Solo uno

parte 9

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 Nota della webmaster: questo racconto era presente sul sito di Alex, La leggenda di Versailles. Quando il sito, per una sofferta e dal mio punto di vista comprensibilissima, decisione di Alex ha chiuso, il racconto era rimasto senza finale, in particolare, senza uno dei finali. L'autrice si è rivolta al sito Little Corner per curare una nuova pubblicazione, con una nuova revisione del testo e noi siamo felici di accoglierla. Cogliamo anche l'occasione per un saluto affettuoso alla nostra Alex!

 

Testo non revisionato

 

Alcune ore più tardi, quando la tempesta si era ormai  placata, il mare si era ritirato, la sabbia si era nuovamente posata, e solo i segni delle onde e l’odore dell’aria rivelavano ciò che era successo in quel luogo, due figure si dirigevano verso una piccola casa, isolata, vicino al mare, dove due donne e un uomo aspettavano.

Andrè camminava lentamente, tenendo tra le braccia Oscar, addormentata e avvolta in una coperta. Era felice. Incredibilmente, inevitabilmente, indissolubilmente felice. Solo poche ore prima aveva rischiato di perdere tutto. Sarebbe bastato un secondo di ritardo per rendere tutto privo di senso. Sarebbe impazzito, lo sapeva. Ma ora…ora…ora stringeva tra le braccia quel corpo tanto amato, un lieve fardello che avrebbe volentieri portato per l’eternità. O più semplicemente, fino a quando l’avesse deposta sul suo letto.

Era incredibile quanto fosse leggera, pensava. Le braccia che aveva, istintivamente, passato attorno al suo collo, erano quanto mai esili, benché l’uso della spada le avesse sviluppate e rafforzate. Il volto era sottile, smagrito, gli occhi sottolineati da larghe occhiaie…chissà da quanto tempo non dormiva decentemente. Si fermò un attimo per depositarle un bacio sulla fronte. Lei mosse leggermente la testa, il suo respiro si modificò impercettibilmente, la presa delle braccia cambiò…lui si bloccò, trattenendo il respiro, temendo che si stesse svegliando. Ma lei ricrollò sulla sua spalla, e lui tornò a rilassarsi. Sorrise.

- Dormi, Oscar, dormi ancora. Dormi, amor mio, ne hai bisogno. – sussurrò tra i suoi capelli, prima di riprendere il suo cammino.

 

Oscar si risvegliò, alcune ore dopo. Si svegliò, ma non si trovava dove lei avrebbe creduto. Invece di un letto di alghe, di una coperta vecchia e logora, un fuoco acceso e le braccia del suo uomo attorno a sé, percepì di essere su un materasso, fra le lenzuola, nella sua stanza. Tutto pareva come prima, come se non fosse successo niente su quella spiaggia, in quella grotta… Credette di aver sognato, l’ennesimo, beffardo sogno che si prendeva gioco di lei e del suo dolore. Si girò dall’altra parte.

- O Andrè! – chiamò, angosciata, pronta a piangere, un’altra volta ancora. Era diventato così facile piangere, ormai!

- È di sotto, madama. Sta spiegando la situazione ad Alain e Rosalie. – le giunse invece una risposta, dalla voce di Fabrice. Oscar si rialzò a mezzo, guardandolo, con l’incredulità di mille motivi stampata sul viso. Accettare quello che lui le diceva era così dolce, ma così pericoloso… trascorsero alcuni minuti mentre in lei combattevano speranza e rassegnazione, desiderio e timore. E quando finalmente riuscì ad accettare la sua presenza lì, e a convincersi che non era un sogno quel che aveva vissuto, ma una nuova, meravigliosa realtà, un sorriso si disegnò sul suo viso, lentamente, ancora titubante a lasciar calare nuovamente le sue barriere.

- Non ho sognato…- sussurrò, mentre gli occhi le brillavano. – Non ho sognato! – ripeté, a voce più alta, ributtandosi indietro, ricadendo sul cuscino, mentre rideva di felicità. Fabrice scivolò giù dalla sedia su cui era appollaiato.

- Vado a chiamarlo, madama. Mi hanno raccomandato di farlo, non appena vi foste svegliata. – scappò via, correndo verso le scale. Oscar rimase immobile, ancora sorridente, respirando affannata per il riso. Da quanto tempo non rideva più! Da quanto tempo aveva dimenticato com’era ridere! Si rotolò nel letto, felice. La sua mente le presentava mille immagini gioiose, tante che non riusciva a seguirle.

Sentì i passi di Fabrice che tornavano, veloci. Poco dopo la porta si spalancò, per far posto al ragazzo, ansante, per aver fatto tutto il tragitto di corsa, e ridente, perché finalmente la vedeva ridere, per niente turbato dal tarlo della gelosia. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, che Oscar era solo per Andrè, e non aveva mai desiderato altro per lei e per lui e per se stesso.

- Sta arrivando, madama. O meglio, stanno arrivando tutti quanti.

- Va bene Fabrice. Grazie per avermi avvisato. Credo sia meglio che mi alzi.

Scostò le coperte, cercando di piegare le gambe. Si fermò di botto, stupita dal dolore che le aveva attanagliato le cosce. Dovette muoversi lentamente, stringendo le labbra per il dolore. Doveva aver sforzato molto i muscoli, per provare un dolore simile. Era molto tempo, ormai, che non le capitava più… all’incirca da quando suo padre aveva deciso di rallentare i suoi allenamenti, giudicandola sufficientemente preparata. Le venne da ridere. E così, ecco che anche lei si sentiva indolenzita dopo un’attività troppo intensa…il suo corpo ritrovava la sua voce, tornava a protestare, a ribellarsi a ciò che non gli andava, e lei doveva ammettere di aver sbagliato, di aver sfruttato troppo le sue risorse. Tornava, finalmente, ad essere una persona di carne e sangue, non una bambola inanimata.

E rise, in effetti, rise in faccia a un attonito Fabrice.

- Sai, Fabrice, le gambe mi fanno un male tremendo! – gli disse, raddoppiando le sue risate, al notare la sua espressione.

- Questo vi fa piacere, madama? – le chiese lui, sempre più perplesso.

- Sì Fabrice, sì, mi fa piacere. Mi fa sentire…come dire…viva! E non sai quanto sia bello questo.

La porta si aprì in quel momento. Oscar non ebbe il tempo di vedere chi entrava, sentì solo le braccia di Andrè che la stringevano, le labbra di lui tra i suoi capelli.

- Buongiorno, dormigliona. Cominciavo a credere che non ti saresti più svegliata.

Lei restituì l’abbraccio, ridendo.

- Sfiduciato! Ti ho mai fatto uno scherzo del genere?

Andrè non rispose, le si scostò leggermente, sedendosi sui talloni davanti a lei.

- Come ti senti?

- Un po’ indolenzita, e terribilmente affamata.

- Già, lo so. Ma non si può pretendere che i contrabbandieri pensino a tutto, quando preparano i loro rifugi nelle grotte, no?- scoppiò a ridere, si alzò e le tese le braccia.  - Avanti, vieni con me, prima di tutto ti porto a cena.

Le afferrò le mani, la tirò in piedi. Lei si lasciò sfuggire un gemito di dolore.

- Ce la fai a camminare? – le chiese

- Non lo so. Credo di sì. – mosse qualche passo. Il dolore ai muscoli era terribile, si sentiva un pezzo di legno. Andrè la guardava, lo sguardo serio, intento. Non rideva più, ora: era troppo impegnato a sostenere e aiutare la sua donna, a verificare che non rischiasse di cadere e farsi male. Se fosse stato per lui, l’avrebbe sollevata fra le braccia e trasportata così, ma sapeva fin troppo bene che era importante che si muovesse, o il dolore non sarebbe mai passato.

Oscar lo guardò, sorrise.

- Non sarò molto veloce, ma se mi lasci appoggiare a te, credo che riuscirò a camminare.

Lui annuì, sorrise, le diede il braccio.

- Avanti, vecchietta, faremo in modo di procurarti un bastone.

- Certo! Magnifica idea! In effetti, temo di essere un po’ fuori allenamento, potrebbe essere un ottimo sostitutivo della spada, no? – rispose lei, con tono innocente, come quando si scambiavano battute e frecciate, da ragazzi. Sembrava che il tempo fosse tornato indietro, riportandoli giovani e spensierati..

Alain non l’aveva mai vista così. In quel mese e mezzo, non aveva mai riso, mai fatto una battuta. Oscar gli passò davanti, si fermò a guardarlo.

- Alain, su con la vita! Non è mica morto nessuno!

E a Rosalie, in lacrime accanto a lui:

- Rosalie, avanti, basta lacrime! Va tutto bene!

- Sì, sì, madamigella Oscar, ho…ho finito di piangere. Ora smetto, sì, ora smetto. Sapete, sono tanto felice! – rispose lei, raddoppiando i suoi singhiozzi e le sue lacrime. Oscar rise, passò oltre, sempre appoggiata e aggrappata ad Andrè.

Nel soggiorno, li aspettava Sabina. Non disse niente, quando si voltò al loro ingresso, ma si scostò appena, lasciando vedere il tavolo apparecchiato. Oscar si sedette pesantemente, lasciandosi cadere sulla sedia: le sue ginocchia non si reggevano flesse. Andrè si sedette accanto a lei.

- Gli altri avevano già mangiato prima che arrivassimo. Manchiamo solo noi.

- Allora mangiamo, no? Ho una fame da lupi.

Lui la servì, sorridendo, e mangiò con lei, guardandola sorridere. Oscar sorrise molto da quel giorno, in compagnia di Andrè.

 

parte 9b

 

 

Testo non revisionato

 

Respirare…respirare era diventato sempre più difficile. Ogni respiro richiedeva uno sforzo non indifferente, bruciava quelle energie che lei non aveva più…bruciava…bruciava…la febbre la consumava, il delirio la frastornava…le apparivano immagini di persone scomparse ormai da tempo, riviveva situazioni della sua vita passata… i suoi giochi, con Andrè, i suoi litigi, con Andrè, le sue missioni, con Andrè, le sue fughe dal mondo, con Andrè…  le sembrava di risentirlo, quando la sgridava, come sapeva fare lui, o quando le indirizzava una battuta… la sua voce, la sua risata, il suo viso…

Alain e Rosalie si davano il cambio al suo capezzale, e la sentivano parlare con lui, come se fosse stato presente, la vedevano cercarlo con le mani e piangere perché non gliele prendeva, e non le stringeva tra le sue, per scaldarle, come nelle serate d’inverno di servizio, in giro per Versailles. Piangeva, chiamandolo a gran voce, e la sua voce era espressione del suo tormento, che entrava nel cuore di chi stava lì accanto, e lo straziava fino a diventarne l’unico occupante. Perché era uno strazio sentirla invocare il suo nome, chiedergli dov’era, e perché non era con lei. Sapevano che quelli erano per lei gli ultimi giorni, le ultime ore, forse anche gli ultimi minuti, sapevano che quelle erano le ultime parole che sentivano da lei, le ultime frasi, e non sopportavano che fossero così angosciate, volevano sentire da lei, almeno allora, parole serene, volevano vedere, almeno un’altra volta, brillare il suo sorriso…

Era stato per questo, che avevano finito con l’ingannarla, avevano finto che Andrè fosse lì, a tenerle la mano, a ricordare con lei gli eventi del passato. E anche se all’inizio lei non voleva credervi, alla fine la malattia, il delirio, la pazzia l’avevano convinta, e lei stringeva la mano che le veniva data senza domande. Era Alain a farlo, servendosi delle poche cose che Andrè gli aveva raccontato, e degli aneddoti che gli riferiva Rosalie, forte della sua esperienza e dei racconti della nonna… ma era niente confronto a quello che scopriva, giorno per giorno, dalla bocca di Oscar… i ricordi di tutta una vita, lieti e tristi, carichi talvolta del rimorso del presente o della gioia del passato… erano due vite che lui scopriva, pezzo per pezzo, due vite tanto vicine da esser quasi una, eppure ben distinte, a volte opposte, complementari sempre.

E con lui le scopriva anche Marc, che ogni giorno trascorreva ore in quella stanza, per un bizzarro accordo dalla nascita lunga e tormentosa. Lì passava le sue giornate, a fare qualcosa che non aveva mai fatto: ascoltare, e cercare di capire, una donna. Perché dietro quello che lui aveva considerato solo una preda strana e singolare, un’altra sciocca donna da annoverare tra le sue conquiste, c’era un passato di gioie e dolori, che avevano lasciato il loro segno su quel corpo che si era veramente rivelato una sola volta, lasciandovi cicatrici grandi e piccole, alcune talmente piccole da risultare invisibili, altre ben rintracciabili, ma sempre insignificanti, se paragonate alle ferite della sua anima… le peggiori, e le più nascoste, che neanche allora venivano svelate completamente, ma potevano essere solo indovinate, intraviste nelle lacrime, nei gemiti e nei lamenti, nei sospiri appena accennati, nel variare dell’espressione in determinate occasioni…non aveva mai badato a tutto ciò, Marc, ma stava imparando, stava imparando che ogni nome è una storia, e ogni storia dei ricordi, ogni ricordo un’emozione, e che spesso le emozioni sono dolori.

E aveva voluto conoscerla, quella storia, aveva voluto sapere come e perché quella donna era arrivata su quella spiaggia, con quei vestiti e quell’umore, quali ricordi si celassero veramente dietro quel viso, al di là di ogni supposizione e interpretazione. Si era ritrovato, così, ad ascoltare quello che gli aveva raccontato Alain, quello che lui sapeva, quello che aveva intuito, quello che aveva vissuto, anche se non era lui a viverlo, quell’amore troppo grande per essere riconosciuto, troppo breve per essere vissuto. Quell’amore che l’aveva fatta impazzire, che la stava lentamente conducendo alla morte, togliendole la voglia di vivere e di lottare. Perché vivere era sempre stato lottare, per lei, e lottare vivere, ma aveva sempre lottato con Andrè al suo fianco, e quella era una cosa che non poteva più fare.

 

Le giornate si consumavano così, in quella piccola casa in riva al mare, con Rosalie che conduceva la casa, Alain che approfittava dei momenti in cui Oscar si addormentava per svolgere qualche lavoro, e Marc che non si muoveva dalla camera di lei, restando sempre seduto per terra, in un angolo, ad ascoltare le parole che le sfuggivano nel delirio o nel sonno, che distruggevano sempre più tutte le illusioni che si era fatto. Era entrato in quella casa con l’inganno, anche se spinto da una curiosità sincera. Ne usciva ogni sera con la consapevolezza di aver ingannato solo se stesso, credendo di poter conquistare, usare e gettare una donna che aveva conosciuto il vero amore, come fosse stata una ragazzina ingenua. Ingenua, lei! Era lui il vero ingenuo. Non poteva considerarsi diversamente di fronte a lei, ingenuo, pur con tutte le sue esperienze e la sua baldanza, perché la vera esperienza gli mancava, l’esperienza dell’amore vero.

Non vi aveva mai creduto, nel vero amore. Credeva fosse un’invenzione delle favole. Sciocco, sciocco, quanto era stato sciocco! Non vi credeva perché non l’aveva mai provato. Ma bastava questo a negarlo?

Aveva lì la prova, davanti ai suoi occhi, nelle sue orecchie, senza che potesse negarla. Aveva una prova, una testimone, la protagonista di un amore vero. Un amore che andava al di là della passione, pur essendo fatto di passione, al di là della dolcezza, pur essendo dolcezza. Un amore che era l’ordinata confusione di due anime, che aveva confusamente condotto due vite scrupolosamente ordinate e programmate, sconvolgendole e regolandole, facendo loro varcare tutti i confini restando nei loro limiti, un amore che li aveva rasserenati col tormento e tormentati con la gioia. Un amore che l’aveva infine condotta lì, su quella spiaggia, con la ragione sconvolta dalla perdita di qualcuno che era lei, più ancora di quanto lo fosse lei stessa, col desiderio di morire, con la volontà di non vivere più.

Ancora non lo capiva del tutto. Le rivelazioni di lei erano frammentarie e disordinate, ma sapeva abbastanza da vergognarsi di quel che aveva ipotizzato, quei giorni sulla spiaggia. Aveva trovato una spiegazione che avrebbe calzato alla perfezione se fosse stato lui al posto di Andrè, perché lui aveva sempre preso quello che voleva, in un modo o nell’altro, senza dover aspettare troppo. Non era concepibile, per lui, una lunga attesa. Non riusciva neppure a immaginare che un uomo potesse aspettare tanti anni per vedere realizzarsi un desiderio. Avrebbe voluto conoscerlo, quell’uomo che era stato capace di aspettare quasi trent’anni per realizzare un sogno. Avrebbe voluto chiedergli tante cose. Avrebbe voluto sapere se era sempre stato fedele a quel sogno, se non aveva mai avuto vacillamenti in quella sua strana fede che l’aveva portato al sacrificio di sé. Quanto gli era costato seguire quella decisione? Ma era davvero stata una decisione? L’aveva scelto lui? E non gli era mai venuta la tentazione di fuggire? Non aveva mai sentito la necessità di consolarsi con un’altra donna?

Ma no, probabilmente per lui non era stato affatto un peso. E in effetti, pensava, la speranza che giaceva sul letto davanti ai suoi occhi poteva ben valere una lunga attesa. Da come tutti tenevano a lei, doveva essere una persona veramente speciale sotto tutti i punti di vista, al di là della tristezza e della pazzia. Eppure, quella domanda gli rimaneva sempre davanti agli occhi. Possibile che avesse aspettato sempre e solo lei? Certo, almeno un’altra esperienza doveva averla avuta. Non erano tempi in cui si lasciasse niente al caso, quelli. Qualcuno doveva pur averlo spinto, nella sua adolescenza, ad avere qualche rapporto. Ma, chissà come, sentiva che, se anche era successo, era ininfluente. Se aveva potuto aspettare tutto quel tempo, non era certo l’avventura di una notte che poteva incrinare la sua dedizione. Non era un’esperienza passeggera che poteva modificare il cuore di un uomo. Ma l’avrebbe voluto conoscere, avrebbe voluto potergliele rivolgere, quelle domande. E avrebbe voluto conoscere anche lei, quando ancora ragionava, quando ancora viveva. Avrebbe voluto vederla mentre cavalcava con lui, o mentre duellava. Mentre comandava i suoi soldati, mentre conversava con gli altri nobili. Era possibile che una donna conducesse quella vita? Possibile che potesse battere degli uomini? Come aveva fatto, e cosa aveva pagato per riuscirvi? Era stato per questo che aveva abbandonato tutto? O era stato solo uno dei tanti motivi?

Cercava le risposte alle sue domande nei suoi racconti frammentari e spezzati, e solo a volte riusciva a trovarle. Aveva imparato, allora, a domandare ad Alain, o a Rosalie, e così si fermava spesso fino a tardi in quella casa, parlando di lei, a volte, o di loro, o anche di sé, perché aveva capito che quelle erano persone cordiali, che l’avrebbero ascoltato, solo molto protettive nei confronti di Oscar. Come lei lo era stata nei loro, aveva imparato, facendosi raccontare la loro storia.

Si era fatto raccontare come la loro vita era stata influenzata da lei, continuando a cercare la risposta alle domande che lo assillavano, ai dubbi che lo tormentavano.

Così trascorreva le sue giornate Marc Bois, almeno finché lei restò in vita. Dopo, si ritrovò a vagare per il paese, a caccia di nuove storie, e ogni volta imparava qualcosa di nuovo, e qualcosa la dimenticava.

Ma mai, mai dimenticò la prima donna che lo respinse. Mai dimenticò la donna che piangeva sulla sabbia, la donna che chiamava il suo cuore su una spiaggia abbandonata di una località sconosciuta. Mai.

 

pubblicazione sul sito Little Corner dell'aprile 2005

Continua...

mail to: florimonde@hotmail.com

 

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