voce incerta, quando li saluta. E le ragazze, subito, gli vanno incontro.

“Cos’è successo…”

“Ma…”, imbarazzato, triste, non sa cosa dire.

“Hai la voce come spezzata…”

Si può chiudere il dolore in fondo al cuore e cercare di mentire, ma le sfumature della tristezza non è facile nasconderle. A chi sa ascoltare.

Non si aspettava tanto affetto. Cerca di non commuoversi, loro non possono vederlo, ma la voce trema. Anche lui vorrebbe essere lontano, via. Sfogare tutta la sua rabbia sul generale, farlo a pezzi. O riuscire a dimenticare, dimenticare davvero. E invece…

 

Prova un leggero sollievo. Staccare, parlarne un po’, con estrema discrezione, gli ha fatto bene.

Respira a fondo. È stato pesante, oggi, la testa che vagava altrove, trovare la concentrazione. Vuole arrivare a casa, da lei. Stringersela contro. Circondarla con le braccia. tenerla stretta e non lasciarla più andare via.

 

La ritrova stravolta, invece. Le mani gelate, alterata.

È stato lì. Ha cercato di allungare le mani. È terrorizzata e inferocita. Il cuore sembra impazzito. Sa che è un tentativo di intimidazione. Un prendere le misure. Un dare segnali.

Non ha avuto neppure il coraggio di dirglielo. Sembra come un incubo: se ne parla, non sa se qualcuno potrà crederle.

Non sa cosa fare. Ce l’ha con se stessa. Neanche stavolta ha saputo difendersi.

 

Poi, la mattina dopo, che è quasi l’alba, lo sveglia. E mentre lui, insonnolito, le cinge il corpo da dietro, seduta accanto a lui, riesce, poche frasi spezzate, a raccontare.

 

“Dobbiamo sorvegliare…”

Ha detto solo questo. Alain ha capito.

 

A volte, la notte, l’abbraccia. Un bacio, qualche carezza timida. Vorrebbe farlo, lui, la desidera, forse per farle capire che la vita continua, forse per sentirla sua, riaffermarla sua nonostante il padre. Anche se quello che è accaduto, i rischi, la paura di perderla, gli gravano addosso. Eppure lei non reagisce. Dorme, forse. O, forse, nel buio, gli occhi sbarrati che brillano, piange in silenzio.

A volte sente le spalle che tremano, a trattenere le lacrime. E, allora, piano, l’avvolge, e la culla in piccoli baci. È solo allora, solo tra le sue braccia, col ritmo del suo respiro, che lei trova pace.

 

Ha paura di farlo di nuovo. Si sente come prosciugata.

A volte ne avrebbe voglia, ma pondera ogni possibile conseguenza. Quelle che, prima, aveva temuto, quelle che, ora, ha sperimentato. Si dice che è illogico. Che l’altra volta è stato un caso. Una disattenzione. Un brutto scherzo del destino. Ma la paura resta, e la blocca.

Eppure, quando lui le è vicino, a volte ci pensa. Immagini, sensazioni tornano. Avvolgendola. Togliendole il respiro.

Ma è come se una parte di sé fosse andata. Morta. Perduta.

 

Il turno pesa, la stanchezza brucia le spalle.

La schiena curva, sono seduti sulle pietre fresche.

È silenzioso, lui. Si porta tutto dentro. Da troppo tempo.

“Come sta…”

Alza le spalle. Non lo sa. Davvero.

Uno sguardo diretto. “E tu?”

Scuote la testa.

“Forse faresti meglio a parlarne…”

“Non so se sia il caso che sappia tutto…”

“Non dico a lei…”

 

“Avanti…”

“Non c’è molto da dire…”

 

Poi, dopo un lungo silenzio.

“Me la sono vista morta, davanti…”

E sembra di morire anche a lui, che, ora, ascolta. Raccoglie le poche parole.

“Non aveva più colore… perdeva sangue…”

 

“Pensavo di perderla…”

Non ci sono parole. Quando non hai neppure il tempo di pensare che non la rivedrai mai più viva. Non la voce, non gli occhi. Nessuna più stretta delle sue mani. Quando te la trovi, come priva di ogni vita, addosso. Senza poter fare niente. Niente. Tu, che la metti al di sopra di tutto. Che la ami.

Che vorresti onorarla per tutta la vita.

E speri solo che non succeda. No, non succeda niente.

Resti lì, a vivere, senza poterci credere.

 

Pensi soltanto a come accompagnarla. Ché non si senta sola, almeno. Perché non ti resta altro. Nessuna consolazione. Quando un amore è così totale. Da non dare, lasciare, concedere scampo.

 

“E…” Esita. “Suo padre?”

Sembra riscuoterlo da lontano, quella voce.

“Avevo una strana sensazione…” parla come in trance, “non avrei dovuto lasciarla andare sola… lui… non era insolito che alzasse le mani, ma… non pensavo l’avrebbe fatto in quella circostanza…”

“Lo sapeva?”

“Era lì per dirglielo… urlava… lo sapeva…” un’espressione indecifrabile “L’ha definito bastardo…”

“Un nonno modello”, sdrammatizza Al.

Un sorriso in risposta. “Già…”

“Cosa pensi di fare?”

“A me sembra inconcepibile…” è assurdo pensare a cosa abbia fatto. “Non deve avvicinarsi mai più… ma a corte è protetto…”

 

È successo ancora. Odio quando non ci sei. Ogni volta che tu non sei qui, lui si fa vivo. Io non lo voglio vedere, lo capisci?

 

“André…”

Si volta verso di lei.

Non sa come dirglielo.

“Per favore, portami via…” come se dicesse salvami, ma non riesce a dire altro.

“Ma certo… non appena sarà possibile…”

No, subito… Ma resta in silenzio.

 


Laura, autunno-inverno 2005, gennaio-agosto 2006, novembre 2007, gennaio-marzo 2008, Pubblicazione sul sito Little Corner del marzo 2008.

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

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[1] 6-3-08.