Non avere paura

 

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André:  “Non avere paura...”

Ho sempre trovato bello, nella tavola ikediana, che riesca a restituire ciò che deve aver provato Oscar ad ascoltare dirsi quelle parole.

Sono tavole animate: sembra di sentire la carezza di André che accompagna la frase, il calore della sua mano, il tono basso e dolce, la luce tenera di come la guarda (quegli occhi, che un attimo, poche tavole, prima, erano volitivi e ardenti).

Poche parole, perché di più non c’è bisogno. Non serve che dica “Ti amo” quando lo vedi così.

“Non avere paura” di ciò che provi, di ascoltare quello che senti, di non fare la cosa giusta, di soffrire. Guardami e guardati dentro, non aver paura di guardare.

Amare lui è la realizzazione, e non la negazione, di se stessa. Lasciarsi essere donna non cancella quello che ha vissuto, così come ciò che è stata non le impedisce di essere ancora altro. Perché lui l’ha amata sempre, comunque fosse, perché era lei. Perché era donna anche come era. Era lei.

André conosce la paura, perché ne prova, e non la teme. Forse per questo sa essere così rassicurante. Chi ammette la paura, è in grado di affrontarla. E l’altra sa di non essere sola. Ciò che spaventa nella paura è la solitudine. Ecco perché Oscar sa che veramente può non aver paura, quando lui le dice di non averne. Perché lo vede in lui, quell’essere insieme.

“Non avere paura”, perché sono io, e ci sono io.

C’è una frase di Roberto Vecchioni, tra le tante che André potrebbe dire, sottintesa in quel silenzio, che (lo credo fermamente) una donna sarebbe felice di ascoltare, e che Oscar stessa (del resto) ha pensato con le proprie parole, poche tavole prima:

“Non mi confonderò mai più con questa compagnia di genii, sempre pronti - sempre con il “coso” in mano – a dire ‘Come siamo bravi, Dio, ma come siamo bravi!’, e che da piccoli era meglio che giocassero al meccano…  È più difficile spostare l’esistenza poco più giù del cielo, e diventare un uomo. Per te.” (*)

E con lui che le fa silenzio attorno, in quell’attimo in cui la tiene (quel silenzio che significa “Ti amo” e nient’altro, quando lo vedi così), lei può dire ciò che sente davvero, che dentro desidera: “Sono… tua”, e lasciarsi sorridergli.

E di che cosa avrebbe potuto avere paura, Oscar? Di non sapere come si fa? Di sentire male? Di non essere “brava”? Di restare incinta?... quanto l’ho sentita vera in questo!!

In quel momento, non c’è ragione che tenga, è solo l’intuito istintivo, la sensibilità intima scoperta e primaria.

L’istinto di lui di proteggerla, e volere che lei voglia (avrebbe anche potuto prenderla e baciarla, anestetizzarla con la passione, convincerla a cedersi abbandonandosi sotto i suoi baci… invece, giammai: come intenerisce lo sguardo che fino a poche tavole prima era impaziente, bramoso!!); l’istinto di lei, di potere fidarsi e affidarsi, farsi accogliere, accettare il suo desiderio e il proprio desiderarlo.

Anche Girodel le ha offerto, con ragionevoli motivazioni, affetto e protezione. Sinceramente. Ma non basta. Perché non basta la ragione. Perché lei, Girodel, non lo ama. Perché ama già un altro, anche se non se ne rende compiutamente conto. Ma a quel punto, al punto in cui due corpi arrivano a sfiorarsi, non può più ignorarlo, istintivamente. Perché l’intuito istintivo del cuore (**) desidera accanto un’altra persona, e per sempre. Tanto che non esiste “sempre” senza di lui.

“Sono tua”, risponde Oscar, sorridendo, rincuorata, mi verrebbe da dire: perché le parole di lui le hanno aperto il cuore, come il vento che spalanca gli scuri. E guardandosi dentro, senza paura, vede che gli appartiene.

E non ha paura di essere sua, né che lui sia parte di lei.

 

(*) ammetterete che, se anche il significato può essere lo stesso , la forma è ben diversa dagli zoccoli satireschi…

(**) (Sto parlando, beninteso, di un impulso istintivo del cuore, non di “istinto” nel senso comune e “animale” di soddisfacimento di un bisogno.  Per come la sento io (forse “con il cuore nelle mutande”), è un intuito vicino all’istinto di conservazione: non semplicemente il volersi soddisfare nei sensi, ma il sentimento che non ne verrà del male, che è una situazione “sicura”. Che è la cosa buona da fare, ma non per calcoli razionali, per sentimento. È un intuito. Probabilmente uno psicologo avrebbe da ridire su questi termini e su come li uso e – forse – anche su come li intendo, ma non riesco a spiegarmi meglio. È veramente un’intuizione).

 

pubblicazione sul sito Little Corner del novembre 2011 - pubblicazione originale su http://lauraslittlecorner.wordpress.com/

 

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