[con]fondersi e [dir]amarsi

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Io ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa amare di più. Avevo una vita e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E' scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.

 

da “Oceano Mare” di A. Baricco

 

 

 

[con]fondersi

 

Una sottile linea di confine separa il corpo dalla mente e le sensazioni dalla coscienza.

Nella mia anima ombre di nascosti pensieri si rincorrono precipitando nell'abisso di un'improvvisa estasi. Tutto è passione, mani, labbra, occhi, sussurri.

Ma è un abisso labile che rinnego nell'istante stesso in cui lo creo. 

Perché altro non è che illusione.

Inganno.

Sono rimasta a lungo impigliata nell’attesa di qualcosa che non tornerà. Ho contato i giorni e le ore con lo sguardo rivolto ad un cielo che ai miei occhi pareva di un blu ormai spento. E alla fine la solitudine mi ha indotta a rivivere l'estasi che reca il soave ricordo dell'aver amato.

Te, e te soltanto. Giacché con te l’amore era pienamente corpo e totalmente anima.

 

Questa stanza sa di te. E dell’odio che proveresti se potessi vedermi ora.

Sono un’anima egoista intrappolata in una stanza che potrebbe essere un nido, ma che stanotte non mi pare molto dissimile ad una prigione.

Sento ancora sulla pelle il sapore dell’illusione, il calore di qualcosa che si avverte ma non si sfiora, il richiamo di una voce che, tacendo, grida. Il dolore di ciò che trasforma un sogno in nuvola di fumo all'avanzar del giorno. La prepotenza di quei silenzi, ovattati e placidi, che lasciano intendere più di mille parole ed in sé recano la morte di ciò che appare vita.

E tutto mi sembra una bugia, detta solo per ingannare l’agonia che mi cresce dentro. Ogni istante.

Sento ancora il profumo del passato. E la sua essenza.

In un’assenza che dilania.

 

Vorrei parlarti di stanze vuote, di giorni bui, di foglie ingiallite che il vento trascinava e faceva volteggiare in una silenziosa danza di spettri. Vorrei svelarti quanto ho sofferto, e quanto dolore ci sia ancora in queste notti senza luna ed in questi baci avidi, in cui affogo per ritrovare anche solo un frammento di ciò che non riesco a dimenticare. Vorrei dirti quanto mi odio, quanta rabbia mi faccio, quanta vergogna provo. Ed ammettere a me stessa che questa passione non è amore, ma solo aggrapparsi alla vita per sfuggire alla morte..

Vorrei sconfiggere questo preludio di implacabile gelo.

Vorrei perdermi nei suoni amici e non in quelli che stridono come colori troppo dissimili e distanti.

Ed invece sento questo mio amore per la notte e bramo la sua alienante sospensione dell'essere. Perché solo così riesco, per un istante, a non sentirlo. Il dolore.

 

È in momenti come questo che vorrei sperimentare la forma e la sostanza del non amare, semmai dovesse poi averle, una forma e una sostanza.

Semmai dovesse poi esistere, il non amare… il non amarti più... Nonostante tutto.

Vorrei carpirne la forma per dare un volto all'assenza d'amore e trovare infine la forza per lasciarti andare.

Ma sono ancora tua. Lui non può avere che il mio corpo. E questo fuoco mi stringe come in una morsa di ferro. Non mi pare molto dissimile ad una lastra di ghiaccio che mi imprigiona e mi allontana da ciò che realmente vorrei. Da ciò che realmente dovrei.

 

Non mi sono mai appartenuta in realtà. La mia essenza è sempre stata nelle tue mani.

Ed ora, nel tuo ricordo. Che mi imprigiona.

 

Voglio riflettermi nello specchio che fa riflettere. Voglio parlarmi…

E se il cambiamento è inevitabile, come a volte lo è nella vita, intendo sedermi a questo tavolo spoglio, guardarlo fisso negli occhi e decidere quale carta giocare. Voglio trovare la forza per non giacere sconfitta contro il destino. Per non soccombere a ciò che io stessa ho plasmato e coltivato. Voglio specchiarmi nel rosso di questo vino ed asciugare questa lacrima che, furtiva e beffarda, si è fermata ai bordi dello sguardo, senza il coraggio di osare.

Anche il pianto, stanotte, mi è nemico.

 

Eterno è tutto ciò che dura una frazione di secondo, ma con così grande intensità che si pietrifica. 

E diventa incancellabile.

 

E mi domando se il presente sia l’inizio del futuro.

O solo la fine del passato..

 

 

Fusione e confusione.

Stanotte, null’altro.

 

Affogo in un abbraccio troppo stretto per essere il tuo.

Bacio labbra che mi divorano.

Ma nell’aria sento solo il tuo odore. Ed il fruscio del vento.

Di quella notte.

 

 

 

Alain non riesce a dormire con la candela accesa. Anche se è quella piccola, anche se è lontana che quasi non se ne accorge nemmeno. Anche se io in questa oscurità proprio non riesco a smettere di pensare.. E allora tanto vale spegnerla, tanto vale assecondare anche questo suo capriccio. Tanto vale soffocare ancora una volta ciò che invece urla in me con una forza incontrollabile.

Alain non riesce a dormire con la candela accesa e allora, adagiato in questo comodo letto, si lascia cullare dal suo avvolgente buio, mentre io mi lascio inghiottire dal rimorso che ogni notte, malefico, striscia nelle mie viscere e si dirama fra le pieghe della mia anima.

Lui è con me,  mi abbraccia ed io mi odio per questo.  

Mi odio perché pur amandoti ancora non riesco a non sentirmi sola. Ed in lui scorgo qualcosa di te che non è morto quel 13 luglio.

O mi illudo che sia così.

 

Alain cambia posizione nel sonno ed il suo respiro si fa sempre più calmo, regolare.

Quanto la invidio, la perfezione di quel suo via vai di aria.

Io, aggrovigliata tra i miei pensieri, tra i miei incubi da persona vigile, trattengo il respiro, con gli occhi sbarrati ed il cuore tremante.

E proprio non ci riesco. Forse non ho mai imparato.

Io non respiro. Faccio scorta di ossigeno e lo costringo dentro, fino a quando l’involontario istinto di sopravvivenza non mi costringe a liberarlo. E quasi vorrei non averlo più, questo istinto che, nonostante tutto, mi induce ad esistere ancora.

 

Odio il buio. È da quel giorno che lo odio.

Odio quell’oscurità che apre le porte ai ricordi di un tempo, quelli che entrano dentro con le scarpe ancora sporche e l’arroganza dell’appartenenza. Odio il buio perché, non vedendo, immagino che tu sia accanto a me, ma quando la luce torna mi accorgo che non è così.

E questo mi uccide. Ancora. E ancora.

 

Odio il buio. Mi fa paura, una schifosissima paura da svenevole damigella.

E pensare che nella mia vita non ho temuto mai nulla, né spada, né pistola. E neppure la morte.

Credevo di poter sconfiggere anche quella.

L’ho fatto, in effetti, giacché anche la tisi ha dovuto arrendersi, inerme dinanzi al mio orgoglio.

Ma la morte che il destino mi ha assegnato è ben più tetra e dilaniante.

Perché uccidendo te si è preso il mio vivere.

 

A me non resta che la sopravvivenza.

 

Affogo nel vino per attutire il dolore ed inseguire l’oblio.

M’immergo in quei baci per stordirmi del piacere del corpo e non sentire la morte che mi cresce nell’anima.

 

Sono stata così orgogliosa da credermi invincibile.

Eppure la mia era solo una maschera. Una maschera che sei stato tu a frantumare.

Quella notte.

 

Odio il buio. Perchè è in quel buio che ritrovo i giorni passati rotolando tra il dolore e l’angoscia e l’abbandono.

 

E ciò che più mi fa rabbia è che sono prigioniera di un limbo di illusione che non mi lascia che pochi istanti di razionalità.

Tutto ciò che cerco di fare è inebriarmi, assuefarmi.

 

Alain è la mia droga, Andrè.

 

Per non cedere.

 

Aspettando che la morte mi prenda con sé.

E mi riconsegni a te.

 

Li senti anche tu questi sussulti? Li senti anche tu?

Goccia dopo goccia, lacrime. Scendono lacrime.

Allora affondo nel cuscino. Trattengo i singhiozzi.

 

Non faccio vedere che.

Anche io le ho, le lacrime. Le ho…

 

Io odio il buio, ma Alain altrimenti non riesce a dormire.

E allora tanto vale spegnerla, questa candela.

 

E lasciare che l’oscurità nasconda le mie lacrime.

 

 

 

 

[dir]amarsi

 

Ho imparato a riconoscerlo, il segno indelebile delle tue cicatrici sottopelle.

Ho imparato che ciò che davvero conta si esprime nei tuoi silenzi, che le parole che non pronunci sono quelle in cui affoghi e ti perdi ogni istante. Ho imparato che il tuo tacere è urlare con l’anima, che il tuo sorriso altro non è che una maschera, che ciò che vorrei di te è in realtà così lontano da me da non poterlo neanche scorgere in lontananza, fra veli di illusione e squarci di desiderio.

Ho imparato che il rumore della pioggia battente sui vetri di questa stanza si trasforma in suono mentre facciamo l’amore, che i raggi della luna disegnano sensuali ombre sul tuo candido corpo, che la notte ha un altro odore con te accanto.

Ho imparato che ogni mattina all’alba stringi ancora quelle fasce attorno al tuo petto, che indossi ancora quegli abiti maschili, che quando passi distratta dinanzi allo specchio distogli subito lo sguardo dalla tua immagine riflessa. Che in fondo non hai mai imparato ad amarti.

Che tutto l’amore che provi non è per te stessa più di quanto non lo sia per me.

Ho imparato che vuoi restare sola quando ti rifugi in soffitta ed apri quel baule il cui contenuto tanto ti dilania. Ho imparato a non chiederti nulla quando richiudi quella porta alle tue spalle e piangi lacrime che non mi permetti di asciugare.

Ho imparato a non abbracciarti quando esci da quella stanza con gli occhi gonfi di pianto. Ho imparato a riconoscere le sfumature nel tuo sguardo quando ciò che vedi non coincide con ciò che vorresti vedere.

Ho imparato a far finta di nulla quando sento i tuoi passi allontanarsi ed entro in quella stanza.

Ho imparato a non soffrire quando vedo quel lucchetto di cui solo tu hai la chiave, come accesso ad un mondo di cui non farò mai parte.

Ho imparato a fingere di non sapere che in quel baule conservi l’uniforme di André.

Accanto alla tua.

 

Ho imparato a fingere di non accorgermi delle tue assenze quando, precipitosa e schiva, esci di casa e corri da lui. Ho imparato a non farmi sentire quando, furtivo e silenzioso, ti seguo.

E ti osservo da lontano, china su quella lastra di marmo bianco su una collina che è stata testimone di una vita che con me non ha nulla a che fare.

Ho imparato a non correre da te, a non stringerti quando da lontano ti vedo piangere su quella fredda tomba in cui hai sepolto anche il tuo cuore. Ho imparato a non farmi vedere quando osservi il tramonto che cala su Arras e decidi di tornare a casa, quando ti chini l’ultima volta a baciare quell’iscrizione che è per te tetra come la notte più oscura.

Ho imparato a non odiare quella rosa rossa che lasci sulla tomba dell’uomo che ami.

Dell’unico uomo che tu abbia mai amato.

Di quell’uomo che ormai era per me come un fratello.

 

Ho imparato a non chiederti ciò che non potrai mai darmi, a non pretendere ciò che da te non potrò mai avere.

Ho imparato a non dirti quanto profondamente ti amo.

A me non resta che dimostrartelo.

 

Ho imparato che a volte nel buio, quando credi che il sonno mi abbia ormai catturato, siedi a quel tavolo spoglio, poggi i gomiti sul legno e con una mano ti accarezzi il braccio. Lo fai così, semplicemente. Lasci scorrere la tua mano sulla tua pelle candida. Ed è come se volessi cullarti, proteggerti. Darti affetto e protezione. Come se solo così potessi trovare pace e amore. Come se a guidare quelle tue carezze ci fosse un’altra mano, un’altra anima.

E forse attraverso quel tuo candido tocco è lui ad accarezzarti, a sfiorare la tua pelle candida.

Ad infonderti il coraggio per affrontare ciò che l’indomani porterà.

E c’è sempre tristezza all’alba nei tuoi occhi. Quando ti giri e ti specchi nei miei, troppo scuri per essere di quel verde che ancora cerchi. Di quel verde che ancora ami.

 

Ho imparato che qualsiasi cosa io possa dire o fare non sarà mai abbastanza.

Ho imparato che ci sarà sempre nei tuoi gesti qualcosa che mi turberà, che ci sarà sempre nelle mie parole qualcosa che ti ferirà. Che ci sarà sempre un silenzio che non si potrà violare ed un muro che non potremo abbattere.

 

Ho imparato che posso averti solo così.

Che ormai mi sei entrata dentro fino alle viscere.

Che non riesco più a distinguere i confini di te in me.

 

Ho imparato che il mio amore non basterà, che il tuo non mi accoglierà.

Che il noi che posso avere avrà sempre un’ombra che porta il nome di un uomo che non sono io.

 

 

Sei labbra di corallo, chiome d’oro e pelle di alabastro.

Le cicatrici sono il tuo scheletro e la passione la tua pelle.

Tutto il resto è Amore incondizionato.

 

E non per me.

 

Eppure non sono sogno quegli istanti che mi doni, quelle notti che mi regali come diamanti preziosi e segni indelebili.

E mi permetti di sfiorarti, di avvolgerti, di averti.

E tutto ciò che vorrei è che non ci fosse un velo opaco fra di noi. Che potessi guardarmi negli occhi e vedere me. Non il riflesso di chi realmente ti possiede.

Credi che io non ti conosca?

Credi che non sappia cosa provi?

 

Il mio silenzio non è che passiva accettazione.

Ora capisco Andrè. Ora comprendo ciò che lo ha portato ad amarti, ad attendere con pazienza tutta la vita per averti solo una notte.

Sei luce, Oscar. Sei luce e tenebra. Sei fascino, forza, passione, audacia.

Sei amore. Sei dedizione.

Sei Anima.

 

E sei sua. Solo ed esclusivamente sua. Ancora.

 

Andrè ha avuto in una notte ciò che io in mille notti non potrò mai avere.

L’amore che conosci è solo per lui.

 

A me non resta che l’illusione.

 

E chiudo gli occhi mentre ti amo.

Ti stringo con forza per paura di perderti. Ti avvolgo e ti cullo.

E fingo di non sentire che dopo la passione non riesci a dormire.

 

Sembri una statua di marmo alla luce di quella pallida candela.

So che fra poco la spegnerai. Credi che io non riesca a dormire con quella fioca fiamma.

Sono stato io stesso a dirtelo, in realtà.

Ma non è la luce a darmi fastidio, Oscar. No.

Sono i tuoi occhi sempre distanti, lontani. Troppo lontani da me. Dal “noi” che non saremo mai.

Preferisco non vederti mentre vai errando per la stanza come un’anima che non trova pace, con i rimorsi che ti attanagliano ed i ricordi che ti divorano.

Preferisco non sapere che trascorri ore ed ore a riempire un bicchiere di cui ti sembra di non scorgere il fondo. Preferisco non sentire quei tuoi pensieri silenziosi, così densi che quasi prendono forma. Che quasi urlano.

La tua mente scandisce ogni singola parola. E ormai ti conosco troppo per non sentire ciò che le tue labbra non osano pronunciare.

Sono un egoista, Oscar. Pur di averti per pochi istanti, pur di accarezzare l’illusione che tu sia mia, fingo di non sapere. Fingo di non vedere. Fingo di non sentirlo il tuo dolore che ogni notte urla e corre nell’oscurità.

 

E cerco di addormentarmi fra le lenzuola che ci hanno visto amarci.

E in fondo penso di non aver diritto di dire “Amore”.

Perché l’amore che tu conosci non mi appartiene.

 

 

Li sento anch’io i tuoi sussulti. Li sento.

Goccia dopo goccia, lacrime. Scendono lacrime.

Allora affondi nel cuscino. Trattieni i singhiozzi.

 

Non vuoi far vedere che.

Anche tu le hai, le lacrime. Le hai…

 

Tu odi il buio, ma io altrimenti non riesco a dormire.

E allora tanto vale spegnerla, quella candela.

 

E lasciare che l’oscurità nasconda le tue lacrime.

 

 

Non ti scosti quando il mio braccio ti avvolge. Non ti scansi quando il mio abbraccio ti cinge.

Piangi sul mio petto ora. E io so che non posso più illudermi. Che non devo più fingere.

 

Che questo dolore che ci cresce dentro ci sta dilaniando entrambi.

Lo provo anch’io questo rimorso. Questa vergogna.

E sto per dirti basta.

 

Quando qualcosa mi segna. Un gesto mi rincuora.

 

Non trattieni più i singhiozzi quando, stretta a me, mi poggi la mano sul cuore.

 

E sussurri

Alain

 

L’amare nel tuo non amarmi, esiste.

Forse lo capirai.

 

Forse imparerai a guardarmi. E a vedermi.

Forse, un giorno, ci sarà un tempo per noi.

 

E mi domando se il presente sia solo la fine del passato.

 

O l’inizio del futuro.

 

 

Fine

O forse... Inizio.

Charlotte, 6-5-2008, Pubblicazione sul sito Little Corner dell'ottobre 2008

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