Oblivion's Garden

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Il tempo era cupo e triste come il suo umore, rifletteva Victor. Stagliato nel vano della finestra, le mani contratte sul davanzale, vagava con lo sguardo sul giardino, avvolto da giorni da una caligine fredda e appiccicosa che rendeva tutto indefinito e imperscrutabile come l’animo di lei. Sul quel paesaggio spettrale troneggiava un cielo grigio che non dava pioggia ma rimaneva immobile, fitto di nuvole pesanti, pesanti come l’aria che lui respirava, come il suo cuore. Simili ai pallidi gorghi di vapore che si disegnavano nella nebbia lattiginosa, i suoi pensieri erano spirali tortuose che ritornavano sempre sullo stesso punto: lei. Lei e tutto ciò che di lei non riusciva a capire, lei e il suo umore altalenante, lei che sembrava sempre più irraggiungibile.

Oscar aveva ripreso l’atteggiamento cordiale, ironico e vagamente cameratesco che aveva ai tempi non sospetti della Guardia Reale: pareva voler dimenticare tutto quello che era accaduto dopo la loro separazione, e Victor aveva notato come i suoi discorsi assumessero sempre un tono amichevole e disinvolto, tale da scoraggiare qualsiasi allusione o ritorno sull’argomento. Ma c’erano volte in cui quella maschera di noncuranza si faceva più sottile, e Victor riusciva a intravedere una Oscar diversa, più dolce e vera, in cui la sentiva vicina e stranamente trattenuta, come se ci fosse qualcosa che non osava chiedergli o prendersi. Per quanto quei gesti riempissero il suo cuore di un calore da lungo tempo dimenticato, Victor aveva imparato a non farsi troppe illusioni al riguardo: in questo Oscar era estremamente volubile, e alla anche alla più banale manifestazione di affetto seguiva una freddezza silenziosa e malinconica, che sembrava voler punire entrambi, lui per averla indotta a valicare un confine che invece doveva rimanere ben netto, se stessa per non essere stata abbastanza forte da non cedere. Inizialmente Victor aveva tentato di capire cosa la turbasse, ma alle sue domande, alle sue premure, Oscar rispondeva facendosi ancora più distante e inquieta; poi era subentrata l’insofferenza, che aveva avuto come unico esito quello di renderla ancora più abbattuta. Alla fine Victor si era semplicemente risolto a ignorare quei bizzarri malumori e ad aspettare che passassero da soli: così si ritrovava di nuovo ad assecondarla passivamente, mantenendosi sempre garbato, discreto, artificioso.

Non poteva credere che una situazione simile fosse capitata proprio a lui. Lui, sempre così pragmatico e disincantato, che per tutta la vita si era ben guardato dal farsi coinvolgere in melodrammi lacrimosi, si ritrovava a muoversi come un burattino maneggiato ad arte, votato solo a compiacerla,  quando l’unica cosa che avrebbe davvero voluto fare era afferrarla, e baciarla, e fare l’amore con lei fino a sfinirsi. E la cosa più assurda era che talvolta aveva l’impressione che anche lei lo volesse. Del resto non poteva esserle del tutto indifferente, ricordava fin troppo bene la sera del ballo, quando si era abbandonata tra le sue braccia, il viso ardente e le labbra dischiuse, a un passo dal dirgli sì[1]…ma poi si era ricordata di lui. Sempre lui. Lui che non si decideva crepare una volta per tutte e a liberarla della sua presenza, lui che continuava a persistere come un’ombra tra loro due. Victor lo detestava così tanto da rifiutarsi persino di pronunciarne il nome: se possibile, lo odiava più da morto che da vivo, e lo aveva odiato parecchio. E invidiato, ovviamente, come del resto lo invidiava anche ora. E soprattutto, adesso, lo capiva. Capiva l’enorme fascino che Oscar riusciva a esercitare anche soltanto con uno sguardo o un sorriso, così forte e sottile da rendere un uomo completamente avvinto, disarmato; e Victor questo non riusciva a tollerarlo. Le sue difese non dovevano cedere, mai: aveva consumato l’infanzia e l’adolescenza a erigerle, vi aveva costruito intorno tutta la sua persona, il suo modo di essere, i suoi rapporti con gli altri; compassione e pietà non ne voleva da nessuno, nemmeno da lei.

Si staccò dalla finestra con un sospiro; anche se non ne aveva nessuna voglia, doveva uscire, e doveva pure sbrigarsi se voleva trovare le botteghe aperte, gli arrovellamenti non facevano bene allo spirito e certo non riempivano lo stomaco. Dietro di lui, Oscar era rimasta tutto il tempo in assoluto silenzio, apparentemente immersa nella lettura, ma Victor sapeva che lo stava fissando, sentiva il suo sguardo sulla schiena come un brivido viscido che gli solleticava la pelle: decisamente era meglio cambiare aria.

Era già sulla soglia del salone quando si voltò. “Sto andando in paese, vuoi venire?”

La bocca aveva agito per conto suo, non c’era altra spiegazione, il cervello gli avrebbe fatto mordere la lingua piuttosto che lasciargli dire una cosa così stupida. Quando le prendeva la malinconia Oscar preferiva non averlo intorno, glielo aveva fatto capire con parole neanche troppo velate; e lui aveva scelto proprio uno di quei momenti per farsi venire un attacco di propositività. Tempismo perfetto, Victor, complimenti.

 

Non aveva idea del perché avesse acconsentito, né quella prima volta, né tutte le successive; eppure lo aveva fatto, e continuava a farlo, anche se il primo impulso era sempre di rispondergli no. Non le piaceva uscire con Victor. Innanzitutto non sopportava il freddo atroce di quei giorni di fine novembre che la gelava fin nelle ossa nonostante gli strati di stoffa; non sopportava l’umidità che aveva trasformato tutte le strade in un pantano vischioso che a ogni passo sembrava risucchiarle gli stivali; non sopportava gli abiti che doveva indossare, cenci lunghi e scomodi che si attorcigliavano intorno alle caviglie e si riempivano di fango, rendendo il camminare ancora più difficoltoso. Almeno avessero avuto una carrozza, o avesse potuto indossare i pantaloni, non sarebbe stato così terribile, ma Victor aveva respinto categoricamente entrambe le opzioni, sostenendo che avrebbero “attirato troppo l’attenzione”. L’attenzione di chi, lo sapeva solo lui.

Il vero problema però era il disagio che provava in sua compagnia. Relazionarsi a Victor era complicato. Per alcuni versi era strano pensare questo di lui: a Corte era considerato il re dei salotti, ricercatissimo e invitato a qualsiasi ricevimento, dove sfarfallava allegramente tra gli ospiti dispensando facezie, complimenti e battutine taglienti; ma a ben pensarci lei non lo aveva mai visto intrattenersi con qualcuno per più di qualche minuto, non gli aveva mai sentito fare un nome in particolare. Victor non amava l’eccessiva familiarità, e lei non faceva eccezione. Non che fosse sgradevole o scontroso, non lo era mai; anzi, con il tempo aveva avuto modo di scoprire quanto fosse intelligente e arguto: si era ritrovata spesso a discutere con lui degli argomenti più svariati, e ogni volta era rimasta stupita dalla capacità che Victor aveva di cogliere sfumature impercettibili, piccoli dettagli che lo portavano ad avere opinioni personalissime, talvolta di una profondità che mai si sarebbe aspettata da un uomo come lui. Sentiva però che non sarebbero mai stati amici. Semplicemente, Victor si limitava ad assecondarla, giocava con lei allo stesso gioco a cui aveva giocato con tutti per tutta la vita: sapeva quello che gli altri si aspettavano da lui e vi si adeguava, in modo così naturale che non lo si poteva nemmeno tacciare di ipocrisia.

Ma c’era un lato di sé che Victor non aveva intenzione di condividere, una corda della sua anima che nessuno aveva il diritto di far vibrare, che doveva rimanere privata, nascosta; una parte di lui che lei aveva potuto vedere soltanto perché quelle passeggiate riuscivano in qualche modo ad allentarne l’allenatissimo autocontrollo. Accadeva di rado che Victor perdesse il dominio di sé, ed era un evento del tutto imprevedibile: bastava un particolare insignificante, un albero, un muretto, a volte anche solo un odore o una luce particolare, e la sua anima si spalancava come un fiore tra la sabbia arida, come una vallata tra picchi aspri. Victor era stato un bambino solo, rampollo di una famiglia illustre che di lui non sapeva cosa farsene. Cresciuto all’ombra di un padre influente e mondano che si preoccupava soltanto di aumentare il prestigio del suo casato e di dare spunti di conversazione a tutte le malelingue della Corte, aveva passato l’infanzia affidato a giovani governanti annoiate dalla cui distratta sorveglianza sfuggiva per andarsi a rintanare nella soffitta o in una delle tante stanza disabitate dell’immenso Palazzo Girodel, dove poteva dedicarsi ai suoi libri e ai suoi giochi solitari, lontano dalle angherie dei due tronfi fratelli maggiori e soprattutto dagli occhi severi del genitore, che lo guardava sempre con un misto di pena e disgusto, scontento di quel figlio dal carattere timido e riflessivo. Gli unici ricordi veramente felici della sua fanciullezza erano legati alla tenuta e alle estati che vi aveva trascorso con la madre, alle loro lunghe passeggiate tra i sentieri ombrosi e alle colazioni sull’erba, alle favole di pirati temerari e impavidi cavalieri che ascoltava rapito con il capo posato sulle sue ginocchia, mentre lei, narrando, gli passava le dita tra i riccioli. Quei mesi che scorrevano placidi e sereni erano la loro oasi di pace, un piccolo idillio che veniva interrotto soltanto dalla sporadiche visite del conte Girodel con il suo codazzo di rimproveri per quelle mollezze da donna che gli rincretinivano il figlio; figlio che la sua ambizione aveva destinato a una carriera, quella militare, di cui, da bravo nobile nullafacente quale era, non sapeva assolutamente niente, e di cui si era liberato affidandolo a un suo parente che militava come ufficiale nei Dragoni.

Presso la famiglia dello zio cadetto il bambino malinconico e taciturno si era trasformato in un adolescente riservato e cinico che somigliava molto all’adulto che sarebbe poi diventato. Aveva completato la sua educazione, studiato diligentemente ciò che c’era da studiare, si era sottoposto ad esercitazioni massacranti e aveva appreso alla perfezione tutto quello che lo zio gli insegnava in merito all’uso delle armi e alla strategia militare; soprattutto, aveva conosciuto due lati della natura umana che avrebbe rincontrato innumerevoli volte sul proprio cammino: il gretto servilismo degli inferiori che cerca di strapparti favori, e la loro meschina invidia che lavora nell’ombra per distruggerti e portarli al tuo posto. Di entrambi aveva imparato a riderne. Poi c’era stata la carriera nella Guardia Reale e da lì la vita a Corte, i salotti, le relazioni sociali; c’era stato l’affinamento dei suoi modi naturalmente eleganti, lo studio della complicata e potente arte della parola, il costruirsi un personaggio ricercato e affascinante. Aveva avuto successo. E aveva scoperto il tedio di un’esistenza trascinata nel plauso di persone di cui non gli importava affatto, tra banchetti che non saziavano e balli danzati da fantocci; la nausea per una vita in cui tutto gli riusciva e di cui nulla amava.

Ovviamente Victor non era stato così lineare nel raccontarsi; questo era il quadro che Oscar si era fatta mettendo insieme i suoi ricordi frammentari. Victor aveva un modo particolare di rievocare il proprio passato, ne parlava come in una sorta di trance, con la voce profonda appena incrinata da una nostalgia amara e gli occhi che vagavano lontani, quasi a cercare il ragazzino che era stato, o forse l’uomo che avrebbe potuto essere. L’uomo che Oscar poteva ancora percepire nella forza delle emozioni, nella delicatezza delle immagini, e per il quale provava una curiosità inusuale  e divorante che non riusciva in alcun modo a soddisfare. Victor non rispondeva mai alle sue domande, le liquidava con uno dei suoi mezzi sorrisi storti o un’indifferente alzata di spalle; ma la sua prima reazione era sempre un moto di rabbia repressa che si esprimeva in maniera quasi impercettibile, soltanto con un peculiare scurirsi degli occhi. Non era semplicemente un incupirsi dello sguardo, come Oscar aveva pensato la prima volta che lo aveva visto accadere, le sue iridi viravano proprio al nero, come due finestre affacciate sul buio.

Victor era questo, un mare calmo la cui superficie nascondeva abissi insondabili. E invece di essere spaventata da quell’oscurità Oscar ne era attirata. Avrebbe voluto proteggerlo da quel dolore mai superato, accogliere la sua fragilità, stringerlo forte e dirgli che il passato era ormai alle sue spalle e che adesso al suo fianco c’era lei.

Tutto questo era profondamente sbagliato. L’indefinibile intimità che si era creata tra loro non sarebbe mai dovuta nascere, ed era un errore continuare ad alimentarla: lei per Victor non ci sarebbe mai stata, non nel modo in cui lui avrebbe voluto. Il suo cuore era già colmo, e per Victor spazio non ce n’era, non ce ne poteva essere, non ce ne doveva essere: poteva offrirgli soltanto la sua amicizia, l’unica cosa che lui non era disposto ad accettare. La amava completamente, tenacemente, follemente, ma la amava alle sue condizioni; avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, ma non per averla; non sarebbe sceso a compromessi, non si sarebbe accontentato, non aveva bisogno della sua simpatia o della sua comprensione: la amava, e da lei voleva amore o nulla. Qualcosa che lei non poteva dargli e che non riusciva a rifiutargli apertamente.

 

Il paese che sorgeva nei pressi della tenuta era poco più di un villaggio, poche case e qualche bottega raggruppate intorno a una piccola chiesa[2], un borgo minuscolo che la Rivoluzione aveva reso ancora più sparuto. Presentava tutti i segni dell’indigenza, gli stessi in cui Oscar si era tante volte imbattuta durante i pattugliamenti per le vie della capitale: edifici di quell’indefinibile tinta tra il grigio e il marrone, sinonimo di trascuratezza e abbandono; abitanti anch’essi smorti, dagli abiti sbiaditi, dai visi scavati, un po’ sofferenti e un po’ cattivi; negozi cupi, con gli scaffali semivuoti e i prezzi altissimi[3]. In tutta quella miseria, esattamente come Oscar aveva immaginato, Victor spiccava come un diamante tra i ciottoli. Lei almeno aveva alle spalle il servizio prestato nella Guardia metropolitana, ossia la peggiore accozzaglia di poveracci e disperati di tutto l’esercito, dove per farsi capire e apprezzare dai suoi sospettosi e indisciplinati soldati aveva dovuto adottare il loro modo di comportarsi, di parlare, addirittura di pensare. Le veniva quindi relativamente facile mantenere un profilo basso, e riusciva a spacciarsi in maniera abbastanza credibile se non proprio per una popolana, quantomeno per una borghese. Victor viceversa pareva piombato lì direttamente dalla Corte, se ne andava in giro rigido e impettito sistemandosi continuamente le maniche del vestito e sperperando denaro a destra e a sinistra. Era evidente che non aveva la benché minima idea di come comportarsi: se c’era una cosa che Nanny ripeteva sempre, quando tornava dal mercato, era che non ci si doveva mai, mai fidare dei commercianti, genia di ladroni contro i quali l’unico rimedio era mercanteggiare fino allo sfinimento. Magari la nonna esagerava, ma non ci voleva nemmeno chissà quale esperienza per non farsi imbrogliare. Victor invece lo fregavano sistematicamente tutti; non importava quanto spropositata fosse la cifra, lui senza scomporsi metteva mano alla borsa e pagava. E lei non poteva neppure porvi rimedio in qualche modo, visto che ogni volta che tentava di intervenire lui allungava la sua bella mano bianca in un grazioso e perentorio gesto che significava “tu fatti i fatti tuoi e restane fuori, grazie.”

Quella mattina, tra le altre cose, erano passati dal fornaio, la cui bottega era forse la più triste di tutto il villaggio: niente profumo di pane appena sfornato, niente pagnottelle dorate e croccanti, niente dolci invitanti, solo forme di pane nero e tristi biscotti dall’aspetto stantio. Oscar evitava accuratamente di entrarvi: la sua aria di squallore era uno schiaffo in faccia a tutti gli ideali per cui si era battuta, le diceva che il sacrificio suo, di André, di tutti gli altri, non era servito a niente, che la gente moriva di fame come prima, peggio di prima; le ricordava il dolore del suo passato e il fallimento della sua vita, due cose a cui preferiva non pensare. Quel giorno però, forse per il freddo, forse perché era stanca di comportarsi da donnetta piagnucolosa, si era decisa a entrare. Victor stava già pagando: “Quanto ti devo, Thomas?”

Il prezzo era esorbitante, probabilmente nemmeno le brioches preparate dal pasticciere reale costavano tanto. A tutto c’era un limite, vedere Victor truffato a quel modo non era più tollerabile. “È troppo.”

Victor ebbe un impercettibile sussulto, unico segno del suo stupore: non l’aveva vista entrare, e certo non si aspettava un suo intervento. Si riprese immediatamente “Cosa?” disse con voce distratta, senza neppure voltarsi.

“È semplice pane nero” rispose Oscar togliendogli la pagnotta dalle mani e agitandogliela davanti agli occhi. “Non può costare così tanto. Quest’uomo ti sta imbrogliando!”

“Ma signora” tentò timidamente di intervenire il fornaio “cercate di capire, di questi tempi farina se ne trova poca, e quella che si trova costa caro…non li faccio io i prezzi…e poi il signore vostro marito non si è mai lamentato…”

“CHE COSA?!”

Il pover’uomo fece un passo indietro, sempre più imbarazzato, convinto che lo scatto d’ira della donna fosse dovuto alla scoperta dei continui raggiri perpetrati ai danni del marito. Victor invece aveva capito tutto. Le strinse il braccio nel gesto affettuoso che avrebbe avuto qualsiasi uomo che cerca di calmare l’irascibile mogliettina, ma Oscar poteva sentirne le dita premere dolorosamente sulla carne. “Mia cara” disse Victor con voce carezzevole “non devi essere così severa con il nostro buon Thomas, è comprensibile che i suoi prezzi siano un po’ alti, ha cinque bambini a casa da sfamare…”

“CHE COSA HAI DETTO?!” Di tutto il discorso Oscar aveva captato solo due parole, le prime.

“…e in periodi come questi è giusto che chi può sia un po’ generoso con le persone bisognose, non sei d’accordo?” Proseguì imperterrito Victor spingendola verso l’uscita. “Adesso andiamo, si è fatto tardi. Arrivederci Thomas.”

“Arrivederci signor Chavigny!”

Una volta in strada Victor si decise a smettere la maschera del marito affettuoso. “Sei impazzita per caso?! Sai benissimo che non devi intrometterti!” sibilò irritato.

“Io impazzita?! E tu allora? ‘Vostra moglie, vostro marito, mia cara…’ Che diavolo hai raccontato in giro?”

“Non è questo il luogo per parlarne.”

“Oh sì invece!”

“Smettila di urlare.”

“IO URLO QUANTO MI PARE E PIACE!” Si sentiva il viso rosso, la gola in fiamme, e Victor non la stava nemmeno ascoltando: guardava un punto dietro le sue spalle, sorridendo a metà tra l’imbarazzato e il rassicurante. Oscar si voltò e notò finalmente il capannello di gente che si era formato attorno a loro, i loro occhi brillanti di maligna curiosità, i ghigni divertiti. L’aggressione subita a Saint Antoine riaffiorò insieme a un rigurgito acido di panico, le mancava l’aria, le sembrava di sentirsi di nuovo addosso mani avide e feroci. Victor era perfettamente calmo e padrone di sé, non smetteva un attimo di sorridere, soltanto continuava a tormentare il merletto della camicia. D’improvviso Oscar percepì le sue mani sulla schiena e se lo ritrovò vicinissimo, come se le stesse dando un bacio sulla guancia, le labbra che le sfioravano l’orecchio. Rabbrividì.

“Io adesso ti rivolgerò una domanda; tu annuirai, sorriderai, mi prenderai sottobraccio e non dirai più una parola finché non saremo fuori dal villaggio.” Nessuna minaccia, nessuna alterazione della voce: una lama dentro un fodero di velluto.

Allontanò il viso, ma continuò a tenerla abbracciata, fissandola con tenerezza. “Ne parliamo a casa, tesoro, va bene?” La personificazione del maritino conciliante. Oscar fece tutto quello che Victor le aveva detto di fare e in silenzio presero la strada del ritorno.

Erano ormai in vista del parco, eppure Victor non aveva detto una parola: evidentemente considerava chiusa la questione. Oscar era di tutt’altro parere. “Io ora voglio sapere quali dannate fandonie hai raccontato su noi due! Come hai osato inventare una storia simile?! Che cos’è, una specie di sfogo per i tuoi desideri frustrati?” Dio, perché gli ho detto una cosa del genere?

“Sentiamo allora, cosa avrei dovuto fare? Dire la verità e dare adito ai peggiori pettegolezzi?”

“Avresti almeno potuto mettermi al corrente di questa farsa!”

Sospirando Victor si passò le mani sugli occhi. “Ascolta, Oscar, io non ho inventato niente: quel poveraccio ha semplicemente tratto la conclusione più ovvia. E se anche avessi raccontato una menzogna, non capisco quale sia il problema: è così terribile passare per mia moglie?”

No, non lo era. Probabilmente non lo sarebbe stato nemmeno esserlo davvero, questo era il problema. Ma ammetterlo avrebbe aperto scenari che non riusciva ad affrontare; urgeva cambiare discorso, subito.

“La cosa terribile è che quel poveraccio, come ti piace chiamarlo, ti stava prendendo per i fondelli! Anzi, tutti lì ti prendono per i fondelli! Possibile che tu non te ne accorga?”

“Ma cosa credi, che io sia davvero così stupido?” Sì, la risposta era sì: come sempre l’aveva sottovalutato, e come sempre si era sbagliata. Si sentiva sempre più a disagio. Per fortuna Victor non si aspettava repliche. “È il loro silenzio che compro. Ci avrebbero già venduto ai loro capi se non avessero ritenuto più conveniente derubarmi poco alla volta. Quel denaro ci protegge.”

“Di che stai parlando?”

“Noi nobili siamo ricercati, Oscar. Tutti. Siamo il loro nemico, la causa di tutti i loro mali. Una piaga da estirpare con qualunque mezzo.”

“Ma tu come fai a…? Le lettere! Chi te le ha mandate?”

“Chatelet. All’inizio scriveva per sapere di te. Poi ha cominciato a tenermi informato.”

“Perché non me lo hai detto?”

“Perché sapevo che ti avrebbe fatto male. Volevo…”

“… proteggermi.”

Le risposero solo i suoi occhi.

Qualcosa scattò dentro Oscar. Lo strinse forte, e in quell’abbraccio mise tutto quello che non sapeva esprimere: la gratitudine, la voglia sempre repressa di stargli vicino, le scuse che non gli aveva mai fatto, la paura di ferirlo, e un sentimento a cui non sapeva dare nome. “Mi dispiace, Victor. Sono una stupida.”

Victor era rimasto immobile, freddo; poi le sue braccia si erano chiuse intorno a lei in una stretta timida e delicata, come temendo che un gesto sbagliato l’avrebbe fatta scomparire. “Non fa niente, Oscar. Non importa.”

“Lo dici sempre.”

“Perché è vero.”

Anche se non poteva vederlo, con il viso premuto contro il suo petto, Oscar sentiva che Victor stava sorridendo. Sentiva il suo respiro profondo e regolare accarezzarle i capelli. Sentiva il leggero profumo di iris che emanava dai suoi vestiti. Sentiva il calore del suo abbraccio.

Nel suo cuore una parte di André moriva un’altra volta, e lei si sentiva viva.


 

[1] L’episodio è presente nel manga

[2] Il che è decisamente un leitmotiv di Lady Oscar  ^_^

[3] Gli anni che vanno dal 1790 al 1793 furono caratterizzati da una forte inflazione per la messa in circolazione della cartamoneta


 

pubblicazione sul sito Little Corner settembre 2014

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

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Mail to Costanza costanzamariacristiani@yahoo.it

 

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