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E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome

Ora il tempo è un signore distratto…[1]

 

Sta seduto lì accanto e stringe addosso la giacca.

Respira piano. per non rompere l’incanto. Non svegliarla.

Non svegliarsi.

 

Ha osato appena scostarle i capelli dal viso. E una carezza lieve. Rintracciando il volto dell’infanzia. Di quando, vent’anni prima, anche allora sull’erba, avrebbe voluto prenderla, abbracciarla, confessarle che l’amava. E non solo stringerle la mano e sentirla sfuggire. Non guardarla andare via. Non è andata così. Stavolta sarà diverso.

Dormi, amore.

È quasi l’alba.

L’ha cullata, finché non l’ha sentita rilassarsi. Cedere. E il respiro farsi regolare.

 

Non è silenzioso, il bosco. Stanotte. In questa sera di quasi estate, che una brezza si solleva, piano, a tratti. Muovendo le foglie.

Non è nemmeno buio. Piccole luci sfocate, sul lungofiume. Piccoli fari. La vista annebbiata. Scorre, l’acqua, e copriva i loro gemiti. Ora avvolge la quiete.

 

Ritroveremo questo posto, fra qualche anno, o domani, se passeremo di nuovo di qui? Ricorderemo tutto, di oggi, di stasera, della notte in cui ci siamo uniti? O sarà la memoria dei gesti, e dimenticare il resto? Ogni ricordo, immagini, suoni, conservarlo, e non saperlo ritrovare?

 

L’ha coperta col mantello.

 

Non ha voglia di pensare a domani. A fra qualche ora.

 

È quello che ha desiderato, per tutta la vita. E da poco è successo. Anche se quel tempo gli pare infinito, perché l'ha rincorso per anni.

E sarà così, d’ora in avanti.

È stato gesti, quasi muti.

Imparare, un bacio, un altro. Sfiorarle con le labbra le vene dei polsi. Le spalle. Scoprirla.

Vincere la propria timidezza, la propria paura.

 

La camicia slacciata, ora per terra. Quando lei ha passato la mano sulla sua pelle, sotto la stoffa. E gli è sembrato di morire.

Poi, ha intrecciato le dita alle sue, cercando di assecondare i suoi movimenti. La sua meravigliosa Oscar.

Gli occhi nei suoi.

Per non lasciarlo mai.

 

Sopra, coprirli un'infinita volta di stelle. Le mani di lei sulla schiena. Stupirsi della sua curiosità intraprendente. Commuoversi.

 

E dopo, avvolgersi nella tenerezza. Perché l’attesa non basta e ciò che è stato nemmeno. E volerne ancora. Tenerla stretta, con la paura di non ritrovarla.

Dopo averla cercata così a lungo.

 

Cosa succederà, domani. Se il domani verrà.

Il tempo è un signore distratto…[2]

 

Gli sembra impossibile trovarsi, stanotte, lì, mezzo nudo, con lei. Il suo sogno che si avvera. Imboscarsi a trent’anni suonati. Due pazzi… Ma a volte la vita stringe i lacci, e le curve del tempo ti piegano addosso, anche se le hai mancate testardamente per secoli. E domani, la paura. Perché lui sembra saldo, tranquillo. Sembra non scomporsi. Ma ha paura. Di quello che li aspetta. E, forse, anche di cosa dovranno affrontare dopo la battaglia.

Oggi, la paura del distacco, dell’intervento, di mandarli a morire, rende tutti più disponibili. Ma, poi ci sarà da lottare, per loro due. Domani è il primo passo, poi verrà la battaglia più radicale.

 

Scosta con la mano le foglie, le dita intrecciate ai fili d’erba.

Si scruta la pelle chiara, ricorda quando, prima, ha cercato di compararla a quella di lei. Poi, guarda lontano.

Lucifero al tramonto, e la stella del mattino. E l'ansia gli cresce dentro, in dolore.

Odia quel chiarore lontano, che si gonfia all’orizzonte, e vorrebbe saper piangere. Perché non vorrebbe che oggi finisse. Staccarsi da questo giorno infinito e loro.

Il giorno che, fra un anno, ricorderanno come il loro anniversario. E chissà cosa li aspetta…

Non vorrebbe dormire.

Vorrebbe restare all’infinito ad aspettare l’alba e non perdere un attimo di queste ore, senza lasciarle passare. Centellinare ogni istante e che la luce li riportasse a stamattina, in un ciclo infinito.

Oscar è stanca. Stanchissima.

Ha sentito le ossa, sotto la sua pelle. E non la ricordava tanto magra. Provata.

Anche la voce sembra più debole. Roca.

 

Potrà dire, un giorno, il nostro bosco, come era stata loro la sponda? Come le albe e i tramonti di Arras? E la battigia, in Normandia?

Che paura, Oscar… se questa notte, che già sta finendo, potesse durare all’infinito. E io non lasciarti mai. E tu non lasciare mai me…

 

Oscar, Oscar lontana…

Oscar nel respiro leggero…

 

Ci sarà tempo, vita abbastanza, per ricordare? Per costruire un’altra vita insieme… senza sbagliarla, col tuo amore, adesso, che prima sapevo e in cui credevo io solo… col tuo corpo, la tua voce, ora più vicini, che non voglio lasciarti mai più. Mai più. Mio amore, dolce e disperato.

 

Per ricordare le dita che scorrevano sui tasti, lei curva sul piano, quel pomeriggio. E, dopo, quando, in uno sguardo disperato, gli aveva preso la mano. Per non lasciarla.

E aveva continuato a guardare in basso, senza sapere come trovare le parole. I gesti.

 

Perché era come se avesse una determinazione diversa, dopo che lui aveva visto il ritratto. Sembrava commossa.

 

Poi, piano, l’aveva cercato, avvicinato a sé, abbandonandosi contro il suo fianco. Come a domandare rifugio. E lui aveva abbandonato i dubbi, e l’aveva abbracciata, forte. Come non volesse lasciarla mai.

Era il tramonto.

E si erano detti, piano, quasi con timore, quello che sapevano, quello che avevano taciuto. Stretti, nella penombra che cresceva. Che li avvolgeva.

Poi, piano, le dita intrecciate alle sue, ha varcato di nuovo quell’arco. Domandandosi se quel giuramento l’avrebbe condannato. Non ti farò mai più una cosa come questa… Sorride, perché invece gliene farà molte, infinite, ed è sicuro che lei non protesterà. Per nessuno degli infiniti giorni a venire.

Il suo braccio, il muro che li divide, il braccio di lei. E passa l’arco. Che sancisce la pace e l’unione.

 

È come entrare in un altro mondo.

 

Ma è dolce, stavolta, il respiro. E le labbra, calde, morbide.

E l’amore, violento, ora è lieve.

Non c’era fretta. Non c’era più nemmeno il tempo.

Solo la paura delle ore a venire. Ma non erano adesso. Ora, solo loro due.

 

E piano la stoffa scivola. E le dita. Lenti, impacciati, i movimenti.

I lacci, i polsi. Capelli. Le ciglia di lei, abbassate, e il suo respiro che accelera.

 

Prega di poterla vedere ancora. Ancora per un po’. Respira piano.

 

“Non mettermi incinta…”, gli ha detto, arrossendo. Nascondendo il viso al suo.

“Stai tranquilla…” le ha risposto. E ora sorride, al ricordo della scoperta di questi aspetti pratici di lei. Spera solo di non essersi clamorosamente smentito. Le ultime parole famose…

 

E se quegli abbracci, e il serrarlo di lei, calda, abbiano riparato quella ferita, quel tempo rovinato, da allora e da una vita, prima, non sa dire. Perché si sente bene, in lei, tra le sue braccia, a sfiorare con le guance le sue, perdersi tra i suoi capelli. E non vuole pensare a cose tristi, non adesso. Ora vuole ricordare ogni attimo, ogni respiro. Le labbra di lei sulle spalle, le dita sottili, la punta fredda del naso. La sua Oscar.

 

Ricorda la finestra, quando ha aperto gli occhi. E lei quasi addosso. Si è stupito di come fosse leggera. Di come fosse delicata la sua pelle. Della naturalezza con cui gli si era abbarbicata. Come fosse suo. Come fosse da sempre.

Ha sentito, dentro, un dolore infinito, una pena, all’idea di interrompere quel tempo. Di staccarsi da lei.

Era così bella…

 

Domani…

Domani sarà un giorno lungo e senza parole…

Domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole…[3]

 

Aveva come una tristezza, addosso, quando si è rovesciata pigramente, alzandosi. E gli è mancata da morire. Una cascata di capelli, e il suo posto, caldo, lì accanto. Su cui lui è scivolato. Cercando il suo odore. Il suo ricordo. Con la memoria dei suoi sospiri. Delle sue parole che quasi non sanno uscire. Timide. Delle sue labbra.

È rimasta in silenzio, pensierosa. Come stesse ponderando un’idea. Incerta. I gesti rallentati.

Solo dopo molto, è tornata da lui. E gli ha teso la mano. Come fosse triste.

Portami via… ha pensato. “Andiamo”, invece, gli ha detto.

Come avesse a lungo lottato. Contro se stessa.

E aveva addosso una stanchezza infinita. Come un dolore.

 

Poi, tra gli alberi, si è fermata.

L’ha cercato. Rifugiandosi in quell’abbraccio. Andiamo via, lontano, avrebbe voluto domandargli. “Voglio che torni a casa”, invece, gli ha detto.

“No. Verrò con te. Come sempre”, le ha risposto.

 

L’ha abbracciato, di nuovo. Sperando di distrarlo, convincerlo, comprare la sua assenza. Sperando di avere più potere nell’amore della sua testardaggine di non abbandonarla.

E, dopo, dopo l’amore, gliel’ha domandato di nuovo.

E la risposta, non è cambiata. Sarebbe rimasta delusa, se fosse stata diversa? O l’avrebbe sperato? L’amore è un gioco triste di delusioni e aspettative, che a non tradirle può far male.

“Non posso certo cambiare adesso…”

Come sempre…

Lui sorride, rassicurante, ma ha paura. Anche lui. E la serra nel cuore.

 

 

 

Lascia andare le foglie, schiudendo le dita. Stringe gli occhi, le guarda cadere.

Domani… già oggi…[4]

Perché leggevo paura, nei tuoi occhi. E tu nei miei.

E domani sarà terribile. Ma saremo insieme.

Domani sarà un giorno nuovo…

Non trattiene le lacrime. Non si vergogna di piangere. Stanotte ha la vita davanti. Stanotte è diventato suo.

Domani, troverà un modo, due righe, per il suo diario. Per il giorno in cui è diventato suo. Il primo dei giorni.

Domani, quando la battaglia sarà finita, vincerà la timidezza, e le chiederà di sposarlo. Non sa se ci sia un momento giusto, un modo, ma lo troverà. E forse lei non gli dirà di no. Se capirà che è amore e non possesso, condividere e non prevaricare. Se si renderà conto che è la promessa di non perdersi. Mai più.

 

Stanotte, già domani, si sente un re. Stasera i suoi sogni si sono realizzati.

Ora niente può più dividerli.

 

Laura, 27-28 marzo 2007

 

Nota: l’idea è nata quando, martedì 27 marzo, commentando in una mail a Luana e poi nel blog il filmato della Toei, ho ironizzato sul merchandising e poi mi sono domandata lucciole o comodo lettone. Ho cominciato a rimuginarci sopra… in un lungo dopocena, mentre pile e pile di piatti mi attendevano – e non è escluso che il tutto sia nato pur di non farli –, rivedendo del filmato la scena in cui Oscar, prostrata, cammina tra le macerie (m’è piaciuta, devo dire), mentre, ascoltando de André, lavoravo al fumetto e ad Alternate BK, ho cominciato a scrivere. Poi ho corretto. Rivisto. Ed eccoci qui. Anche se non avrei mai pensato di confrontarmi coi grandi spunti di Lady Oscar, tipo l'ep. 28 o la notte d'amore - per me in materia avevano già detto tutto Alessandra in Liberaci dal male e Sydreana in Storia di nebbia e d'occhi chiusi. E invece, ultimamente, è capitato...

 

 

Laura, 27-28 marzo 2007, Pubblicazione sul sito Little Corner del marzo 2007.

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Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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[1] F. de André, Hotel Supramonte, 1981.

[2] F. de André, Hotel Supramonte, 1981.

[3] F. de André, Hotel Supramonte, 1981.

[4] Omaggio a Liberaci dal male di Alessandra.