Non evitabile
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“Alain, aspetta. Aiutami, per favore”.
È la prima volta che le sento dire per favore, ma non è questo. In fondo la conosco da poco.
È per il tono che aveva la sua voce. Mi ha fatto sentire quasi in colpa di averle detto quelle cose, poco fa.
Era come rotto.
Non era un ordine, e non era il modo in cui si risponde a una provocazione. E lei non è più il comandante, in questo momento. È strano, sembra... uscita dal ruolo.
Completamente.
La conosco da poco, in fondo. Però pensavo di aver capito il tipo, in queste settimane, di saperne già parecchio.
Invece no, direi.
Ha mosso qualche passo, che sembra esserle costato immensa fatica, verso André che sta per terra mezzo svenuto. Si è chinata su di lui guardandolo come se non avessero la minima importanza il luogo e il contesto, il fatto che questa è una caserma e ci sono io. Ha tirato fuori dalla tasca dell’uniforme un fazzoletto candido, ricamato, e gliel’ha passato delicatamente sul viso per pulire uno sputo.
“Ti prego, aiutami, non posso alzarlo da sola”.
Mi sono chinato anch’io, e ho guardato meglio André, la sua faccia. Proprio il massacro che volevate, bel lavoro davvero, figli di cane. Ne avrà per settimane, se va bene.
“Coraggio amico, ora ci pensiamo noi”, mi ritrovo a mormorare, mentre mi passo il suo braccio intorno al collo e lo sollevo con cautela tenendolo per la vita. Lei lo sorregge dall’altra parte, gli sostiene il capo e lo aiuta a posarlo su di me, gli passa le dita tra i capelli in un soffio invisibile. Poi fa lo stesso, si passa intorno l’altro braccio con un gesto che insieme è pratico e fragile, e lo abbraccia poco sotto di me. La sua stretta è efficace, eppure avverto, appena, il contatto del suo corpo sottile, il suo odore di donna, mentre stringe André. Ora capisco davvero tutto, e penso che quello che hai fatto non è per niente strano, amico mio.
Il lento percorso che trasciniamo nel corridoio vecchio e scrostato dall’armeria all’infermeria sembra avvolto in un silenzio irreale, non scandito dal tempo. I gemiti che sfuggono ad André e il respiro di lei che accelera in modo impercettibile quando lui si lamenta ne sono parte integrante, sembrano rafforzarlo e isolarci ancora di più invece che interromperlo. Mentre cammino in questa bolla attutita, mentre sorreggo lui e rivolgo uno sguardo rubato al viso angelico del comandante, comprendo con una chiarezza irrimediabile di essere stato coinvolto. L’amore ha bisogno di testimoni e voi mi avete reso testimone del vostro, perché possa esistere e voi possiate morirne.
André ama il comandante donna e questo cambia tutto.
Non saprei nemmeno definirlo questo tipo di amore, tanto ne avverto la forza, come se lo avessi addosso, come sento il peso del corpo sfinito di André. È un amore senza aggettivi.
Ti sei messo in un mare di guai, figlio di un falegname: questo è proprio l’amore in persona, ali faretra e tutto. Quello che non ha pietà, che scioglie le ginocchia e ti piega a terra, che non permette a nessuno di ignorarlo. Non a te, non a lei, che se ne sta accorgendo in questo momento. E nemmeno agli altri. È strano come tutti riescano a riconoscere immediatamente questo sentimento, quando lo vedono nel prossimo, e come ne restino sconvolti. Se vi avessi visto scopare nell’armeria non mi avrebbe fatto lo stesso effetto: probabilmente ci avrei riso sopra. Invece ho sentito il tuo: “Ti prego, non ti sposare”, e adesso ho una morsa che mi stringe lo stomaco. L’amore ha qualcosa di scandaloso. E oltretutto si attacca.
Apriamo la porta dell’infermeria deserta. Il comandante alza con una mano il lenzuolo del letto dietro il paravento, vi stendiamo André. Fai piano, mi dice, e sembra la mia sorellina quando dobbiamo mettere a letto la mamma. “Certo, comandante”, rispondo per reazione.
Lei gli passa una mano sulla fronte, gli sistema i capelli. Fa un breve sospiro chiudendo gli occhi, mentre volta il viso. Comincia ad aprirgli la giacca, ma poi si ferma e mi guarda, scuote la testa una volta, con un’esitazione rassegnata.
Bisogna proprio che vi aiuti io, vero, comandante? La vergine guerriera resta pur sempre una vergine, le medaglie e la vita in caserma non l’abilitano a spogliare un uomo.
Soprattutto un uomo che l’ama in questo modo. E poi credo che anche André si sia immaginato la scena diversamente, nelle sue fantasie.
“Ci penso io”, dico mentre lei si volta, e gli tolgo con cautela la giacca, gli stivali e i pantaloni. Gli apro la camicia e comincio a esaminare i lividi e le ferite sul petto, sul resto del corpo. Niente di pericoloso, per lo meno. Lo disinfetto con calma, richiudo, gli tiro sopra la coperta. “Su, ho visto di peggio”, lo rassicuro, anche se non sono certo che stia seguendo.
“Comandante, potete avvicinarvi. Ha delle ferite anche sul viso”, dico con un sorriso non troppo innocente.
Ma lei è troppo turbata per raccogliere, e poi André adesso le ha preso un polso, e non dice niente ma ha gli occhi chiusi e pianto che si asciuga lungo le tempie, e questo non aiuta. Lei ha del cotone pulito in mano e dell’antisettico, e inizia a medicarlo.
È strano il modo in cui si rapporta a lui, comunque. Ha un modo di toccarlo che ha una dolcezza antica. Neanche lei si rende conto di quante cose dicono quei gesti, quelle carezze tenere e ritrose, quasi indirette nell’indugiare attraverso la garza con cui gli deterge il sangue, lo disinfetta piano. E nello stesso tempo è distante, rigida, terribilmente impacciata. Forse anche dalla mia presenza, è vero.
“Forse è meglio che vada, adesso”.
“No Alain, aspetta”.
Lo lascia e mi allontana, viene con me oltre il paravento. Parla a bassa voce perché lui non la senta. Mi guarda per la prima volta negli occhi e ha un’espressione indescrivibile in volto, che non cerca di nascondere: è seria e spoglia, sincera al punto da apparire indifesa.
“So che ci sono molte cose che vorresti sapere, ma non ho intenzione di dirtele - mormora con una pacatezza che tradisce la sua commozione -. Una donna che fa una vita come la mia desta curiosità e diffidenza, ci sono abituata. E anche André è coinvolto in questo da sempre, ma lui non c’entra”. Le sue mani tremano mentre le stringe e rivolge uno sguardo fuggevole a dov’è lui. Non capisco come possa chiedermi una cosa simile. A uno che conosce appena e che l’ha anche trattata male.
“Devi vegliare su di lui, essergli amico. Devi proteggerlo dai tuoi compagni. Non voglio che gli succeda più una cosa del genere. Non voglio che gli facciano più del male”.
“Comandante, conosco a malapena voi e lui”.
“Lui lo merita, lo conoscerai. Gli sarai amico. Merita tanto, molto più di quello che la vita gli ha dato finora”. Distoglie gli occhi e si passa una mano sotto il ciglio.
“Molto più anche di quello che gli avete dato voi”.
Nello sguardo che mi rivolge c’è uno strazio limpido, asciutto. Mi fissa senza parlare con gli occhi luminosi.
Finora, comandante. Di quello che gli avete dato finora.
“Devi essergli amico - ripete -. Non voglio che corra rischi per me. Devi dirgli di non correre rischi”.
“Glielo dirò, comandante. Sapete anche voi che non mi ascolterà, ma farò del mio meglio. Ve lo prometto”.
“Grazie - dice seria -. Grazie non dal comandante, ma dalla persona”.
Dalla donna, comandante. Prego.
Mi volto per andarmene, ora è meglio davvero che li lasci. Ma ci ripenso un momento.
“Comandante”.
“Sì, Alain”.
“Posso anche dirgli il resto, se volete”.
“Quale resto?”
“Che non vi sposerete con un altro, perché amate lui”.
È così chiaro, ormai. Ora è tutto talmente chiaro.
Lei sgrana gli occhi. Come ti permetti. Ha un’espressione sorpresa e ferita. Ho fatto centro, a quanto pare. È offesa, come si offendono tutti quelli a cui dici una verità cui non vogliono credere. I pazzi a cui dici che sono pazzi. Se non fosse stato vero avrebbe sorriso e avrebbe detto che sono fuori strada. Non l’avrei colta così sul vivo.
“Come ti viene in mente una cosa simile?” dice in un ansito, arrabbiata con me. Eppure sembra che voglia parlare, che voglia chiedermi da cosa ho capito. Sembra che voglia sapere.
“Comandante, certe cose impossibili a volte sono semplicemente inevitabili, e in realtà sono le uniche che hanno senso. So che non dovrei permettermi di dirvelo, ma pensateci”.
Vorrei tanto sapere di voi, del come e del quando. Com’è possibile che nasca un amore così, e che venga fino a tal punto tradito. Ma non è questo il momento, e forse c’è ancora una speranza, se vi lascio soli.
“Lasciaci soli”, ordina voltandomi le spalle. Ma poi si ferma e sospira seria: “Grazie”.
È tornata da lui. Mentre esco dall’infermeria vedo che si è seduta sul letto e gli ha preso la mano. Con una familiarità ignota per me. Gli accarezza i capelli. André, torna in te, gli sussurra. Sono io, sono Oscar, è tutto finito.
“Oscar, non ti devi sposare, ti prego, Oscar”.
Non riesce a pensare ad altro, da quando ha saputo. Ha fatto a botte, lo hanno pestato a sangue, e lui pensa a questo.
Dio, Oscar, diglielo, non lasciare che muoia.
Ma forse, con tutto il mio cinismo, sono un illuso peggio di lui. Siamo soltanto un mucchio di estranei, in questo mondo, ognuno segue la sua strada e pensa soltanto alla sua paura egoistica di soffrire. Non c’è nessuno che ci salvi mai, dovrei averlo imparato.
Sto uscendo in silenzio. Addio comandante, addio André.
Sono già fuori quando una voce mi raggiunge. Una voce tenue di donna alle mie spalle, che accompagna il chiudersi della porta, e si spegne in una promessa segreta che mi viene concesso di udire.
È come un dono che ha voluto condividere con me, perché io le creda.
“No, non lo farò mai - dice piano -. Non sposerò nessuno, te lo giuro, André”.
Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis (Verg., Aen, IV, 412)
Fine
pubblicazione sul sito Little Corner settembre 2014
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