Oblivion's Garden
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Oscar non si aspettava una reazione del genere da parte di Victor. Pensava che si sarebbe infuriato, che avrebbe recriminato, che l’avrebbe accusata di essere una meschina, subdola manipolatrice, incurante del male che faceva agli altri. Lei avrebbe reagito così al suo posto, perché aveva ragione.
Ma Victor non fece niente di tutto questo: si limitò ad assumere un contegno di cortese indifferenza, come se in qualche modo già sapesse come sarebbe andata a finire, o comunque la cosa non gli importasse più di tanto. Pareva perennemente distratto, come preso da un pensiero grave, impellente, al confronto del quale i volubili atteggiamenti di Oscar erano poco più che quisquilie.
Oscar invece avrebbe dato qualsiasi cosa per poter non pensare, strapparsi via il cervello brano a brano fino a ridursi a un involucro; tornare a un anno prima, quando un’unica martellante idea la saturava fino a renderla completamente vuota. Stava perdendo la percezione di sé: non sapeva più chi fosse, se la persona fredda, razionale, che era riuscita a togliersi Fersen dal cuore a colpi di volontà, che aveva saputo ignorare, soffocare per anni l’amore per André; o la donna che si infiammava vergognosamente per un uomo che fino a poco tempo prima disprezzava, che si preoccupava di capirne le logiche ambigue come se fosse stata la missione della sua vita, la sua unica ragione d’essere. E, cosa ancora più grave, stava perdendo il confine tra Victor da André; i loro volti si sovrapponevano, i sentimenti che provava per loro si mescolavano in un grumo contorto che le pesava sul cuore e che ogni giorno diventava più inestricabile, perché qualsiasi pensiero dedicato all’uno si portava dietro lo strascico dell’altro: il ricordo di André si solidificava nello sguardo obliquo e onnisciente di Victor, i sussulti provocatile da Victor gelavano nelle tacite accuse di André. Dopo mesi di silenzio lui era uscito di nuovo dai risvolti della sua mente, inseguendola, braccandola, privandola della pace conquistata con tanta fatica; se almeno Victor avesse preso una posizione, se le avesse dato i mezzi per combattere le sue ossessioni, se avesse deciso di imporsi e frapporsi tra lei e il passato. Ma Victor, per qualche suo imperscrutabile motivo, non faceva nulla. Non sarebbe mai riuscita a capirlo completamente, Oscar ormai lo sapeva. Non importava quanto lui le dicesse di sé, avrebbe anche potuto raccontarle la sua intera vita, descriverle ogni più piccolo moto del suo animo, ogni più insignificante pensiero, e ancora ci sarebbe stata una zona d’ombra, qualcosa che lei non sarebbe mai stata capace di comprendere se lui non avesse voluto renderla partecipe.
Era una torrida sera di fine agosto, velata da una cappa afosa che opprimeva il respiro. Anche Victor era immobile, fermo come l’aria bollente che respirava con movimenti impercettibili, lo sguardo fisso nel buio del giardino, la cena che languiva intonsa nel piatto. Non era mai capitato che non mangiasse; non era mai stato così freddamente, indifferentemente lontano. Forse per questo non faceva niente, pensò Oscar, perché non ne era capace; o forse perché lei era condannata a essere eternamente risospinta verso il passato[1], a prescindere d lui. Esalò un sospiro muto.
Poi finalmente Victor ruppe il silenzio. “Dobbiamo andarcene.”
“Da qui?”
“Dalla Francia.”
Oscar lo fissò incredula e confusa. Il fatto che avesse utilizzato il plurale, che intendesse portarla con sé, per alcuni versi la rassicurava, ma non era certo sufficiente ad annullare la profonda inquietudine che quelle parole avevano suscitato. Victor non era incline ai colpi di testa, le sue decisioni, per quanto apparentemente bizzarre, nascevano sempre da lunghe e attente considerazioni; una risoluzione così drastica doveva avere alla base delle motivazioni serie, gravi. Ma non sopportava che lui facesse piani su di lei senza consultarla, come se fosse una bambina; su questo in particolare, poi, era assolutamente in disaccordo. “Io non vado da nessuna parte!”
“Non è più sicuro rimanere qui, Oscar. Non mi piace quello in cui il Paese si sta trasformando.”
Questo non doveva permettersi di dirlo: che ne sapeva lui di come stava diventando la Francia? Con quale diritto parlava così, lui, che si era tenuto ai margini di tutto, spettatore volontario? Come osava esprimere un tale disprezzo nei confronti di un ideale in cui tanti avevano creduto e per cui erano morti? In cui André aveva creduto e per il quale era morto?
Era una questione di principio: a Oscar non importava più niente dei destini della Francia, che proclamassero la Repubblica, restaurassero la monarchia, che bruciasse l’intera Nazione, ormai non era un suo problema. Ma lei il privilegio dello spregio se l’era guadagnato: lei aveva combattuto, aveva sofferto, aveva dato tutto ciò che aveva alla Rivoluzione. Cosa aveva fatto Victor? Niente. Non gli avrebbe mai dato ragione.
“Lo credo bene che non ti piace: niente più denaro, niente più privilegi… Come potresti sopravvivere in un mondo del genere?” Voleva ferirlo, e le dispiacque non trovare nulla di più cattivo da dirgli.
“Sai perfettamente che non è vero.” La sua voce era bassa e calma ma le mani gli tremavano impercettibilmente.
“Io so solo che sei come tutti gli altri, un nobile meschino, attaccato al proprio retaggio, che preferisce vedere la gente morire di fame piuttosto che rinunciare…”
“Tu non sai niente!” Si era alzato di scatto, protendendosi verso di lei.
Un unico momento di rabbia, e riacquistò l’abituale compostezza. Si diresse a lunghi passi lenti verso la porta-finestra. Guardava fuori, era di nuovo lontano.
“Sei mai stata in battaglia, Oscar? No. Tu hai visto solo la Rivoluzione; per gran parte della tua vita sei stata nella Guardia reale, ben protetta dal mondo esterno. Io sono stato in America[2], ne ho combattute battaglie, so riconoscere la guerra. Questa Rivoluzione è una guerra, Oscar, e fa schifo esattamente come tutte le altre. Ci sono i coraggiosi, quelli che credono davvero nell’ideale, che lottano per esso e per esso muoiono: quelli come André.” La fatica che gli costò pronunciare quel nome fu più che evidente. “E poi ci sono quelli che restano nell’ombra, che muovono le fila, che mandano gli altri al massacro, come animali, e poi si prendono i meriti. I migliori se ne vanno e i peggiori restano, e sono loro a prendere il potere, a imporre un nuovo sistema che non differirà in nulla dal vecchio. Io non credo a questa Rivoluzione, Oscar, e in fondo non ci credi nemmeno tu.”
“Tu non sai di cosa parli, Victor! Sono degli eroi!”
“Sono assassini!” Tornò a guardarla, feroce, gli occhi come oceano in tempesta. “Niente più che luridi, sadici porci, identici a coloro che li hanno preceduti!”
Oscar era sbigottita: Victor non era solito esprimersi così, perdere così tanto il controllo per questioni astratte, lontane dalla sua realtà. Ci doveva essere altro a turbarlo tanto, qualcosa a cui teneva. Cercò di abbassare la voce, di riprendere un tono pacato. “Cos’è che vuoi dire, Victor?”
“Niente.”
“No, Victor, adesso basta. Sono stanca di allusioni, mezze parole: non sei tenuto a proteggermi in eterno. Dimmi quello che sai e facciamola finita.”
Victor tornò a sedersi. Congiunse le mani davanti al viso massaggiandosi gli occhi con le dita nel suo caratteristico gesto di stanchezza. Respirò a fondo, a lungo.
“Dopo la presa della Bastiglia la Famiglia reale è stata condotta al palazzo delle Tuileries: li volevano vicini, li dovevano controllare. Fersen ha tentato di farli fuggire, ma a Varennes sono stati riconosciuti e catturati. Hanno perquisito il palazzo, e hanno trovato dei documenti, trattative con altri sovrani a quanto si dice. Praticamente sono tutti sotto arresto, anche se nessuno ha il coraggio di dichiararlo apertamente[3]. L’accusa è di alto tradimento; chiederanno la pena capitale.”
“No…” Non riuscì a dire altro, era paralizzata dall’orrore: non era vero, non poteva esserlo. I sovrani non meritavano quella fine. Luigi era un uomo gentile, pacifico, e Maria Antonietta… sì, a volte era capricciosa e superficiale, ma aveva anche un grande cuore, un animo generoso. Per quanti errori avessero potuto commettere, per quanto avessero potuto potessero essere ciechi e deboli, non potevano pagare un tale prezzo. E i bambini? Cosa avrebbero fatto loro? Si sarebbero macchiati anche del loro sangue?
Si costrinse a calmarsi, doveva rimanere lucida, pensare. Si tirò su, risoluta. “Dobbiamo andare a Parigi.”
“A fare cosa?”
“Organizzeremo un’altra fuga.”
“Tu non farai niente del genere.”
“Non dirmi quello che posso o non posso fare, va bene?! Non li lascerò morire come cani!”
Fece per allontanarsi dalla sala, ma Victor la raggiunse velocemente.
“Oscar!” Le si parò di fronte, bloccandole ogni via di fuga. “Oscar, per favore.”
Non voleva guardarlo, ma la forza magnetica degli occhi di lui ebbe la meglio sulla sua volontà. “Non sei l’unica a essere disgustata da questa situazione. Appena Bernard mi ha comunicato la notizia sono corso a Parigi; ci siamo visti più volte, ne abbiamo discusso a lungo… ma non si può fare niente. Non c’è modo di infiltrarsi o comunicare con loro: sono sorvegliati a vista, viene controllato tutto ciò che entra ed esce dalle loro stanze, per vederli ci vogliono permessi e la presenza di persone di comprovata fedeltà alla causa rivoluzionaria.”
“E allora corrompete le guardie! Dio, sei pieno di soldi! Comprale e falli evadere!”
Victor si esibì nel suo ghigno vagamente derisorio. “Credi davvero che non ci abbiamo pensato? E credi che sia così facile? Bernard è riuscito a ottenere i nomi degli uomini mandati alle Tuileries, e io gli ho garantito tutto il denaro di cui avesse avuto bisogno. Ma, indovina un po’, per la guardia sono stati scelti solo ligi idealisti militanti, gente che si farebbe ammazzare piuttosto che lasciarli fuggire. Una sola parola e siamo morti; già Bernard è guardato con sospetto, e in quanto a me…”
“Sono solo scuse, siete dei vigliacchi!”
“E tu sei una stupida!” L’aveva afferrata per le braccia, e ora gridava, trapassandola con occhi gelidi come ghiaccio. “Non c’è niente che potresti fare andando lì, lo vuoi capire? Non c’è modo. Ti faresti solo ammazzare, e renderesti vano il m… il sacrificio di entrambi. E io questo non te lo permetterò mai!” La sua voce si abbassò, ma la presa su di lei rimase salda. “È finita, Oscar. Guarda avanti. Vivi la tua vita.”
Non stava più soltanto parlando del Re e della Regina: si riferiva a lei, a loro. E aveva ragione. Ma non era dei suoi sensati, assennati consigli che Oscar aveva bisogno.
“Smettila! La devi smettere di essere così! Sempre razionale, sempre freddo, sempre padrone della situazione, sempre nel giusto! Io non ti sopporto più! Io ti odio, Victor, ti odio!”
Sapeva che non era vero. La strinse a sé, lasciando che gli tempestasse il petto di pugni sempre più deboli, finché non la sentì abbandonarsi a lui e alle lacrime. Lasciò che piangesse senza interromperla con inutili parole di vacuo conforto, cullandola nel silenzio intimo del loro abbraccio.
Percepiva le dita di lei aggrappate alla sua schiena come all’unico appiglio rimastole; percepiva la stoffa tiepida e umida della camicia, e la guancia calda di lei che gliela incollava al petto; percepiva il suo respiro spezzato che gli solleticava la pelle; percepiva i suoi morbidi riccioli contro le labbra. Vi infilò una mano in mezzo, lasciandola scivolare in una lunga, ripetuta carezza lungo la schiena. Come era diventata magra! Le sporgenze delle ossa premevano contro il suo palmo, velate appena dalla pelle. Improvvisamente gli sembrò piccola, troppo fragile per sopportare il peso della vita.
I singhiozzi si andarono placando, ma la stretta di Oscar non si allentò.
“Perché deve essere così, Victor? Perché deve essere così difficile?”
“Perché a volte è difficile separarsi dal proprio dolore[4]. Perché a volte il dolore ci definisce.”
“Pensi che smetterà mai di fare male?”
“Non lo so, Oscar. Lo spero, ma non lo so.”
Allora c’era qualcosa che non sapeva. Ma poteva avere ragione anche questa volta.
Sollevò il viso verso Victor.
Le scie lasciate dalle lacrime risplendevano argentee nella luce fioca, mentre il resto del corpo rimaneva in penombra, trasformando il volto di lei in un pallido, irreale fiore galleggiante intorno al quale si chiusero le mani fredde di Victor. Le sembrò che il dolore scivolasse via, quietamente scacciato dall’intensità del presente. Forse poteva esserci una fine, bastava chiudere la mente agli echi e perdersi nell’attimo, negli occhi di Victor…
Come un fiore, la bocca di Oscar si schiuse contro quella di lui, che resistette per un unico, lacerante attimo prima di abbandonarsi alla dolcezza di quel bacio. Le labbra di Victor erano morbide, le sue mani gentili; come potevano labbra da cui uscivano parole così sprezzanti essere tanto morbide? Come poteva un uomo tanto sarcastico avere mani così gentili? Ma poi perché porsi tutte queste domande, fare tanti confronti? In Victor il suo sanguinante cuore trovava lenimento, non le serviva sapere altro. Non voleva altro. O forse sì.
Gli si premette contro, spingendolo all’indietro. Victor si lasciò scivolare a terra lentamente, muovendosi con cautela affinché lei non cadesse, ma Oscar non badò a tanta delicatezza. Si abbandonò sul corpo di lui continuando a baciarlo con foga crescente, mentre le sue dita correvano frementi ai lacci che gli chiudevano la camicia. Quando le mani di Victor le si chiusero intorno ai polsi lo interpretò come un segnale di passione crescente; gli serrò le gambe intorno alla vita e le labbra intorno alla bocca bollente. Solo quando lui scostò bruscamente il viso capì che stava cercando di allontanarla.
Si fece indietro, permettendogli di mettersi seduto. Nel buio non riusciva a vederlo, distingueva solo i suoi occhi, il loro sguardo insieme speranzoso e rassegnato.
“Oscar”, la sua voce era poco più che un bisbiglio, “è davvero questo ciò che vuoi?”
Oscar rimase in silenzio. Non l’eloquente silenzio che cela risposte inesprimibili con le parole, ma il vuoto, riecheggiante silenzio dato dal non avere risposte.
“Lo immaginavo.”
Victor si rimise in piedi, aiutandola ad alzarsi. Oscar si chinò a rassettarsi, mentre tentava di ricomporre il volto in un’espressione tranquilla e dignitosa che celasse la vergogna per ciò che aveva fatto. Lei non era questo, non si comportava così. Ma osservando di sottecchi Victor che si sistemava la camicia pensò che sarebbe andata oltre se lui non l’avesse fermata, e che non era poi così sicura di essere davvero pentita.
“Vieni, Oscar, ti accompagno nella tua stanza.”
Si mossero nel silenzio e nell’oscurità. Quando Oscar fece per chiudersi la porta alle spalle Victor la fermò.
“Oscar, ascolta.”
Ringraziarono entrambi la mancanza di luce, che copriva l’imbarazzo di quella conversazione.
“Io… ti amo, e lo sai. Ti amo molto più di quanto riesca a dimostrarti.” Questo è poco ma sicuro, pensò, riflettendo anche che non era il caso di osservarlo ad alta voce. “Ma non è questo che voglio essere per te. Cerca di capirmi. Buonanotte.”
No, non lo capiva, esattamente come non capiva se stessa.
[1] Da Il Grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald.
[2] Libertà presa rispetto all’anime e al manga. Qui si vuole che possa aver partecipato alla Guerra d’Indipendenza americana.
[3] Da Wikipedia e ovviamente dal manga.
[4] F. Scott Fitzgerald, Tenera è la notte.
pubblicazione sul sito Little Corner aprile 2015
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Costanza Mail to Costanza costanzamariacristiani@yahoo.it
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