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Oblivion's Garden

2

Warning!!!

 

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Victor passava la gran parte delle sue giornate al capezzale di Oscar, cercando di cogliere qualsiasi cambiamento, il minimo indizio di un suo miglioramento. Ogni giorno combatteva con la morte per strapparla al suo abbraccio; si dedicava a lei anima e corpo, senza sentire i morsi della fame né il dolore delle ferite né la stanchezza delle membra. Ma i giorni si susseguivano tutti uguali, e Oscar continuava a languire. I suoi forzi erano inutili, glielo ripetevano continuamente, non si sarebbe più ripresa, sarebbe morta di consunzione; Victor avrebbe dovuto pensare alla sua, di salute, avrebbe dovuto preoccuparsi di rimettere in movimento il suo corpo invece di trascorrere ore in completa immobilità accanto a una donna morente che neppure percepiva la sua presenza. Lui però continuava a insistere contro tutte le evidenze, contro tutte le probabilità: era un uomo ostinato, Victor de Girodel, un uomo che non si arrendeva facilmente. Aveva combattuto tenacemente per Oscar, e si era ritirato solo quando era stato lei a chiederglielo, quando gli aveva confessato che la sua vita era già indissolubilmente legata a quella di un altro uomo[1]. Ma finché lei non glielo aveva detto lui aveva tentato; e finché ci fosse stato un filo di speranza lui si sarebbe aggrappato a esso, e avrebbe lottato.

Aveva chiesto a Rosalie se poteva essere lui a prendersi cura di Oscar, e lei gli aveva insegnato le poche semplici manovre da praticarle affinché non le venissero le piaghe; per il resto c’era ben poco da fare. Victor quindi trascorreva la maggior parte del suo tempo seduto accanto a Oscar, carezzandole lievemente la mano e raccontandole tutto ciò che veniva a sapere sugli sviluppi della Rivoluzione, scegliendo le notizie che lei avrebbe trovato più interessanti. Le parlava anche di tutto ciò che era successo nel corpo della Guardia reale dopo che lei era andata via, di come si fosse sentito inadeguato a prendere il suo posto; di come lo aveva preoccupato la sua scelta di entrare nella Guardia permanente; del dolore che aveva provato quando lei lo aveva rifiutato; di quanto aveva desiderato la sua felicità, anche accanto a un uomo che non era lui; dell’angoscia che aveva provato quando gli era stato detto che lei era morta e di come fosse stato felice di scoprire che non era così, di poterle stare ancora vicino, di poter ancora fare qualcosa per lei. Victor le apriva il suo cuore come mai avrebbe avuto il coraggio di fare se lei fosse stata cosciente, ma credeva fermamente che il racconto di quanto lei fosse stata importante per lui, di quanta parte dei suoi pensieri le avesse dedicato, di quanto lui l’amasse ancora le desse la forza di scegliere la vita.

 

Una mattina le stava raccontando di come la aveva ritrovata, della straordinaria combinazione di essere stato salvato proprio da un suo soldato. “La sua pietà mi ha sorpreso, pensavo che questa rivoluzione avesse spazzato via tutto ciò che al mondo esiste di nobile, persino i sentimenti. Del resto pensavo anche che non ti avrei mai più rivisto, Oscar: evidentemente sono un uomo facile all’errore. Però avrei preferito incontrarti in un altro contesto, amore mio.” Le scostò delicatamente un ricciolo dalla fronte. “Avrei voluto che anche tu potessi vedermi.” Le strinse appena la mano.

Qualcosa, nel tono di quella voce, riuscì a superare la coltre di buio che avvolgeva Oscar, si insinuò nella sua mente rattrappita, ripiegata sul proprio dolore: perché la sofferenza di quella voce era la stessa che aveva velato le parole di André, e gli accenti amorevoli e preoccupati che aveva erano gli stessi con cui André le si era sempre rivolto. Forse aveva sognato, forse tutto quell’angoscia era stata soltanto un orribile incubo, e svegliandosi avrebbe ritrovato André accanto a sé.

Oscar sollevò le palpebre e incontrò due occhi verdi, ma verdi come il mare, occhi che non erano quelli di André ma che lei ben conosceva, perché appartenevano a… “Ancora tu?” Soltanto questo gli disse, due parole fredde e taglienti come lame di rasoio. Ma quelle Victor le poteva sopportare, in fondo Oscar era anche questo, sapeva essere dura e distaccata, e lui lo sapeva. Quello a cui non era preparato ero lo sguardo che lei gli rivolse, uno sguardo in cui rancore e disgusto si mescolavano alla più terrificante disperazione che Victor avesse mai visto.

 

Victor aveva raggiunto il suo scopo, ma ciò che aveva riportato alla vita non era Oscar, ma soltanto la larva di ciò che lei era stata: una creatura spezzata, completamente apatica, che non parlava e non si muoveva, la cui massima attività era mettersi seduta e piluccare il cibo che le mettevano davanti. Pazzia, era stato il verdetto del medico, la mente di Oscar aveva ceduto a un dolore troppo grande per essere elaborato; ma la pazzia non cambiava i sentimenti che Victor provava per lei. Continuava a prendersene cura, circondandola di ogni attenzione, sempre dedito, servizievole, onnipresente; la trattava come se lei comprendesse e apprezzasse ciò che lui faceva per lei, quando tutto ciò che riusciva a ottenere era qualche saltuario sguardo vuoto. Ma per lui non aveva importanza, ora che l’aveva ritrovata non l’avrebbe lasciata andare.

 

Era una notte torrida, aveva piovuto da poco, uno di quei temporali estivi che si invocano affinché portino un po’ di frescura e che invece lasciano l’aria ancora più pesante. Oscar aveva dormito malissimo, il suo sonno era stato continuamente agitato da incubi confusi ma spaventosi, che l’avevano fatta destare di botto, lasciandole un peso indefinito sul petto. Non riusciva a respirare in quello stanzone sovraffollato che sapeva di sangue, alcool e morte, aveva bisogno di aria pulita, di aria fresca. Si era alzata dal letto dopo settimane di immobilità e si era sentita vecchia, rigida, come se dall’ultima volta che era stata in piedi, da quel giorno alla Bastiglia, dal giorno in cui era morto André, fossero passati anni invece che poco più di un mese. Ma lei in quel breve lasso di tempo era cambiata come se realmente fossero trascorsi secoli, era davvero invecchiata: come poteva definirsi una persona senza più fiducia, senza più nulla in cui sperare, se non vecchia?

Salì furtivamente al piano di sopra, felice che nessuno l’avesse notata e si fosse precipitato a chiederle il perché del suo gesto o a suggerirle gentilmente di tornarsene a letto. Quella parte del palazzo doveva essere rimasta inutilizzata per anni, odorava di polvere e di chiuso, sembrava pericolante; rispecchiava i suoi abitanti, pensò Oscar, anche loro sempre sul punto di crollare. I feriti però potevano ancora tornare agli antichi splendori, quel palazzo no, e in questo somigliava soltanto a lei. Oscar si guardò intorno cercando di indovinare come potesse essere stato quel luogo prima di essere adattato a ospedale, ma non c’era più nulla che potesse suggerirlo; tentò di ricordare come era lei prima di quel giorno maledetto, e non le riuscì, perché anche la sua anima era vuota, priva di punti di riferimento.

Aprì una finestra, bisognosa di aria non viziata. Le era sempre piaciuto l’odore che lasciava la pioggia, quel profumo di terra ed erba fresca che tante volte aveva respirato con André quando ancora vivevano a palazzo Jarjayes. Ma qui la pioggia non era caduta su prati fecondi, era precipitata su una città lurida, risvegliandone tutte le esalazioni, e l’effluvio che colpiva le sue narici era putrido, marcio. O forse era semplicemente la sua anima a essersi imputridita, a essersi trasformata in un landa marcescente in cui nulla ormai sarebbe più cresciuto. Perché continuare a vivere, allora? Per fare contenti tutti quelli che la circondavano, che tanto si erano prodigati per lei? Sciocchezze, per lei erano soltanto ombre che si aggiravano sullo sfondo dei suoi sogni e dei suoi ricordi. Perché voleva una morte dignitosa? E cosa sarebbe cambiato? Qualunque sia il modo in cui si muore il risultato alla fine è lo stesso. E poi, non era il suo più grande desiderio, quello di morire? Non era perché sperava di rimanere uccisa che aveva partecipato alla presa della Bastiglia? Non si era sentita straziare quando si era resa conto di essere ancora viva? Doveva dedurne che le mancava il coraggio; ma Oscar François de Jarjayes non era mai stata pavida, e non lo sarebbe stata ora.

Guardò in basso e vide scorrere la Senna, acqua scura, limacciosa, che fluiva lenta: era così che aveva immaginato il Lete durante le noiose lezioni di letteratura, un fiume grigio e untuoso, che ricopriva i defunti concedendo finalmente loro il dono dell’oblio. La morte le avrebbe permesso di dimenticare tutto il dolore, di dimenticare se stessa, di ritrovare André; era allettante quel pensiero, ma ancora non riusciva a decidersi. Nell’acqua brillò qualcosa, come due riflessi verdi: la stava chiamando.

 

La sparizione di Oscar non era passata inosservata come lei aveva creduto: Victor, sempre vigile, si era accorto dei suoi movimenti e l’aveva seguita. Si sentiva meschino nel volerla spiare, non c’era nessun motivo per cui Oscar sarebbe dovuta rimanere confinata a letto, anzi, il fatto che si fosse decisa a muoversi probabilmente era positivo, un indizio di guarigione. Ma lo sguardo di Oscar era stato troppo risoluto, troppo  presente, lo aveva profondamente turbato. Si chiese se non stesse diventando paranoico, se non stesse perdendo la ragione insieme a lei, lui non era mai stato così inquieto, così indiscreto. Forse la sua era davvero follia, ma se era ancora capace di comprenderlo forse faceva ancora in tempo a salvarsi, a fuggire dai suoi sentimenti, a convincersi che Oscar non fosse poi così importante. Ma cosa sarebbe diventato senza di lei, senza l’unica persona che aveva dato alla sua vita uno scopo più alto?

Vide Oscar stagliata nel riquadro della finestra, con i capelli che ondeggiavano lievi al vento mentre il resto della sua persona rimaneva perfettamente immobile: sembrava quasi un fantasma, un’apparizione irreale. Victor si rimproverò per quei pensieri sciocchi, non era proprio il momento di far galoppare la fantasia, non c’era niente di soprannaturale in lei: era venuta lì in cerca semplicemente di un po’ di solitudine e di aria fresca, un desiderio assolutamente comprensibile e legittimo. E lui non voleva disturbarla con la sua presenza. Si voltò per andarsene quando la scorse, con la coda dell’occhio, sporgersi verso il basso; beh, anche lì non c’era nulla di strano, affacciarsi e dare un’occhiata in giro era un gesto normalissimo, tanto più per una persona che era rimasta lontana dal mondo per tanto tempo. Però adesso si stava sporgendo un po’ troppo. Victor la vide per un attimo rimanere sospesa, in bilico sul davanzale, poi Oscar cominciò lentamente a scivolare verso il basso, e Victor smise di cercare giustificazioni razionali; guidato solo dall’istinto si slanciò su di lei, afferrandola appena in tempo e trascinandola indietro. Il movimento fu così brusco e repentino che il contraccolpo li fece cadere a terra. Victor urtò violentemente contro il pavimento, e dalle sue ossa provate partirono lampi di dolore che gli annebbiarono la vista; strinse i denti e resistette, continuando a trattenere Oscar, che adesso sembrava davvero una pazza furiosa: si dibatteva tra le braccia di Victor con una foga che sembrava impossibile potesse albergare in un corpo così debilitato, urlava versi inarticolati e lo graffiava spietatamente, incidendogli lunghi solchi sanguinanti nella carne. Ma lui non cedeva, continuava a stringerla a sé: questa volta Oscar non avrebbe vinto[2]. Tu, tu, sempre tu, maledetto! Tu, povero idiota ostinato; tu, omuncolo presuntuoso convinto di sapere cosa sia meglio per me! Io ti odio, Victor! Va all’inferno!

 

Ma Victor, invece di andare all’inferno come Oscar gli aveva augurato, dopo averla riportata a letto e averle somministrato un tranquillante era corso a riferire l’accaduto ad Alain, Bernard e Rosalie, e i quattro adesso stavano tenendo consiglio per decidere cosa fare di lei. Si erano piazzati vicino al suo letto, convinti che il calmante l’avesse fatta addormentare, mentre invece lei era perfettamente sveglia e lucida, in grado di seguire tutti i loro discorsi.

A quanto pareva tutti e quattro concordavano sulla necessità di allontanare Oscar da Parigi, in quanto la città era troppo carica di ricordi luttuosi che potevano in ogni momento spingerla di nuovo a qualche gesto insano. Sentendoli parlare Oscar capì finalmente cosa era diventata lei per loro, e ne rise tra sé cinicamente: la ritenevano pazza, una povera pazza da isolare dal mondo per impedirle di farsi del male; un pesante fardello da appioppare a qualche anima pia disposta a prendersene cura. Perché era proprio di questo che stavano discutendo ora, di chi avrebbe potuto accudirla una volta lasciato l’ospedale. Fu qui che Victor, da quell’instancabile ficcanaso che era, si offrì di prenderla con sé: ormai si era ristabilito, e non c’era motivo per cui dovesse rimanere nell’ospedale a occupare un letto che poteva servire a qualcuno realmente bisognoso; d’altro canto non se la sentiva di riprendere il comando delle Guardie reali, per cui si sarebbe ritirato in una sua proprietà in campagna, in una zona tranquilla dove i tumulti della rivoluzione difficilmente sarebbero arrivati. Se per loro andava bene, avrebbe portato Oscar con sé. La proposta era stata accolta con entusiasmo da Bernard e Rosalie, mentre Alain si era mostrato alquanto scettico. Davanti a loro non si era espresso apertamente, ma la verità era che gli riusciva difficile credere che un bellimbusto imbalsamato come Girodel fosse in grado di occuparsi da solo di una donna così chiaramente instabile, e poi lui rappresentava proprio quel mondo che era stato la causa di tutte le sofferenze di Oscar; riteneva quindi che Girodel fosse la persona meno adatta a lenire il dolore di Oscar. D’altro canto andava detto, a merito di Girodel, che aveva dimostrato nei confronti di Oscar una devozione assoluta, e che sembrava un uomo che manteneva le sue promesse; e a parte tutto pareva che non vi fosse nessun altro disposto ad addossarsi una simile incombenza, e certamente lui, Alain, non si sarebbe offerto volontario. Aveva voluto molto bene al suo comandante, sotto certi aspetti ne era stato anche innamorato[3], ma ora quella donna gli metteva addosso un’angoscia insostenibile, gli ricordava troppo Diane[4]; per cui Alain si lasciò convincere da Bernard e Rosalie che la proposta di Girodel era la soluzione migliore. Venne stabilito che l’indomani i commilitoni di Alain avrebbero scortato Victor a casa sua in modo che potesse prendere il necessario per il viaggio, dopodiché lui e Oscar avrebbero lasciato Parigi.

E così Oscar si trovava di nuovo a dover subire le decisioni che altri prendevano sulla sua vita, scelte fatte da persone che liquidavano i suoi desideri come i segni di una crescente instabilità mentale. Era poi così folle voler tornare da chi si ama? Era così insensato voler abbandonare una vita che era solo parvenza? Pazzia, sanità, erano soltanto punti di vista: non era folle anche Girodel, che si ostinava a volerla guarire, convinto di poter resuscitare una persona che era già morta dentro? Lui però non lo rinchiudevano, con lui inneggiavano all’eroe che salva la donzella. Che facessero pure  quello che volevano, che la portassero dove più era loro comodo, non sarebbe cambiato niente: Oscar aveva deciso di morire, e quando la volontà di vivere veniva meno anche il corpo prima o poi doveva cedere. E lei aveva una volontà di ferro.


 

[1] L’episodio è tratto dal manga

[2] Nell’anime Oscar e Victor sono entrambi candidati al ruolo di comandante della Guardia reale, titolo che verrà attribuito in base all’esito di un duello. Oscar, pur decisa a non entrare nella Guardia, sfida comunque Victor per dimostrargli che non è per vigliaccheria che si tira indietro, e lo sconfigge

[3] Nel manga anche Alain si invaghisce di Oscar e arriva a baciarla, anche se poi si tira indietro a causa dell’amicizia che lo lega ad André

[4] Diane, sorella di Alain, si suicida perché il fidanzato l’abbandona a pochi giorni dalle nozze per sposare una ricca ragazza borghese; l’episodio è presente sia nell’anime che nel manga

 

pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

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Mail to Costanza costanzamariacristiani@yahoo.it

 

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