Oblivion's Garden

9

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics, fanarts, essays, pictures and all original works belongs, in its entirety to each respective ff-fa author, as identified in each individual work. All Rights Reserved Worldwide.


Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's express permission is in each case requested for use of any content, situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to such author. We do not use files downloaded or copied from another website, as we respect the work and intellectual property of other webmasters and authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all cases that you request prior written permission from us. If and when we have granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also required to add a link to our disclaimers and another link to our email address.

The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed material containing works belonging to our authors, such as fanfics, fanarts, doujinshi or fanart calendars.

 

“Perché sei qui, Victor?” La domanda lo colse di sorpresa, non pensava che fosse sveglia. Ritirò

velocemente la mano dalla sua spalla, sussultando.

L’aveva formulata male, suonava come un’accusa, un invito ad andarsene, esattamente l’opposto di ciò che voleva. “Voglio dire, perché hai deciso di rinchiuderti qui... con me? Non senti mai la mancanza di… altro?”

Il desiderio sfarfallò negli occhi di Victor solo per un attimo, più lieve di un’ombra, per sfumare nell’espressione gentile e un po’ lontana che assumeva quando parlava di sé. “Ovviamente sì. Ma non è certo legato al luogo.”

“Non ti manca mai nulla della tua vita di prima?”

“No. Penso che alla fine mi sarei comunque ritirato a vita privata. Magari non a questa età, probabilmente non qui… ma lo avrei fatto. Ero stanco. Lo sai.”

“Non c’è proprio nessuno di cui ti importi?”

“A parte te, no.” La naturalezza con cui trattava l’argomento era sempre un po’ spiazzante. “Non sono mai stato incline ai rapporti stretti.”

“Davvero non so come tu faccia a essere sempre così distaccato.” Oscar si buttò all’indietro, fissando il soffitto. “Io non riesco a fare a meno di pensarci. Ai miei genitori, ai miei soldati… a Rosalie e Bernard… continuo a chiedermi dove siano ora, se stiano bene. E mi dico che sono un’egoista.”

“Evidentemente sei stata più fortunata di me. Buon per te, Oscar.” Fece per alzarsi, stizzito, ma Oscar lo trattenne per un braccio.

“Non ti sto giudicando, Victor. Vorrei solo… capirti.”

Si distese di nuovo, palesemente di malavoglia. “C’è ben poco da capire” disse aspramente. “Sono un uomo solo, senza legami. Non ho più rapporti con la mia famiglia da anni; non ho amici degni di questo nome; non mi sono mai sposato, e ho sempre avuto amanti come me, alla ricerca soltanto di piacere e divertimento. Nessuna di loro è mai venuta a reclamare niente, per quanto ne so non ho figli. Probabilmente non posso averne.” La sua voce vibrò di una nota inaspettata, amara. “Una volta però ci sono andato vicino; a sposarmi, intendo.” La solita smorfia cinica, storta, gli increspò il volto. “Che storia ridicola.”

Oscar si sentì pungere da una sensazione sgradevole, fastidiosamente simile a quella che provava quando vedeva Fersen in compagnia della Regina. Quella parola, “amanti”, non le era affatto piaciuta, come non le piaceva la vita sentimentale affollata e superficiale che sottintendeva: in qualche modo la figura di Victor ne usciva spoetizzata, involgarita, e il confronto con André, fermo, fedele, costante nel suo amore per lei, fu inevitabile. E subito dopo si rese conto di quanto quel paragone fosse ingiusto: tra lei e André c’era stata un’amicizia indissolubile, una confidenza totale, un rapporto così stretto che in parte poteva giustificare la dedizione che le aveva sempre dimostrato;  ma come pretendere la stessa abnegazione da Victor, che non aveva mai avuto niente, nemmeno un ricordo, o una speranza, a cui aggrapparsi[1]?

Avrebbe preferito chiudere lì l’argomento, anche perché Victor non sembrava intenzionato a dire di più, ma la curiosità la divorava, anche se non sapeva cosa dovesse augurarsi, se il riscatto di Victor o il suo completo svilimento. “Chi era?”

“Louise-Amélie de Vendôme. Immagino te la ricordi.” Nessuna Guardia reale poteva non conoscere i duchi di Vendôme, ramo cadetto dei Borbone, arroganti, altezzosi e bisognosi di scorta e accompagnamento tanto quanto i loro reali cugini. Nello specifico la duchessina Amélie era una ragazzina molto magra, dal viso non brutto ma un po’ anonimo, che si notava più che altro per l’abbigliamento vistoso e pacchiano che non perdeva occasione di sfoggiare: esattamente l’opposto di quelli che sembravano essere i gusti di Victor.

“Non chiedermi cosa ci vedesse in me, forse fu semplicemente il mio aspetto a colpirla” proseguì lui. “Sta di fatto che si invaghì follemente di me, e nonostante non fossi assolutamente un partito commisurabile a lei, sfinì i genitori al punto da costringerli a prendere accordi con mio padre. Ti lascio immaginare la sua reazione: il suo figlio più piccolo, il più inutile, che non solo si accaparrava una delle doti più cospicue di Francia ma addirittura si imparentava con la famiglia reale. Ovviamente non si pose minimamente il problema della mia opinione, quando mi comunicò la notizia il contratto matrimoniale era già stato redatto.”

“E tu?”

“Gli dissi che non avevo nessuna intenzione di sposare quella poverina. Non fraintendermi, non lo feci per un discorso estetico: mi rendevo conto che lei era veramente innamorata di me, o quantomeno era seriamente convinta di esserlo, mentre io per lei non provavo altro che pena. Sapevo che l’avrei usata, mi sarei appropriato dei suoi soldi, avrei lasciato che mi scaldasse il letto per un po’ e poi l’avrei messa da parte, condannandola a una vita infelice.

Vuoi sapere quale fu la risposta di mio padre?  ‘Tu non capisci veramente niente, Victor, io proprio non lo so come ho fatto a generare un figlio così irrimediabilmente imbecille. Credi che questi tuoi aulici sentimenti servano a qualcosa? Che importino a qualcuno? Non lo vedi che nella vita non sei riuscito a concludere nulla? Sei addirittura il sottoposto di una donna! Direi che sei abbastanza grande da renderti conto di essere un inetto, per cui taci e fai ciò che ti dico!’ Queste furono esattamente le sue parole.”

“Hai lasciato che ti trattasse così?”

“Lo faceva sempre, c’ero abituato. Francamente non mi importava. L’unica cosa che volevo era non fare ciò che mi diceva, non essere come lui.

Arrivò il giorno della firma del contratto, venni convocato a Palazzo Vendome; mio padre era già lì. Mi fecero sedere, presi la penna e la intinsi nell’inchiostro ma non riuscivo a leggere; la mano mi tremava, e la penna mi si ruppe tra le dita. Me ne diedero un’altra. Mio padre mi intimò di firmare. Allora mi alzai in piedi, afferrai il contratto e lo feci a pezzi. Non lo accartocciai, non lo gettai in aria, non dissi una parola: solo tanti piccoli, ordinati pezzi si ammucchiavano placidi ai miei piedi. Presi la porta, uscii; dietro di me sentivo le minacce di mio padre, i singhiozzi di Amélie, gli strepiti di sua madre, ma non ne capivo il senso, le parole mi scivolavano addosso. Non mi voltai, salii in carrozza senza mai girarmi. Da quel giorno mio padre non mi ha più rivolto la parola, cosa che ho preso come una benedizione. E inoltre da allora venni considerato totalmente inaffidabile, il che mi mise al riparo da ulteriori imbarazzanti proposte.”

“Hai avuto molto coraggio.” Specie considerando che a lei erano serviti trentadue anni e un amore disperato per opporsi alla volontà di suo padre.

“Non lo so. Forse. Non l’ho mai considerata in questi termini: ho fatto solo ciò che ritenevo giusto.”

“E non ti sei mai più voluto sposare?”

“Solo una volta, ma mi ha respinto lei.” Se l’era cercata, ma questo non le impedì di distogliere lo sguardo. “E tu, Oscar?”

“Io cosa?”

“Non hai mai pensato di sposarti?”

“Sì” rise sommessamente “ma è piuttosto imbarazzante.”

Per la prima volta Victor pareva sinceramente incuriosito. “Perché? Chi era?”

Oscar si voltò a guardarlo, divertita e un po’ a disagio. “Prometti di non ridere.”

“Prometto.”

“Fersen.”

“Fersen?! Ma è…”

“Lo so benissimo chi è. Che dire… ero molto giovane quando ci siamo conosciuti; e lui era bello, affascinante, colto... e irraggiungibile. Soprattutto irraggiungibile; ma questo non mi ha impedito di amarlo per anni, e di fare anche un bel po’ di cose stupide. Anzi, credo di essermi innamorata di lui proprio per questo motivo, perché l’amore mi spaventava e così non correvo rischi, non dovevo affrontare sentimenti veri.”

Victor respirò a fondo. “E André?” Si era tuffato ne buio, ora indietro non si tornava.

Oscar mosse la testa di scatto, sulla difensiva. “Cosa hai detto?”

“Oscar, ascolta…” Lo scavalcò in un lampo, raggiungendo rapida la scala. La agguantò per un braccio. “Per favore, aspetta…”

“Lasciami!” Brusca, indispettita, come per allontanare un insetto disgustoso.

“Oscar, mi dispiace, va bene? Si stava parlando, e io pensavo che…”

“No! Tu non devi pensare, non ne devi parlare! Io lo amavo disperatamente, era tutto per me…e tu non sai, tu non puoi capire… André non è affar tuo!”

Corse in camera sua, gli occhi offuscati dalla rabbia e dal dolore; chiuse a chiave la porta e vi si appoggiò contro lasciandosi scivolare a terra, le lacrime che le scorrevano sulle guance. Perché aveva dovuto chiederglielo, che risposta si aspettava che già non sapesse o non potesse immaginare? Perché riaprire quella ferita, quando conosceva bene la sofferenza che le procurava?

Ma non era per quello che piangeva: a quel dolore era ormai abituata, era altro a farle male. Piangeva perché gli aveva detto solo parte della verità, quella che entrambi conoscevano, quella che lei era disposta ad accettare, ma c’erano cose che non poteva dirgli, che non osava ammettere neppure con se stessa. Piangeva perché stava perdendo André, perché ogni giorno che passava si portava via un ricordo di lui, le sfumature che di lui aveva tanto amato; piangeva perché la cosa non le faceva male quanto avrebbe dovuto, e questo la riempiva di sensi di colpa; piangeva perché qualcos’altro aveva trovato posto nel suo cuore.

Ma come poteva dirlo a Victor senza tradire André? Come poteva confessare a se stessa che nei suoi pensieri, nei suoi sogni gli occhi di smeraldo di André sfumavano spesso, troppo spesso, in quelli color mare di Victor?

 

Quando la mattina dopo Oscar scese nel salone trovò Victor che leggeva, le gambe incrociate alla sua maniera, ad angolo retto, il braccio che sosteneva il libro poggiato sul ginocchio. Lui non spostò lo sguardo, non la salutò.

Oscar tirò a sé una poltrona e gli si sedette di fronte. “Victor, mi dispiace per ieri.”

“Non c’è bisogno di scuse.”

“Sì, invece. Sono stata sgradevole. È che André è un argomento delicato.”

“Lo so.” Continuava a tenere gli occhi sulle pagine, ostentatamente deciso a non guardarla.

“No, non lo sai. È più… complicato… di quanto tu creda.”

Finalmente si decise ad alzare gli occhi su di lei. “Perché mi stai dicendo questo?”

“Perché mi importa dell’opinione che hai di me.”

 Victor la fissò a lungo, in silenzio, come se stesse leggendo lei, ogni singola parola della sua anima.

Oscar si alzò. “Vado a preparare il the. Lo vuoi anche tu?”

“Sì, grazie.”

 

Il bel tempo arrivò all’improvviso, portando con sé uno strascico di colori e odori che Oscar aveva quasi dimenticato. Si sentiva come se la nuova linfa scorresse anche nelle sue vene dandole un senso di attesa e irrequietezza, e soffriva per l’immobilità a cui Victor, ostinato nel voler uscire solo per lo stretto necessario, la costringeva.

Lui pareva non risentire del cambiamento, se ne stava in silenzio a guardare fuori dalla finestra, la tazza di the tenuta pigramente in mano e portata di tanto in tanto alla bocca. Non era mai loquace a colazione, fissava sempre un punto imprecisato, come se stesse ancora rimuginando i pensieri della notte. Oscar invece in quel momento di idee ne aveva una sola. “Verresti con me in giardino? Fa troppo caldo per rimanere in casa, ho bisogno di uscire.”

Il the gli andò di traverso, provocandogli un accesso di tosse così violento da sembrare una parodia; evidentemente era destino che la sua vita con Oscar fosse costellata di spaventi e sobbalzi. “Sempre se non ti strozzi” commentò lei ridacchiando, ma lui non trovava niente di divertente nella morte per soffocamento. Dopo una serie di vigorose manate sul petto sembrò aver recuperato il controllo dei suoi polmoni e biascicò un “certo, quello che vuoi” piuttosto torvo, un po’ per la carenza di aria un po’ per il dispetto di aver fatto una figura tanto ridicola.

 “Bene, vado a vestirmi.” Oscar scomparve lungo le scale, rapida e leggera come brezza estiva. Spalancò il suo armadio, e per la prima volta, invece di limitarsi a indossarli, guardò i suoi vestiti, e li trovò tutti brutti, anonimi e amorfi. Povera Rosalie, sicuramente aveva fatto il meglio che aveva potuto, ma per un attimo la odiò comunque, e subito dopo odiò se stessa per quei pensieri: aveva già fatto tutto quel teatro, e con risultati tutt’altro che entusiasmanti[2]. Eppure sentiva che questa volta era diverso, a Victor non doveva dimostrare niente, lui non aveva bisogno di sovrastrutture o trucchi; era più un dono che voleva fargli.

Rovistò ancora, basandosi sul tatto più che sulla vista, scorrendo le dita fra la lana e la cotonina, finché non sentì, sul fondo, qualcosa di diverso, soffice e incredibilmente liscio: seta. Si tuffò nell’armadio e ne riemerse con un lungo abito color avorio, percorso da delicati ricami oro e argento. Persino a lei era evidente quanto fosse elegante e prezioso. Lo indossò, lottando con la sottogonna, litigando con l’allacciatura del corsetto, scoprendo a cosa serviva il plotone di cameriere che sua madre chiamava ogni volta che doveva vestirsi. L’immagine che lo specchio le restituì le piacque, e in qualche modo le sembrò familiare: probabilmente sua madre o una delle sue sorelle avevano avuto un abito simile.

Nascosta da una colonna, Oscar occhieggiò Victor: non guardava nella sua direzione, fissava ancora il giardino, assente, lontano. Tentò di prendere un bel respiro, ma rinunciò quando vide il pericoloso tendersi del bustino. “Sono pronta, Victor.”

Non era quello l’effetto che si aspettava, non quegli occhi sgranati, non quella bocca semiaperta da pesce lesso, come Fersen quando aveva capito chi era, lo stesso sconvolto stupore. E di nuovo la vergogna, la voglia di scappare, di nascondersi, di strapparsi di dosso quegli orpelli. Stupido idiota e ancora più stupida io!

“Sei bellissima, Oscar” riuscì a bisbigliare Victor. “Sembri… mia madre.” Se intendeva farle un complimento non ci era riuscito: sembrava uno che avesse appena visto un fantasma[3].

E di colpo Oscar ricordò dove aveva visto quel vestito: in una delle stanze abbandonate, nell’unico elemento che vi troneggiava, un quadro enorme, il ritratto di una donna bellissima, con rigogliosi boccoli biondi e grandi occhi color del mare, e di un bimbo alto e serio, dalle stesse iridi: Victor e la madre, la contessa Beatrix Elenoire de Girodel, Madame Mélancolie.

Oscar la ricordava pochissimo, e quel poco che sapeva lo aveva sentito dalle sorelle, quando era ancora abbastanza piccola da avere il permesso di stare in loro compagnia. La contessa de Girodel si diceva fosse stata la dama più bella alla corte di Luigi XV, così bella che lo stesso re avrebbe voluto farne la sua amante. La sua bellezza le avrebbe potuto dare qualsiasi cosa, potere, denaro, ma lei sembrava indifferente a tutto, tutto guardava con la stessa espressione, un sorriso distante, dolce e malinconico, che le aveva meritato quel soprannome maligno. E poi era morta improvvisamente, in circostanze strane e mai del tutto chiarite, unici testimoni il marito e uno dei figli, troppo giovane per ricordare, spedito lontano per dimenticare: Victor.

Oscar si vergognò davvero: per la sua vanità, per la superficialità con cui guardava alle cose. “Vado a cambiarmi, Victor, non avrei dovuto indossarlo.”

“No, tienilo: è un bell’abito, e ti sta d’incanto. Chissà, forse l’ho conservato per te.”

Automaticamente, quasi inconsapevole, Victor le offrì il braccio, cosa che mai era accaduta; e Oscar lo prese, cosa che mai avrebbe fatto, perché per la prima volta sentì quanto bisogno avesse Victor di appoggiarsi a lei.

 

Camminavano fianco a fianco, in silenzio, Victor che a ogni passo si faceva sempre più ombroso, gli occhi scuri nonostante il sole battente; non l’aveva mai visto così cupo, non per tutto quel tempo. Oscar sapeva cosa doveva fare: scavare dentro di lui come dentro a una ferita infetta, perché tutto ciò che di Victor non comprendeva, i suoi scatti di rabbia, le sue contraddizioni, i suoi silenzi e le sue ombre, era racchiuso lì, quel dolore che gli suppurava nell’anima. Ma aveva paura, paura di ciò che le avrebbe detto, paura di ciò che significava condividere quel peso: non era coraggiosa come ostentava di essere, non riusciva ad affrontare i suoi demoni figurarsi quelli degli altri. Cercò dentro di sé un po’ di forza, non ne trovò e decise di tentare ugualmente. “Cosa le è successo, Victor?”

“Cosa sai di mia madre, Oscar?”

“Niente. Voci di salotto.”

Victor tacque a lungo, assorto, gli occhi velati di luce liquida; poi il suo petto si sollevò in un respiro profondo e la voce gli uscì fredda, calma, controllata. “I miei genitori si sposarono per motivi diversi: mio padre per soldi, mia madre per amore. Non so come potesse amare un uomo abietto come mio padre, ma sta di fatto che sentiva per lui un amore totale, assoluto. Lui ovviamente era completamente disinteressato a lei e a noi, viveva per i suoi festini, i suoi amici, le sue amanti, e non si preoccupava di nasconderlo. Non si preoccupava del male che le faceva. Io ero l’unico a saperlo, a vederlo, anche se lei non ne parlava mai, non si lamentava mai.

Una sera, potevo avere dieci anni, mio padre rincasò molto tardi. Lo sentii perché non ero riuscito ad addormentarmi, mia madre quella sera era strana, l’atmosfera in casa era tesa, e io mi sentivo nervoso, inquieto come può esserlo un bambino. Poi udii le loro voci; scesi di sotto, erano nello studio. Mia madre gridava, e piangeva: non l’avevo mai vista piangere. Aveva in mano un foglio, una lettera credo, e la agitava di fronte a mio padre. Lui rideva, come se lei fosse uno spettacolo comico. La sento ancora quella risata, la sogno. Io ero impietrito, terrorizzato dalle lacrime e dalle risa; mi sembrava un incubo.

Poi mia madre si lanciò sulla scrivania. C’erano le pistole di mio padre, sopra; aveva questa stupida abitudine di girare armato, anche se era un tiratore meno che mediocre. Quando rientrava le posava sempre lì. Ne afferrò una, se la portò alla tempia. Fu allora che mi vide, fermo sulla soglia. Mi vide e mi chiese scusa, con le labbra che si muovevano senza suono. Mi vide e non si fermò. E io non feci nulla. Fu un attimo, un suono assordante, e mia madre era a terra, il sangue che imbrattava la stanza e frammenti di cervello che vi brillavano in mezzo.

Solo allora urlai. Urlai con tutto il fiato che avevo, urlai finché non sentii la gola scorticata, e urlai ancora. Mio padre non fece in tempo a zittirmi, i domestici accorsero. Non capii ciò che disse, non riuscivo a pensare, gridavo e basta. Mi venne la febbre, e se anche raccontai qualcosa venne preso per delirio. Appena ristabilito mio padre mi spedì da mio zio, sicuramente sperando che dimenticassi.

Ma io non ho dimenticato niente. Io la vedo ancora. E so che è colpa mia. So che se fossi stato meno codardo, se mi fossi gettato in mezzo a loro, se anche solo avessi chiamato aiuto, lei non sarebbe morta, non così. Invece non l’ho fatto. Ho lasciato che le cose accadessero.”

“Victor, eri un bambino!”

“Questo non cambia la realtà delle cose: lei non mi ha amato abbastanza per rimanere e io non l’ho amata abbastanza per trattenerla. Da allora mi sono ripromesso che non sarei mai più rimasto a guardare.”

“È per questo che non riesci a lasciarmi andare?”

Finalmente Victor si voltò a guardarla, e Oscar vide che questa volta non avrebbe esitato, che avrebbe vinto qualcosa più forte di lui. Chiuse gli occhi e attese, non come lo scricciolo ipnotizzato dalla serpe, ma come la rosa all’alba. La bocca di Victor era calda, morbida e carezzevole come seta, la sua lingua si muoveva lenta, sinuosa, lieve di tenerezza e feroce di desiderio. Oscar sentì di nuovo quel calore nel ventre, una brace ardente, mai sopita. Le sue mani corsero sulla schiena di Victor, tra i suoi capelli, a stringerlo, a imprigionarlo.

E poi quel lampo verde dietro gli occhi, dentro la testa, acre come limone acerbo, a cancellare qualsiasi dolcezza. Oscar allontanò Victor bruscamente, senza neppure guardarlo. “Mi dispiace.”

Corse via, le lacrime che ancora una volta le oscillavano sul mento, incontrollabili: quell’abito era stato uno sbaglio. Tutto era stato un unico, enorme sbaglio.


 

[1] Citazione adattata dal film Lilo & Stitch.

[2] Riferimento all’episodio del ballo con Fersen.

[3] Questa scena è nata da uno spunto datomi da Laura in una mail, ed è ispirata a un passo di “Rebecca la prima moglie” di Daphne du Maurier.


 

pubblicazione sul sito Little Corner settembre 2014

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

Continua

Mail to Costanza costanzamariacristiani@yahoo.it

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage