Solo uno

parte 10

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 Nota della webmaster: questo racconto era presente sul sito di Alex, La leggenda di Versailles. Quando il sito, per una sofferta e dal mio punto di vista comprensibilissima, decisione di Alex ha chiuso, il racconto era rimasto senza finale, in particolare, senza uno dei finali. L'autrice si è rivolta al sito Little Corner per curare una nuova pubblicazione, con una nuova revisione del testo e noi siamo felici di accoglierla. Cogliamo anche l'occasione per un saluto affettuoso alla nostra Alex!

 

Testo non revisionato

 

Due mesi più tardi, in riva al mare, con il vento d’autunno che increspava le onde, che lambivano loro i piedi, due figure abbracciate guardavano il sole sprofondare nel mare.

- Cosa vuoi fare, Oscar?

- Tornare a Parigi. C’è una rivoluzione che ha bisogno di noi. – lui annuì, era ciò che aveva sperato e insieme temuto di sentire.

- Quando vuoi partire?

- Più in là. Ora no…ora, c’è un’altra cosa da fare qui. – rispose lei, sorridendo, portando una mano ad accarezzarsi il ventre. Lui le baciò la testa, la guardò interrogativo. Lei rovesciò la testa all’indietro, incontrò il suo sguardo e ampliò il sorriso.

- Parigi, di questi tempi, non è un bel posto per far nascere un bambino, non credi?

Osservò il cambiamento nello sguardo di lui, mentre comprendeva ciò che lei gli aveva detto. Osservò la luce accendersi nei suoi occhi, mentre le sue labbra si distendevano nel sorriso e le sue braccia intensificavano la stretta.

- Oscar…tu…tu…

- Io? Io sono incinta, e tu sei un futuro papà. – terminò, dandogli un bacio sulle labbra. Lui non replicò con parole, ma la avvolse con le sue braccia, girandola in modo da guardarla negli occhi, la abbracciò stretta, incapace di parlare, schiacciato dalla felicità, appoggiando la propria guancia contro i capelli di lei.

- È…è meraviglioso, amor mio, è meraviglioso! Un figlio…un figlio…avremo un figlio…un figlio…- furono le parole che riuscì, infine, a pronunciare, ripetendole ossessivo, mentre Oscar rideva, immersa nel suo abbraccio.

- Ehi! Non credevo che ti avrei fatto quest’effetto! In fondo, te lo dovevi aspettare, no? Quasi non mi hai fatto dormire!

- Un bambino…non sai quanto l’abbia desiderato, ma…non osavo sperarci. E anche adesso, mi sembra troppo bello per essere vero. O Dio! Avremo un figlio, un figlio!

La sollevò in aria, guardandola da sotto in su, raggiante. E malizioso. Oscar si preoccupò e si rallegrò al vedere la luce che gli brillava negli occhi, come quando lui la prendeva in giro, da bambini. Amava quella luce, che aveva ripreso a brillare da poco nel suo sguardo. Eppure la temeva, perché non poteva immaginare quale sarebbe stato il suo scherzo, anche se sapeva che non sarebbe mai, mai stato dannoso per lei, in nessun senso. Solo, non le piaceva non riuscire a rispondere a un attacco, a un qualsiasi attacco, anche se una battuta.

E la presa in giro venne.

- Dimmi amore, d’ora in poi, passerai il tempo a cucire vestitini?

- Cucire? Intendi quella cosa che si fa con ago e filo? No Andrè, non credo proprio.

- Come? E chi lo prepara il corredo per il bimbo?

- Si è impegnata Sabina a procurarmelo. Altrimenti, c’è sempre Rosalie, no? – lui sorrise. Se l’era aspettato.

- Tiziana? Non mi stupisce. Ma dubito che anche lei abbia intenzione di passare il tempo cucendo.

- No, non lo credo neanche io. - replicò Oscar, pensierosa. – Non mi sembra il tipo che occupa il suo tempo ricamando.

Il suo viso si astraeva sempre più, come sempre le capitava quando pensava a Sabina. Andrè lo sapeva, e sapeva quanto era inutile cercare di investigare troppo su quella ragazza.

- E dimmi, come ci organizzeremo, una volta a Parigi? – chiese scotendola con le braccia. Oscar aveva il viso appoggiato contro il suo petto, dunque lui non poté vedere i suoi occhi, né il suo sorriso. anche lei sapeva prendere in giro.

- Non so. Pensavo che tu potresti stare in casa a badare al piccolo…

- …e tu fuori a combattere, vero? non pensarci nemmeno, o ti seguo, o ti lego! – rifiutò lui, riportandola a terra. Lei rise, rise e rise, e lo baciò, nuovamente.

- Scherzavo, amore. Non sopporterei di non averti vicino. Non so come ci organizzeremo, ma un modo lo troveremo.

- Potremmo assumere come balie i nostri commilitoni…

- Sai, credo che lo farebbero…

- per te? Sì, lo farebbero, ne sono sicuro. – rispose lui in un sussurro, soffocato dai capelli di lei.

Più lontano, ferma sulla soglia di una porta, una figura in rosso li guardava, sorridendo. Sobbalzò, quando sentì alle sue spalle una voce che la interpellava.

- A che pensi?

- Ehi, ma è modo questo di arrivare alle spalle della gente?

- Se tu sei distratta, non è colpa mia. A che pensavi? – Sabina li indicò con la testa.

- A loro due. Sono così felici, e stanno così bene insieme…

- Uh! Aspetta che passino due o tre notti insonni, o costretti ad alzarsi per calmare il bambino, e vedrai come cambieranno opinione.

- Pessimista! Io credo che si alzeranno più che volentieri.

- Si alzeranno. Si alzerà Andrè, vuoi dire! – Sabina rise. Le dispute non finivano mai, specialmente su quell’argomento. Ma lei non aveva voglia di litigare, al momento.

- Sì, in effetti è probabile che finirà così. Ma forse no. Forse no…- rispose lei, sorridendo.

- Quando vuoi partire?

- Il tempo di organizzare tutto, per noi e per loro, e partiremo. Perché?

Non ci fu risposta. Quando Sabina/Tiziana si volse, non vide nessuno.

- Marty? Marty? Martina! Mah, che tipo! – esclamò, scrollando le spalle.

Oscar e Andrè stavano tornando indietro, stretti l’una all’altro, gli occhi negli occhi, sulle labbra il medesimo sorriso. Parlavano ancora, del loro bambino, di ciò che li aspettava, di ciò che volevano fare. Parlavano dei loro amici, di Alain, che era già tornato a Parigi. Per informare gli altri della bella notizia, aveva dichiarato, per fuggire da loro, in realtà. Aveva bisogno di stare un po’ lontano da loro, per dire addio ai suoi sogni, per accettare la situazione. E per far suo il modo di amare di Andrè. Sarebbe stato un amico, un sostegno, un aiuto sempre e comunque, per entrambi. Perché era meglio così, perché lui aveva sempre saputo che era meglio così. Perché non sarebbe mai stato capace di tradire il suo amico. Perché sapeva di non poter dare ad Oscar quello che lei cercava. Erano troppo simili. E troppo differenti, insieme. E questo lo faceva soffrire, perché significava dire addio a tutti i suoi sogni, ma era anche felice, perché vedeva che lei aveva già ciò di cui aveva bisogno. E anche a questo doveva abituarsi, a soffrire e gioire insieme, sentire la più grande felicità e il dolore più atroce spartirsi il suo cuore.

Di questo, Oscar e Andrè avevano avuto un vago sentore, ma, presi dalla loro felicità, non si curavano di ciò che accadeva intorno a loro. Passavano le loro giornate insieme, come prima, discutendo in silenzio, lasciando che fossero i loro sguardi a parlare, o i loro gesti. Non avevano bisogno di parole per comunicarsi i reciproci sentimenti, le rispettive emozioni. Oscar sentiva, come fosse stata sua, perché era sua, sapeva, per la stretta dolce e delicata del braccio di Andrè attorno alla sua vita, per la luce che illuminava il suo volto…sì, lei conosceva la sua gioia per quel figlio desiderato e insperato. E non aveva bisogno che lui le esternasse i suoi pensieri per sapere quali erano.

Pure, davanti alla porta di quell’edificio che, per allora, era la loro casa, lui si fermò, girandosi verso di lei e prendendola per la vita, sorridendo malizioso.

- Oscar, mi chiedevo se hai intenzione di fermarti al primo…

- Solo uno, amore? Credi davvero che me ne basterebbe solo uno? – rispose lei, abbracciandolo e guardandolo con la stessa malizia. Lui esitò, un momento, e rispose seriamente, con uno sguardo dolce.

- No, uno non è il numero che si adatta a te.

Lei rispose con un bacio sulle labbra, negli occhi la sua stessa espressione. Si guardarono, scoppiarono a ridere, corsero in casa, Oscar davanti e Andrè dietro, a inseguirla, nell’ingresso, su per le scale, lungo il corridoio, fino alla loro camera. Lui vinse la resistenza che Oscar, da dietro la porta, fingeva di opporgli. L’abbracciò, mentre entrambi ansimavano per il riso e per la corsa…baciò quel sorriso…un  bacio, almeno un bacio…prima di scendere a cena…ma perché scendere a cena?…quello era il suo cibo…un bacio…un bacio…

parte 10b

 

 

Testo non revisionato

 

Un giorno come tanti, nel pomeriggio, pareva che il delirio l’avesse finalmente abbandonata. Il suo respiro era regolare, i suoi occhi tristi ma tranquilli. Le sue labbra erano rimaste immote, se non per fare una richiesta. L’ultima preghiera, aveva detto, mormorando con una voce stanca che veniva da una gola secca e arresa. Una richiesta che avrebbero volentieri rifiutato, non fosse stato per il suo sguardo…quello sguardo… Alain glielo aveva già visto quello sguardo, una volta, una sola volta. Era stato uno sguardo scambiato con Andrè, mentre si dirigevano alla battaglia. Per quello sguardo, aveva detto di sì. Solo per quello sguardo.

Lei era troppo debole per muoversi da sola, l’aveva portata lui, in braccio, fino alla spiaggia, avvolta in qualche coperta perché non sentisse freddo, perché il vento non le arrecasse danni. L’aveva poggiata sulla sabbia, davanti al mare, come lei gli aveva chiesto. Voleva vedere il mare una volta ancora, aveva detto, e sentire la sabbia sul suo corpo, aveva affermato, liberandosi dei teli e rifiutando i cuscini. E poi li aveva mandati via, tutti, anche se sapeva che non si sarebbero allontanati di molto. Li aveva mandati via per avere l’impressione di essere sola, con Andrè attorno a lei, per sdraiarsi sulla sabbia, e avere l’impressione di appoggiarsi al suo petto. Era calda, la sabbia, tratteneva il calore del sole, non permetteva che il vento glielo rubasse. Anche Andrè era stato così: il suo calore non si era mai spento,nonostante tutto, e lei l’aveva ritrovato sempre lì, pronto e disponibile per lei. Perché non si era accorta prima del suo calore? Perché non aveva capito che era lì per lei sola? Perché? Perché?

Distolse a forza la sua mente da quei pensieri, che le scavavano il vuoto dentro. La distolse, perché in lei non c’era più nulla da scavare, ormai dentro di lei c’era solo un grande voto che non poteva più essere riempito, da nessuno. Chi poteva mai sostituire Andrè? Chi avrebbe avuto il suo stesso sorriso, chi la sua prontezza nel capirla? Chi?

Non c’era più posto per lei nel mondo, lo sapeva. Libertà, uguaglianza e fraternità, gloriosi ideali in cui lei credeva fermamente, non potevano ricostruire il suo mondo. Che altri godessero di essi, era la sola speranza che le rimaneva. Lei non poteva più. Lei poteva solo assaporare gli ultimi istanti di sole che le erano concessi, riposandosi sulla spiaggia, senza curarsi della sabbia che le finiva tra i capelli. Non li avrebbe più dovuti pettinare, non lei, almeno.

Girando la testa, per sentire il calore della sabbia sulla sua guancia, i suoi occhi avevano incontrato un piccolo bastoncino che sporgeva dalla sabbia, uguale a quelli che usavano, da bambini, per scrivere o disegnare sulla sabbia, quell’elemento duro e molle, solido e liquido che affascina un po’ tutti.

E allora, un’idea, un ritorno all’infanzia, prima di abbandonarsi al destino…l’aveva estratto, lentamente, dalla sabbia, aveva spianato col braccio un piccolo tratto di spiaggia, manovrato lo stecco per scrivere poche parole, una frase quasi infantile, appartenente più all’adolescenza che alla maturità, più adatta a essere incisa sugli alberi che scritta sulla sabbia, ma tutto ciò che le sue forze permettevano. Dopo, rimase ferma a guardare il sole che scendeva lentamente a incontrare il mare,e a sentire il vento che le accarezzava il volto, sentendo in quelle sensazioni come una promessa, una conferma. Sì, era una promessa, ed era la voce di Andrè a pronunciarla. Quando avrebbe potuto sentirla per davvero, quella voce? Presto, si diceva, presto…

 

Quando, più tardi, mentre l’aria rinfrescava e il cielo cominciava a perdere le tinte rossastre del tramonto, Alain, preoccupato che prendesse freddo, tornò accanto a lei per riportarla a casa, la vide, bellissima, alla luce dell’ultimo sole, addormentata e serena. Un vago sorriso le illuminava il volto, quel sorriso che tanto aveva sperato di vedere in quei giorni. Mentre si chinava su di lei scorse, di sfuggita, la scritta che lei aveva inciso prima sulla sabbia: “Oscar e Andrè”. Sorrise. Lo sapeva, lei era solo per Andrè. I giorni passati al suo fianco glielo avevano fatto capire, non sarebbe mai stata sua. Ma, forse, sarebbe potuta essere ancora per se stessa.

Le toccò la spalla, non voleva spostarla senza che lei lo sapesse. Ma lei non reagì, rimase immobile e rigida, come divenne lui, mentre il gelo dal corpo di lei passava al suo cuore, bloccando lacrime e urla, che non uscirono neanche quando lui prese in braccio quel corpo inanimato, mentre copriva il percorso fino a casa col viso stravolto dal dolore, con un’espressione che disse tutto a Rosalie, senza che lui parlasse. La portò su, la depose sul suo letto, quel corpo già rigido che tanto aveva ossessionato i suoi giorni e le sue notti. Rosalie l’aveva seguito, gli occhi asciutti, degli abiti in mano.

- Bi… bisogna vestirla…- aveva detto, e aveva esitato, poi, a fare l’altra richiesta. Per molte ragioni. – Ho…ho bisogno di aiuto, Alain. Devi aiutarmi a vestirla. – Alain non rispose. Aveva due fazioni in lotta, dentro di sé, desideri contro timore, e rispetto, e qualcos’altro di innominabile. Era una lotta da cui non sarebbe potuto uscire, così prevalse l’esigenza di Rosalie, e lui chinò la testa, annuendo, cacciando in un abisso dimenticato la sua anima, con i suoi desideri e i suoi timori, lasciando solo un corpo pronto a muoversi. Ma quell’abisso non era abbastanza profondo né abbastanza lontano, perché quei desideri tornarono, mentre svestiva quel corpo e toccava quella pelle, fredda e vellutata, corpo inanimato ma perfetto. E mentre la rivestivano, non poté trattenere le sue mani, che vi depositarono una lieve carezza, la prima e l’ultima che si concedevano.

Solo dopo, quando la vide finalmente composta, gli occhi chiusi e la mascella legata, solo allora pianse, messo di fronte all’irrimediabile realtà. Pianse, davanti a quel corpo immobile, pianse, per quell’anima fuggita. Singhiozzò disperato per le occasioni, perse, di ascoltare la sua voce, per lo svanire definitivo del suo sogno, del suo ultimo affetto su quella terra. Pianse, lasciando andare anche le lacrime che non aveva versato davanti al corpo della sorella. Pianse, senza la forza di allontanarsi da quella stanza, come già in passato. Pianse, senza riuscire a pensare, la mente distrutta dal dolore, un’altra volta. Un’altra volta…un’altra volta perdeva una persona cara, su cui aveva investito tutti i suoi sogni e le sue speranze. Un’altra volta…aveva sperato di non vivere mai più un’esperienza del genere. La seconda volta è sempre la peggiore.

E pianse, Alain, incapace di qualsiasi pensiero coerente, pianse davanti a quel letto di morte, come Rosalie pianse da sola, in disparte, aggrappata alle coperte del proprio letto. Anche per lei era una seconda volta, anche lei perdeva nuovamente un sostegno, una guida, una costante della sua vita. Quando la madre era morta, Oscar era entrata in scena, e l’aveva presa con sé. Le aveva dato affetto e protezione, come una seconda madre. E adesso se n’era andata, senza neanche lasciare qualcosa, qualcuno contro cui prendersela, su cui riversare il proprio dolore e il proprio senso di perdita. Pianse, per ciò che le era stato strappato via.

E solo lei riuscì a pensare, capire ciò che doveva fare, riscotendosi dal torpore del dolore, dopo un tempo che non seppe mai passato a soffrire. Si alzò, perché non era ancora finito, il dolore doveva aspettare.

Trovò Alain aggrappato alle coperte, inginocchiato davanti alla salma, il viso nascosto. Sembrava addormentato, ma era sveglio. Sveglio e disperato…il suo dolore non gli aveva permesso di trovare sollievo nel sonno neanche per un breve istante. Appena sentì la sua presenza, volse il viso verso di lei, un viso bagnato e stravolto, segnato dalla veglia e dal pianto. Rosalie, il volto bagnato quanto quello di lui, si fermò, timorosa di parlare. Eppure…eppure…eppure doveva, per quanto fosse detestabile al suo cuore tornare a pensare.

- Alain, dobbiamo pensare a…alla bara…e alla…alla sepoltura- disse. Lui annuì. Un gesto stanco e automatico. – E poi – continuò lei, dovremmo anche avvisare gli altri. – lui annuì ancora. Ma lei non sapeva se l’aveva capita. Forse lui capì la sua perplessità, perché rispose. Si scosse un momento dal suo dolore e parlò.

- Sì…sì, Rosalie, hai ragione. Scriverò io qualche messaggio, e vedrò di farlo arrivare il prima possibile. – si fermò, titubante. – Credo… creo che vorrebbero partecipare. Al suo funerale, intendo. Forse…forse sarebbe meglio aspettarli…- anche lui si odiava, in quel momento, perché lui continuava a vivere e pensare, anche se lei era morta.

- Sì, lo credo anch’io, Alain. Aspetteremo. Aspetteremo finché non saranno arrivati. Qualsiasi cosa dicano gli altri.

E aspettarono, infatti, aspettarono che quel pugno di soldati sporchi e demoralizzati arrivasse per vedere un’ultima volta di cui tutti si erano un po’ innamorati, per la sua bellezza e la sua dolcezza, e per la sua grande, innegabile forza che li aveva contagiati e conquistati, poco a poco. Arrivarono, ancora più sporchi e feriti, e ancora meno dell’ultima volta che l’avevano vista. Arrivarono, ancora più demotivati, chiedendosi perché, che senso aveva tutto quello che avevano fatto, se poi altri ne avrebbero goduto. Altri, non quelli per cui loro combattevano, forse neanche quelli che li avevano spinti alla lotta. Lei no di sicuro, lei che avevano giurato di seguire in ogni caso. Lei che non avevano più rivisto, dopo averla salutata affacciata alla carrozza che l’aveva portata lì a morire.

E vollero sapere come era morta, ogni particolare dei suoi ultimi giorni, da quando l’avevano vista partire. E loro raccontarono tutto, perché di quei giorni avevano impresso a fuoco ogni momento, bello o brutto. Alain raccontò loro ciò che di lei aveva saputo, perché gli sembrava giusto che sapessero, e capissero. Raccontò di quelle vite troppo unite per essere separate, di quella donna troppo forte e troppo fragile per poter vivere a lungo.  E quando lui scordava qualcosa, Marc glielo ricordava, Marc, che trascorreva gli ultimi giorni in quella provincia, prima di andare in cerca di qualcosa che non sapeva se avrebbe trovato.

E Alain raccontò del suo ultimo giorno, dell’unico sorriso che le aveva visto fare. Loro furono contenti di sapere che, almeno, era morta sorridendo. Una contentezza ammantata di tristezza prese ad abitare nei loro cuori, accanto al ricordo di lei.

Pesava non poterla più rivedere, tantissimo. Ma lei era nei loro cuori, e già si fondeva con un’altra immagine, ne diventava parte inscindibile. Un’immagine altrettanto bella e spinosa, desiderata e negata, irraggiungibile ma valevole una vita passata a combattere. La libertà.

 

Con questi sentimenti tornarono alla loro lotta, alla lotta cui lei li aveva spinti, mentre sulla spiaggia il vento e le onde finivano di disperdere i granelli che avevano composto la sua ultima scritta, in cui era infuso ciò che restava del suo amore. Li dispersero nel mondo, senza possibilità di individuarli. Per sempre.

 

pubblicazione sul sito Little Corner del luglio 2005

Fine

mail to: florimonde@hotmail.com

 

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