Oblivion's Garden
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Il viaggio verso la tenuta di Girodel fu breve, tranquillo e decisamente noioso, cosa non del tutto sorprendente visto la scarsa propensione di Oscar a interagire con il resto del genere umano: stette per tutto il tempo con il viso rivolto verso il finestrino, lasciando vagare lo sguardo, fermamente decisa a non rivolgere a Girodel la benché minima occhiata. Anche i maldestri tentativi di avviare una conversazione compiuti da Alain, che era stato gentilmente invitato da Rosalie ad accompagnarli per aiutare Victor con i bagagli, non avevano sortito alcun effetto: Oscar si limitava a concedergli, di tanto in tanto, qualche svagato cenno di assenso, e dato che lui e Victor non avevano niente da dirsi, ben presto Alain aveva smesso di insistere, e il viaggio era proseguito nel più assoluto silenzio. Fidando sulla presenza di Alain, che al minimo cenno di pericolo sarebbe intervenuto, Victor si era concesso un pisolino ristoratore dopo le tante notti passate a vegliare, e Alain impietosito l’aveva lasciato dormire, certo che nei giorni a seguire quell’uomo di riposo ne avrebbe avuto ben poco.
Arrivarono alla proprietà di Girodel nel tardo pomeriggio. La villa doveva essere stata molto bella quando ancora era abitata, ma l’abbandono e l’incuria dei proprietari, troppo nobili per dimorare a lungo lontano da Versailles, l’aveva trasformata in un edificio cadente e malinconico. Nella luce rossastra risultava ancora più inquietante, con le esigue dorature che luccicavano come lacrime sui muri scrostati e le finestre scure che somigliavano a orbite vuote. Alain fu rapidissimo a portare le valigie in casa e a congedarsi da Victor, non voleva rimanere un minuto di più in quel luogo opprimente: solo un idiota avrebbe potuto ritenere un posto simile adatto a risollevare gli animi, solo due dissennati come Victor e Oscar, pazza lei e prossimo alla follia lui, avrebbero potuto viverci. Mentre la carrozza ripartiva Alain si girò una volta soltanto a osservarli mentre si incamminavano verso l’entrata, e nella luce morente gli sembrarono due relitti smarriti in un immoto mare d’ombra.
Non era affatto in buone condizioni quella casa, considerò Victor, ma era prevedibile, dato che la sua famiglia non la utilizzava più da almeno venti anni. Victor la ricordava poco, vi aveva trascorso soltanto poche estati, da bambino, quando Versailles diventava troppo afosa e sua madre insisteva per trovare un po’ di refrigerio in campagna. Poi sua madre era morta, lui era entrato nell’Accademia militare e poi nella Guardia reale, aveva fatto carriera, e di quel luogo della sua infanzia si era pressoché dimenticato. Per questo motivo l’aveva scelta come sua nuova residenza, perché la sua vita in quella casa non sarebbe stata legata a nulla in particolare, sarebbe potuta ricominciare da zero.
Oscar però non aveva la stessa volontà di rinnovamento di Victor, e nella vita dei due non si produsse nessun mutamento significativo. La nuova sistemazione sembrò per certi versi dare nuovo brio a Oscar, che si alzava per mangiare e ogni tanto addirittura parlava; ma erano miglioramenti apparenti perché Victor sapeva che Oscar non era veramente lì, che si era chiusa in un suo mondo immaginario in cui poteva negare la realtà. Si era reso conto che quando Oscar volgeva i suoi occhi su di lui in realtà non lo vedeva, ma gli guardava attraverso, come se ci fosse qualcun altro; che le rare volte in cui parlava non si rivolgeva a lui; che quando lui la sfiorava in un gesto di tenerezza o premura lei non sentiva nulla, non se ne accorgeva nemmeno. Oscar viveva, discorreva e interagiva con il fantasma di André, e a Victor sembrava di vivere non con uno ma con due spettri.
L’unico momento in cui Oscar cercava realmente Victor era prima di addormentarsi, quando gli chiedeva di leggere per lei. Quell’abitudine era nata pochi giorni dopo il loro arrivo: Victor si era accorto che la notte Oscar diventata particolarmente inquieta, che faceva un’enorme fatica a prendere sonno; così, per cercare di distrarla, aveva preso un libro di avventure e si era messo a leggerlo seduto accanto a lei, sul suo letto, come se lei fosse stata una bambina a cui si racconta una favola. E proprio come una bimba, Oscar era scivolata pacificamente nel sonno. Da allora si era instaurata tra loro quella consuetudine, a cui Victor ottemperava con sollecitudine, scegliendo con cura i libri da leggerle affinché non turbassero la sua sensibilità malata. Leggeva instancabilmente finché Oscar non chiudeva gli occhi, e rimaneva nella sua stanza fino a quando Oscar non smetteva di agitarsi nel sonno e appariva profondamente addormentata; solo allora Victor tornava nella propria stanza.
Aveva avuto tante volte la tentazione di restare con lei, di dormirle accanto, ma si era sempre saputo dominare; solo una volta aveva ceduto, vinto dallo sfinimento. La giornata era stata pesante, Oscar era sfuggita continuamente alla sua guardia per nascondersi nei posti più impensabili, e lui aveva dovuto perlustrare più volte la casa in un continuo stato di ansia e paura; quell’agitazione la aveva accompagnata anche la sera, impedendole di dormire, cosicché Victor, già stremato, aveva dovuto leggere ininterrottamente per quasi tre ore. Quando finalmente Oscar era crollata per la stanchezza Victor era troppo spossato per alzarsi e ritornare nella sua camera, per cui si era allungato accanto a lei pensando che avrebbe dormito solo per pochi minuti e che lei non si sarebbe accorta di niente.
Invece era rimasto lì tutta la notte, e si era destato quando il sole era già alto e Oscar perfettamente vigile. Svegliandosi la aveva trovata rannicchiata dal lato opposto del letto, che lo fissava con il suo sguardo azzurrissimo, lo stesso sguardo triste, schifato e accusatorio che gli aveva rivolto quando era ritornata dalla morte. Victor si era sentito così avvilito, così in colpa, che se ne era andato in silenzio, senza neppure il coraggio di chiederle scusa.
Era una notte di temporale, di quelle che fanno sempre pensare alla fine del mondo, con il cielo così squassato dai fulmini che sembra debba crollare sulla terra da un momento all’altro. Victor aveva da poco lasciato una Oscar particolarmente agitata, che si rigirava nel sonno e borbottava tra sé come in preda a un incubo. Solitamente Victor aspettava che Oscar si calmasse prima di andare via, ma il rumore di un vetro infranto lo aveva indotto ad allontanarsi per verificare le condizioni della casa. Continuare a vegliare Oscar avrebbe avuto poco senso, il suo sonno aveva sempre risentito del maltempo, ma per esperienza Victor sapeva che, nonostante le difficoltà iniziali, alla fine si sarebbe addormentata; invece quella vecchia casa poteva riportare danni molto più ingenti a causa della tempesta. Il suono che Victor aveva sentito proveniva dall’ala sud della villa, quella maggiormente esposta al vento e in generale più malandata; aveva temuto che si fosse rotta un’intera finestra, ma per fortuna aveva ceduto soltanto parte dell’elaborata vetrata, e il resto dell’intelaiatura sembrava reggere ancora bene. Ciononostante il vento aveva già spinto molta pioggia all’interno della stanza, e Victor dovette rimediare delle assi di legno per riparare il danno ed evitare che la camera venisse completamente allagata. Rappezzata la finestra passò a ispezionare le altre parti della casa, pronto a sistemare eventuali lesioni.
Quello a cui non era preparato fu l’urlo acutissimo e straziante che udì provenire dalla camera di Oscar. Ritornò indietro di corsa e la trovò raggomitolata nel letto, tremante, con le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe e i palmi delle mani premuti contro le orecchie. Stava ancora urlando. “Ah! Non riesco a respirare!”
Victor le si avvicinò, e nonostante il boato del temporale riuscì a sentire il cuore di Oscar che batteva come un tuono. In preda all’inquietudine la afferrò per i polsi e le allontanò bruscamente le mani dal viso. “Oscar, cosa c’è? Cosa avete?” La risposta la trovò nei suoi occhi, aperti ma paurosamente fissi: Oscar stava sognando, un incubo, a giudicare dall’espressione angosciata del suo volto. Doveva essere una strana forma di sonnambulismo, un nuova, sinistra manifestazione della sua pazzia. “Oscar, svegliatevi, è soltanto un sogno!”
Ma lei non parve sentirlo, e continuò a parlare nel sonno. “Portateli qui, cosa diavolo aspettate?! Fuoco, fuoco, fuoco! Ricaricate i cannoni! No, fermi, fermi! Spostatevi, fatemi passare! André, vieni via di lì! No! No!” Oscar proruppe in un altro urlo disperato.
Ecco perché non vuole mai addormentarsi, ecco perché il maltempo disturba tanto il suo riposo: quando dorme il fragore dei tuoni diventa il rombo dei cannoni e lo scoppio degli spari, quando sogna nella sua testa rinasce e si confonde tutto ciò che ha vissuto… Dio mio, Oscar, che caleidoscopio terrificante che deve essere la tua mente…
Quelle brevi riflessioni distrassero Victor quel tanto che bastò a Oscar per sfuggire alla sua presa e balzare via dal letto, rapida come un gatto. Victor impiegò qualche secondo per riscuotersi dallo stupore, e quando si lanciò al suo inseguimento Oscar sembrava scomparsa. Victor esplorò frenetico tutta la casa, chiamandola con tutta la voce che aveva, cercandola ovunque; quando ormai disperava di trovarla la vide sgusciare via attraverso la porta posteriore. Victor si tuffò giù per le scale e uscì anche lui nel parco; nella luce livida dei lampi la figura di Oscar era pallida e indistinta come un fuoco fatuo. Correva furiosamente, come se la stessero inseguendo tutti i diavoli dell’inferno, ma il suo procedere non aveva nulla di scomposto, sembrava anzi seguire una direzione ben precisa. Cosa ha intenzione di fare? Improvvisamente Victor scorse tra gli alberi una superficie che scintillava debolmente: lo stagno. Oscar si voleva gettare nello stagno, si voleva annegare. Ma come, quando lo aveva visto, quando aveva concepito di nuovo quell’idea? Incitato dall’angoscia, Victor corse come mai aveva fatto in vita sua, ma sapeva che non l’avrebbe raggiunta: Oscar aveva troppo vantaggio, pochi metri e avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Era ormai in prossimità della riva quando inaspettatamente scivolò nella melma, perse l’equilibrio e rovinò a terra; quando si rialzò la mano di Victor si era già chiusa intorno al suo braccio. “Lasciami!”
“Oscar, cercate di calmarvi.”
“Ti ho detto di lasciarmi!”
“No, Oscar, non vi permetterò mai di farlo!”
“Ma cosa vuoi?! Cos’è che vuoi da me?! Io ti odio, Victor, ti detesto, non sopporto la tua vista! Cosa speri di ottenere? Io raggiungerò André, e tu non potrai fare niente per impedirmelo!”
“Non è questo che André avrebbe voluto.”
“E tu cosa ne sai? Cosa sai, tu, di André? Come puoi anche soltanto pensare di sapere cosa vorrebbe lui?”
“Perché è per voi che è morto, perché voi poteste vivere!” Glielo aveva urlato in faccia, crudelmente. “Perché chi ama non vorrebbe mai veder morire la persona amata”, proseguì in tono più dolce. “Perché se vi ha amato come vi amo io vorrebbe soltanto sapervi felice.” L’ultima frase fu quasi un sussurro.
Gli occhi di Oscar divennero enormi, sembrarono quasi galleggiare nel suo bel viso di porcellana; la stretta di Victor si fece più convulsa. Entrambi stremati dal dolore, entrambi sporchi di fango, entrambi i visi rigati dalla pioggia, chi dei due stava infliggendo più dolore all’altro? Chi dei due era davvero la vittima?
Improvvisamente Oscar si accasciò a terra, come se tutta l’energia che l’aveva sostenuta fino ad allora fosse di colpo svanita lasciandola debole e sfinita. Victor le si inginocchiò accanto nel tentativo di risollevarla, e Oscar gli rivolse uno sguardo che era come un oceano di strazio. “Non ce la faccio, Victor, non ce la faccio più! Non c’è giorno in cui non senta la sua mancanza, non c’è giorno in cui non lo rimpianga, non passa ora in cui io non sia divorata dal rimorso…per tutto il dolore che gli ho inflitto, per aver compreso i miei sentimenti per lui così tardi, per non essermi accorta che stava diventando cieco[1], per essere stata io la causa della sua morte…è un angoscia continua, che non mi lascia mai, mai…non posso più vivere così…non sono in grado di affrontare tutto questo…”
Il nodo di amarezza che per mesi le aveva stretto il cuore finalmente si sciolse e Oscar riuscì a piangere; e pianse come non aveva più fatto da quando si era svegliata, pianse con il corpo squassato da brividi e singhiozzi, pianse tutte le sue lacrime per quella vita che le era stata negata.
Victor le rimase vicino, senza toccarla, incerto su cosa fare. Avrebbe voluto che ci fosse qualcosa in grado di riportare la luce nel cuore smarrito di Oscar, avrebbe voluto che ci fosse qualcosa in grado di fugare i demoni che la tormentavano; avrebbe voluto essere lui quel qualcosa. Si permise un unico contatto e strinse a Oscar la mano, in un gesto che era insieme di tenerezza e di sostegno. “Non dovete affrontarlo da sola, Oscar.”
Victor la riportò a casa in braccio, Oscar era troppo stanca per camminare; le preparò un bagno caldo, affinché potesse lavare via il fango che le impiastricciava il corpo e i capelli, e soprattutto per evitare che il freddo e l’umidità provocassero un riacutizzarsi della tisi. Quando Oscar si fu asciugata e cambiata Victor la riaccompagnò nella sua stanza, e solo quando la vide addormentata se ne andò per concedersi anche lui un rapido bagno. Si abbandonò sul letto nudo, senza neppure coprirsi, la mente troppo esausta per preoccuparsi del corpo.
Il giorno seguente il sole sorse caldo e luminoso in un cielo terso e pulito; Victor sperò che quella pioggia avesse lavato via, anche solo in parte, le angosce di Oscar. Si vestì velocemente, scese in cucina per preparare la colazione, e risalì al piano superiore per svegliare Oscar. Bussò delicatamente alla sua porta, cosa che serviva più che altro a segnalare a Oscar la sua presenza, visto che lei non gli rispondeva mai. Entrò cautamente, e il suo cuore perse un battito: il letto di Oscar era vuoto. Sciocco, stupido idiota, come aveva potuto lasciarla sola quella notte? Come aveva potuto essere così ingenuo da sperare che un po’ di pianto fosse bastato a farle superare tutto?
Victor corse direttamente in giardino, senza controllare se Oscar fosse in casa, sapeva già che non ve l’avrebbe trovata, la conosceva abbastanza bene per immaginare dove potesse essere andata: allo stagno, a finire quello che aveva iniziato. E fu proprio nell’acqua che la vide, immersa fino alle anche, con la camicia da notte che le galleggiava intorno come la corolla di un fiore. Quello che non vide fu il sorriso leggero sulle labbra di Oscar, e le sue mani, che carezzavano lievemente l’acqua. Si tuffò senza neppure togliersi gli stivali, la agguantò per la vita e la trascinò a riva senza dire neppure una parola.
“Ma cosa…?”, tentò di replicare debolmente Oscar. “Victor, io volevo solo…” Quella mattina, quando si era svegliata, la sua stanza era luminosa, piena di sole; dalla finestra aveva visto la primavera sbocciare nel parco, e si era sentita serena, desiderosa di uscire, bisognosa anche lei di nuova linfa. Era andata in giardino, senza pensare ad avvertire Victor, senza neanche cercare degli abiti; aveva passeggiato in camicia da notte, scalza, come un bimbo giunto per magia in un mondo di fiaba. Aveva gustato la sensazione della rugiada contro la pelle, il tocco dei petali nuovi sulle dita, le carezze delle foglie verdi sul viso. A un certo punto aveva sentito caldo, si era guardata intorno cercando l’ombra e aveva visto la lucente superficie dello stagno, in cui il sole si rifletteva in mille piccoli arcobaleni. Aveva immerso un piede nell’acqua e l’aveva trovata fresca, piacevole; le era venuta voglia di fare un tuffo, proprio come quando era bambina e le era ancora permesso di giocare nel fiume. Voleva soltanto fare un bagno, ma non riuscì a dirlo a Victor; quando si voltò verso di lui per spiegarsi le parole le morirono sulle labbra. Lo sguardo che lui le rivolse era angosciato, ma soprattutto era rassegnato, lo sguardo di chi aveva già previsto tutto, di chi non si aspettava nulla di diverso: non avrebbe creduto a nessuna giustificazione, non l’avrebbe nemmeno ascoltata, troppo preso dalla propria pena per curarsi di lei. Ed era così che Victor doveva vedere lei, pensò Oscar, e ne fu turbata. Ma non c’era solo questo negli occhi di Victor: in quello sguardo verde mare Oscar lesse tutta la frustrazione che gli causava la sua ostentata apatia, vide la rinuncia a qualsiasi tipo di felicità. In che cosa lo stava trasformando?
“Non lo farò più”, fu tutto ciò che riuscì a mormorare, e in quell’unica frase racchiuse le risposte a tutte le domande di Victor; ma lui non lo capì.
[1] Nel manga Oscar scopre la cecità di André quando lui, in punto di morte, la riconosce toccandole il viso
pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012
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