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Notte di inganni

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NOTA DELL'AUTRICE

Questa storia e' stata pubblicata per la prima volta su EFP in una versione molto diversa dall'odierna, come una sorta di "sequel" di "Gocce di fiele e veleno" di Ninfea Blu.
Qualche tempo fa ne ho rivisto e corretto diverse parti e l'ho mandata a Laura perché ne facesse cio' che riteneva più opportuno.
Lei ha deciso di pubblicarla su Little Corner, ma e' solo grazie al paziente e prezioso lavoro di rilettura e revisione di Laura ed Alessandra che e' diventata quello che leggete su questa pagina.
Io credo che il tempo sia un bene prezioso perché merce sempre più rara nelle nostre quotidianità un po' malate e frenetiche ed e' per questo che ringrazio Alessandra e Laura per averne dedicato cosi' tanto al mio scritto ed al vivace scambio di idee ed opinioni trilatero che ne e' seguito.
Quello che leggete qui e' frutto di quel tempo e di quelle idee.
Audreyny

 

pubblicazione sul sito Little Corner del settembre 2011

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

mail to: newyorkiloveyou@hotmail.com

 

 

 

È una notte buia, troppo per restare da soli, ma so che questo sarà il mio destino oggi.

Tu non ci sei.

Ti ho visto uscire al tramonto, nell'ora in cui i colori si confondono con la notte, e so che non tornerai. Non mi hai chiesto di venire con te, non mi hai proposto di accompagnarti in una delle nostre scorribande in bettole da quattro soldi a bere vino scadente e ad ascoltare storie sconce. Nei tuoi occhi ho visto una luce maliziosa che mai avevo notato prima, una tranquillità consapevole e sicura di sé.

Sei partito da solo, ma non ci resterai a lungo. So bene dove stai andando.

Ti ho osservato, l’altra sera, mentre scolavi una birra dopo l’altra, fingendo educatamente di ascoltare quanto io ti dicevo ed intanto guardavi lei. Quegli occhi così neri, quella pelle chiara, quel corpo morbido, fatto per dare il tormento agli uomini. A quelli come non pensavo fossi anche tu. Una donna bella, femmina fin dentro le viscere. Il mio opposto, io che non sono nata uomo e non sono cresciuta donna, intrappolata in questo corpo così sbagliato per la vita che ho scelto. La vita che altri hanno scelto per me, e che io ho fatto mia fino in fondo, senza opporre resistenza, rifugiandomi in essa. La mia corazza, che mi calza a pennello come un'uniforme su misura.

Eppure, cosa vorrebbe significare donna?

Ho visto come la guardavi. Come lei ti ricambiava. Vi siete corteggiati da lontano, scrutati, misurati; i suoi occhi impudenti hanno indugiato sul tuo corpo più di quanto io abbia mai ritenuto lecito fare, con calma e determinazione, mentre si passava le mani nei capelli lunghi e li scuoteva. Li ho immaginati profumati, lievi.

Tu bevevi. Smodatamente. Ridevi come un coglione alle battute grossolane degli avventori di quella taverna in cui siamo capitati per caso, conversavi con me e intanto spiavi lei. Avrei voluto poterti leggere dentro, penetrare nei tuoi pensieri più privati e più intimi. Guardavi lei mentre annuivi a me, guardavi lei mentre brindavi con me, guardavi lei mentre bevevi con me. Guardavi tutto. Di lei.

L’immagine di voi due insieme mi disgusta e mi affascina insieme. È un pensiero che non riesco a sopportare, eppure so che è lì che stai andando stanotte, è verso di lei che la tua mente ha vagato in tutti questi giorni. 

Ti osservo da molto, troppo tempo, per non capire che cosa stai pensando. Hai programmato tutto, hai pianificato la sera giusta e finalmente hai individuato questa notte senza luna e con stelle troppo lontane ed indifferenti per interessarsi alle misere vicende di noi esseri umani. Hai atteso ai tuoi compiti con solerzia e senza trascurare nulla, i cavalli, le carrozze, la cucina; hai servito cena silenziosamente e con garbo, come solo tu sei capace di fare, hai aspettato che la servitù fosse congedata e che la famiglia si ritirasse nelle proprie stanze. Infine, sei venuto da me per gli ultimi ordini. “Posso fare qualcosa per te, Oscar?” Il solito André, perfetto, inappuntabile, sollecito e cortese. Se impazienza c'era nella tua voce, nulla l'ha tradita. La risposta che ti aspettavi per essere dispensato è giunta puntuale, e finalmente sei sparito nel buio dei corridoi, come un’ombra, discreto e silenzioso, perché è così che tu sei.

E poi sei uscito, hai preso il tuo cavallo da solo e so che stai andando a Parigi. La Bonne nuit, così si chiamava quel locale sordido in cui hai incontrato quella donna, e questa per te sarà di certo una buona notte.

Mi aggiro per i recessi di questo palazzo che chiamo casa e che ormai mi è venuto in odio. Ti cerco in ogni stanza, in ogni camino acceso che profuma della cura che tu metti in ogni cosa, nei vasi pieni di fiori, nelle poltrone accoglienti, nel vino che tante volte abbiamo sorseggiato insieme, nei libri che abbiamo letto, nelle storie che abbiamo condiviso. Ti cerco ma tu non ci sei, stai andando a prenderti ciò che è giusto che sia tuo. Perché tu lo meriti, ed io so che è così, meriti che quella donna bellissima ti ami, che si conceda a te, per amarla e per darle piacere e per godere di lei.

Vi immagino insieme in una delle stanze al piano superiore della taverna. Vi vedo salire le scale, lei davanti, ti fa strada e tu la segui, la guardi, vedi i suoi capelli scuri ondeggiare al ritmo cadenzato del suo passo lento, mentre la luce debole della candela vi indica il cammino. Ammiri la curva della sua nuca e ti commuove la grazia delle sue spalle. Lei ti darà piacere e solo questo pensiero è di per sé un godimento che rischia di farti consumare tutto prima del tempo. Adesso siete davanti alla porta, lei esita quel tanto che basta affinché tu non pensi che per lei si tratti di una situazione normale, ordinaria, ed allora tocca a te girare la maniglia, farle strada. L’ambiente è angusto, è vero, ma voi due non vedete niente, non percepite altro che i vostri corpi tesi nel desiderio che tra breve sarà soddisfatto. Lei sarà tua, e tu entrerai in lei, la farai godere e ne godrai.

Salgo le scale di questo palazzo che mi pare un sepolcro, silenzioso e spettrale, ed entro nella mia stanza. Lontano da qui anche voi state entrando nella vostra, in quella che per stanotte sarà la vostra casa.

Ho freddo. Sono sola.

Mi levo i vestiti lentamente, accentuando ogni gesto, ogni mio movimento mi sembra il risultato di uno sforzo estenuante. Disfo ad uno ad uno i lacci della camicia e la lascio scivolare a terra, mentre ti immagino armeggiare con i lacci del suo corpetto.

I pantaloni mi corrono giù lungo i fianchi e le gambe, mentre ti osservo sfilarle l’abito e stupirti. Perché è bella, lei.

Sciolgo le bende di cotone che avvolgono il mio seno, che ogni giorno lo schiacciano e lo mortificano, mondandomi dal peccato primordiale e incancellabile di essere nata donna. Mi chiedo come deve sentirsi lei, che non deve nasconderlo. Che  non si è mai nemmeno trovata di fronte all'idea di nasconderlo. E come devi sentirti tu di fronte a questo. Di fronte a un'emozione così violenta. Così normale.

Per voi, niente è peccato. Non il fare sesso, che a me è precluso da scelte che altri hanno compiuto e che io sono stata troppo debole per contrastare.

Sono nuda al centro della mia stanza, e non oso guardarmi allo specchio per paura di quello che vedrò. Per paura di quello che non vedrò. Non vedrò te, che non ci sei, che sei lontano, tra le dita di un’altra donna, nella sua bocca, tra le sue gambe.

La odio.

Odio tutto di lei, il suo nome che non ho mai pronunciato, la sua voce che non ho mai udito, e che in questo momento starà sussurrando al tuo orecchio; odio le sue mani che ti stanno toccando e odio ogni gemito di piacere che i tuoi affondi le strapperanno. La odio e la maledico perché stasera avrà ciò che io sono stata troppo stolta, troppo cieca e troppo orgogliosa per chiedere. La odio e odio te, che mi abbandoni al mio essere così profondamente ed irrimediabilmente sbagliata. Che non sai, che non vedi e non capisci. Che stasera sei da lei. E che morendo dentro di lei, stai uccidendo me.

L’amaro del mio odio e della mia gelosia striscia sotto la mia pelle, mi prende la gola e mi soffoca. Non ho lacrime per sfogare questo tormento, non ho voce per urlare la mia frustrazione, posso solo rimanere in questa stanza intrappolata nei miei pensieri inconfessabili, nelle immagini di voi due insieme. Ossessive. Di te. Di lei. Quella lì. Io la odio. La odio…

Dovrei odiare me stessa. Invece.

Un solo pensiero mi conserva lucida: che, così come anche il tormento più grande conosce una fine, al pari questa notte senza stelle è destinata ad averne una.

Un'aurora gentile bussa delicatamente alla mia finestra, mentre mi risveglio dal mio torpore, svuotata di ogni pensiero, di ogni energia. So che tra breve ti vedrò tornare, perché è questa la tua casa, è qui che domani dovrai essere, pronto ad ubbidire ai miei ordini, impeccabile nel tuo ruolo.

Mi alzo dal letto madida di sudore ghiacciato. Mi accosto alla finestra, scrutando il parco in attesa di udire un suono o di vedere un’ombra che mi annunci il tuo ritorno. E finalmente scorgo la tua sagoma da lontano. Cavalchi lentamente, con stanchezza, le briglie sciolte sul collo del tuo animale, che conosce la strada anche senza la tua guida. Il tuo corpo asseconda l’andatura del cavallo, mentre la tua testa ciondola quasi come fossi ubriaco. E forse lo sei. Ubriaco di baci, di sesso, di odori e sapori nascosti e proibiti.

L’odio che ho covato tutta la notte riaffiora dentro di me e mi brucia l'anima, come sale su una ferita aperta. Ti vedo completamente perso e posso indovinare che solo la baldanza dell’amore appena consumato ti conferisca quell’aria compiaciuta e indolente. Da così lontano non posso vedere i tuoi occhi, ma li immagino chiusi, ancora pieni delle immagine di lei. Bella, sensuale, tua. L’amarezza mi acceca e mi riempie di un’ira sorda e profonda. Vorrei picchiarti e farti del male. Vorrei levarti di dosso ogni traccia del piacere che hai appena provato.

Senza riuscire più a controllarmi, apro piano la porta, mi accerto che nessuno nel corridoio possa vedermi o udire i miei passi, e la richiudo con cura alle mie spalle. Poi, con i piedi nudi, gelati al contatto con il marmo delle scale, scendo verso l’ingresso e corro in direzione delle scuderie. So che è lì che stai andando. Ed è lì che voglio incontrarti e osservare quanto è diverso il tuo viso oggi, dopo che, stanotte, una donna, una donna che non sono io, ti  ha fatto sentire uomo come io non sarò mai capace di fare.

 

ALBA DI RISCATTO

 

Questa notte maledetta ha fatto esplodere il dolore del mio animo come una ferita. Qualcosa che ormai non mi lascia più requie, tormentandomi da sveglio ed agitando il mio sonno e che ancora una volta, sempre, ha le fattezze di lei e il suo odore, e quello che invano ho cercato in questa sera di inganni appena trascorsa, senza trovarlo mai. Lei che mi tormenta senza saperlo e senza curarsene, che dispone della mia vita e dei miei pensieri, indifferente, lasciando solo umiliazione e devastazione dietro di sé.

Avanzo con cautela e senza fretta verso le scuderie. Il mio cavallo procede con ritmo lento e sicuro verso il suo ricovero ed io mi lascio cullare da questo passo senza incertezze, ad occhi chiusi; lui sa dove andare, non ha bisogno delle mie indicazioni.

Che Dio mi perdoni per quello che ho fatto questa notte! Sono disgustato dall’essere squallido che sono diventato, dal modo in cui ho usato quella ragazza, riversando su di lei il mio calice di amarezza e poi abbandonandola senza una risposta, come un ladro nella notte, da quel vigliacco che sono. Peggio di ogni nobile che nella vita mi è capitato di disprezzare, di un qualsiasi padrone che approfitta della sua serva, forte della sua posizione.

Ma tu non hai approfittato di quella donna, tu sei diverso.

Diverso… che cosa significa per me questa parola in questa notte così sbagliata? Diverso non vuol dire certo migliore. È vero, non me la sono sentita, questa notte. Ma lasciarla lì, così, svestita, indifesa, non è stato un gesto da vigliacco? L’umiliazione che stanotte le ho inflitto?

Una donna la cui unica colpa è stata quella di non essere lei.

L’ho odiata, quella sconosciuta pronta ad offrirsi a me con tanta naturalezza. Ho odiato quel suo essere così sfacciatamente femminile, così pronta a concedersi piacere e oblio. L’ho odiata e con lei ho odiato te, Oscar, causa del mio tormento e della mia dannazione, e me per essere così vile, così codardo, così irrimediabilmente avvinto ad un sortilegio che non mi lascerà mai in pace, che mi maledirà stanotte e finché avrò vita.

Io sono un essere maledetto. E maledetta sia questa notte senza luna e senza stelle!

Un’altra giornata sta per cominciare accanto a lei. Una giornata in cui dovrò svolgere i miei compiti, come il mio lavoro richiede, ricevendo ordini dal comandante delle guardie di Sua Maestà, questa donna algida, che non importa che vestiti porti addosso, è solo una persona intransigente, rigida. Arida. Che mi ha deluso. Lei, che credevo di conoscere, che pensavo fosse la mia famiglia, e che invece si sta rivelando il  mio peggior nemico.

Oscar. Oscar. Oscar.

Il tuo nome riecheggia dentro di me insieme con l'ossessione di questo sentimento inutile, che mi ha preso tutto e che non mi restituirà mai nulla. 

Lentamente, con la sicurezza che mi deriva da tanti anni di esperienza, dissello il mio cavallo, gli do acqua e cibo, cercando di farmi perdonare il servigio supplementare che gli ho chiesto stanotte con una razione aggiuntiva di biada, generosa ed abbondante. A breve avrò nuovamente bisogno di lui ed il riposo che potrò concedere, a lui ed a me, non sarà molto. César, il cavallo della mia padrona – chissà come sarebbe osare dire della mia donna, la mia, mia, mia ragazza, la mia Oscar. Invece non posso. –  mi osserva sveglio e vigile; forse spera anche lui in una doppia dose di colazione e non posso deluderlo, così come non deluderei mai la nostra comune padrona. Mi piace muovermi tra queste pareti. Tra tutti i miei compiti quello che amo maggiormente è questo. Scendere nelle scuderie per primo la mattina, sentire sulle mani il fiato caldo dei cavalli quando mi avvicino per accarezzarli, osservare i loro occhi liquidi e profondi farsi attenti quando li premio con lo zucchero. Parlo con loro, e mi piace pensare che mi ascoltino, muti con la loro saggezza millenaria di bestie nate per essere libere.

Anche io mi sento nato per essere libero, eppure mi trovo prigioniero della mia stessa vita, del mio stesso destino, senza sapere come fare per liberarmi. Ma forse non è così, forse la mia intenzione non è affatto quella di liberarmi, ma di continuare a stillare gocce di dolore e tristezza da questo amore sbagliato che non sa darmi nulla e non può portare a nulla.

Cerco di cacciare il torpore della notte e la vergogna della mia ridicola fuga. Sento ancora addosso l'odore di lei. Prima mi eccitava, ora mi infastidisce soltanto. E' un odore estraneo, alieno. Non è il mio odore. Non è il suo. Vorrei immergermi in un bagno caldo per eliminare dal mio corpo le tracce delle ore appena trascorse, ma vorrei che ci fosse un modo per estirparne il ricordo dal mio cuore.

Come si chiamava quella donna? Non le ho nemmeno chiesto il nome. Non so niente di lei, se non che sapeva di buono e che aveva le mani ruvide e le labbra calde. Niente ragione, niente sentimento. Nessun piacere. Solo puro istinto.

Sono disgustato di me stesso.

Ed ora non posso più nascondermi nel buio di questa notte che sta cedendo il passo ad una nuova aurora, non posso più scappare. Sono tornato. È qui che devo stare, è qui che voglio stare.

Questa sera ho capito, una volta di più, che non c'è modo di sfuggire al proprio destino. La mia prigione è dentro di me. La mia prigione sei tu, Oscar, ed io accetto il mio destino senza ribellarmi, perché così deve essere.

 

**********************

 

Da quanto tempo era lì? Non avrebbe saputo dirlo.

Era arrivata furtiva, tenendosi nascosta. Voleva spiare, guardare, capire. Scorgere tracce di lei sul volto e sulle mani del suo amico di sempre. Scrutare nei suoi occhi la sfrontatezza dell’amore soddisfatto, intuirne l’appagamento.

Aveva freddo, si sentiva vulnerabile ed esposta, debole come non lo era mai stata. Svuotata da quella notte trascorsa a torturarsi con l’idea di lui dentro un’altra donna, eppure morbosamente attratta da quel pensiero e da quella visione. Ed ora era lì. E voleva sapere.

Lo osservò mentre si avvicinava con aria indolente alla scuderia, mentre smontava da cavallo, un po' scompigliato, come si addice a chi esce da un incontro amoroso. Trattenne il fiato, intuendo le forme della sua schiena che si tendeva sotto la blusa slacciata, osservando le sue mani, i gesti rapidi mentre si occupava del cavallo, mentre gli accarezzava il muso e gli dava da mangiare, sollecito.

Vedeva nei suoi gesti  la placida arroganza dell’amore soddisfatto, esausto, ma appagato. Che cosa era stato? Era stata solo la notte in cui il suo amico aveva soddisfatto i suoi bisogni di uomo forse troppo a lungo repressi, oppure il momento in cui la sua anima aveva trovato finalmente la comunione totale con un altro essere?

Oscar si sentì afferrare il cuore da nuovo tremito che impiegò un po’ a riconoscere perché era una sensazione che non aveva mai provato prima, mentre una voragine le apriva lo stomaco. Era paura. Oscar aveva paura. Di averlo perso per sempre.

Non voleva guardarlo né parlargli. Non voleva sapere, eppure doveva. Si sentiva morbosa, eccessiva, ma doveva sentire dalle sue labbra la verità.

André.

Non seppe se aveva solo immaginato il suo nome o se l’aveva pronunciato a voce alta.

Lui si voltò verso la porta della scuderia, con un’espressione carica di aspettativa e la vide. Aveva i capelli in disordine ed era a piedi nudi. Tremava. Lo osservava come se lo vedesse per la prima volta. Aveva l’aria di essere intirizzita dal freddo e sembrava come paralizzata da qualcosa che non avrebbe saputo definire. Se non si fosse trattato di Oscar avrebbe detto che era paura. Ma non poteva essere...

“Oscar”.

Disse così André. Solo il suo nome, a rompere quella notte costellata da troppi equivoci.

“Che cosa fai qui André? Non è un po’ presto per partire a cavallo?” Una pausa. La voce che tremava. Fece qualche passo. “O forse è troppo tardi per rientrare?”

Aveva parlato con voce tagliente, cattiva. Una stilettata dritta al cuore. Il dolore che aveva covato dentro di sé tutta la notte era venuto fuori con quelle poche parole, con violenza.

“Che cosa vuoi, Oscar?”

“Dove sei stato, André?” Un passo verso di lui. Tremava.

“Stai gelando”. André si tolse la giacca e la sistemò sulle spalle di lei, cercando di toccarla il meno possibile.

“Copriti”.

Represse il desiderio di sfiorarle una guancia e di sistemarle i capelli ed indietreggiò di nuovo, ristabilendo la giusta distanza tra di loro.

“Non hai risposto alla mia domanda, André. Dove sei stato tutta la notte? Ti ho visto uscire ieri sera, e torni all’alba. Dove sei stato?”

Oscar stava quasi gridando, adesso. Non si era resa conto di aver alzato la voce. Stringeva i pugni, continuando a tremare, respirando affannosamente.

“Cosa fai, mi controlli?” André aveva cercato di dare una intonazione beffarda alla domanda, ma non fu certo esserci riuscito.

“Non credo di doverti rendere conto di come trascorro il mio tempo libero”.

“Esigo di sapere dove sei stato. Rispondimi, André, è un ordine!”

Non lo vide arrivare, lo schiaffo. André sentì la guancia bruciare. Gli occhi di Oscar fiammeggiavano di una luce che lui non aveva mai visto. Era il lampo della fiera che sta per perdere la sua preda e lotta per conservarla. Era furore. Rabbia. Gelosia.

Fu allora che André, finalmente, capì.

Oscar non aveva abbassato lo sguardo, serrava ancora i pugni e respirava concitatamente, mentre i suoi occhi lo frugavano dentro alla ricerca delle risposte che voleva ottenere, per placare le domande che l’avevano tormentata per tutta la notte. Domande. Erano le stesse che lui si poneva da tanto, troppo tempo. Eppure mai come in quella notte era sembrato tutto così chiaro e semplice.

E quell’alba di riscatto sarebbe stata soltanto per loro.

André non disse una parola. Si avvicinò, le afferrò i polsi, stringendoli. Guardava Oscar negli occhi e non c’era traccia alcuna di pentimento nel suo sguardo, né di scusa o di sottomissione, né di dolcezza.

Oscar perse l’equilibrio e si sbilanciò verso di lui, che la sorresse con il suo corpo. E senza mai lasciare andare i suoi polsi, le piegò le braccia dietro la schiena e senza dire una parola, senza esitare un solo istante, si chinò su di lei e la baciò

La baciò a lungo in quell’alba rosata che prometteva un mattino luminoso e fresco.

La baciò con rabbia, stringendosi a lei.

La baciò con passione e con furore, con abbandono e con caparbietà, indugiando sul suo viso, chiudendole le palpebre.

La baciò lasciandole finalmente i polsi e percorrendo la sua schiena, soltanto sfiorandola.

La baciò e Oscar rispose al suo bacio e chiuse gli occhi e si abbandonò e lo amò in quel momento e per sempre.

 

Fu così che il nuovo giorno li sorprese.

Fu quella l’alba del loro riscatto, dopo una lunga notte di inganni in cui credevano di essersi condannati a vicenda ed irrimediabilmente persi.

Così tutto ebbe inizio.

 

pubblicazione sul sito Little Corner del settembre 2011

 

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