Forever

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Non c’è tempo per noi. Né tempo né spazio ormai. La materia impalpabile dei nostri sogni ci è scivolata tra le dita e si è allontanata, invece di diventare realtà come ci aveva illuso.

Non c’è più scelta ormai, André: la mia scelta eri tu. Ora, senza di te, ogni cosa mi appare decisa e immutabile: senza di te, posso solo morire. Solo ieri sognavo l’immortalità, ma accanto a te. A che mi servirebbe ora vivere? A che servirebbe l’eternità se l’amore è morto? Chi oserebbe vivere anche un solo giorno a queste condizioni?

Non è giusto, André. Abbiamo avuto poco tempo, così poco! Un solo singolo momento di dolcezza che il mondo ci ha lasciato a disposizione, e si è consumato subito, nonostante le tue parole.

“ Vorrei che questo momento fosse eterno” ti ho detto, nuda tra le lenzuola calde di noi.

“Questo momento è eterno”, mi hai risposto tu, prima di ricominciare a baciarmi, e io mi sono illusa, felice nel tuo abbraccio, che tu avessi ragione. E invece ho fatto a malapena in tempo a dirti “ti amo” che la mattina era già arrivata, e con essa il dovere crudele da compiere, anche se non era quello per cui mio padre mi aveva cresciuta.

Mio padre… credo che, in qualche modo, lui lo sapesse: non sono mai stata un figlio docile e obbediente, non mi sono mai fermata ai limiti imposti dal nostro mondo. In fondo, è anche colpa sua: se avesse voluto che rispettassi gli schemi, avrebbe dovuto vestirmi di trine e merletti, insegnarmi a suonare con grazia il clavicembalo e farmi sposare a quindici anni. Sono felice che non l’abbia fatto: la mia vita sarebbe stata senza sapore. Una vita senza te.

Io credo che l’abbia capito, che non avrebbe potuto fermarmi. Oh, non mi illudo che abbia brindato al mio ricordo, lasciandomi libera di vivere la vita come avrei preferito, ma non avrebbe cercato di fermarmi. Se l’avesse voluto, mi avrebbe uccisa il giorno in cui ti dichiarai il mio amore. Ricordi? È stato il giorno in cui mi ribellai agli ordini del re.

Non sarebbe mai riuscito a uccidermi, anche se tu non l’avessi fermato. Mi voleva troppo bene, nonostante il modo particolare che aveva di dimostrarlo. Mi spiace di averlo addolorato, spero che mi perdonerà, ma c’era qualcosa di più importante dell’affetto per lui.

Non parlo solo della Rivoluzione: parlo anche di noi due, stesi su quel letto a sperare che non arrivasse il mattino, a illuderci che quella notte fosse eterna. Come per un presentimento, non ci siamo lasciati un attimo quella notte: anche nel sonno continuavamo a stringerci. La notte ci ha portato tanta gioia, André…

Il giorno, invece, ha dato solo dolore: a mio padre il mio addio, alla regina il mio tradimento, a me la tua morte. Ma io divago, divago… non riesco più a pensare in maniera coerente. Da quando ho visto i tuoi occhi diventare vitrei, il tuo torace immobile, tutto ha la consistenza di un sogno. Solo il dolore mi dice che è tutto vero: la sofferenza di essere, per la prima volta, veramente sola, il dolore di questi proiettili nel mio corpo. Tutto il resto è solo un sogno: la Bastiglia, il popolo, i soldati, è un incubo da cui non riesco a svegliarmi. Come sono un sogno adesso le voci dei miei soldati, i pianti di Rosalie. Ma forse mi sto svegliando, si fanno sempre più lontani… André, sei tu? Vieni amore, prendimi in braccio e portami a letto, ho tanto sonno…

 

Una voce familiare che la chiamava, il dolce scrollio che scuoteva le nebbie della sua mente. No, no, non voleva svegliarsi, non voleva tornare a quel mondo di dolore e dovere. Perché non la lasciavano passare dal sonno alla morte? Illudersi che le braccia di André la stringessero, proteggendo il suo respiro addormentato, accompagnandola in quell’ultimo viaggio? Sarebbe stato così dolce, allora, morire! Non ci sarebbe stato il famoso gelo, ma il calore del suo uomo. Il fiato fetido della morte avrebbe avuto il profumo del respiro di André, e lei vi si sarebbe abbandonata tranquilla, finalmente in pace. Perché non volevano lasciarla andare?

Il richiamo continuava, ed era la sua dolcezza a scuoterla soprattutto. Quanto era stata affamata di dolcezza, prima! Affamata di darne e averne… forse era stato per questo che aveva tenuto con sé Rosalie tanto a lungo, era stata per lei la bambola che non aveva mai avuto, la figlia che non avrebbe mai partorito. Sotto il ghiaccio del soldato, era sempre scorsa la lava dell’essere umano, quel fuoco che André conosceva così bene.

Ma ora, a che le serviva la dolcezza? Non esisteva più nessuno da cui l’avrebbe accettata, come un albero secco non si risveglia sotto la carezza dell’acqua.

Eppure non poteva fare a meno di agitarsi, al suono di quella dolce insistenza, e non di solo fastidio, ma anche per una sottile speranza che non la abbandonava, come se dentro di lei vi fosse la consapevolezza che qualcosa era già cambiato, in quel limbo in cui il dolore appariva lontano.

E la voce continuava, dolce. Chi mai aveva avuto una simile dolcezza con lei? Nessuno, mai nessuno, se non forse André. Le aveva sempre dato tanto, e lei l‘aveva sempre ritenuto così scontato… le mancava, quanto le mancava!

“Oscar, su, svegliati Oscar!” controvoglia, socchiuse gli occhi, cedendo finalmente all’insistenza. Appena misero a fuoco il viso che avevano di fronte, le si riempirono di lacrime, credendo di essere nuovamente vittima di un’allucinazione. Quel viso si distese in un sorriso, pago di vederla sveglia, desideroso di consolare quelle lacrime che ora asciugava.

“Avanti, Oscar, non c’è motivo di piangere! È tutto finito ormai.

“André, ma tu… tu eri…” provò a parlare, ma quella verità troppo grande per lei non voleva essere detta.

“Sono qui, Oscar.”

Le lacrime scorrevano ancora copiose sulle sue guance, mentre la sua mente si ribellava alle sue parole.

“Dio mio, André, com’è possibile? Sei morto tra le mie braccia!”

Un dito a sfiorarle le labbra, a imporle il silenzio.

“Sono qui, ora.”

“Ma com’è possibile, André? Sto sognando? Sono morta?”

“Ti dispiace che io sia qui, Oscar?”

“Che sciocchezze dici, André? Ho sofferto così tanto…”

“Era un sogno, Oscar, solo un brutto sogno.”

“André…”

Tante cose vorrebbe chiedergli, qualche prova di quel che dice, ma cosa importa? Lui è lì, lei è lì, il resto non conta. Cosa sia quel lì, per quanto esisterà, non ha importanza.

Sì, sì, hai ragione André. Prima era solo un sogno, questa è la realtà. E se anche non lo fosse, non lo vorrei sapere. Per questo lascio che le tue labbra m’impongano il silenzio, che le domande muoiano in me sotto questo bacio che avevo imparato a conoscere da così poco e che già mi mancava. Ma tu stringimi André, tocca le mie lacrime con le tue labbra, tocca il mio mondo con la punta delle tue dita, e crederò anch’io che potremo averci per sempre. Potremo amarci per sempre, André.

 

Ero pronto ad aspettarti per sempre, amore mio, e tu sei venuta da me. È la seconda volta che mi offri ciò che più desidero, Oscar. Cosa posso chiedere di più? Per me è sempre stato un giorno di pioggia quello senza te, un tempo senza senso quello trascorso senza di te. Non ho mai avuto altra scelta se non quella di arrendermi, sono sempre stato tuo prigioniero. Cadevo in pezzi attorno a te, anche se tu non te ne accorgevi. Ero solo, solo tu potevi salvarmi: il mio cuore gridava al tuo, le mie mani volevano stringere le tue e non potevano, e dovevo mantenermi freddo, anche se tu accendevi il fuoco in me… tu sei sempre stata puro fuoco, e io ho rischiato di consumarmi alla tua fiamma. Nessuno mi aveva mai avvertito che l‘amore avrebbe fatto soffrire tanto, né che il dolore sarebbe stato così vicino al piacere, ma non ha più importanza. È passato, dimenticato fin dal momento in cui le tue labbra hanno accettato le mie, e quella strana alchimia di dolore e piacere è stata solo gioia.

E adesso, Oscar, adesso sei con me. Resta con me, ti prego, resta. Le mie labbra cercano le tue, son affamato del tuo tocco, e… oh, ci sono così tante cose lasciate non dette, e ora abbiamo il tempo per pronunciarle.

Siamo insieme, e nient’altro conta. Non ha importanza se questo luogo è bianco o nero, in cielo o in terra, se ci è concesso un giorno oppure un anno. Anche un solo istante tra le tue braccia potrebbe ripagarmi di una vita di attesa solitaria, e tuttavia neanche questa è la cosa importante.

L’unica cosa che importi è che siamo insieme, e questo è eterno.

Oscar, l’eternità è il nostro oggi.

 

 

 

Queste pagine nascono dal reiterato ascolto di due canzoni: “Who wants to live forever”, scritta da Brian May (in taxi in 15 minuti, quando si parla di geni…) e “One year of love” (da “A kind of magic”, Queen). Grazie a Gaia che ha sopportato e sopporta i miei vaneggiamenti; grazie a Laura che mi presta più attenzione di quanto meriti. Grazie a mia sorella, prezioso aiuto quando il mio inglese vacilla. E grazie a tutti quelli che hanno lavorato per il film “Highlander”, senza cui le due canzoni di cui sopra non sarebbero mai state scritte.

pubblicazione sul sito Little Corner del luglio 2005

Fine

mail to: florimonde@hotmail.com

 

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