Come ci si innamora

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Disclaimer: i personaggi di questa storia non mi appartengono, sono di proprietà di Riyoko Ikeda, Shueisha, TMS.

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

La storia è già pubblicata sul sito www.efpfanfic.net all’URL http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=341649&i=1

Le strofe in corsivo nella parte finale sono tratte dalla poesia “Questo amore” di Jacques Prévert.

 

pubblicazione sul sito Little Corner del settembre 2010

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

mail to: newyorkiloveyou@hotmail.com

 

 

 

La vita è ironica.

Ironica, beffarda, piena di sorprese, ingannevole, effimera.

È vita.

È ironico che io abbia combattuto tanti avversari, sfidato la morte, protetto i miei sovrani a costo della mia incolumità, preso parte a duelli al primo ed all’ultimo sangue ed ora mi ritrovi qui, così, a morire per mano di questo bestione, in un modo così banale.

Caduta in trappola come una sciocca, come una principiante.

Possibile che la dura disciplina militare, cui mio padre mi ha sottoposto fin da piccola, non mi sia servita a nulla?

Sono stata una vera ingenua a venire qui da sola.

Ingenua e presuntuosa. Tipico del mio carattere.

Sento le dita di Nicolas stringere più forte il mio collo. Quest’uomo è determinato a uccidermi e non mollerà la sua presa finché non sentirà che ho cessato di dibattermi ed ho emesso il mio ultimo respiro.

È disperato, lo sono entrambi, lui e quella donna diabolica che ho inseguito fin qui, e la disperazione porta alla lucida pazzia calcolatrice di coloro che non hanno più nulla da perdere.

Sento il diffuso lezzo di alcol provenire dal fiato del mio carnefice, che ha il volto vicinissimo al mio, contorto in una smorfia di gioia selvaggia e senza nome.

Che momento di trionfo deve essere per lui e per la sua vita sin qui senza infamia e senza lode porre fine ai giorni del fiero comandante delle guardie di Sua Maestà, Oscar François de Jarjayes!

Anche questo fa parte della sottile ironia della vita, che quest’uomo inetto, meschino, burattino nelle mani di sua moglie, succube al volere di un’altra donna, debba avere ragione di me per l’ultima volta.

Non è certo la fine gloriosa che mio padre si aspettava che io facessi.

Non è certo la morte degna per un generale. E nemmeno per sua figlia, a dirla tutta.

Alle spalle di Nicolas intravedo un’ombra che ondeggia scura. Sono i lunghi capelli neri di Jeanne. Ormai mi si sta annebbiando la vista, ma riconosco le sue dita sottili che stringono qualcosa, forse un pugnale, le sue unghie laccate di rosso, i suoi occhi felini.

È una bella donna, Jeanne Valois de la Motte. Molto bella. È sensualità pura, è carne e sangue, è peccato, è vita. Non mi stupisce che riesca a manipolare le persone come cera plasmata al tocco delle sue mani. Se io fossi il maschio che mio padre avrebbe voluto, farei qualunque follia per una come lei. Probabilmente è davvero una strega, come dice qualcuno.

Quello che però non capisco è questa espressione di sconfitta sul suo viso. Non le si addice. Sono io che sto morendo, Jeanne, non tu. Tu hai vinto, per questa volta.

Ecco l’ennesima ironia della vita: io ho salvato tua sorella, tu stai uccidendo me, la madre di Rosalie ha ucciso la tua: una catena di violenza infinita.

Probabilmente se io avessi una figlia, un giorno ti verrebbe a cercare, per vendicare la morte di sua madre e la ruota continuerebbe il suo giro.

Ma io non ho nessuna figlia che reclamerà la sua soddisfazione. Io sono sola.

Sola nella mia vita, sola nella mia morte.

Eppure…forse no.

Un’immagine mi accompagna, un volto che non ha smesso di balenarmi innanzi durante questa notte senza senso, in questa landa dimenticata da Dio e dagli uomini.

Ancora ironia, pensare all’amore quando non c’è più tempo per l’amore, quando non c’è più tempo nemmeno per la vita e quando per tutta la vita all’amore ho tentato di sfuggire, come fosse una malattia infettiva e letale.

Ma forse, più che un’ironia, è solo la banale, sconcertante verità.

Come succede, dimmi, amico mio, che ci si innamora? Si cade e ci si sbuccia il cuore?[1] Oppure è come stare per sempre sospesi in un limbo senza peso, senza fiato, come sono io adesso?

Non lo so. Quello che so è che io non ho fatto niente, non mi sono accorta di niente. Non so nemmeno se, e come, e dove e quando.

Tutto quello che so, sei tu.

Che c’eri, che ci sei, adesso, qui con me ed io non sono sola per la prima volta nella mia vita, ora che sto morendo.

Per la prima volta nella mia vita, ora, mi sento serena. Completa.

Non siamo mai stati fatti per stare insieme, lo so, ma che mi importa. La verità è che tu sei fatto per me, da sempre. I tuoi occhi verdi sono fatti per me, i tuoi capelli scuri sono fatti per me, le tue labbra incantevoli, le tue mani, quando lavorano e anche quando rimangono inoperose sono fatte per me. Tutto il tuo corpo è fatto per me.

È ridicolo e assurdo che io pensi queste cose adesso, probabilmente poco dignitoso per una nobile del mio rango e senza dubbio scarsamente utile, viste le attuali circostanze.

Ma io ti amo.

Ti amo? Davvero?

Allora è questo l’amore, questo appagamento dei sensi, questa serenità assoluta, questa placida consapevolezza dei propri bisogni e questa assoluta tranquillità nel soddisfarli, nutrendoli anche solo di un nome, di un pensiero, di un ricordo riscattato dal passato.

Che pensiero bizzarro, che frase insensata, che momento inadatto per pensare all’amore.

Ma solo a questo riesco a pensare. Che ti amo. E che queste mani che mi impediscono di respirare faranno in modo che io non ti riveda mai più.

È questa la cosa che più di tutte mi rende intollerabile il fatto di morire proprio adesso. Non tanto la morte in sé, io sono un soldato e un soldato fa tutti i giorni l’amore con la morte. Gioca con la morte, la sfida e accetta il rischio di vincere tante volte ed anche di perdere. Con la morte si perde una volta sola, ma è quella finale, decisiva.

Ma è questo pensiero struggente che non ti rivedrò mai più che mi dilania le viscere e che mi fa provare un vero e autentico tormento fisico. Non lo posso sopportare.

Ed è questo disperato, meraviglioso, possente, travolgente pensiero che mi fa gridare, o forse sussurrare, non lo so, l’ultima, dolcissima parola che pronuncerò mai in tutta la mia vita.

“… André…”

* * *

Lei mi chiama.

È in pericolo.

Sento la sua voce come un’eco lontana. Non sono nemmeno sicuro di averla davvero udita o solo immaginata, ma so per certo che ha bisogno di me.

E io corro da lei. Corro sempre da lei, è una vita che lo faccio, non posso certo cambiare adesso.

Corro.

“Fermati! Dove vai? Il comandante ci ha detto di aspettarlo qui!”

Il comandante ci ha detto di aspettarlo qui, è vero.

Ma la mia donna mi ha appena chiamato a sé, e la mia donna è infinitamente più importante del mio comandante.

Sono qui, amore mio. Sono accanto a te.

“… Oscar…”

* * *

Forse sono morta. Non lo so, però non sento più dolore.

La pressione sul mio collo ha lasciato il posto ad una carezza leggera, che lentamente mi percorre le guance, i capelli, le labbra.

Il viso deformato di Nicolas de la Motte è sparito dalla mia vista. Dov’è il mio aguzzino? È riuscito nel suo intento? Mi ha davvero ucciso?

Al suo posto vedo un angelo guerriero dallo sguardo fiero, che mi guarda come se fossi la cosa più delicata e preziosa esistente al mondo.

Sento l’aria. Entra ed esce liberamente dalla mia bocca, dalle mie narici. È fresca e frizzante, non più l’odore stantio di alcol, muffa e disperazione che si respirava all’interno della fortezza.

Siamo fuori. Ma sono viva? Ancora non lo capisco.

Attorno al mio angelo guerriero un alone di luce, come un incendio enorme e lontano, ne incornicia il contorno facendolo sembrare una rappresentazione fiabesca. È il castello che sta bruciando.

Mi tasto il corpo con le mani e lo percepisco in tutta la sua fisicità materiale. Il petto, le gambe, il volto. Le mie mani intrecciano le sue.

E alla fine lo vedo con chiarezza. Sento la sua voce.

Mi parla e io non sono morta. O meglio lo ero, ma sto tornando alla vita.

Questo amore

Così violento

Così fragile

Così tenero

Così disperato

Piange e ride il mio angelo, incapace di frenare l’angoscia, incapace di arrestare il torrente di parole che sembra aver trattenuto per tanto, troppo tempo. Ripete il mio nome come all’infinito, come a volersi assicurare che io lo senta, ma io sono ancora troppo debole per rispondere.

Chiudo gli occhi e mi abbandono al suono della sua voce, al tocco delle sue dita.

Questo amore così vero

Questo amore così bello

È il tuo amore che mi ha salvato, André.

Nient’altro che questo amore avrebbe potuto portarti da me, in quel castello di morte, solo questo amore avrebbe potuto farti sentire il sussurro del mio appello disperato del tuo nome.

Questo amore perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato

Ah, quanto sono stata cieca, sciocca a non capire, a non vedere, a pensare che un altro uomo, un altro abbraccio fosse la risposta alle mie domande.

Questo amore tutto intero

Ancora così vivo

E tutto soleggiato

Ma tu, caparbio, ostinato, hai perseverato. Mi hai aspettato, sostenuto, capito, hai lasciato che io andassi via e tornassi quando mi sentivo pronta.

Noi possiamo tutti e due

Andare e ritornare

Noi possiamo dimenticare

Sognare la morte

Risvegliarci sorridere e ridere

Ho dovuto invocare la morte perché mi liberasse dal peso insostenibile di non poterti avere mai più e temerla per il terrore di non rivederti. Ma tu sei arrivato. E con te hai portato il tuo amore. Il nostro amore.

Il nostro amore è là

Testardo come un asino

Quanta pazienza…

Vivo come il desiderio

Quanto desidero sentire il tuo corpo muoversi dentro il mio…

Crudele come la memoria

La sofferenza che ti ho inflitto…

Sciocco come i rimpianti

Il tempo che abbiamo perso e che invece avremmo potuto condividere…

Alzati subito

Tendici la mano

E salvaci

Ma adesso siamo qui. E nient’altro conta. Il tuo amore mi ha salvato. Ci ha salvato tutti e due.

André. Il tuo nome, conosciuto da sempre, ha un suono nuovo al mio orecchio. Lo pronuncio infinite volte e mi sembra l’unica parola che abbia un senso in questa notte. Le tue dita sfiorano il mio viso con delicatezza, sento che mi accarezzi le guance, il collo. Dove poco prima altre mani hanno cercato di strapparmi alla vita con  violenza, tu ora alla vita mi restituisci con dolcezza. Ed è una vita che desidero dividere con te.

Le tue labbra si posano sulle mie ed è un gesto semplice, ovvio, il primo bacio del primo uomo e della prima donna.

Finalmente, adesso, potremo riposare, nutrendoci l’uno dell’altro, per sempre. Vivendo l’uno nell’altro, con l’altro, per l’altro.

Ed io, insieme con te, per tutta la mia vita, non sarò mai più sola.

 

pubblicazione sul sito Little Corner del settembre 2010

 

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[1] Liberamente tratto dal romanzo di Cathleen Schine “La lettera d’amore”