Da qui

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Queste sono pagine scritte in una sera,  tutte d’un fiato. Senza ripensamenti o correzioni. Per questo, un po’ sconnesse, forse. Ma volutamente evanescenti e forti. Cariche dell’incontrollabile flusso del rimorso.

 In queste pagine c’è tutta la disperazione di non aver saputo amare.

L’orgoglio di Oscar ha avuto il sopravvento.

Il coraggio nel combattimento e la determinazione nello scontro non sono stati altrettanto dirompenti nella gestione dei suoi sentimenti.

Oscar non ha avuto il coraggio di essere se stessa. Di amare.

E ha perso tutto.

… Perché scegliere se stessi è la cosa più difficile…

… Perché a volte la vera debolezza sta nell’essere forti… 

 

 

Da lì, quanto credi che io sia felice?

Sei davvero sicuro che gli errori che ho fatto mi siano stati imposti? Che non avrei potuto evitarli?

Chi stabilisce il confine fra chi siamo e chi vogliamo essere?

 

È in giorni come questo che mi accorgo di quanto sia immenso il mio egoismo, il mio orgoglio, la mia voglia di mostrarmi sempre vittoriosa. Mai sconfitta.

Come in tutte quelle giornate trascorse a fingere, ad indossare una maschera che sono stata io stessa a costruire. Come tutte quelle volte che camminavo austera, senza guardarmi intorno.

Senza vedere il baratro in cui stavo precipitando.

Proseguivo decisa e distante. Sempre più chiusa in una morsa di ferro. Indistruttibile.

Camminavo lungo i corridoi di Versailles e impedivo a chiunque di perforare i miei pensieri.

Illusa e sciocca.

Sicura di bastare a me stessa.

 

Nessuno sembrava leggere dentro di me. Nessuno poteva capire.

Tranne te.

 

E, nonostante questo, non ho mai smesso di farti del male.

 

Se avessi scalfito la mia corazza, se l’avessi distrutta e ti avessi permesso di amarmi, tutto avrebbe avuto un diverso risvolto.  Ma non l’ho fatto.

E continuo a crogiolarmi nel rimorso. Nell’orgoglio.

 

Sono sempre stata forte. Coraggiosa. Determinata. Decisa.

Ma con te, non ce l’ho fatta.

Non ho avuto il coraggio di scegliere noi.

 

In fondo, l'orgoglio consiste nel prendere meno di quanto si avrebbe bisogno.(1)

Ed io non ho avuto il coraggio di ammettere che da sola non ce l’avrei fatta.

 

Da lì, cosa credi che possa ancora aspettarmi dalla vita?

 

È il mio egoismo e la mia superbia che mi fanno stare male.

Ancora una volta, vorrei cambiare tutto a mio piacimento, vorrei che le persone che amo rimanessero legate a me per sempre.

Possederle, senza lasciarmi possedere.

Mai.

Vorrei riuscire a controllarle.

Ed è impossibile. 

 

Come quel giorno in cui Rosalie lasciò palazzo Jarjayes per seguire colei che aveva appena scoperto fosse sua madre. In quel momento avrei fatto qualsiasi cosa per tenerla legata a me, per non lasciarla andare.

Quell ultimo abbraccio nella luce del tramonto sancì un distacco dolorosissimo. Ma ero troppo accecata dal mio orgoglio, dal mio desiderio di continuare a condividere con lei le sue giornate.. e non mi sono resa conto di quanto il suo dolore fosse più grande del mio.

 

Come quando lessi negli occhi di Fersen l’amore per una donna che non ero io, ed avrei tanto voluto cambiare il corso degli eventi.. Come quando il mio orgoglio e la mia impossibilità di accettare la resa mi spinsero ad indossare quell’abito.

E ad essere per un istante ciò che sono e non ho mai voluto essere.

Ancora una volta, per il riscatto dopo la sconfitta.

 

Dove sei?

E da lì, riesci a sentirmi?

 

Da lì, quanto ti ho deluso? Dove pensi che io abbia sbagliato?

 

Anche in queste domande c’è tutto il mio orgoglio.

Anche da qui, non ho il coraggio di chiederti aiuto.

Consapevole di non esserne degna.

 

Ho fatto cose che non avresti mai accettato né condiviso.

E la cosa più grave è che le rifarei. Tutte.

La cosa più  grave è che la mia debolezza mista al mio orgoglio mi indurrebbero a continuare a sprofondare. 

Più giù. Sempre più giù. 

Artefice di una disfatta che avrebbe potuto essere una vittoria.

Perdente in un duello contro me stessa.

 

E la passione è morta in me.

Da me uccisa.

 

Non credere che non ti amassi, André.

Ma scegliere te sarebbe stato rinnegare la Oscar che sono sempre stata. Ed il mio orgoglio non me l’ha permesso.

 

Forse non ho mai imparato ad amare davvero. Ed anche il sentimento che provavo per te, che pure eri la persona a me più cara, non era mai abbastanza.

Mai capace di competere con la mia testardaggine.

Con il mio egoismo.

 

Non amavo neanche me stessa. Anzi.

Forse l’odio che nutrivo per la mia anima e per il mio corpo era ancora maggiore di quello che provavo per i miei nemici.

Come quando imprigionavo il mio petto in strettissime fasce, quasi fino a non respirare più..

 

E quella notte sono stata io ad ucciderti.

 

Volevo che tornassi a palazzo.

Hai detto che saresti venuto con me. Come sempre.

Neanche dinanzi a quelle parole sono rimasta disarmata. Mi sono aggrappata ancora di più alla mia forza. Quella forza più debole di ogni debolezza.

Quella notte ti ho riaccompagnato a casa. Non potevi batterti in quelle condizioni.

Vedendomi fredda e distante, non hai insistito.

Ed in quell’istante, ti ho ucciso.

 

Oggi, continuo a sprofondare.

Più giù. Sempre più giù.

 

E non c’è un abisso che sia il punto più profondo.

Perché ogni volta scopro un’oscurità ancora più tetra.

Ogni volta vedo avanzare verso il basso un confine che credevo di aver raggiunto.

 

Il mio limite.

 

Ogni volta lo tocco, mi faccio travolgere. E poi lo vedo allontanarsi.

 

Perché il prossimo dolore sarà ancora più grande.

 

Così grande, che a poco a poco non lo sentirò più.

Così dentro di me, che mi abituerò ad esso.

 

Non so più piangere.

Forse non ho mai imparato a farlo davvero.

Sai bene quanta voglia ho di lacrime. Quanto bisogno ho di pianto. Ma non ci riesco. Come se questo dolore voglia a tutti i costi restare in me.

Senza mai uscire.

 

Da lì, quanto mi odi?

Quanto mi compatisci?

Quanto mi capisci? Ancora.

Cosa pensi di me tutte le volte che io penso alla morte?

Cosa pensi di me tutte le volte che ascolti i miei pensieri più oscuri?

Perversi. Malati.

 

Da lì, quanto mi hai odiata quelle volte che ho continuato a non capire il tuo dolore?

Quanto?

Quanto schifo ti ho fatto?

E quando, da sola, in questo spoglio palazzo di Arras, vado in cucina e passo ore a guardare i coltelli del pane, cosa pensi?

.

Quando sento l’angoscia crescere e vorrei sprofondare.

Quando mento.

Quando fingo di essere serena. Con me stessa. Poiché sono tutto ciò che mi rimane.

Quando faccio finta di avere sonno per non pensare più. Con me stessa. Poiché non ho nessun altro.

 

Cosa pensi di me quando penso di farla finita?

E quando poi non trovo il coraggio per farlo?

 

Sono troppo orgogliosa anche per morire. Perfino la tisi non è riuscita ad uccidermi.

Ed io che speravo che vincesse la malattia, quando ho saputo cosa ti avevo fatto..

 

Quella notte sei tornato a palazzo Jarjayes.

E mi hai detto addio.

 

Era già l’alba quando aprii gli occhi. Stesa sulla brandina nel mio ufficio. In caserma.

Pronta per rispondere all’ordine di fronteggiare la folla.

Senza di te.

 

Fu allora che arrivò un messaggero dal palazzo.

Fu allora che tutto sembrò crollare. Sparire.

 

Ricordo solo che montai a cavallo. Sconvolta. Distante.

Senza capire.

 

Poi, vidi cosa ti avevo fatto.

Vidi il tuo corpo nel sangue.

I tuoi occhi chiusi.

Il tuo volto pallido.

Quel biglietto sulla scrivania con tre sole parole.

 

Ti amo, Oscar.

 

Hai scelto la morte perché io non ho avuto il coraggio di scegliere l’amore.

Quel pugnale nel tuo petto l’ha infilzato il mio orgoglio.

 

È in quell’istante che ho capito davvero quanto mi amassi.

È in quell’istante che ho desiderato di poter tornare indietro.

 

È in quell’istante che mi sono odiata fino alla follia.

Che ho capito che le cose per le quali siamo disposti a morire sono anche quelle per le quali viviamo.. Che ciò che da un senso alla vita, lo da anche alla morte.  (2)

 

Che avevi dato per  me tutto di te.

Anche la tua fine.

 

Sono partita per Arras la sera stessa.

Ho lasciato tutto. Non credevo più in nulla.

Ho bruciato l’uniforme che indossavo. Ho ucciso il mio cavallo bianco.

 

E mi sono chiusa in questo palazzo.

 

Dieci anni fa.

 

Non parlo con nessuno da allora.

Non ho mai aperto la finestra per vedere il sole.

Sono chiusa in questa schiavitù volontaria che è l'orgoglio più profondo d'uno spirito malato.(3)

Ed il mio spirito, ormai, non accenna più a guarire.

 

L’unica persona che viene qui ogni tanto è Louise, l’anziana cameriera della tenuta.

Mi porta qualcosa da mangiare.

Le faccio un po’ pena, forse.

Forse si ricorda di com’ero. Prima.

 

Non mi parla mai. Sa che non le risponderei.

A ringraziarla, ci pensano i miei occhi.

 

Ho 44 anni, ormai.

Probabilmente ne dimostro molti di più.

Non mi guardo mai allo specchio. Non potrei odiarmi di più di così.

 

E ti ho ucciso.

Perché non ho saputo amarti.

 

Le mie mani sono sempre più magre. I capelli sempre più lunghi. I pensieri sempre più nemici.

Eppure in queste stanze fredde e vuote sento il tuo profumo. Sento il calore della tua risata.

 

E piano, piano..

Nel silenzio, comincio a sentirti.

 

Nella solitudine, mi alzo dalla poltrona di fronte al camino, unico mobile rimasto in questa stanza.

Cammino per questi corridoi lunghi e bui. Sento il gelido marmo sotto i miei piedi nudi.

Sento il freddo dell’inverno attraverso un corpo più freddo del gelo ed un’anima ghiacciata dalla morte.

 

Mi avvicino alla grande finestra.

Dopo dieci anni, la apro. Vedo il cielo.

 

Nevica.

 

Chiudo gli occhi.

E piango. Con il sorriso.

 

Dopo dieci anni, smetto di punirmi.

Ti parlo. Tre sole parole.

 

Ti amo, André.

 

 

Da lì, quanto ancora mi ami?

Da qui, ho imparato ad amarti.

 

E in un attimo, la forza ritorna. In un attimo l’anima risponde.

In un istante trovo il coraggio che non ho avuto quella notte.

Perché dovevo perderti del tutto per conquistarti.

Per averti.

 

In un attimo, vinco su me stessa.

 

E finalmente. Ora.

Scelgo te.

 

Affonda, pugnale.

André, aspettami.

Perché ora ho il coraggio di amarti.

 

Da qui, scelgo te.

E con te, me stessa.

 

Da qui.

 

A te.

 

Charlotte, 7-6-2007, Pubblicazione sul sito Little Corner del novembre 2007

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