Striature

(due momenti ed un istante)

Warning!!! The authors are aware and have agreed to their fanfics or translations being posted on this site. So, before downloading  these files, remember public use or posting them on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

Attenzione!!! Gli autori sono consapevoli ed hanno acconsentito a che le proprie fanfic o traduzioni fossero pubblicate su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Prima

 

Sono un burattino mal fabbricato che balla una danza senza passi su un palcoscenico di cartone che è la Vita.

Ma ho conosciuto l’Amore. E questo cambia ogni cosa.

 

 

E’ quasi statica la frenesia e l’invadenza di questo giorno che doveva, prima o poi, arrivare.

Mi perdo nel fluente diramarsi di una scelta che resta sospesa fra le due anime che mi abitano. Troppo diverse, troppo distanti. Calco antifrastico di ciò che io stessa non riesco più a decifrare.

Ciò che percepisco, stasera, non mi è dato di provarlo.

E resto così. Ferma al bivio, con striature confuse che creano quasi spasmi in questo corpo che sa essere fedele alleato e spietato assassino.

È stato lui a tradirmi, la notte che sono nata.

 

Scorgo in trasparenza la svolta che, pur bramando, temo.

Forse tutto ciò che devo è l’unica cosa che posso: continuare ad essere ciò che non sono.

Poco importa che sia l’ultima cosa che voglio.

 

M’immergo nello specchio, in quell’immagine che tanto odio perché mi svela, mi smaschera.

Il dolore è il mio miglior mentore.

E nel mio volto riconosco il sorriso velato di chi, pur tacendo, ha già deciso.

La differenza fra me ed il mio riflesso è tutta lì.

 

Inseguo l’oblio come in un beffardo gioco di specchi. Stasera, tutto ciò che vorrei, è dimenticare chi sono. Ed essere ciò che voglio. Che avrei dovuto.

Da sempre.

Anche se ciò che rifuggo mi intrappola ogni istante.

Anche se mi afferra. M’incatena nell’assenza.

 

Stasera non posso che decorarla, questa ferita che mi abita da sempre. Farmela alleata.

Abbellire e corteggiare ciò che in realtà mi ha tradito fin dal mio primo respiro su questa terra.. il mio corpo.

E quasi mi sembra di vederlo il volto di mio padre, con quel ghigno beffardo di chi sceglie della vita altrui. Credendo che la propria sia una scelta senza ritorno.

Quasi la compatisco la sua illusione.

 

Ciò che ho scoperto di provare, ciò che è nato in me, nella sua forma più timida e sconosciuta, non può certo essere cancellato da un’uniforme e da una spada.

Domani sarò di nuovo io. Di nuovo Oscar.

Ma stasera tutto ciò che voglio essere è me stessa.

 

E c’è ancora nella mia mente la luce del tuo sguardo la prima volta che ci incontrammo, a quel ballo in maschera…

Testarda e diffidente come sempre, non ho esitato a sfoderare la mia spada contro di te, quando la vicinanza a Sua Maestà mi sembrava inopportuna ed eccessiva. Eppure non ho potuto non vederlo il raggio di sole che ti attraversava lo sguardo, nonostante la notte regnasse scura su Parigi.

Come il velluto della tua voce quando ti sei dichiarato pronto a morire con me, seguendo il mio sacrificio per salvare André. E se la Regina non fosse intervenuta ad assolverci tutti, mi avresti davvero seguita. Pronto a pagare per una colpa che non avevi commesso, pur di salvare il mio migliore amico.

Forse è in quel momento che ho cominciato ad amarti, Fersen.

Forse è stato quello l’istante in cui tutto ciò che avevo tenuto a lungo nascosto sotto galloni e medaglie, uniformi e spade è venuto alla luce, riaffiorando da una dimensione diversa, in cui mi illudevo di averlo distrutto.

 

Stasera s’interrompe il tempo della resa incondizionata.

Stasera torno a sentirmi. E ciò che l’alba porterà, è ora solo futile sguardo al futuro.

Forse domani mi sveglierò e tutto sarà rimasto immutato.

Ma stasera chiederò a Nanny di aprire quel baule e di regalare nuovamente aria a quella stoffa che per troppe stagioni ho lasciato lì.

Chiusa.

Senza respirare.

 

Quanto azzurro c’è in questo bianco.

E’ stato forse il tempo a dissimulare parvenze di colore su un abito che era pallido come la luna?

Non posso dirlo in realtà. Non ne conservo ricordo preciso.

Ho sfiorato questa stoffa solo una volta. Ma la mia pelle non ne ha conosciuto il contatto.

C’erano i bianchi guanti dell’uniforme a creare quella sottile eppure esistente barriera fra l’una e l’altra Oscar.

Al tatto, questo raso, non l’avevo sentito mai.

Era stata invece la mia spada a sfiorarlo, a danneggiarlo lievemente in un punto dell’ampia gonna mentre, furente e caparbia, lo scagliavo verso la povera Nanny, preferendo ad esso la candida uniforme che per anni ho indossato.

Erano dello stesso bianco, la mia divisa e questo vestito.

Eppure, quanta diversità c’era nelle due vite che mi si proiettavano innanzi.

 

Padre, non lo faccio per voi. Né per chiunque altro.

 

Ancora le sento quelle parole che, ingombranti, si facevano largo nella mia testa mentre scendevo la scalinata che avrebbe segnato l’inizio. E la fine di tutto.

Gradino dopo gradino, seppellivo in me un frammento del mio cuore che credevo avrei messo a tacere per sempre. Passo dopo passo sentivo sempre più quell’uniforme adattarsi al corpo, aderire ad esso con arroganza e possesso, stringermi come in una morsa di ferro.

Eppure non potevo far altro che continuare.

E sono andata avanti così.

Fino al giorno del nostro incontro.

 

Credevo che non ci fossero uniformi o spade o galloni che il cuore potesse distruggere.

Non credevo che ogni arma potesse restare indifesa ed impavida dinanzi a ciò che cresce dal di dentro.

Illusa e sciocca, pretendevo di controllare ciò che in realtà mi controllava.

L’aria diventava come veleno quando si frapponeva fra me e te.

Tutto ciò che cercavo era il tuo sguardo. Il tuo sorriso.

E piano piano ho cominciato a sentirlo, l’amore che si insinuava in me.

Dolce. Tenero. Devoto.

Primo inaspettato amore.

 

 

Ho detto a Nanny di uscire dalla stanza e di tornare solo al mio richiamo.

Voglio essere sola mentre mi spoglio della mia uniforme ed indosso questo abito bianco che ha in sé qualcosa di azzurro, come sfumature di cielo in un manto sfocato di nuvole.

Il baule è lì, di fronte a me. E quel lucchetto ora aperto mi sembra come una porta socchiusa su un mondo che ignoro ma che stasera mi chiama a sé con una forza incontrollabile.

Quasi indugio in quei pochi passi che mi separano da quella dimensione che ho sempre considerato “altra”, estranea. Ma che stasera non mi pare molto dissimile ad una pianta sradicata dalla mia stessa terra, con cui condividevo le radici più profonde.

Allungo la mano verso quel legno. E provo quasi paura in quell’istante in cui, rispondendo ad un richiamo interno, apro il baule.

E scorgo quel bianco.

E l’abito è lì, piegato con cura da mani premurose che non hanno mai smesso di sperare che un giorno l’avrei sfiorato anch’io. Davvero.

Non la tocco quella stoffa. La accarezzo. Ed il raso mi sembra come velluto a contatto con il palmo nudo. Non c’è più, stasera, quella barriera che separa e rinnega.

C’è solo una mano che scorre su pizzi e merletti. Che timida s’insinua fra le pieghe del bianco. Che sfiora le perle della collana ed il tacco delle scarpe.

Tutto conservato lì.

Per oltre dieci anni dal quel giorno in cui ho saputo solo rinnegarlo.

 

Lenta, la seta della camicia scivola sul mio corpo, abbandonandolo con rapidità. E la pelle resta coperta solo di quelle fasce che è infine giunto il momento di togliere.

La differenza fra questa e quella Oscar è tutta lì.

Ed ecco che i miei abiti maschili guadagnano il terreno e l’involucro della nuova me si arrampica sul candido corpo.

E per un brevissimo istante non sono più ciò che ero e non ancora ciò che sarò.

Stasera.

 

I lacci del corsetto sembrano quasi morbidi in confronto alle fasce in cui stringo sempre il mio petto.

Questo raso, stasera, pur essendo completamente sconosciuto, non mi sembra una prigione.

Non mi guardo allo specchio, non ancora.

 

Ora posso chiamare Nanny e chiederle di aiutarmi.

Quasi stento a trattenere il sorriso, quando apre la porta e, guardandomi, versa una furtiva lacrima.

E non fa altro che ripetermi che sono bellissima.

E non posso non pensare al fatto che nessuno me l’abbia detto mai.

Strano indossare quelle scarpe e d’un tratto alzarsi di qualche centimetro, sentire il pavimento che si allontana un po’. Strano avere difficoltà a camminare, per me che sono abituata a correre e cavalcare. Strano non sentire i capelli sulle spalle ma vederli raccolti sulla nuca, con solo qualche ciuffo ribelle che scende ai lati della fronte. Strano indossare quella collana e quegli orecchini di perle.

Strano essere quest’altra Oscar.

 

Ed ora è giunto il momento di scendere ancora quelle scale.

Sono di nuovo vestita di bianco.

Ma è un bianco diverso e ci sono striature di azzurro in questa morbida stoffa.

Sono sempre io, eppure un’altra.

Trasformata per una sera.

Per te.

 

 

André quasi non riesce a parlare mentre scendo quei gradini. Mi guarda attonito dalla fine della scalinata e non fa che deglutire. Forse sembro davvero un’altra.

Forse davvero stasera posso cancellare ciò che sono sempre stata e diventare ciò che avrei sempre dovuto essere.

Forse davvero posso avere una possibilità. Forse la vita può davvero cambiare.

O forse sono solo un’illusa.

Ma stasera, va bene così.

Stasera sarà l’altra Oscar a varcare l’ingresso della galleria degli specchi.

Stasera sarà l’altra Oscar a ballare.

 

Con te.

 

 

 

Dopo

 

Nuoto vibrando come nota negli abissi della vita, sospesa ed immersa in tortuosi rimorsi che fremono sottopelle.

Cala il sipario su un io morto ancor prima di nascere.

E sento il lieve svanire di un dolce soffio di progetto morto in me.

Da me ucciso.

 

È questa dunque la resa?

È questo il patimento causato da un amore impossibile?

 

Vedo solo ombre attraverso queste lacrime che mi rigano il volto.

Tutto sembra privo di forma e consistenza.

Cerco riparo da ciò a cui non posso sfuggire.

E provo rimorso, vergogna, rabbia.

Sento lo strappo nell’anima, le brecce nella struttura del cuore.

Sento che dentro tutto si sgretola e sfuma.

E l’illusione si mostra a me in tutta la sua ipocrisia.

 

Mi hai stretta fra le tue braccia, mi hai sussurrato parole che svelavano interesse.

Hai notato una somiglianza con quella che hai definito una donna bellissima.

E poi, ad un tratto, hai puntato l’arma contro di me.

E mi hai svelato ciò che sono realmente per te.

Il tuo miglior amico.

 

Dunque è questo il sapore del disagio, della vergogna, dell’inadeguatezza?

Sono dunque solo questo per te?

 

E ho sentito il sogno infrangersi così, portandosi via tutta la dolcezza, il tepore, l’entusiasmo che provavo al pensiero di te.

 

Ho cavalcato un mondo parallelo che ho percepito ma non compreso, padrona e schiava di un’anima che ha galleggiato in un mare di sorrisi e urla.

Ho sentito l’impalpabile fluire del tempo nella lotta con l’io, con l’anima scollata dal corpo e le mani tese verso altre mani, che non sfioreranno più.

 

E sono infine crollata nel mio baratro emozionale.

Ho infine cercato di riprendermi nell’unico modo in cui sono capace.

 

Li ho soffocati quei sentimenti, ho lasciato che il cuore perdesse quel frammento che tanto gli era fondamentale. Ho strappato l’ultima piuma dell’altra Oscar e sono tornata ad essere me.

Forse, in fondo, è questo il mio destino.

 

E tutto ciò che inseguo è l’amnesia di te.

E del noi che non c’è stato mai.

 

È malinconica questa nostalgia che mi prende.

E so già che il ricordo di quell’amore mi sta abbracciando un’ultima volta.

Prima di svanire.

 

Non riesco a frenarle le lacrime, ora che sei qui e mi parli.

Ora che mi hai detto di aver capito che fossi io.

Quella sera.

Ora che mi parli dell’amore, che pronunci quella parola che per me non hai avuto mai.

Ora che ti do le spalle, appoggiata a questo muro che vorrei quasi potesse assorbirle, le mie lacrime.

Ora che ti chiedo di non aggiungere altro.

Che ti prego di non farlo.

Ora che ti mento, dicendoti di aver già cancellato in me certi sentimenti.

 

Ora che sento che neanche tu riesci a frenarle, le lacrime.

Che stai piangendo come me. E non per me.

 

E sento il dolore che mi divora quando ti dico che l’amore può portare a due cose.

Ad una felicità completa.

O ad una lenta e triste agonia.

E sento il dolore che ti divora quando mi dici che mi sbaglio.

 

Che l’amore porta solo ad una lenta e triste agonia.

 

È in quel momento che capisco di aver sbagliato davvero. Di averti chiesto ciò che non avresti comunque potuto darmi.

Non mi avresti amata neanche se fossi stata una dama qualunque.

Perché la donna che amavi con tutto te stesso era un’altra.

 

E ad un tratto davvero sento che tutto è finito fra noi. E che in cuor mio ho atteso questo giorno per porre fine ad una straziante ricerca di qualcosa che sapevo non avrei avuto mai.

 

Non provo rabbia, Fersen. No.

Non per te.

E forse nemmeno per me stessa.

 

Tutto ciò che voglio è andare avanti.

E sapere che sarai felice. Ovunque sarai.

 

Resto ancora un po’ a guardarti mentre ti allontani.

Sento il rumore degli zoccoli che va sfumando sempre più.

 

E ti auguro ogni bene.

 

Amico mio.

 

 

 

Schegge di vetro

 

Accoccolata su pensieri che stasera non fanno più così male, guardo in controluce il complesso scorrere di una vita che sembra instabile flusso di onde. A tratti.

C'è quasi tremore in questa aria che mi sta addosso e troppo dentro.

C'è come il velluto di una pelle che mi sfiora e se ne va.

E pur sapendo che non tornerà, non la fermo. Non la trattengo.

Quasi la accompagno nel suo andare via - in quel lento scivolare, che è come sentire ad occhi chiusi o toccare in silenzio - mentre cullo il soffio di un giorno che sta infine giungendo al termine.

Le indico una strada che io stessa ritenevo sconosciuta.

Le mostro il percorso più breve attraverso i tortuosi corridoi di quest'anima che inciampa sui suoi stessi passi. 

E mentre cammino, ancora rotolo, ancora perdo l'equilibrio, ma la vedo la meta dinanzi a me.

Ora la vedo.

Inciampo, ma so dove sto andando. E so che la mia strada non è la tua.

Forse stasera mi sento più vicina a me stessa.

 

A questa Oscar.

 

 

Sul mio volto, la tranquillità è solo apparenza quando rientro in quella stanza dove solo poco prima conversavamo tranquilli.

Tutto, in quei pochi minuti, ha mutato prospettiva e direzione.

Ora sei andato via.

E le tracce visibili che hai lasciato non sono nei miei occhi, giacché le lacrime sono riuscita a fermale.

Ci sono schegge di vetro sul pavimento di questa stanza. Pezzi di vetro tutt’intorno e tracce del vino rosso che avevo fatto portare per la tua visita.

Tutto sembra andato in frantumi. Tutto sembra essersi sgretolato.

Eppure c’è un placido silenzio attorno alle cose, un’oscurità discreta che non turba.

Che quasi rasserena.

E la verità mi gocciola addosso vincente.

Ora sta a me ricomporre i tasselli di un disegno andato in frantumi.

Il mio.

 

Lo farò. Lo farò stasera.

E comincio con questi pezzi di vetro che tagliano.

 

Quasi non me ne accorgo quando una scheggia mi ferisce il palmo.

Quasi trovo quel rosso in sintonia con le fiamme che ardono nel camino.

Quasi sento il sangue scorrere dalla ferita come una liberazione.

Quasi ti sento.

Uscire fuori da me attraverso quel rosso scuro.

 

E in un attimo, ti ho lasciato andare davvero.

E mi scende una lacrima.

 

Ma le mie labbra sorridono.

 

E forse sorrido anche per te, André, che entrando nella stanza ti sei accorto della mia ferita.

Forse sorrido per quel tuo sguardo sinceramente preoccupato.

Per la tua fretta e premura nel fasciarmi la mano.

Per quel modo dolce ma deciso di chiedermi “Ti fa male?”

 

Forse sorrido perché quel tuo prenderti cura di me mi fa stare bene.

Perché in fondo è tutta una vita che mi sei accanto.

 

Forse sorrido perché stasera il tuo sguardo sembra più luminoso.

Perché quel verde, anche se in parte spento, alla luce delle fiamme sembra quasi azzurro.

 

Forse sorrido perché stasera quello sguardo non mi sembra troppo dissimile al mio.

Quasi mi sento protetta.

E quasi gioisco di questo semplice contatto.

 

Cresciuti insieme da sempre, forse sei l’unico che davvero può leggere in me.


Mi dici di sedermi, che pensi tu a raccogliere i vetri.

E ti guardo mentre, silenzioso, ti chini per rimettere ordine nel disordine di questa stanza.

Della mia anima.

 

Il nero dei tuoi capelli si confonde con questa calda oscurità. Solo a tratti le tue chiome sembrano più chiare, nel punto il cui il buio incontra la luce delle fiamme.

E resto immobile ad ascoltare il rumore del vetro che getti nel fuoco.

E resto in silenzio a sentire il tuo calmo e placido respiro.

Lento e costante come quello delle grandi maree.

 

 

E per un istante quasi succede che mi scordi di esistere.

Per un istante quasi le vedo, questa e quella Oscar.

 

Che si incontrano.

 

Sono un burattino mal fabbricato che balla una danza senza passi su un palcoscenico di cartone che è la Vita.

Ma ora lo conosco, l’Amore.

 

E questo cambia ogni cosa.

 

Fine.

Charlotte, 17-6-2008, Pubblicazione sul sito Little Corner dell'aprile 2009

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

mail to: totta7@hotmail.it

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage