Improvviso - D’amore e di addio -

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics, fanarts, essays, pictures and all original works belongs, in its entirety to each respective ff-fa author, as identified in each individual work. All Rights Reserved Worldwide.


Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's express permission is in each case requested for use of any content, situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to such author. We do not use files downloaded or copied from another website, as we respect the work and intellectual property of other webmasters and authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all cases that you request prior written permission from us. If and when we have granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also required to add a link to our disclaimers and another link to our email address.

The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed material containing works belonging to our authors, such as fanfics, fanarts, doujinshi or fanart calendars.

 

Parigi bruciava. Avvolta in una cappa di fumo e polvere di ferro.

Un ruggito sembrava uscire dal cuore della terra: l’urlo disperato di un gigante ferito.

Il sole scarlatto sprofondava stanco e pesante come un sasso, nel fiume.

E in quel tramonto, voli di colombe. Sfiorarono l’acqua e si librarono nell’aria.

Sembravano sagome nere, scolpite in rilievo nel rosso sanguigno del cielo in fiamme.

Poi, leggere, lo abbandonarono, cercando riposo altrove, e lasciando alla luna quel che restava del giorno.

Ci si sarebbe potuti innamorare davanti a quel tramonto, se non ci fosse stata l’imminenza della morte dietro a quell’inganno.

Perché era per gli occhi degli amanti quell’ultimo spettacolo della sera: il sole che ardeva e le sfumature di quel cielo.

Ma non potevano vederlo. Nel cuore mille paure. Nello sguardo il medesimo orizzonte di giustizia e libertà.

Ed era talmente bello il bosco quella sera! I cespugli di rovi, di edera e felci, si aggrovigliavano e si arrampicavano tra loro. I rami e le foglie esplodevano verso l’alto e, intrecciandosi, formavano un tetto, un arco naturale, dove in mezzo scorreva il fiume.

L’ultimo spiffero di luce sparì là sotto, dove il crepuscolo giunse presto, prima che in ogni altro luogo.

In quel cielo a metà, nella striscia viola sull’orizzonte, splendeva la prima stella della sera.

Poi  tutto si coprì di un blu assoluto, come una enorme macchia d’inchiostro che si allargava velocemente sulle cose solide e sulle forme d’aria, su rilievi di zolle e fenditure nascoste.

Gli alberi sembravano un esercito muto e fitto di ombre, rifugio sicuro per nascondersi o per permettere che libero l’amore potesse finalmente compiersi…

                                  

                                                                       ***                            

 

L’amore è un reticolo di sangue.

L’ho capito stanotte.

Quando l’ho sentito allagarmi l’anima, e sciogliere la paura, il desiderio, e le tue parole...

Perché anche il flusso delle parole è sospinto dal cuore. Scorre dentro inarrestabile, proprio come in un circolo sanguigno.

Anche quando non si sentono, continuano a fluire silenziose. E in quel ciclo continuo si logorano, si rigenerano, acquistano nuovi significati. Fino a quando, spinte dalla forza dei sentimenti, zampillano fuori. E si manifestano. Nuove e terse. Come un “Ti voglio bene” mai pronunciato prima. Strappato improvvisamente, in una sera d’estate, alla paura, al dubbio, all’inconsapevolezza.

Lo sapevo che mi amavi. Lo speravo, in verità. Ma non ne ero completamente sicuro.

Le avevo così tanto desiderate, inseguite, attese, quelle parole, ma poiché non erano mai arrivate, infine, una notte, le avevo sognate.

Quando le hai pronunciate, è stato come qualcosa che deflagra dentro, all’improvviso, con violenza.

Ero come aria nell’aria. Sostanza volatile. E ho smesso di pensare. Ho smesso di vedere. Non ho visto la luna rosa, come una perla finissima, che si sollevava con lentezza e precisione dalla spuma dell’acqua. Non l’ho vista cambiare colore, diventare più pallida, più luminosa, più rotonda e perfetta, mentre si stagliava maestosa nel cielo sopra gli alberi. Né le lucciole muoversi in una danza alata, sul filo d’acqua tremolante.

Ma ho inteso chiaramente ciò che volevi dirmi. Con la consapevolezza di essere un uomo.

Di cosa sono fatto. E di che sostanza è fatta la felicità.

 

                                                                       ***

 

L’amore è un reticolo di sangue.

L’ho capito stanotte. Quando l’ho sentito, in me, e mi è sembrato che il cuore si stesse fermando, che si stesse schiantando. Ma poi ha ripreso a pulsare più veloce. E in quella pausa, tra un battito e l’altro, è stato un po’ come morire. Una sensazione tremenda e meravigliosa insieme. Invece era solo paura. Ed è terribile la paura che si insinua nella speranza. Mi ami ancora? – continuavo a ripetermi –.

Mi hai guardata. Non come si guardano solitamente le cose di ogni giorno. Ma con uno sguardo innocente, che sa osservare le cose più semplici, trovandole miracolose e immacolate. È uno sguardo dentro. Che sa cogliere le verità più profonde, che dice senza dire: “Ho capito. Lo so che mi ami. E io ti amo da sempre e per sempre. Stai tranquilla, stai tranquilla…” Poi mi hai sorriso. E io mi sono sentita il sole dentro.

Ti fissavo con gli occhi sbarrati. Perché ancora non ci credevo. Mi amavi, nonostante tutto. Nonostante il tempo. E Fersen. Nonostante me.

Ho pianto. Non ero riuscita a farlo mai. Mai per te.

Hai aperto le braccia e mi hai portato dentro. Mi hai stretto forte, fortissimo, da non poter respirare. Non c’era un attimo di spazio nel tuo abbraccio, né un filo d’aria tra i nostri corpi.

Mi hai chiusa dentro. In un cerchio invisibile a separarci dal mondo. Fuori la violenza e il buio. Dentro solo la luce del nostro amore. Che, improvvisa, ci ha fatto chiudere gli occhi e sentire l’urgenza di un bacio.

È stato un timido assaggio, una carezza lieve che scivolava dentro piano. Un bacio lento, morbido, perché il cuore correva troppo veloce e non ce la faceva a reggere tanta dolcezza, e le labbra non sapevano ancora come muoversi, cosa dirsi. Ci  siamo staccati presto, come se bruciassero, sfiorandone i contorni e seguendone i movimenti con gli occhi. Sembravamo due ragazzini impauriti al loro primo appuntamento. Ma dentro c’era tutto: desiderio, passione e rimpianto. Baci mescolati a fiato, a lacrime e sale.

In quegli istanti sono stata consapevole di essere una donna, di cosa sono fatta, e di che sostanza è fatta la felicità.

                                                          

 

***

 

Mai più avrebbero dimenticato l’attimo prima del bacio e dell’amore, quell’istante di totale smarrimento e magia. Era come se si stessero già toccando, come se avessero già iniziato ad amarsi. Sentire quel profondo senso di attesa; il respiro gonfio, abbracciato al ritmo impazzito del cuore; il vuoto nella testa e dentro, un vuoto che pareva spalancarsi e attirare tutto come fosse il centro della terra. Le emozioni concentrate lì, ferme in quell’incontro di sguardi. Tutto era immobile e silenzioso, come quando sul palco si alza il sipario mentre si aspettano gli attori. Anche l’aria era densa di impaziente desiderio, sembrava l’attesa irrequieta del cielo prima del temporale, quando dentro ogni cosa si sente aleggiare un brivido…

 

E un brivido provai io ad averla così vicino. La sentivo agitarsi nel mio sangue, premere, in un punto imprecisato del corpo. Perché dentro di me tutto correva veloce, e il cuore accelerava e pulsava ovunque e sospingeva impetuosamente sangue, respiro. Allo stesso modo, il mondo là fuori, nelle ultime settimane sembrava stesse precipitando, ruotando vorticosamente, ma ora sembrava rallentare e di colpo arrestarsi.

Non saprei dire del tempo, istanti o anni. Ero in un’immobilità irreale, tra speranza e paura. Fermo, la guardavo. Aspettavo[1]. Non riuscivo a fare altro. Perché non era facile per me, anche se la desideravo in un modo mai provato prima.. Avrei voluto sfiorarla, farmi toccare, esserle già dentro e sentirla. Ma non ne avevo il coraggio, e non volevo più rubarle neppure un bacio, fraintendere le sue intenzioni… sbagliare ancora.

Non era solo desiderio, era un bisogno così intimo e profondo, insieme troppo forte da trattenere. Aveva il sapore delle cose da troppo tempo attese, dei desideri rincorsi e mai saziati, dei primi giovani sogni di ragazzo, cresciuti con me e mai avverati, di una passione smisurata mai consumata.

Avevo i pensieri muti e bianchi, ma i sensi erano accesi, e vegliavano. Su di lei, a cogliere un segnale, un cambiamento d’espressione, ogni piccolo, implicito messaggio d’amore. Scrutavo il suo viso, il movimento di ogni muscolo, e nei suoi occhi vedevo scorrere tutte le paure e gli stessi miei desideri. Ma volevo darle tempo. Volevo darle il tempo di ascoltarsi, di lasciare che le cose accadessero senza fretta.

 

La vidi, nuda. Ebbi l’impressione che tutto scomparisse dalla mia vista. Quasi smarrito, nessuna parola mi sembrava adeguata, senza parole, percepivo ogni cosa come dentro a un sogno, dentro a un tempo senza tempo; i suoi gesti mi apparivano rallentati e il suo corpo lieve ed etereo.

Anche la sua anima era nuda di fronte alla mia. E quella sua inconsapevole sensualità la rendeva ancora più bella, e sgretolava l’immagine del comandante, liberando la donna vulnerabile e tenera. Mentre sentivo che, lentamente, si stava allontanando dalla sua antica identità, che stava emergendo il nucleo più vero e profondo di sé, e che nulla sarebbe stato più lo stesso, quasi non riuscivo ancora a credere che fosse lì per me. La più bella di tutte le cose più belle. Quella che sbriciola ogni paragone e diventa la pietra di tutto.

In fondo, non mi sarebbe importato molto se domani fossi morto o diventato cieco. Avrei avuto ciò che desideravo da sempre. Un’altra occasione: i miei occhi, in cambio di lei. Mi sembrò uno scambio vantaggioso. E non ho avuto dubbi. Ho scelto lei.

Con il dorso della sua mano sfiorò la mia e risalì lungo il mio braccio, lenta, lieve. In un gesto ancora incerto, guidò, piano, le mie mani sui suoi piccoli seni, sensuali, quasi acerbi. Li sentii farsi rigidi, al mio tocco. Un fremito. E anch’io tremai, un’ondata di dolorosa dolcezza. Trattenni il respiro eccitato, baciando, ora, ciò che lei aveva nascosto.

Poi, in ginocchio, e, poi, abbracciati, insieme, l’erba ci nascose.

 

Una luce lunare filtrava a sprazzi tra le chiome degli alberi, le gocce d’acqua guizzavano come scintille e illuminavano i suoi capelli confusi nel verde. Alcune ciocche ricadevano nel fiume e ondeggiavano languide. Era bellissima. Gli occhi accesi d’amore e il corpo abbandonato tra i fiori.

“Sei bellissima” ti confesso, mentre sento la mia voce tornare e tu non sai cosa dire. Subito abbassi lo sguardo e stendi le labbra in un accenno di sorriso, le tue guance rosate, accese.

Lo so amore, fai così quando non riesci a ricevere un’attenzione, un complimento, a sostenere uno sguardo ammirato.

 

Nel preciso istante in cui mi adagiai su di lei, contro la sua pelle calda, impazzii.

Fu come un’ondata ghiacciata e violenta contro gli scogli. Un’improvvisa felicità. E un’improvvisa paura. Di non potermi più controllare. Di non poterla amare come avrei voluto.

Sentivo la coscienza espandersi, i sensi moltiplicarsi. Per toccarla, sentirla. Ogni cosa mi sembrava amplificata: il suo respiro tiepido e il battito del suo cuore, il fruscio delle foglie, l’odore di muschio e quello delicato della sua pelle.

Le nostre mani, impacciate. Le sue, infine ferme, sul mio petto, sul mio cuore impazzito. Poi lasciai che le dita e le labbra seguissero il percorso del mio sguardo lungo il suo corpo, a tracciare il disegno della sua storia, tra piccoli segni di vita. Un segno - un bacio -: un livido sul suo ginocchio, una cicatrice lungo il braccio, la vena azzurrina che percorreva la pelle sottile del suo seno bianco, una macchia bruna sulla spalla.

Mentre il bosco si preparava per la notte, e ogni creatura lentamente si assopiva, l’usignolo intonò il suo canto della sera. E, quando il fiume come un nastro d’argento bagnò la luna e le lucciole, stavamo già facendo l’amore.

***

 

Non lo immaginava esattamente così l’amore con lei. Nei suoi sogni era semplice, spontaneo, non c’era nulla da imparare, nulla da temere. Tanta apprensione, ansia, gli sembrava di non averle mai provata. Temeva non fosse tutto perfetto. Temeva di deluderla. Temeva le reazioni di lei, forse spaventata, tesa.

André tentò di ignorare quei pensieri. Una carezza, un bacio, poi sfiorarsi con una tenera incertezza.

Si fermò, scostandosi, quando lesse l’incertezza sul suo viso. E Oscar si sentì improvvisamente nuda e fredda senza il suo corpo addosso. Era un confine troppo rigido per contenere tutto l’amore che c’era dentro. Qualcosa di troppo finito per dire l’infinito di un amore senza respiro.

“Ti ho fatto male, scusami…” disse.

Avrebbe voluto cancellare quel momento, tornare indietro per ricominciare, rinascere per riavere tutto e amarla di nuovo e più forte, e di più.

“No, no, André… mi dispiace, io…” abbassò lo sguardo, vergognandosi. Le tremò la voce.

“Non… non dobbiamo per forza…”

“No! È solo che… io…” sembrava insicura. Spaventata. Un’innocenza che lo intenerì. Non l’aveva mai vista così. Nemmeno per Fersen. Avrebbe voluto cullarla tra le braccia, per farla addormentare serenamente.

“Lo so…” la interruppe. Non aveva bisogno di aggiungere altro. André poteva sentire cosa le si agitava nell’anima.

“Hai paura…” sussurrò, sperando di apparire tranquillo, ma dentro mille emozioni attorno al cuore.

Lei non rispose. Cercò comprensione nel calore dei suoi occhi buoni, e fece un cenno affermativo con la testa.

André avrebbe voluto raccontarle le sue paure. Senza ferirla, senza spaventarla. Farle sentire cosa stava provando, cosa stava accadendo dentro di lui; mostrarsi fragile, per poter accogliere la sua fragilità.

Esitò un istante prima di parlare, per raccogliere i pensieri e scegliere con cura le cose da dire.

“Io… credo di capire quello che provi… Anch’io ho paura, Oscar… perché l’ho desiderato tanto, questo momento, e ora, invece… non posso prometterti che sarà perfetto, non posso… ma sarà per amore…”

Lei sorrise.

Come sempre, pensò, carezzandogli dolcemente la cicatrice sull’occhio sinistro, segno concreto del suo concreto e generoso amore.

André, ancora una volta, si era preso la sua paura e le aveva restituito sicurezza e tepore. E lei avrebbe voluto urlarglielo quanto lo amava, ma non era mai stata brava con le parole, non riusciva a dirlo quell’amore silenzioso. Rimaneva fermo tra la gola e il cuore.

Se solo avesse avuto la sua stessa naturalezza nell’esprimere l’affetto! La sua stessa forza nei sentimenti.

“Mi ami?” chiese lui d’un tratto, con innocenza, scoperta, dolorosa, piena di speranza e paura. Le sollevò il mento con le dita, perché potesse guardarlo. Aveva bisogno di sentirselo dire e questa volta non si trattenne.

“Con tutto il cuore” gli confessò, sicura.

 

Restò in silenzio.

A lungo.

Poi, dopo aver trovato il coraggio, parlò.

“Avrei potuto amarti già da molti anni… se solo me ne fossi resa conto prima…” ammise, scostando lo sguardo, chinando la testa, invasa da un’improvvisa ondata di rimpianto e da qualcosa di doloroso simile al senso di colpa.

Lui sorrise.

Annuì, coprendole le labbra con un dito, travolto da una limpida gioia infantile. “Grazie” disse piano, vicino all’orecchio, cullandola tra le braccia, mentre pensava che insieme erano tutta la forza che serviva. “Grazie…”

Poi,  d’impeto, la strinse forte, in un bacio. Lei fu felice. Rimase a lungo dentro al suo abbraccio, in quella stretta di speranza, di amore.

Accoccolata accanto a lui, la guancia sul suo petto, percepiva il battito del suo cuore. Si intenerì. Le sue mani calde piano le disegnavano carezze sulla schiena. Chiuse gli occhi.

Nel tepore di quel contatto, mentre la tensione si scioglieva, pensarono che era bellissimo rimanere così, e ascoltarsi, con la pelle, anche senza fare l’amore. Era anche quello, amore.

 

“Non vuoi più…?” osò lei, intimidita dalla sua stessa domanda.

André si sollevò sulle braccia, le sistemò un ricciolo dietro l’orecchio, le baciò la fronte, le palpebre, il mento, una guancia, la tempia. Poi, accompagnò gli occhi alle parole, per farle sentire fin dove la forza di un amore lento e ostinato poteva arrivare.

“Tu non sai quanto ti ho desiderata…” ammise con una tale profondità nello sguardo e nella voce che la fece tremare, “quanto ti ho aspettata, l’effetto che hai su di me… io ti voglio, Oscar.”

Ti voglio talmente tanto che ho persino paura di me stesso… perché tu sei il mio amore tanto sperato e… ora sei qui, tra le mie braccia, sei qui, e io ancora non riesco a crederci, e…

Poi, pensieri, parole si persero sulle labbra, non appena lei lo baciò.

Anche André la baciò. La sensazione  calda e intensa della sua bocca sulla propria Oscar l’avrebbe conservata a lungo, fino alla fine, oltre le lacrime.

Fu molto di più di un bacio. Perché non aveva aspettato altro, non voleva altro. Dentro c’era tutto l’amore silenzioso e disperato di quegli anni. Potente, violento, staripante. Ancora la baciava, e più la baciava, più non riusciva a saziarsi. Non riusciva a fermarsi. Era come se il dolore di quei lunghi anni di silenzi e solitudine, potesse essere cancellato così… quei gesti lenivano le ferite dell’anima. E lei si sentì così piccola tra le sue mani, al sicuro, e si lasciò trascinare da quella passione, sciogliendosi.

Come cera, come neve al sole. Come un ultimo inverno nel lento disgelo della primavera.

 

Era così diverso quel bacio! Dolce e violento insieme. Perché l’ho sentito divampare dentro, diventare calore. Tu, le mie labbra, io, dimenticandomi di respirare. Perché quel bacio durava. Continuava. Non finiva. Sgretolava il silenzio, inconsapevole.

 

Con la bocca percorse tutta la sua pelle.

Lo sentì su di sé. Lo guardò.

“Ti amo…” le disse.

Lei vide i suoi occhi.

Lo sentì scendere.

In basso.

Poi, vide la luna alle sue spalle. E le stelle.

Lo sentiva, e pensò che si sentiva bene, intensamente viva, infinitamente amata. Pienamente donna.

Pensò che lo amava, profondamente.

Desiderò con tutta se stessa che quella notte non finisse mai.

Poi, si abbandonò a lui. Percepiva un’ondata di calore che dal ventre si propagava ovunque e che lentamente faceva evaporare la coscienza. Perché non si accorse che aveva smesso di contare le stelle e le palpebre si erano chiuse lentamente. Non si era resa conto che aveva affondato le mani tra i capelli di André e lo stava spingendo piano, che un brivido di stupita meraviglia aveva attraversato il suo corpo. La sentì, sotto di sé, aprirsi. La desiderò, quasi con violenza. Un fuoco vivo e bruciante.

Oscar gemette piano, quasi con pudore, mentre abbandonava le braccia sull’erba, sopra la testa, e il respiro si faceva più rapido. Lui la guardava con occhi adoranti, la sentiva tra le mani come fosse il dono più fragile e prezioso: un cristallo pregiato, un fiore rarissimo. Eppure, ardeva, di desiderio. Passione. Qualcosa di irrefrenabile.

Ebbe l’impressione di essere arrivato finalmente nella sua casa.

Le prese le mani, le strinse forte. E non le lasciò più.

“Dio quanto ti amo!” sussurrò, prima di spingersi dentro di lei, senza nessuna resistenza.

Gli sembrò di gridare quando la sentì, e i suoi fianchi magri premergli contro, mentre Oscar lo chiamava, lo chiamava amore.

La guardava, attento, assorto, concentrato sul suo viso, le sue espressioni.

Desiderava che stesse bene. Che provasse piacere.

Non era facile incontrarsi nei tempi dell’amore. Ma il corpo ascolta, immagina, impara presto il tempo, aggiusta il cuore.

Era come il lento sciabordio di una barca che scivola sull’acqua, nel mare calmo della sera. André seguì quel ritmo, che lo accolse e lo portò lontano, lontano… sognando l’approdo. Fino a quando tutto fu bello, dolce, naturale, come se lo avessero sempre fatto.

Il suo sguardo ancora su di lei.

“Stai bene, amore…”

Ti chiedo, ansimando, mentre mi cullo nel ritmo che ora sembra allinearsi al battito del mio cuore.

Mi sorridi, un cenno, le labbra schiuse.

Forse sono un presuntuoso a sperare di poterti dare solo bellezza. Ma non desidero altro per te.

Ho quasi paura… vorrei domandarti se… se ti piace…

Se…

 

André, sento il tuo ardore, la forza trattenuta del tuo corpo e quella delle tue braccia mentre mi attirano a te. Il calore del tuo sguardo eccitato. La carezza delle tue mani strette nelle mie, come a voler trattenere l’amore, non lasciarlo scappare. E il respiro che rimane schiacciato nel petto, tra i nostri cuori impazziti.

 

C’era qualcosa di profondamente primordiale e di spirituale insieme in quella passione. Di impudico, terreno, fisico e divino. Era terra e cielo. Morte e resurrezione.

Si fermò ancora un istante. Cercò di trattenere il piacere, concentrandosi sul suo. Anche perché voleva che quel momento durasse a lungo, per sempre. Ma lei continuava a muoversi sotto di lui, a spingere di più, sinuosa e accogliente, come a dirgli di non fermarsi, di continuare.

“No, aspetta Oscar, un istante… non così…” quasi la pregava, con la voce arrochita e il fiato corto. Lei non lo ascoltava più. Sembrava fissarlo, ma in verità aveva smesso di vederlo.

 

Guardo il cielo.

È di una profondità sconfinata. Eppure appare così vicino! Dà l’impressione di venirci addosso.

Le stelle sembrano scendere come pioggia, a cascate, e poi risalire, vincendo la forza di gravità.

Allo stesso modo, da bambina osservavo, insieme ad André, la neve cadere da mondi lontani.

La fissavo con occhi pieni di incanto, per un lungo, meraviglioso momento.

Era come se quei fiocchi facessero il percorso inverso, come se si sollevassero da terra e venissero risucchiati negli abissi del cielo.

E mi sentivo così leggera, sospesa, come in una bolla di pace.

E anche in questo momento, durante l’amore, potrei volare.

Sono sostanza volatile: aria, polvere, schiuma del mare.

 

***

 

Due corpi vicini fanno una musica. È una melodia dolce, la pelle umida di piacere e sudore che scorre, si strofina, preme. Come sabbia bagnata sotto i piedi. E anch’io mi sentii dissolvere come schiuma sulla battigia.

Mi commossi, a vederla così, abbandonata tra le mie braccia, morbida, tenera, arrendevole, come non l’avevo vista mai, un sorriso sulle labbra, e il respiro abbracciato alla mia anima. Ed era bellissimo osservare le espressioni del suo piacere, che poi era il mio, e veniva da me. La vidi chiudere piano le ciglia, alzare il mento, e inarcare la schiena. La sentii stringermi.

Sentivo la sua voce, calda. Sensuale. Non la sua solita. Mi riempiva completamente. E nella sua eccitazione, sentivo la mia. Mi abbandonai, perdendomi dentro il suo corpo. Mi lasciai afferrare, trascinare. Ero suo.

 

Ora potevo esserlo.

Liberamente.

Proprio io, che per tutta la vita avevo imparato a trattenere il respiro.

Sospeso sul ciglio di un precipizio.

E mi lasciai cadere nel vuoto, senza aggrapparmi a nulla.

 

Ero lì, con lei. Ero felice.

E, lì, in quel breve, vertiginoso momento, cancellai in un respiro, tutto il tempo del silenzio e del dolore.

 

Allontanai il mio sguardo dal suo, solo un istante.

Chiudo gli occhi un istante e torno subito da te, amore… un momento solo...

Dissi, e quella voce sembrava venire da lontano, fuori da me.

 

                                                          

***

 

Erano sospesi nel nulla ora, come quando da bambini, salivano sullo scoglio più ripido nel mare di Normandia, intrecciavano le dita, tanto strette da farsi male. Gli occhi negli occhi, riuscivano a tenere lo sguardo e rimanere così, fermi, per un tempo incalcolabile, avvolti in una misteriosa corrente, una comunione di anime.

La paura scorreva lungo la schiena, fino ai polpastrelli, il cuore martellava nel petto. Poi un cenno, quasi impercettibile, ma per loro chiaro e familiare, un ultimo profondo respiro e un grido, all’unisono.

Si lasciavano andare, lanciandosi nel vuoto. In caduta libera. Mancava l’aria, e il vento faceva chiudere gli occhi e stirare le labbra. Libero e leggero era quel volo. Due bambini e le loro ali. Paura ed estasi, tensione e gioia. Poi l’impatto con l’acqua tiepida d’estate, limpida e avvolgente, che li accoglieva e ospitava. E giù, più giù, fino a sfiorare il fondo, fin dove l’azzurro diventa blu e mistero e la luce scompare, in un mondo incantato e sconosciuto.

Si sentivano avvolti in una bolla di pace e silenzio. Su di loro solo un cerchio di luce tremolante sulla superficie dell’acqua. Il sole dentro il mare. Per un po’ guardavano le cose intorno galleggiare confuse, poi, spalancavano braccia e gambe e si  lasciavano cullare dalle onde, senza volontà, senza coscienza, guidati solo da una sensazione di indicibile benessere e stupore. Fluttuavano vicini, i movimenti languidi, morbidi, i capelli intrecciati, ondeggiavano lentamente come alghe chiare e scure.

Infine, quando i polmoni erano talmente gonfi e reclamavano aria, si scambiavano un cenno lento con il capo, in una muta intesa, e si sollevavano leggeri verso la superficie.

Dal pelo dell’acqua verde, sbucavano per primi gli occhi verdi di André, feriti dalla luce, poi, il suo sorriso luminoso.

 

Verdi e teneri quegli anni, come le foglie e gli steli d’erba, ora. Verde il loro amore, fresco e nuovo, eppure antico e profondissimo.

 

Ora come allora la perfetta armonia tra due anime, le dita sempre allacciate, il respiro veloce.

Infine, si strinsero più forte.

Caddero abbandonati, arresi.

A guardarsi con le palpebre schiuse e umide di gioia.

E, come ieri, sentivano quell’amore troppo grande per restare confinato nei loro corpi. Ma André adesso sapeva che quei limiti si potevano dissolvere, e che il suo confine diventava frontiera. Terra di conquista. Luogo di intima e profonda accoglienza.

 

Stesi su quel letto di erba e di terra, ebbero l’impressione di essere cullati dalla brezza d’estate, dal fruscio delle chiome degli alberi che si muovevano, ora velando, ora illuminando e disegnando chiaroscuri sui loro corpi appagati.

Tutto intorno taceva. Il cuore della terra e i loro, rallentarono i battiti.

Avvinti d’amore, sfiniti di baci, rimasero avvolti in uno stupito silenzio, come figli di quel cielo e di tutta quella straordinaria bellezza.

Proprio loro, così disabituati alla gioia.

Erano felici.

André avrebbe voluto restarle dentro per sempre. Riposare in lei.

Quando la passione mutò in dolcezza. E, sulle ore di quella felicità, scese la notte.

 

                                                                       ***                            

 

 

L’ho accompagnato nel sonno, fino a quando non l’ho visto addormentarsi sereno, con le braccia piegate, e una guancia sull’erba, i lineamenti distesi, le ciglia scure, un sorriso lieve.

Forse stai sognando me – mi  sono ritrovata a sperare, come una ragazzina innamorata.

Ho sognato che mi amavi – mi ha sussurrato al risveglio, come un ragazzino ubriaco d’amore.

Lentamente si è voltato, e non so cosa mi ha illuminato prima: quel suo invincibile sorriso o il suo sguardo innamorato. Mi hai guardata, mi hai sorriso, e mi sono sentita il sole dentro. E poi, di colpo, un pensiero, una certezza: nessuno mi avrebbe mai amata quanto mi amava lui. E, anche se, forse, non poteva ancora crederlo, nessuno lo avrebbe amato quanto me.

 

Potrei amarti più di così? Gliel’ho detto con un bacio.

E di nuovo abbiamo fatto l’amore. Piano. Senza fretta. Perché avevamo imparato, e l’amore adesso faceva meno paura.

 

 

                                                                       ***

 

 

Parlavano sottovoce, come se avessero potuto disturbare qualcuno. Era un mormorare intimo e soffuso che evaporava nell’aria, fatto di parole ardite e imbarazzate insieme.

“Guarda, André, una stella cadente!” Oscar sciolse le dita dalle sue, per indicargli la scia di una stella lontana a illuminare e svelare un sogno antico e segreto. Lui distolse lo sguardo dal suo viso e si voltò a guardare quella stella, la più grande e splendente tra tutte.

“Possiamo esprimere un desiderio” propose lei. Sembrava una bambina.

“Che cosa vorresti?” gli chiese, curiosa, prima di sentirsi graffiare il cuore per non avergli mai fatto quella domanda. Hai potuto scegliere e desiderare così poco nella tua vita!

“Non desidero niente, Oscar. Tutto quello che voglio è qui con me.” rispose lui con un’espressione serena, stupendola ancora una volta. “E tu, invece, cosa desideri?”

Lei gli prese la mano, se la posò sulla guancia. La baciò a lungo. Erano belle le sue mani.

“Vorrei diventare tua moglie. Vorrei che mi portassi in un piccolo villaggio, in una piccola chiesa…” gli disse seria, scrutando la reazione sul suo viso.

André si volse a lei, il viso illuminato di luna e stupore.

“Tu sei già mia moglie…” sussurrò con roca dolcezza.

Le arrivò come una carezza piena di dubbi quella risposta, quasi spaventandola.

“Questo significa che non vuoi sposarmi?” indagò lei.

Lui si riscosse, forse si era reso conto che l’aveva ferita.

“Ma certo che lo voglio”, cercò di rassicurarla, in un sorriso. “È la cosa che desidero di più”, ammise, infine.

Oscar gli sfiorò il viso con il suo. Rimasero così, stretti, per scaldarsi e sentirsi ancora più uniti, in quell’angolo remoto, nascosto ad una Parigi che non vedeva, su quel giaciglio povero, un po’ umido e scomodo, ma niente per loro valeva di più, perché quello era il luogo dove si poteva sognare.

E quante cose avrebbero voluto dirsi ancora in quelle briciole di ore rubate alla vita! Se solo avessero potuto colmare gli spazi, le mancanze, i silenzi; cancellare tutti i momenti sbagliati e le insicurezze stratificate sul cuore. Chiedersi perdono, potersi spiegare, dare respiro a tutti quei pensieri soffocati dal tempo e dal dolore.

Ma era l’impotenza dolorosa delle parole, potevano  essere sassi o ali. Erano talmente tante le cose ferme tra la testa e il cuore, immense e fragilissime, che preferirono non dire niente.

Rimasero seduti sulla sponda del fiume. Le dita intrecciate non si lasciarono mai.

 

E’ bellissimo aspettare l’alba mano nella mano, e ripensare a tutti i momenti che abbiamo passato insieme, e alla fortuna di esserci conosciuti e di esserci amati[2].

 

Un filo di luce si insinuò inopportuno tra i rami, intrecciandosi con l’ombra di ogni foglia e donando un lieve riflesso dorato. Si allungò sugli steli sottili di erba piegati dalle gocce di rugiada, e accese il prato di un manto splendente di perle; infine, si frantumò in mille bagliori, nelle iridi verdi di André. Oscar si fermò ad ammirare quegli occhi bellissimi, che brillavano di mille emozioni diverse, li vide cambiare colore, e si sentì stringere il cuore, senza sapere bene perché.

 

“E’ quasi l’alba, Oscar. Dobbiamo andare” disse, infine, lui, prendendo le misure del tempo.

Proprio adesso dobbiamo andare?

Mentre io ho paura e tu fai finta di non averne?

Prima di montare a cavallo André si fermò assorto un istante, e tornò da lei.

“Ho un regalo per te.”

“Per me?” domandò sorpresa “Io…”

“Chiudi gli occhi” le chiese.

E lei obbedì.

“Adesso apri la mano” le disse sicuro.

“Quale?” domandò lei

“Questa” scelse lui.

E leggero qualcosa si posò. Sulla sua mano sinistra.

“Ora apri”.

Una rosa bianca posata al centro della sua linea della vita.

Lei la sfiorò piano con i polpastrelli.

“La tua rosa non sarà mai un lillà…” ripeté con un’aria un po’ persa, come se si stesse destando da un sogno. Ad André sfuggì un sospiro, e un sorriso di tenerezza che sperava le parlasse.

“Stringimi”, disse lui, e le tese una mano, invitandola tra le sue braccia, colmando quel vuoto e l’infinita distanza che avvertono gli amanti quando non sono abbastanza vicini.

Le prese il viso tra le mani e posò la fronte sulla sua, gli occhi chiusi, fermi, a sentire i loro respiri sulla pelle. Come se si stessero sostenendo a vicenda. Come due piante piegate da un vento troppo forte.

 

Voglio Riempirmi di te. Tenerti nel mio cuore. Ogni attimo. Come fosse l’ultimo.

 

Poi, si scambiarono l’ultimo, struggente bacio. Il più difficile. Il più amaro.

 

Prima di partire Oscar si voltò per l’ultima volta. Avrebbe voluto salutare il bosco e le stelle di quella notte, come faceva da bambina. Dove sapeva essere il cuore di tutto. Ma non lo fece.

 

 

Cavalcavano insieme, i cuori colmi di gioia, i pensieri di luce.

Davanti agli occhi una striscia di terra si apriva in una distesa. Il sole ancora basso sull’orizzonte.

Guardò André, e si fece strada nel suo animo una forza, una certezza: insieme a lui, qualunque cosa fosse accaduta, l’avrebbe saputa governare. Alla fine avrebbe avuto la meglio sulla vita… e sulla morte.

Ma anche se non poteva saperlo, quella fu una notte d’amore e di addio. L’ultima della loro vita insieme.

 

Passò l’estate, ma Oscar e André non tornarono mai più.

Le voci e i suoni intorno si spensero lentamente, come lucciole.

Le foglie gialle coprirono ogni cosa. E poi la neve.

Molte cose finirono. Ma altre sbocciarono da allora.

Perché ci sarà sempre qualcosa di loro che sopravviverà.

Una rosa solitaria, nascosta tra i rovi.

Una tenera gemma in un tronco squarciato da un fulmine.

E tutto quell’amore imprigionato tra la terra e il cielo,

che non riesce a morire…

                                                          

***

 

 

Chiude gli occhi. Il cuore sprofonda lentamente nel petto. Non c’è più dolore, ma una gioia sottile, adesso.

 

I pensieri si perdono.

Le parole si spezzano.

 

Ti vedo, André. Una colomba… tra le nubi nel cielo… che… sembra rovesciarsi addosso.

Le stelle si sbriciolano e scendono come neve, e poi risalgono, vincendo la forza di gravità.

Allo stesso modo… ieri notte… le guardavamo cadere da mondi lontani.

Era come se facessero… il percorso inverso… come se…  si sollevassero da terra e venissero risucchiate negli abissi del cielo.

 

Si spezzano…

Quasi non le ricorda.

 

E mi sentivo così leggera, sospesa, come in una bolla di pace.

E anche ora, durante la morte, potrei volare.

 

È sempre più difficile, anche respirare.

Non sente più niente.

 

Sono… sostanza volatile: aria, polvere, schiuma del mare…

Ti ho avuto solo il tempo di un apparire e svanire di sole e di luna.

Perché forse era troppo l’averti di più.

 

Più niente…

Quasi non riesce più neanche a ricordare…

Lui…

 

Ed ora… saremo per sempre insieme… André… ma in un tempo che scorrerà diverso…

Insieme… per sempre…

A percorrere ancora boschi e brughiere e spiagge deserte…

 

Mentre tutto si spegne.

Anche i sogni.

Anche i ricordi.

 

… e distese di grano nell’alba e nel vento ondeggiante di Arras.


 

[1] Ho ripensato alla scena nella stalla  nel film di Demy: l’emozione di André, l’immobilità e la lentezza nei suoi gesti, quel lasciarsi guidare da lei…

[2] Ispirato al doppiaggio del film Insieme per sempre, che traduce letteralmente la versione originale giapponese, senza adattamenti.


 

Pubblicazione del sito Little Corner aprile 2015

vietati pubblicazione e uso senza il consenso dell'autore

 

Fine

Donye - revisione Laura

Mail

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage